Heartbeat

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Sabato…

 

Impulsi assopiti per troppo tempo.

L'incerta andatura del tempo fa oscillare il desiderio di ritrovare il calore di un abbraccio ed il timore di non poterne rimanere prigioniera. Accade per caso: uno sguardo, un sorriso e il crescente battere del cuore ti ricorda che, forse, stai provando ancora una volta a fare di tutto per soffrire. Lo senti: sono solo attimi che cambiano la lenta sequenza di gesti che quasi non ricordavi più di saper compiere. Di saper cogliere.

 

Venerdì:

 

Inventi  parole, assecondi la tempesta di emozioni che imperversano dentro di te e, da te, parte un'energia che non saprai  controllare per molto. Ricordi il primo sguardo, il primo odore, che poi hai imparato a riconoscere fra tutti gli altri, e ti perseguita in quella scia invisibile che sceglie solo te nei momenti in cui non vorresti essere altro che niente. Ti catapulta con forza nella ruvida realtà e i lividi, il dolore, ti rammentano con irruenza che puoi ancora ridere, soffrire, morire.

 

Giovedì:

 

Incoraggi l'impazienza del prossimo incontro e speri che sia casuale, ma che cosa potrebbe esserci di casuale in un lungo vagare per le strade che conducono sui suoi passi, e scoprire che li ha compiuti un attimo prima di te? Allora pensi: è iella. Quella maledetta, assurda iella, bastarda, che ti rammenta come avevi deciso di ignorare quel sorriso, quell'invito a condividere un respiro in più nell'alito del vento che, lentamente, ritornava a volare distante dalla tua faccia. Dal suo viso.

 

Mercoledì:

 

No, non ci saranno mai più occasioni del genere. Non ti chiederà mai più di calpestare così la sua fiducia, avvelenare la sua speranza. Sorridi e pensi a come sarebbe stato, se, quella sera, fossi andata da lui.

Non credevi  ti avesse cercata. Che avesse sussurrato il tuo nome nel vano tentativo di vederti materializzata di fronte ai suoi occhi. Non te ne ha fatto una colpa: ha solo sorriso per la disillusione che l'aveva colto di sorpresa mentre vedeva l'infrangersi di un sogno.

Sei stata sincera… gli hai detto che davvero non contavi sulla sua richiesta di voler stare con te… hai accusato lui per la tua diffidenza dicendogli che credevi scherzasse e che troppo tardi hai ricevuto il suo messaggio.

 

Mercoledì, un altro:

 

Poi, per giorni non l'hai più visto, ed il tuo cuore si è piegato al battito lento e noioso che da troppo tempo hai imparato a seguire… Dimentichi, dimentichi tutto e tutti. Ritorni alla tua solitaria agonia e nemmeno serrare le dita nella tua mano ti consola, eppure, hai ancora pelle da scorticare! E ridi, ancora.

La beffa.

 

Mercoledì, ancora un altro:

 

La tua incapacità a non saper cogliere gli attimi, non saper scegliere le parole, forse, gli sguardi. Abbassi gli occhi come sconfitta dinanzi al vacuo interesse che adesso manifesta per te. Ti metti alla ricerca di un segnale che non c'è, memorizzi i suoni, lo sfiorarsi inconsapevole e distratto in mezzo a tanta gente che prende più di quanto sei disposta a dare. Lui lontano, distante dalla tua scia, osserva il mondo e vi entra di diritto, mentre tu, da sola rimani a guardare.

Vorresti fuggire ma non lo fai, perché in fondo, ti piace tormentarti con frasi cattive, pensieri marci che schiaffeggiano la tua distratta e poco presente dignità. Simuli felicità: ecco il gioco delle parti, l'eterno toccare e fuggire, i se, i forse, i però.

Non ti rimane altro che guardare alla situazione con estenuante razionalità, richiamando in causa le differenze tra di voi. E, spossata dal pensiero, ti abbandoni, lasciando che il desiderio di rivederlo ancora possa donarti il ricordo di un altro ricordo.

Arricchisci il tuo scrigno di insuccessi e frustrazioni. Lo guardi con solennità, sapendo che in esso vi riporrai l'ormai nota materia: una o l'altra non fa differenza, purché sia di eguale fattura.

 

E ancora è arrivato un altro mercoledì…

 

Si avvicina anche ora a te. Un lungo chiacchierare durante un pomeriggio ignoto, che di colpo assume un'identità. Rimanete per un'ora a parlare di voi. E' piacevole ascoltare la sua voce mentre ti supplica di poter stare con te, solo per pochi minuti. Sei tentata ma, non lo fai. Vuoi ancora ascoltare la sua voce. La prossima volta, ne sei quasi sicura. Forse, il tempo ti darà ragione. L' hai scoperto oggi, insieme alla smania di lui che ti possiede.

 

Giovedì:

 

Parole mai ascoltate ed insegnamenti della vita che non hai mai voluto imparare.

Dici  addio  alla  tua  piccola  parte di  paradiso  su  questa terra arida, che ha ormai assorbito tutto di te.

E quando sarà il tuo turno per scagliare la prossima pietra, parlerai di lui, dicendo che è la cosa migliore mai capitata a questa vuota carcassa priva, da allora, dell'anima.

Così, tante volte, hai cercato di immaginarti seduta con lui in qualsiasi posto dell'universo, troppo lontano da voi, e mai tanto vicino per poterlo sfiorare.

 

Lunedì:

 

E, per la prima volta, vedi chiari i messaggi ignoti dei suoi sguardi di cui non capivi il senso, ma li hai decifrati come parole scritte al contrario che si svelano davanti a uno specchio.

Specchio di te, specchio dei suoi occhi quel ricco baluginare di colori che li riempiono.

Ogni giorno le ore ti salutano in un addio straziante, rammentandoti che non torneranno mai più.

Tutto sembra triste all'imbrunire, il commiato dal sole e dal vento in giorni d'estate, che riscaldano col loro respiro, la terra ed il mare.

Hai sempre freddo quando pensi che domani non sarà con te… che, forse, non ti cercherà…

 

Domenica, 12 luglio 1789… indietro nel tempo…

 

Era un gioco, tu non lo sapevi. Una partita crudele che non aveva regole.

Vi siete lasciati senza colpe, motivati da obiettivi differenti.

Lui aveva deciso di rimanere in caserma con i suoi compagni, quel giorno. Sulle prime ti ferì… avevi davvero sperato che sarebbe bastato prendergli una mano tra le tue per distoglierlo dalla sua decisione. Ti sorrise, come non faceva da tanto tempo, dicendo che ti avrebbe accompagnata e, poi, sarebbe tornato indietro. Non avesti la forza di reagire e, sconfitta, accettasti anche i residui di quella sua disponibilità.

Con i cavalli lanciati al galoppo vi fu impossibile parlare, e quando rallentasti l'andatura per costringerlo a guardarti, tornò indietro, limitandosi a chiederti se era tutto a posto. Non hai saputo cogliere l'attimo… sarebbe bastato che non gli nascondessi l'ultima lacrima aggrappata alle tue ciglia.

Hai detto che ti aveva colpito un moscerino.

La strada del ritorno in caserma ha preso l'ultimo ricordo di voi.

 

Martedì, 14 luglio 1789

 

Cenere caduta da una battaglia senza pietà. Uomini spezzati dal ricordo degli occhi del nemico, nel momento della morte.

Gente magnifica, ovunque, cerca di rendere bellissimo il suo Paese, riempiendolo di speranze, ancora una volta.

André è rimasto sospeso tra i due momenti…

L'esplosione lo scaraventò su un cumulo di calcinacci venuti giù da un palazzo dilaniato dalle cannonate.

Ti sentisti morire.

Lo voltasti: aveva il volto insanguinato. Riuscì ad aprire gli occhi, e sorriderti, per un attimo.

 

"Cerca un dottore Alain" dicesti con voce incolore.

 

Continuavi a chiamarlo, mentre, con le mani gli tamponavi il profondo taglio sulla fronte, cercando di tenere accostati i lembi di pelle squarciati. "Amore mio…" ripetevi all'infinito con Alain alle tue spalle. Amore mio, il sigillo di un'esistenza affinché nessuno osasse frapporsi in mezzo a te e lui.

Arrivò il medico e con l'aiuto dei vostri amici, lo adagiaste sulla barella. Vi moveste con tutte le difficoltà di quella circostanza. Li precedevi, voltandoti continuamente a guardarli. Scorgesti una palazzina piuttosto nascosta rispetto alle altre abitazioni.

Il portone scuro, massiccio, pareva invalicabile. Ma volesti tentare ugualmente ad aprirlo. I cardini, logorati dalla ruggine, cedettero immediatamente sotto i tuoi calci. Era buio. Un buio agghiacciante. Il tanfo del chiuso rendeva l'aria pesante, ma, in quella circostanza, non avresti potuto sperare in sistemazione migliore. Dalle fessure degli scuri chiusi, penetrava una luce fioca, che faceva rimbalzare il pulviscolo smosso dalla vostra presenza. Ti avvicinasti alla finestra, e, schiudendo le persiane, passarono luce ed aria sufficienti. Ti inginocchiasti al fianco del dottore.

 

"Ve la sentite di darmi una mano?"

 

Annuisti col capo, mentre scostavi dal  viso di André le ciocche di capelli intrise di sangue. Alain fremeva, incerto se andare o restare. Avvertisti pure il suo disagio. Lo ringraziasti accompagnandolo all'uscio. Bloccasti il portone di quella palazzina ignota, che sembrava essere lì per caso. Tutto sembrava sospeso in quell'assenza di tempo che modificava lo spazio, rallentava i gesti, spegneva le parole.

Tagliasti la maglia di André, lentamente. Scostasti piano i lembi e carezzasti, con mani instabili, l'addome coperto da escoriazioni. Vi passasti garze imbevute di tintura purpurea. Speravi che il contatto del disinfettante gli provocasse qualche reazione, ma, André seguitava a tenere gli occhi chiusi, avviluppato dentro quel sonno non naturale.

 

"Ascoltate attentamente: conviene tenerlo immobile. Ha diverse fratture, però, in queste condizioni, non posso intervenire. Gli ho provvisoriamente immobilizzato il braccio destro ma ciò che mi preoccupa maggiormente è la ferita alla testa. Cercherò di tornare appena possibile."

 

Guardasti il medico con occhi spenti. Lo ringraziasti e, di nuovo, richiudesti l'enorme portone alle tue spalle.

Ti inginocchiasti al suo fianco. Gli carezzasti il viso ripetendo che sarebbe andato tutto bene. Le tue lacrime cadevano una ad una sulle sue labbra immobili. Le raccogliesti con le tue e, piano, prese forma dentro di te un'ossessione, una smania mai provata. Continuasti a prendere la sua bocca con uno, due, mille baci senz'anima.

 

Furono ore devastanti. Sola, in un luogo sconosciuto da cui filtravano i rumori dell' esterno in un'eco ovattata. Tu  immobilizzata dalla paura di ogni rumore sospetto, di ogni passo, che pareva fermarsi davanti al vostro rifugio. Il sole era alto ed infuocato: si avvertiva dalle scintille luminose che si posavano sul pavimento e dall'aria sempre più pesante. Eri spossata, eppure, non riuscivi a tenere gli occhi chiusi.

Nella tua mente giravano vorticose le ultime immagini di quella mattina. Uno dei cannoni sulla torre della Bastiglia mirava verso il basso. Un secondo solo e, André avrebbe potuto schivare l'onda d'urto. Un secondo solo.  Sentisti i timpani frantumarsi al ricordo dell'esplosione, come le corde vocali, tese dallo sforzo di urlare il suo nome. I colpi ti passarono sopra, di fianco e, senza rendertene conto, lo raggiungesti. Eri spaccata dal dolore, dilaniata dall'impotenza.

Una stanza vuota.

Stringesti la testa tra le mani, soffocasti un urlo di disperazione in quel silenzio terrificante, sospeso tra le voci della gente e la carica dei loro passi.

Posasti la testa sul suo petto e ascoltasti il battito del suo cuore. Allora, decidesti che saresti rimasta così, fino al suo risveglio. Gli prendesti la mano portandotela sul viso, inventando le sue carezze. Il suo palmo di uomo, aperto sulla tua guancia. Un brivido caldo correva lungo la schiena e ti sentivi intrappolata dentro l'uniforme che schermava il tuo corpo.

Riprendesti a respirare con più regolarità e, per tenere impegnata la mente, cominciasti a costruire frasi, ad inventare sguardi e gesti, che, poi, avresti recitato per lui. Per un attimo ti sembrò sveglio, ma era solo la tua suggestione.

 

Avevi appena chiuso gli occhi quando sentisti la voce dei tuoi amici. Fine di un sogno, inizio della realtà.

Lungo il tragitto rimanesti in silenzio con la testa bassa. Intorno a te l'isterismo collettivo che si gettava in direzioni opposte, tra la  gioia di chi era sopravvissuto e l'amarezza di chi andava a inumare i suoi morti. Non guardasti; c'erano troppe sfumature di colori sulla città. Ma gli odori dell'estate, nella sua bellezza vivissima, erano mescolati a quelli della morte e della polvere da sparo. Avevano un sapore unico ed irripetibile.

Passasti dita veloci sotto gli occhi ad asciugare le lacrime. Sentisti la mano di Rosalie stringere la tua, con discrezione.

 

Pregasti tutti di lasciare la stanza.

 

15 luglio 1789…

 

Immergesti nel catino l'asciugamani e, piano, cominciasti a detergergli la pelle, riportandola al suo odore naturale. Pulito.

Gli parlasti: l'avresti fatto ogni giorno da allora.

Eri convinta che potesse ascoltarti.

Sedevi accanto a lui sul bordo del letto e, con la testa premuta sul suo petto, gli raccontavi ogni cosa.

Registravi i battiti del suo cuore e continuavi a sentirli durante la notte.

 

 

Durante lo scorrere di quei giorni, non ricordavi nemmeno quanto tempo fosse passato. Osservavi i cambiamenti impercettibili del mondo chiuso fuori da quella stanza e t'imponesti di rammentare la successione delle ore.

 

16 luglio 1789…

 

Tirasti su il lenzuolo a coprirgli il torace scoperto.

 

"Ciao, scusa… sono entrato senza bussare" ti disse Alain imbarazzato.

 

"Ciao Alain. Non preoccuparti", gli rispondesti facendogli cenno di sedere vicino a voi.

 

"Oscar che ne dici di uscire un po’ da qui? Resto io con lui."

 

"Ti ringrazio, ma, qui ho tutto ciò di cui ho bisogno… Cosa c'è fuori di più tranquillo di questa stanza?"

 

Intrecciasti le tue dita con quelle della mano abbandonata di André, carezzasti il dorso col pollice. Alain non aggiunse altro e, con il suo macigno sul cuore, lasciò la stanza.

Eri distrutta. Avevi qualcosa d'importante da dirgli, di tenero, di assoluto. Cercavi il  contatto di quel corpo immobile, gli toccavi i capelli, il braccio ferito.

 

La notte ti sentisti sfiorare. Ti sembrò di avvertire qualcosa di tragico nel suo tocco, qualcosa di allarmante.

Subito accendesti la candela sul comodino, ed assistesti al suo risveglio. Avvertisti lo strappo della sua mano che lasciava la tua. Raccogliesti il tuo primo rimpianto.

Schiuse le palpebre.

Per pochi istanti, vedesti il suo sguardo perso nel vuoto e un'espressione assente.

Era come se qualcosa gli pesasse addosso.

Ti fissò, a lungo.

Accennò un sorriso timido.

 

"Ciao" disse con voce flebile.

 

"Ciao" gli rispondesti emozionata.

 

"Chi sei?"

 

                                                                                              *

 

 

Domenica…

 

Non è lontano, ma lì, nel suo cervello, che va a richiamare le cose nascoste.

Sono passati tre mesi da quel giorno. Il dottore disse che se non avesse ricordato entro breve tempo, allora, non l'avrebbe fatto mai più. Hai sofferto, tanto.

Lui sembrava distrutto da un dolore acuto che trasformava i suoi lineamenti, la sua voce.

Ti chiese che cosa eri per lui: non avesti il coraggio di mentirgli. Gli dicesti che eravate cresciuti assieme, che eravate come fratello e sorella. Dentro di te, avresti voluto dirgli che era il tuo uomo, che non aveva conosciuto altre donne, oltre te, che vivevate di un amore folle al di fuori di qualsiasi descrizione ed interpretazione. Ma ti mancò il coraggio.

 

Hai custodito sua nonna, spezzata dal dolore. Le hai tenuto la mano fino all'ultimo respiro.

Eravate solo voi due al suo funerale. Vi teneste per mano, e lui consolava le tue lacrime lasciandosi andare al suo pianto, ignaro di tutto.

 

"Mi dispiace…" disse "… Ma io, non ricordo di lei. Piango, perché c'è tanta tristezza nell'aria… Forse, un giorno, tornerò qui e verserò tutto il dolore che adesso non riesco a sentire. Perdonami Oscar."

 

 

Martedì…

 

Il "Comitato di Salute Pubblica" ti reputa un'eroina. Ti fa una corte spudorata adulando le tue capacità, richiamando i tuoi meriti nell'ambito della Rivoluzione, ma hai deciso di tenerti alla larga da questioni politiche. Ogni mattina ti svegli chiedendoti che cosa ti riserverà la giornata e fai un bilancio, quando sfinita, ti sdrai sul letto e pensi che, alla fin fine, questa vita ha dei risvolti piacevoli.Dopo la tua guarigione, da quel male che ti stava uccidendo, e la guarigione fisica di André, desiderasti capire.Un lavoro riservato agli uomini con la sola differenza che, stavolta, sei stata tu a scegliere. Dimostri, come sempre, grande abilità, professionalità e soprattutto, hai imparato cosa vuol dire essere fieri di se stessi. Anche allora lo eri, ma, quella, era un'altra storia.

 

 

Giovedì…

 

Dopo il lavoro, hai fatto un giro: da qualche tempo sembra ci sia più gente in città…

Ti è venuta voglia di andare da lui, a scuola… L' hai visto da dietro i vetri chino sui fogli, intento a scribacchiare qualcosa.

Insegna, e lo fa con passione come se non avesse fatto altro per tutta la vita: dice delle cose molto belle e piene di significato, di sentimento ai suoi allievi che lo guardano rapiti… L'amnesia non ha modificato i suoi ideali, le sue opinioni, il suo modo di essere. Sei felice per lui, e fiera, orgogliosa… Forse, è il suo sorriso che  tiene incatenato alle sedie quel gruppetto di bambini scalmanati… Sì, senz'altro è il suo sorriso.

Non hai avuto il coraggio di entrare. Ti è mancato, quando si è accorto di avere le mani sporche di inchiostro e ha assunto il suo gesto solito di imprecare, mentre si passava la carta tra le dita. Sei fuggita via, appena ha voltato la testa in direzione tua.

Sei del tutto convinta che non ti abbia vista. Forse, è meglio così… E' meglio così…

 

 

Sabato…

 

Da questa mattina dividi la casa con Matilda: una splendida meticcia bianca. Siete andate subito d'accordo, l'hai portata in casa e, quel suo curiosare ti ha fatto sorridere… Sentivi il ticchettio delle sue unghie sulle assi del pavimento, mentre con aria cospirativa, faceva il giro della casa…ti chiedi se sia rimasta delusa dalla brevità del percorso, ridotto ad un paio di stanze. Ma, in compenso, potrà godere pure lei del balconcino lungo due falcate, che si affaccia sprezzante sulla tua Senna. (1)

 

 

Venerdì…

 

E così ti sentiresti tradita? O, forse, delusa? E da cosa poi?

Hai ricominciato a vivere proprio quando tutto non aveva più senso. Ti sei scoperta capace di grande forza, hai sfidato anche la sorte ostile mettendo da parte la paura. Sei libera, finalmente. Eppure, continui a sentire un vuoto profondo e buio dentro di te, che all'improvviso salta fuori con tutta la sua incontrollabile violenza, e, nonostante tutto, nonostante tutto, lo devi affrontare. Ti è pesato vederlo in compagnia di una donna. Non era mai successo, o, almeno, non avevi mai considerato una simile eventualità. Una sconosciuta . Che strano, li hai visti passeggiare fianco a fianco, nei pressi di Notre Dame: sembravano felici e non hai potuto fare a meno di constatare che sono una bella coppia. E' del tutto inutile cercare di spiegare quale sia l'amarezza che senti dentro. E' talmente forte che ti provoca dolore, ti toglie il respiro, e, ti ritrovi rannicchiata in un angolo della casa a piangere come non facevi da  tanto tempo, forse troppo tempo. Sarai di pessimo umore domani e nei giorni che verranno, forse, sarai di pessimo umore per sempre e ti fa star peggio sapere che, prima o poi, tutta questa tristezza che adesso ti piega, passerà.

 

 

Mercoledì…

 

E' un velo che cade sugli occhi, la tristezza. Poco per volta avvolge il tuo corpo come un mantello fatto di spine, che ti graffiano la carne in profondità, fino a raggiungere l'anima.

Il dottore, una volta ha detto che non c'è peggior malato di chi non vuole guarire. Fisicamente non ci sono problemi, ma, tutto il resto andrebbe per lo meno rifatto…

Rosalie… continua a starti vicino e fa tutto il possibile per cercare di essere per te una persona di cui potersi fidare. Così è, e così, sarà per sempre. Ha compreso alla perfezione la marea di sensazioni poco piacevoli che in questo particolare momento della tua vita ti sta travolgendo. Non dice niente che possa farti stare peggio di così, anzi, con la sua dolcezza riesce a restituirti un po’ della serenità, che troppo a lungo hai cercato- deliberatamente- di allontanare. Avrà un bambino tra qualche mese, e tu, sei felice per questa nuova vita. Ti fa sorridere soprattutto, il suo modo di fare progetti, il suo volerti coinvolgere in qualcosa, che fino a qualche anno fa, era impossibile solo pensare… Dice che dovrai occuparti della sua educazione: sarai la "madrina" di suo figlio, anche se, preferirebbe una bambina…

Ti limiti a sorridere e, forse, l'assenza di un tuo chiaro rifiuto, le infonde coraggio.

 

 

Venerdì…

 

Corri il rischio di dimenticare se, continui a far passare i giorni tutti uguali.

Questa mattina era seduto, da solo, nella sala d'aspetto dell'ambulatorio del dottore. Aveva un'aria strana, lo sguardo lontano come quelle statue che rappresentano gli angeli e  volgono i loro occhi, in chissà quale direzione, alla ricerca della luce. Sei rimasta a guardare, perdendoti nel movimento che compiva il suo corpo a respirare, seguendo, con occhi ingordi, la linea della mandibola ai leggeri movimenti del viso. La luce opaca di questa mattina uggiosa rendeva i suoi tratti duri, misteriosi. La sua mente persa in quel buio cui non riesce ancora ad abituarsi e, nel non volersi arrendere, stringe forte i pugni chiudendo gli occhi.

Gli hai posato una mano sulla spalla e, lui, si è voltato distrattamente ma, ha subito sorriso appena ti ha vista e mai avresti sperato che, in un attimo, potesse abbracciarti tanto forte e sentirti dentro di lui.

 

"Oscar… mi sei mancata sai?"

 

Hai indugiato in quell'abbraccio, hai aspirato forte il suo odore e premuto le dita sulle sue braccia, per trattenerlo, per non lasciarlo andare più via.

Ti ha accarezzato piano i capelli.

 

"Anche tu…"

 

Solo per un momento la tentazione di dirgli ti amo è stata più forte della ragione. Solo per un momento hai desiderato che anche lui facesse lo stesso. Non riesci a renderti conto, forse, che la vita ti ha regalato un'altra possibilità e l'errore è l'unica costante in quest'universo che, comunque, ti porterai dietro.

Ha detto che diventi, ogni giorno, più bella. E ti ha sfiorato il viso con la punta delle dita. Nemmeno sapevi fosse così delicato il suo tocco. Ti ha guardata, ed aveva uno scintillio dolce nello sguardo… Che fosse sospetto?

No, no, no e ancora no…

Lui non sa, adesso non più…

 

Domenica…

 

L' hai trovato sulla tomba di sua nonna. Era seduto all'ombra di un cipresso, con la schiena poggiata contro la parete aspra del tronco. Teneva gli occhi chiusi quando ti sei avvicinata e, con gli occhi chiusi, ti ha salutata.

Hai sorriso e sei andata a sederti di fianco a lui.

 

"… Ma, come hai fatto?" gli hai chiesto sperando nell'unica risposta, senza tempo e senza ricordi.

 

"Intuito…" ha buttato là. Poi, la sua risata calda e coinvolgente, ha scacciato l'ombra che ti si era adagiata sul viso. Ti ha stretta ancora e, ancora, hai temuto di non riuscirci.

 

"… A volte, credo di ricordare qualcosa. Sono immagini veloci, forse troppo, che non riesco ad afferrare. Sai, mi ricordo di te. E' sorprendente… ma, ti ritrovo in tutti i miei sogni e, in frammenti di tempo che non ricordo di aver vissuto."

 

Ti è mancato il respiro.

 

"… E' solo suggestione…" hai cercato di distrarlo dal suo pensiero dominante… l' hai fatto ancora.

 

"Dici?" poi, è rimasto in silenzio senza smettere di guardarti.

 

Hai abbassato le ciglia rivolgendo lo sguardo alle sue mani, che coprivano piano le tue.

 

"Sai che Alain ha la ragazza?" sorride.

 

"Ma dai!"

 

"Giuro! Ed è anche carina."

 

E' stata, forse, la prima volta che gli ascoltavi fare apprezzamenti su una donna anzi, a pensarci meglio, lui non ha mai elargito complimenti a nessuno. E' così riservato, impenetrabile e, adesso, ti fa paura non riuscire più a sapere a cosa sta pensando.

Che assurdità: tu non sei mai riuscita ad intuire i suoi pensieri ma, ora, senti dentro una strana energia, come se potessi anticipare il tempo, gli eventi futuri… Che strano, ti ritrovi a pensare a quella frase che ti faceva arrabbiare "Crediamo ciò che più temiamo…" e poi, sorrideva. Non hai mai capito se si prendeva gioco di te, se faceva leva sulle tue assurde inibizioni ma, c'erano tante cose da cui fuggire allora e non ti accorgevi che ti sarebbe bastato rispondere a quel sorriso per sentirti più leggera… E, così, quella era la ragazza di Alain. Spero ti basti questo spavento! Diventa sempre più difficile affrontare il tuo mondo fatto di slanci per un prossimo amore e la paura di non saperlo vivere. Chi può dare certezze in questo senso?  Che senso avrebbe riscattarti da un debito che hai verso te stessa se, alla fine di tutto, ti spaventa l'amore? Perché fermarti a pensare che la solitudine fa paura?

 

Martedì…

 

Il fallimento del presente governo è più doloroso di quello passato. Nelle strade si riversano gruppi spauriti di persone che, con occhi spenti, vanno alla ricerca di un tozzo di pane. Continua ad arrivare gente dalle province, con la speranza di poter trovare un lavoro, ma i loro sogni svaniscono nei sobborghi, tra pozzanghere d'acqua putrida e il freddo della notte che li devasta con gli occhi chiusi.

Da giorni arrivano al comando segnalazioni di disordini, e tu non sai più cosa fare per contenere quella fiumana di gente che scalcia, bestemmia e sbraita davanti agli ospedali, alle botteghe dei fornai, dovunque sia possibile reperire cibo.

E tutta la loro vita si consuma tra dolore e miseria.

Ti sei mai chiesta quanta forza hai dentro, Oscar?

Tu eri destinata ad essere l'erede di un grande casato se, un giorno, non fosse comparso nella tua vita un bambino che aveva due amori: la libertà e la figlia del padrone che aveva amato fin dal primo giorno in cui il suo respiro aveva preso la stessa aria di lei.

Allora, hai permesso a tuo padre di interferire con l'educazione che ti spettava: sposarti, brillare in società, concepire figli con lo stesso dolore con cui li avresti partoriti, senza poter fare affidamento su di loro nemmeno per ripagarti della violazione che il loro padre avrebbe fatto su di te, dentro di te.

Tu eri una povera vittima destinata a quel gioco ma ti è andata bene, oh… sì che ti è andata bene!

 

Mercoledì, è cominciata la primavera…

 

Stavi pensando in quale luogo della sua mente si fossero cacciati tutti i suoi ricordi, quando l'odore acre del fumo ed un bussare deciso alla porta, ti hanno finalmente riportato alla realtà.

 

"Pensare che volevo auto-invitarmi per cena…" ha detto sghignazzando, intanto che lo vedevi col braccio teso, renderti quel libro di poesie che gli avevi prestato e, con l'altro, carezzare il tuo cane.

 

Gli hai fatto cenno di entrare senza però privarti del piacere di dargli uno scappellotto, quando ha seguitato a ridere nel vedere come eri conciata, col naso sporco di farina ed i capelli arruffati. Poi, quella risata si è spenta lentamente per rimanere intrappolata in un'espressione rapita, guardando la lunga tunica celeste di cotone grezzo che indossavi. Certe cose le capisci anche senza tutta quell'esperienza di cui fanno un gran parlare le donne di mondo… Diamine!

 

"Dai, ti invito a cena…" ha detto velocemente

 

"Solo se mi permetti di venire così come sono" gli hai risposto, quando eri già sulla porta con la mano tesa pronta a prendere la sua.

 

Ti è bastata una serata con lui per capire che sei rassegnata a continuare come un fantasma. Non hai voluto capire per non prenderti il disturbo di pensare, di riflettere su una realtà scomoda ed hai agito d'impulso.

Tra visioni confuse, sovrapposte, nel suo sguardo continua a giacergli quell'inconfondibile guizzo che, dopo, inganna la tua mente.

Offriva il volto all'ombra della luna e ti guardava come non faceva da tanto tempo.

Speravi che qualcosa cambiasse in quel momento, qualcosa che ti avvicinasse a lui più di quanto non sia mai stato per tutta la vita. Hai ricordato un giorno, di tanti anni fa, quando ancora non credevi che alcunché potesse dividervi e, all'improvviso, hai sentito le sue mani cercare le tue e stringerle.

 

"Buonanotte, Oscar."

 

Si è allontanato e non ti comunicava più con la sua vicinanza il lieve calore che t'intorpidiva, mentre lo vedevi attraversare   l'interminabile budello fievolmente illuminato dalle torce, appese ai muri di pietra.

 

 

Venerdì…

 

Sei rimasta  ferma davanti la porta ad ascoltare l'allegra confusione dei bambini più piccoli che chiedevano a gran voce un'altra storia. Appoggiata alla porta, un po’ abbandonata, ascoltavi il suono della sua voce.

La luce del sole riflessa sul suo profilo.

Un bambino gli ha mormorato all'orecchio della tua presenza e lui ha sollevato lo sguardo su di te ed ha sorriso, tendendoti la mano.

La porta si è chiusa con l'ultimo bambino che usciva dalla stanza. Lui, si è avvicinato alla cattedra ed ha cominciato ad impilare un mucchio di libri che giacevano, su quel ripiano, con  strategico disordine.

Ti sei voltata a guardare fuori la finestra, e tutto quel silenzio, calato all'improvviso, ti ha lasciato il tempo di ascoltare meglio i battiti del tuo cuore. Nessuna parola che sbocciasse per miracolo dalla tua mente.

Eri lì, ed allo stesso tempo, distante da lui una vita.

Le sue braccia ti hanno stretto piano, il viso poggiato sulla tua spalla, mentre si faceva strada tra i tuoi capelli, sentivi la sua barba che, di tanto in tanto, si strofinava contro. Ti piaceva quella sensazione perché, era solo tua, tua e di nessun'altra.

Siete rimasti in silenzio, in quella posizione, fino al cadere del tramonto. Forse sono stati attimi, oppure ore, adesso non rammenti bene, però, sai di sicuro che da quando hai imboccato la strada che conduceva a scuola, il tuo unico intento era quello di tenerlo stretto a te.

La sensazione di quel distacco, durante i primi giorni del suo risveglio, adesso sembra svanita e, sai, che a dispetto di tutto ciò che vi è contro, lui continua ad essere il tuo André… Certo, i suoi gesti così rilassati, pieni della leggerezza di chi non è costretto ad interpretare, suo malgrado, una recita, sciolgono parecchi dei tuoi vecchi lacci e ti domandi se questo suo cambiamento forzato non fosse mai stato, avresti continuato a mentire a te stessa e a lui?

 

"Io so che, forse, non dovrei ma devo assecondare questo mio impulso di tenerti stretta… E' sempre stato così, Oscar?"

 

"Sì, André…è sempre stato così."

 

Sapevi di mentirgli ma, come raccontargli che la sua presenza al tuo fianco è sempre stata confortevole come quegli abbracci pieni di slancio, come quei sorrisi pieni di luce, come quelle parole che, finalmente, non rimangono mute strangolate dalla paura di esporre, ognuno, il proprio cuore?

Non era una menzogna… hai camuffato la verità e, di questo, ne sei quasi compiaciuta.

 

 

Mercoledì…

 

Sono ore che te ne stai seduta a questo tavolo a guardare il libro, con occhi che si offuscano e si rifiutano di vedere.

Dopo quel venerdì, non vi siete più visti, né hai saputo nulla di lui.

E' terribile essere innamorata!

Te ne stai china sul libro, sentendoti profondamente infelice, pensando a tutte le varie possibilità.

Ti rendi conto che basterebbe così poco per capovolgere questa situazione di stallo ma,occorrerebbe volere; nessuno vuole  ed è perciò che ancora una volta la vostra storia fallirà.

Il problema è che credi di non poter scordare ciò che provi per lui, ma, più di tutto, temi che lui non riesca a ricordare ciò che ha sempre provato per te.

E, intanto, un altro giorno sfuma e segui con lo sguardo le nuvole sparpagliate dal vento che, finalmente, rendono di nuovo limpido lo spicchio di luna che si appende nitida nel rossore del cielo.

Quello spettacolo ti riempie gli occhi, quando, abbassandoli, qualche cosa ha preso il tuo sguardo.

 

"Ehi…" dice lui.

 

"Ma che ci fai lì sotto?" chiedi, pensando che è matto…

 

"… ti stavo aspettando." Come???

 

"Dai, sali."

 

"Vieni giù tu… per favore."

 

All'improvviso cominci a notare tutti i particolari di quel momento, fermandoti a pensare che deve essere quella tunica celeste di cotone grezzo ad attirarlo a casa tua. Prendi il mantello, benché sia aprile, la sera fa ancora fresco e non ti sembra davvero il caso di sfidare il tuo apparato respiratorio, anche con un colpo d'aria…

Stai scendendo le scale e, ricordi quando, qualche tempo prima, avevi rinunciato a vederlo accampando la scusa di aver ricevuto tardi il suo messaggio. Così, oggi ti senti temeraria? E sia, cogli l'attimo e poi…

 

"Hai lasciato il mattarello?"

 

"Tranquillo!"

 

"Facciamo una passeggiata?" e ti domandi perché lo chieda dal momento che state già camminando.

 

"Insisto…" rispondi prendendolo in giro

 

"Che simpatica…"

 

"Mmm… di che umore sei?"

 

"Sei bella quando ti arrabbi…" Sei sicura di non avere più cartucce: stavolta si fa serio e tu non sei preparata. Ti batte forte il cuore.

 

"Non è che per caso… apprezzi le trovate del Marchese de Sade?"

 

"Non so… forse e, tu?" Ti sta sorridendo.

 

"Tu che dici?"  Sei arrossita ma, credi, speri che lui non se ne sia accorto.

 

"Ce l' hai con me?" Credi che quella è l'unica voce che staresti ad ascoltare così come ascolteresti il mare.

 

"Perché dovrei? E, poi, scusa mi stai mettendo in croce… Cosa c'è?"

 

"Ti sto corteggiando."

 

Davvero basta così poco perché tutto ricominci? Ma, adesso, dove sono finite tutte le tue teorie sul dimenticare e ricordare? Ti attraversa un brivido e ti fermi all'improvviso senza sapere se proseguire oppure rimanere là, che tanto poi sentirai da sola la necessità di spostarti. Fino a che punto sapere se lui abbia ritrovato il suo passato o meno? Fin dove vuoi arrivare pur di sottrarti al tuo dovere di riprenderti ciò che ti spetta?

Rimpianti simili a speranze, speranze simili a rimpianti seppur non per loro responsabilità diretta ma per l'insieme delle condizioni oggettive, devi deciderti a stabilire come proseguire. Lui è ancora lì, le spalle al muro e lo sguardo perso dentro i tuoi occhi. Non dice più niente e questo suo silenzio ti costringe ad ascoltare meglio la voce della tua coscienza.

Senti che ancora non ti basta, che non è sufficiente un'intera vita dedita a te. E una nuova vita adesso senza memorie che, ancora, desidera riempire gli spazi vuoti con i ricordi che ha cominciato ad accumulare da che ha riaperto gli occhi, quel giorno. E, da quel giorno hai costituito per lui un ponte tra la vita passata e la nuova.

Allora cos'è che ti spinge all'altro?

Lui continua ad essere il tuo André, con i suoi occhi, il suo sorriso, le sue mani, ma senti che ti manca la sua malinconia e che ora condividi totalmente il suo dolore del non ricordare, perché quest'amnesia ferisce più te.

Ti rendi conto che non potresti amare nessuno che non sia lui… sei matta… Ora, custodisci per lui tutti i vostri ricordi ma, ti fa rabbia sapere che l'unica interpretazione è quella tua, mentre, lui non rabbrividisce quando accenni al vostro passato.

Se non dovesse ricordare mai più, allora, cosa farai?

Sei innamorata di quest'uomo o dell'idea che conservi di lui?

Lui è André… chissà se fa ancora fatica a riconoscersi con questo nome…

Adesso è tutto buio e senti di soffocare, come se queste tenebre volessero risucchiarti. Sollevi lo sguardo sulla sua sagoma, ancora immobile, tenti di riallacciare i tuoi occhi ai suoi, ma li tiene bassi ed è come se tutto si facesse ancora più buio.

Ti avvicini a lui, passi le tue braccia sotto le sue e posi, piano, il capo sul petto

 

"Dammi un po’ di tempo…" gli dici

 

Non ti restituisce l'abbraccio, ma ti scosta delicatamente da sé posando labbra gentili sulla tua fronte.

Che bello questo brivido, vorresti che si facesse più audace… come quella notte, anni fa.

Se mancherà un bacio, non lo rimpiangerai, perché non potresti ammettere di aver regalato ad un amore nuovo un bacio che non hai mai dato a chi hai davvero amato.*

 

 

"Dammi un altro po’ di tempo" ripeti, e ti allontani lasciando poco per volta le sue mani, improvvisamente diventate gelide.

 

 

Giovedì…

 

Quando hai aperto la porta speravi di trovare, lì fuori, qualcuno che non fosse Bernard.

Era talmente agitato che a stento si è accorto dei tuoi occhi pesti e dell' aspetto distrutto.

L' hai seguito sino a casa ed hai trovato la tua piccola Rosalie in preda alle doglie.

In quei momenti, hai avuto solo il tempo di pensare a cosa fare per esserle d'aiuto e, quando è spuntata la testa di suo figlio, ti sei lasciata andare ad un pianto pieno di speranza, come se, quella nuova vita t'avesse svelato il segreto che, poi, non è tanto nascosto.

Ti è venuta in mente la leggenda di Orfeo… e, se per ripensare al passato sei disposta a perdere anche il presente, allora, tutto è stato un errore.

Con gli occhi chiusi, hai cercato di visualizzare il vostro abbraccio: ti vedevi bellissima accanto a lui e, per la prima volta, l' hai figurato al tuo fianco.

Paura di perdere te stessa, di affrontare, stavolta, la vita che da sola hai scelto e, tutte le inutili dilazioni della tua ragione lasciano scorrere inutilmente il tempo che ti è stato restituito.

 

 

Lunedì…

 

Cammini piano ed ogni passo che compi sembra allontanarti sempre di più da lui, anche se, ti stai dirigendo verso la scuola.

Non lo incontrerai, ti limiterai a guardarlo da dietro i vetri, arricchirai la tua memoria di un altro ricordo o, di un altro rimpianto.

 

"Le lezioni sono sospese sino al rientro del maestro…" ti dice il vecchio custode che lotta contro una persiana impazzita al vento.

 

Riprendi il tuo cammino mentre, nella testa si annidano, confusi, pensieri vuoti, ti ritrovi davanti casa sua. Per fortuna c'è ancora Alain e, dopo averti tranquillizzata, ti dice che forse è meglio lasciare André solo, per un po’.

 

"Senti, Oscar, io non so come stanno le cose tra di voi, André non dice niente: almeno in questo non è cambiato. Da quando dividiamo questa casa, abbiamo parlato di tante cose ma, per rispetto, non ho mai accennato al suo passato a meno di certe  domande che mi ha posto lui..."

 

La sua bocca si è fatta dura all'improvviso e ti è sembrato di capire che volesse nascondere un certo risentimento ma, presa da quelle confidenze, non hai avuto pensiero di chiederti se fossi tu la causa.

 

"Alain, è semplicemente logico in me il desiderio di sapere che lui abbia recuperato i suoi ricordi ma, in questo momento della mia vita, è come se mi piacessero due persone contemporaneamente…"

 

"Forse è logico ma, a questo punto, devi decidere" guardi fisso davanti a te, quasi seccata da quell'affermazione del tuo amico, però sai bene che ha ragione

 

"Bene… - dici dirigendoti verso la porta - credo che sia  una di quelle cose contro cui non si può far niente."

 

"Se dovessi renderti conto che, alla fine, non fa nessuna differenza, faglielo sapere" ti ha gettato un'occhiata d'intesa e, sorridendo, sei uscita.

 

Sali le scale con passi incerti però, il pensiero di aver lasciato Matilda sola, quasi tutto il giorno, ti rimette in moto. Guadagni l'ultima rampa col fiato corto e, con la testa bassa a cercare la chiave in tasca, non ti accorgi che lei è seduta sul pianerottolo, col muso placidamente poggiato sulle ginocchia di André.

Ti fermi e, trafelata, ti siedi sugli scalini accanto a loro.

 

"Una volta, hai detto che portare via la chiave ti dà noia e la nascondi sempre dentro quella fessura sopra la porta…" dice lui, continuando a carezzare il muso del cane.

 

Adesso ti spieghi come mai quella piccola mercenaria sia fuori di casa. Improvvisamente si alza e rientra in casa scodinzolando. La guardi allontanarsi, a lungo, cercando di prendere tempo, prima di dover guardare lui negli occhi.

Ha un'aria strana.

Come se sapesse qualcosa di te che tu ignori…

Sarà solo suggestione; tutti quei discorsi con Alain…

 

"Ti ho cercato a scuola…" ti metti a fare la gelosa tutto d'un colpo?!

 

"Ti ho cercato a casa… ho fatto bene ad aspettare" ma perché, ora, ti sembra di aver già vissuto questo momento?

 

"Dai, rientriamo…"  dici. Stai per alzarti ma, lui ti  trattiene la mano ed ora, sei seduta accanto a lui, con la sola differenza che ti sta stringendo e senti che ti lasci andare e questo è il sapore delle sue labbra…

 

 

Martedì…

 

Mi sono appena svegliata e sapermi tra le tue braccia mi ricompensa per tutti questi anni senz'amore.

Abbiamo fatto l'amore senza parlare.

Solo tu ed io, il tuo corpo ed il mio corpo, la tua anima dentro la mia.

Lotto un po’ con le tue braccia che, ancora, mi tengono stretta ma, ho bisogno di rimettere i piedi per terra.

Mi sento leggera e, francamente, non penso a niente che non sia il ricordo di ieri e, adesso, i miei freschi ricordi, si riempiono del tuo volto mentre dormi.

Tutto questo mi basta per ricominciare a parlare con me stessa, abbandonando quel tono sferzante che mi ha accompagnato per tutta la vita.

Raccolgo dal pavimento i nostri vestiti sparpagliati e, nel riporli sulla poltrona, vedo cadere qualcosa dalla tasca della tua giacca.

Un coltello col manico rosso ed una trottola: il mio tesoro d'infanzia.

 

Fine

Mail to mariassunta.paolillo@virgilio.it

 

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* (Liberamente ispirato a "La canzone dell'amore perduto" di Fabrizio de André)