Autore: Johanna Lindsay
A sorpresa
Di luce e d'azzurro
Warning!!!
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Da quella collina, situata a circa un miglio dal palazzo del generale Jarjayes,
si poteva osservare tutta la bellezza del panorama: filari, pergolati, casolari,
pagliai.
André amava rifugiarsi lassù, rimanendo per ore accoccolato su un sasso, con le
braccia attorno alle ginocchia, ad ascoltare il vento che faceva fremere le
foglie dorate d’autunno e a rincorrere i suoi pensieri. Da qualche tempo trovava
di grande conforto lasciare tutto per scappare là durante le ore luminose che la
stagione offriva, si sedeva lasciando la mente rincorrere i suoi pensieri mentre
le velature leggere del cielo lo riempivano di luce e di azzurro.
In quel pomeriggi tiepidi aveva realizzato che qualcosa in lui stava cambiando,
non avrebbe saputo spiegarlo a parole, non sarebbe riuscito a confidarlo ad
anima viva ma sentiva che i suoi pensieri stavano prendendo una piega più
contorta del solito, il sottile filo mentale che durante l’infanzia si era
dipanato leggero e gioioso, tutto d’un tratto, aveva preso a percorrere sentieri
tortuosi che, se assecondati, lo avrebbero portato in luoghi oscuri e remoti in
cui lui stesso preferiva non avventurarsi. A quel pensiero, sentì gli occhi
pungere e una scia calda e salata solcargli una guancia. Trattenne il fiato e si
morse il labbro nello sforzo immane di non piangere ma, quando realizzò che il
silenzio aleggiava tutto intorno a lui, appoggiò il capo sulle ginocchia ossute
e si lasciò attraversare da un dolore cieco che lo scuoteva dal profondo, si
sciolse in singhiozzi pensando tristemente a quanto la vita fosse effimera e le
cose mutevoli.
Non capiva esattamente quello che gli stava succedendo, da qualche tempo
stentava persino a riconoscersi, non lo attiravano i giochi con Oscar, l’arrosto
con patate della nonna e nemmeno il budino che mangiava fino a scoppiare
imbrattandosi la bocca e il naso, scena che faceva ridere a crepapelle la sua
migliore amica. Gli risuonò nella mente la risata argentina di Oscar e, a poco a
poco, le forme diafane della ragazza presero la forma dei suoi pensieri. La vide
chiaramente con la sua grazia quasi angelica, percorse la sua figura esile che
pareva non toccasse nemmeno terra quando camminava, scorse i suoi capelli che
scendevano sulle spalle in onde color del grano, morbide e profumate e delineò
con l’immaginazione quelle labbra che gli ricordavano i petali setosi di una
rosa.
André aveva notato che, durante il giorno, gli capitava sempre più spesso di
perdersi in quelle fantasie inopportune, e questo succedeva soprattutto mentre
era indaffarato a svolgere qualche faccenda importante: si ritrovava ad
indugiare sull’immagine mentale che serbava gelosamente dentro di sé,
soffermandosi, in modo particolare, su quegli occhi azzurri come il cielo nelle
belle giornate di gennaio che sono il presentimento della bella stagione e
infondono una vaga promessa di dolcezza. Non sapeva il perché gli capitasse
tutto ciò e forse aveva paura di scoprirlo, dunque, aveva deciso, dall’alto dei
suoi quindici anni, di evitare la causa del suo turbamento. Infatti, benché
fossero davvero molto uniti da sempre, appena intravedeva madamigella Oscar
avvicinarsi, la liquidava con poche parole, accampando impegni e fantomatiche
faccende da sbrigare. In realtà, appena poteva si rifugiava nella solitudine e
nel silenzio di quel luogo dove tutto era quiete e pace.
Avvertiva un sentimento contrastante tipico dell’adolescenza: da un lato voleva
capire il perché di tutto quel turbamento che lo stava sconvolgendo, dall’altro
trovava più comodo non pensare, far finta che tutto andasse per il meglio e che
le cose tra lui e Oscar fossero assolutamente come sempre. Sapeva che la sua
migliore amica si era sentita ferita dal suo atteggiamento scostante ma André
non sapeva proprio come districare la matassa ingarbugliata dei suoi dubbi.
Quando lei aveva iniziato a popolare i suoi sogni, aveva ricevuto il colpo di
grazia. L’estate precedente erano stati alle pozze, un luogo suggestivo nella
campagna francese dove avevano potuto nuotare in libertà senza troppi vestiti
addosso. André ricordava benissimo l’acqua verde e fredda lambirgli i fianchi e
Oscar, con solo indosso la camicia di lino che, bagnata, lasciava intravedere un
corpo che pareva un sasso levigato dalla sapienza del fiume. L’aveva divorata
con gli occhi, desiderando che si sfogliasse come una rosa carnicina tra le sue
mani, l’aveva raggiunto un pensiero rapido e doloroso che si era fermato nel suo
bassoventre, Oscar interamente nuda mentre le sue palme vagavano, cercando di
tastare più pelle possibile. A causa di quell’immagine poco casta, André aveva
dovuto trascorrere in acqua gran parte della mattinata aspettando che qualcosa
ai “piani bassi” si fosse calmato. Da quel momento, aveva ritenuto che fosse
meglio per la sua sanità mentale evitare la giovane. Perciò si rifugiava in quel
luogo remoto, su quel colle da dove riusciva a scorgere il cielo accarezzare,
disfiorando, i campi brulli, che scintillavano al sole, eppure anche quello
spettacolo, non riusciva che a farlo pensare alla sua amica e ai sentimenti che
provava per lei. I suoi pensieri corsero al di là delle nubi leggere,
riportandolo con la memoria a quando fece il suo ingresso nel palazzo del
generale e vide per la prima volta quella che sarebbe diventato la sua migliore
amica, Oscar François de Jarjayes.
***
André era rimasto orfano quando era ancora molto piccolo, tanto che sua nonna
aveva deciso di portarlo con sé al palazzo del generale, dove prestava servizio
come governante. Era stata una scelta dettata più dal cuore che dall’intelletto,
la cara vecchina era sempre più combattuta ogni volta che doveva partire e
lasciarlo con qualche altro parente. Il ricordo di quel faccino sconvolto dalle
lacrime le aveva stretto talmente tanto il cuore che aveva trovato il coraggio
di chiedere al generale in persona il permesso di portare con sé il nipote,
promettendo, in cambio, che quest’ultimo avrebbe passato il suo tempo con
l’ultimo rampollo della famiglia.
“C’è una bambina di poco più piccola di te, le farai compagnia.” Aveva asserito
asciugandogli gli occhi col grembiule per poi posargli un bacio sui capelli
arruffati. André aveva annuito senza dire nulla e lei gli aveva fatto un buon
bagno, gli aveva dato una robusta spazzolata in modo che i ciuffi corvini e
ribelli trovassero il loro posto sul bel capo del nipote e l’aveva rivestito di
tutto punto. Dopo questo trattamento che aveva occupato buona parte del
pomeriggio, André sembrava proprio un signorino, un paggetto di quelli che si
vedevano uscire dal palazzo reale di sua maestà il re.
“Sii gentile e sorridi, André, che sei più bello.” Si era raccomandata
sistemandosi gli occhiali che le scivolavano spesso dal naso, commossa all’idea
che nulla l’avrebbe separata da suo nipote.
Quando André era giunto al palazzo, non aveva fatto i conti con Oscar François
de Jarjayes, la bambina a cui avrebbe dovuto fare compagnia. André aveva messo
in conto di trovarsi davanti a una ragazzina viziata e strafottente ma quello
che aveva avuto l’occasione di constatare superava di gran lunga ogni sua più
pallida immaginazione. Oscar era certamente strana: si vestiva e si comportava
come un ragazzo, a volte era un po’ troppo irruente con quella spada di legno,
regalo del padre, altre, era totalmente immersa nei suoi pensieri tanto da non
parlare per ore e da dimenticarsi persino di mangiare. Era una ragazzetta
pallida con i capelli ribelli, due occhi profondi e la passione per la scherma.
Quando l’aveva vista per la prima volta, in piedi in cima alla grande scala di
marmo, si era sentito scrutato fin nel profondo dai suoi occhi quasi
trasparenti. Il ragazzino era stato fermo immobile sull’ultimo gradino
dimenticandosi persino di respirare, cercando di rivolgere lo sguardo altrove.
Poi Oscar aveva spostato la mano dalla balaustra di legno ed era scappata in
camera sua senza dire una parola. Dopo questo inizio poco esaltante, André si
era rifugiato in cucina con sua nonna, rifiutandosi di uscire anche solo per
fare una passeggiata nella campagna circostante. Aveva deciso che era certamente
preferibile trascorrere il tempo facendo castelli con le carte per poi
distruggere tutto con un soffio mentre ascoltava sobbollire le pentole, oppure
aiutare la nonna a pelare le patate per la cena.
“André non dovresti far compagnia a madamigella Oscar?” Gli domandava di tanto
in tanto la nonna asciugandosi le mani nel grembiule dopo aver lavato le
verdure.
“Quella è strana. E poi non si capisce se è un maschio o una femmina.” Le aveva
risposto André sbuffando.
Eppure quella ragazzina così particolare lo aveva incuriosito da subito. Aveva
preso l’abitudine di restare acquattato nel sottoscala, col cuore che gli
batteva fortissimo, ad aspettare il rumore dei suoi passi. Aveva deciso di
uscire dal suo nascondiglio solo quando sentiva chiudersi il pesante portone di
legno, allora si azzardava a sgattaiolare fuori e a seguirla, sperando di non
essere scoperto. Gli era balenata in mente, più volte a dire il vero, l’idea che
tutto quel modus operandi fosse un
po’ macchinoso e certamente rivelatore di un intelletto contorto ma lui avrebbe
tanto voluto conoscere meglio Oscar. La nonna gli aveva spiegato della scelta
del generale di farne un ragazzo a tutti gli effetti e, da allora, qualcosa
aveva cominciato a smuoversi nel suo animo.
Un giorno l’aveva seguita fino allo stagno. Era sola, come sempre, seduta sulla
riva con lo sguardo perso nell’incresparsi dell’acqua. Si era alzata
all’improvviso e aveva afferrato un sasso, scegliendolo tra molti, l’aveva
osservato con cura tenendolo tra le mani e, dopo aver rimosso il sottile strato
di terra che lo ricopriva, lo aveva lanciato sulla distesa acquosa. Il sasso
aveva fatto tre salti per poi inabissarsi con un gorgoglìo. André era rimasto a
bocca aperta e, con un moto d’orgoglio, era balzato fuori da dietro il tronco
che lo aveva celato fino a quel momento puntandole il dito contro.
“Beh, io so fare di meglio!” Aveva gridato con un tono di voce forse un po’
stridulo che lo aveva messo in imbarazzo e gli aveva fatto portare una mano alla
bocca.
Oscar lo aveva osservato non riuscendo a trattenere un sorriso. Gli aveva
lanciato un sasso piatto e levigato, certo che l’altro lo avrebbe afferrato
subito.
“Fammi un po’ vedere.” Lo aveva sfidato non riuscendo a smettere di sorridere.
André aveva afferrato subito il sasso e si era fatto avanti, recuperando un
briciolo di fiducia in se stesso e si era avvicinato alla riva. Si era umettato
le labbra e, chinandosi un poco, aveva calcolato con precisione la velocità del
vento.
“Falla corta e fammi vedere cosa sai fare!” Lo aveva incalzato la ragazzina
lasciandogli il suo posto lungo la riva. André aveva tirato con precisione e il
suo sasso aveva fatto ben cinque salti sul pelo dell’acqua. Il bambino si era
voltato verso l’altra e, con espressione soddisfatta, si era pulito le nocche
sulla giacchetta di panno.
“Che ti avevo detto?” Le aveva chiesto con un tono divertito, portandosi le mani
sui fianchi e dondolando appena. Si erano sorrisi entrambi e avevano stretto le
mani l’una nell’altra in un gesto di profonda amicizia.
“Amici?” Le aveva chiesto André con un’espressione serissima in volto perché suo
padre gli aveva sempre insegnato che l’amicizia è qualcosa da non prendere alla
leggera. Da qualche parte sta scritto: chi trova un amico trova un tesoro e
André era sempre stato pronto a giurare e spergiurare sulla veridicità di quella
massima.
“Amici.” Oscar gli aveva preso la mano un po’ titubante, per la prima volta in
vita sua avrebbe potuto dire di avere un amico, uno vero.
Da quell’episodio, André aveva smesso di stare in cucina e non aveva pensato
nemmeno più ai castelli fatti con le carte, anzi, appena poteva sgattaiolava
fuori dal palazzo con Oscar e si lanciavano in avventure sempre nuove, imprese
che contemplavano il girovagare per la tenuta dei Jarjayes senza farsi beccare
dalla nonna e dal precettore di lei che l’avrebbe aspettata con una lunga
bacchetta di legno.
“Se quello mi prende sono dolori!” Aveva esordito scoppiando a ridere
sonoramente.
“Ma a che ti serve un maestro? Sai già tutto, tu!” Aveva ribattuto André
voltandosi verso di lei correndo a perdifiato tra i campi dorati.
Un giorno, in vacanza, il figlio di un bracciante del posto era giunto tutto
trafelato bussando alla porta della casetta dove André e sua nonna risiedevano.
Aveva dato due colpi secchi e ben assestati al portone e, una volta che gli fu
aperto, si era posizionato all’ingresso chiedendo di André Grandier senza
riuscire a stare fermo un attimo. Muoveva le ginocchia e le dita delle mani
incapace di trovare requie. Il ragazzino era arrivato e lo aveva scrutato da
capo a piedi.
“Sei tu André Grandier?” Gli aveva chiesto velocemente, quasi mangiandosi le
parole, sollevando appena il mento nella direzione dell’altro.
“Sì sono io.” Gli aveva risposto secco André.
“Senti, sarò breve, c’è un mostro, un mostro orrendo sulla chiesa del paese,
quella rossa nella piazza.” E, dicendo ciò, si era voltato portando lo sguardo
fuori dalla finestra. André aveva dovuto fare appello a ogni forza dentro di sé
per impedirsi di ridere sonoramente in faccia al ragazzo che aveva
un’espressione terrea in volto.
“Un mostro?” Gli aveva domandato fingendosi incuriosito.
“Proprio così. Pare l’abbiano visto l’altra sera. E’ un gatto con le ali e sta
appollaiato sul tetto della chiesa. Mia madre ha chiesto alla vecchia Martine di
fare uno dei suoi sortilegi per mandarlo via.” Gli aveva sussurrato piano.
“La magia non esiste.” Aveva sorriso con sarcasmo il giovane Grandier.
“Stai scherzando? La magia esiste e anche il diavolo! Lo dice sempre mio padre.
E ti posso assicurare che quel mostro è il demonio. Che altro può essere?” Gli
aveva detto piano, avvicinandosi guardingo al suo orecchio. André non aveva
saputo più se ridere o piangere però gli era sembrato scortese attaccare un
castello di fantasticherie così ben attecchite nella mente del suo coetaneo che,
piuttosto che aprire una discussione polemica, si era dovuto mordere
ripetutamente la lingua. Aveva congedato il ragazzo ed era uscito a chiamare
Oscar per raccontarle tutto.
“E’ assurdo. Credo sia affetto da febbre scarlattina e abbia le allucinazioni.
Al massimo potremmo chiamare un dottore, André.” Oscar aveva sospirato e aveva
già cominciato a salire le scale quando la mano di André l’aveva fermata.
“Molti ragazzi del paese hanno avuto quella visione e forse non è frutto di uno
stato febbrile.” Aveva incalzato il ragazzino scoccandogli un’occhiata severa
nonostante la sua giovane età.
Oscar aveva sbuffato sonoramente e aveva deciso, suo malgrado, di seguire
l’amico. Erano usciti di soppiatto dal palazzo e si erano incamminati sulla
strada che conduceva al paese. Avevano camminato lesti, chiacchierando sul
sentiero, ridendo e lanciandosi scherzi e battute gioviali. André aveva fissato
la vista nel cielo limpido trovando una strana analogia con gli occhi cilestrini
della sua amica, aveva sorriso e, di colpo, volgendo lo sguardo verso di lei,
era stato colpito da un’ondata di dolcezza. Si era fermato d’improvviso incapace
di inanellare un passo dietro l’altro tutto assorto dalla contemplazione di
quella figura aggraziata che si muoveva facendo ondeggiare, di tanto in tanto,
la massa di capelli biondi che ne accompagnava i movimenti. Era rimasto a bocca
aperta, inchiodato da una tenerezza che si fondeva con l’aroma del glicine
sparso nell’aria, una leggiadria gli aveva riempito il cuore fino a traboccare e
che lui avrebbe voluto bere a pieni sorsi.
Oscar, accortasi che l’amico non le era più dietro, si era fermata voltandosi
lentamente.
“André cosa fai?” E André si era ridestato sbattendo gli occhi con vigore e
ritrovando la parola dopo un silenzio sovrumano. Aveva accelerato il passo e si
era messo vicino a lei.
“Eccomi, ero rimasto un po’ indietro.” Aveva provato a giustificarsi, arrossendo
un poco.
“Sei strano ultimamente.” Gli aveva fatto notare l’amica.
“Tu sei strana sempre.” Si era schernito André con una risatina nervosa.
Avevano proseguito lungo il sentiero sassoso facendo a gara a chi sarebbe giunto
per primo alla fontana situata nella piazza del paese, avevano schivato a stento
un calesse ricevendo in cambio gli improperi del conducente al quale erano
spuntati già i capelli bianchi per lo spavento. Si erano ritrovati seduti
sull’erba che ornava il ciglio della strada, ridendo all’unisono per poi
fermarsi di colpo, l’uno riflesso negli occhi dell’altro. C’era stato un attimo
di silenzio interminabile in cui, inconsapevolmente, André aveva appoggiato la
sua mano su quella bianca dell’amica.
“André, hai gli occhi verdi!” Aveva esclamato all’improvviso Oscar con un
sorriso allegro, a meno di un palmo di distanza dal viso del ragazzo, mentre le
guance di André si erano imporporate non certo per la corsa.
Si erano staccati l’una dallo spazio vitale dell’altro quasi con una sorta di
dolore stridulo e avevano ripreso il cammino in silenzio finché non erano giunti
nel piazzale della chiesa rossa. Oscar aveva ispezionato il luogo in lungo e in
largo, aveva girato e rigirato attorno alle mura, aveva osservato con dovizia di
particolari i gradini che portavano al sagrato e aveva analizzato, chinandosi a
terra, una gran macchia biancastra passandoci sopra con la punta dell’indice.
André l’aveva scrutata in religioso silenzio, mantenendo un contegno adatto più
a un adulto che a un ragazzino di dodici anni. La loro presenza, in pochissimo
tempo, aveva attirato un gruppo di ragazzini che avevano fatto capannello
intorno a loro.
“E’ un gatto! Un gatto con le ali!!” Le loro voci si erano levate al cielo poco
dopo.
“Un uccello gatto!!” Aveva urlato un ragazzetto lentigginoso dai capelli rossi.
“Sì, si muove di notte, plana con le sue ali da pipistrello e arraffa topi e
piccoli animali.” Gli aveva fatto eco un altro ragazzo.
“E’ di certo una creatura demoniaca.” Aveva concluso quello che sembrava il più
piccolo della brigata.
Poi, all’improvviso, tutti avevano taciuto, ammutolendosi improvvisamente. Oscar
si era alzata da terra per poter osservare meglio quello che stava succedendo.
Una vecchia, guercia da un occhio, con passo claudicante e i capelli di stoppa
grigi arruffati sul capo, si era trascinata a fatica, ansante, proprio in quella
piazza e si era fatta largo tra i ragazzi. Aveva puntato il bastone torto
davanti al naso di Oscar e aveva iniziato a parlare.
“Chi sei, ragazzina?” Le aveva chiesto con un tono di voce cavernoso.
André le si era parato innanzi, aveva scostato la punta del bastone e l’aveva
fronteggiata con una serietà che aveva fatto tremare Oscar. Di fronte a tanto
coraggio, il cuore di madamigella aveva fatto una capriola: nessuno mai, prima
di quel giorno, le aveva dato dimostrazione di un legame così sentito,
un’amicizia così forte. Si era scoperta a sorridere del calore che le era sceso
in petto e, malgrado avesse solo undici anni, avrebbe potuto giurare di essersi
sentita più leggera.
“Vi prego di mettere giù quel bastone,
Madame.” Le aveva intimato André mentre negli occhi gli era passato
velocissimo un lampo che li aveva resi ancora più verdi.
“E tu, cosa vuoi?”
“Sono André Grandier, madame, lei è
Oscar François de Jarjayes.”
“I Jarjayes… quelli che vivono poco lontano da qui. E allora, madamigella, cosa
ci fate qui?”
Oscar si era fatta vicina, aveva superato André e aveva cominciato a parlare.
“Siamo qui perché i ragazzi del posto ci hanno chiamato. Dicono che questa
chiesa sia abitata da un mostro.”
“Ho pensato io fa fare gli incantesimi adatti a renderlo inoffensivo.” Aveva
risposto agitando il bastone.
A Oscar era risultato subito chiaro di aver di fronte quanto di più obsoleto e
arcaico si potesse trovare sulla faccia della Terra. Si era fatta l’idea che il
mondo, la realtà potesse essere ricondotta solo ai fatti nudi e crudi. La magia,
l’esoterismo esulavano dal suo mondo, d’altronde il secolo precedente aveva
fatto piazza pulita di tutte quelle scempiaggini. La vecchia Martine le si era
palesata in tutta la sua realtà: era l’ultimo epigono di un mondo in
dissoluzione con tutte le sue idee vetuste e fatiscenti. Oscar, con uno strano
baluginio che le aveva reso gli occhi di un azzurro ancor più trasparente,
avvicinandosi alla donna, le aveva sussurrato vicino a una guancia laida:
“Martine, credo che quello che hanno visto i ragazzi sia semplicemente un
barbagianni. Non pensate sia giunta l’ora di smetterla con questi giochetti da
saltimbanco?” La vecchia Martine era rimasta impietrita, spalancando la bocca,
sorpresa da tanta audacia da parte di una ragazzina. Poi l’aveva guardata dritto
negli occhi, uno sguardo indagatore che aveva fatto Oscar a disagio. Dopo un
tempo interminabile si era messa ritta, posizionando il bastone nodoso a terra.
“Voi due, venite con me!” Aveva detto indicando Oscar e André.
André, inizialmente titubante, si era sentito subito rassicurato dalla mano di
Oscar sulla sua spalla e dai suoi occhi come acque trasparenti. Aveva annuito
silenziosamente ed entrambi si erano incamminati dietro a quella strana figura
dal passo incerto che dondolava trascinandosi col suo bastone. Erano entrati
nella sua casa, un tugurio dismesso in cui i raggi del sole, tra i quali si
agitava la polvere, si avventuravano mostrando le imperfezioni delle cose che
colpivano. Martine aveva scostato una sedia, si era lasciata cadere quasi a peso
morto e con la mano tesa aveva indicato ai due di fare altrettanto. Aveva steso
la gamba malata e aveva iniziato a massaggiarla.
“Oscar François de Jarjayes...” Si era voltata a guardarla scorrendo la figura
della ragazzina con i suoi piccoli occhi e lei aveva deglutito rumorosamente per
il disagio mentre, sotto al tavolo aveva afferrato la mano di André in un moto
di paura.
“Ho sentito parlare molto della tua famiglia. Tuo padre, il generale, è al
servizio del re.” Si era avvicinata allungandosi sul tavolo.
“Sissignora.” Oscar aveva risposto cercando di essere il più cortese possibile,
si era ricordata subito degli insegnamenti di suo padre che le ripeteva spesso
di essere gentile con le persone, soprattutto quando esse versavano i gravi
difficoltà. Quella donna, affaticata sotto il peso della sua invalidità, le era
sembrata tutto d’un tratto inoffensiva, e le aveva fatto un po’ di compassione.
“Sai Oscar François de Jarjayes, so benissimo che l’uccello gatto altro non è
che un barbagianni ma credo che sia buona cosa conservare un po’ di quella magia
che i sogni, le illusioni sanno darci. Ci penserà poi la vita a spazzare via
tutto e a mostrare a quei ragazzi la cruda realtà.”
Oscar si era sentita punta nel vivo, aveva colpito il tavolo con il pugno e si
era alzata in piedi con gli occhi fiammeggianti.
“Questi non sono sogni! Questa è la deliberata volontà di lasciare la gente
nell’ignoranza crassa, signora. Ed io non lo permetterò. Credo che i fatti
possano dirci tutto ciò che abbiamo bisogno di sapere e svelarci la verità. La
ragione sola può districare i nodi della realtà, non l’ignoranza, o i sogni e
nemmeno i sentimenti!” A quelle parole, il cuore di André aveva fatto un balzo
ed aveva cominciato a battere furiosamente.
“Può darsi Oscar François de Jarjayes, può darsi.” Rispose l’anziana donna.
Poi, posando lo sguardo nel vuoto, continuò: “Ma lascia che ti dica che tra
qualche tempo qualcosa, anzi qualcuno, farà vacillare tutte le tue certezze. E,
no, non sarà un principe.” Le aveva puntato il dito contro e lei si era
irrigidita.
Aveva subito pensato che quell’affermazione fosse quantomeno ridicola ma aveva
avvertito il sangue gelarsi per la perentorietà con cui era stata pronunciata.
Si era fatta terrea in volto e aveva sgranato gli occhi mentre quella donna
l’aveva scrutata e studiata aspettando solo un suo passo falso per colpirla
ancora. Invece, inaspettatamente, aveva preso il bastone e si era sollevata a
fatica, aveva posto un piede avanti l’altro e l’aveva raggiunta. Le aveva
accarezzato una gota con la mano tremante per la vecchiaia.
“Non sarà così terribile. Lo troverai bello, quando smetterai di combatterlo, ti
cingerà e ti ammanterà il cuore una dolcezza che non avevi mai provato.” Le
aveva sussurrato.
Oscar era rimasta immobile, aveva preso a sudare mentre poteva sentire l’acre
odore delle sue paure sulle spalle che, lento, le era scivolato dentro lasciando
dietro di sé brividi di gelo. Si era voltata lentamente incontrando lo sguardo
discreto e garbato del suo amico, perdendosi in esso, sentendosi talmente vicino
al cielo da raschiarne un pezzetto e custodirlo per sempre. Poi André si era
alzato di scatto e, una volta presa sottobraccio, l’aveva trascinata fuori da
quella casa buia.
“Non aver paura, Oscar François de Jarjayes!” Aveva gridato la donna,
trascinandosi sull’uscio di casa e abbassando gli occhi in un riso mesto, mentre
li guardava allontanarsi.
Erano scappati, correndo, superando a gran velocità la chiesa e si erano fermati
in uno spiazzo erboso, senza fiato, col respiro rotto, piegati, con le mani
sulle ginocchia. André le si era fatto vicino e le aveva appoggiato una mano
sulla schiena.
“Sono tutte sciocchezze. Non capiterà nulla di quanto ha detto la vecchia
Martine.” L’aveva rassicurata mentre lei aveva annuito in silenzio. Avevano
fatto ritorno a casa e si erano salutati facendo ritorno ognuno alla propria
casa. Nessuno dei due aveva fatto più parola di quanto accaduto quel giorno.
***
Erano passati tre anni da allora e tra André e Oscar tutto era tornato normale.
Eppure, quel pomeriggio, nel tepore dei raggi di un sole autunnale, André
Grandier avvertiva un nuovo turbamento, come se stesse attraversando le cose
senza trovarne il succo; ripensò alla vecchia Martine e si propose di non far
capire nulla alla sua migliore amica. Questo pensiero gli mise una tristezza che
salì amara fino ai suoi occhi. Sospirò e si chiuse nel mantello di lana. Avvertì
passi leggeri dietro di sé. Si voltò e si perse in quegli occhi limpidi di
acquemarine purissime.
“Che fai qui André da solo?” André sorrise alla sua amica e le fece spazio
vicino a sé.
“Pensavo a noi due qualche anno fa.” Sorrise chiudendo gli occhi al sole di
ottobre.
“Eravamo piccoli, André. Ora siamo cresciuti, siamo ragazzi.” Rimasero in un
silenzio in cui si fondevano le loro anime e si avvertiva solo il loro battere
d’ali leggero, un lento fragore di fughe. Osservavano il paesaggio dove il cielo
riempiva del suo blu ogni cosa donandole nuova vita.
“Ti vedo triste ultimamente e mi eviti.” Disse distrattamente Oscar.
“Pensieri.” Tagliò corto il giovane.
“Di che tipo?”
“Nessuno che ti riguardi.” Avrebbe voluto parlarle di tutto quello che gli
frullava in testa, i battiti del suo cuore che acceleravano quando ne scorgevano
la figura, quegli occhi così limpidi, la morbidezza dei suoi capelli, i grovigli
di visioni sul finire della notte, il suo animo lacerato da tutto quel silenzio
che lo stava scarnificando. Oscar continuava ad osservarlo con insistenza come
se le sue domande fossero rimaste a mezz’aria in attesa di divenire certezze.
Con un sospiro esasperato André si voltò verso l’amica.
“Certo che sei testarda! Io, ecco… Oscar, io… Oh cielo, come faccio a dirtelo?”
Rispose titubante, torcendo e pizzicando la pelle delle mani sino a farle
divenire rosse.
“Anche io, André.” A questa risposta rimasero a guardarsi sbattendo gli occhi
per l’incredulità di quanto appena detto e per la semplicità con Oscar lo aveva
rivelato. André si sentì cullato dall’azzurro degli occhi di lei e non trovò la
forza di dire nulla finché avvertì il corpo caldo dell’amica, una pressura calda
e amorevole, contro il suo. E mentre erano abbracciati, André fece appello a
tutto il suo coraggio e appoggiò le sue labbra su quelle della ragazza.
All’inizio fu un leggerlo sfiorarsi, poi André passò la lingua sul labbro
inferiore di Oscar che schiuse la bocca. Fu un bacio lento, un conoscersi, dopo
tanto tempo, sotto una nuova veste. Erano le loro labbra, lingue, a rincorrersi,
sfiorarsi in piccoli schiocchi. Entrambi sentivano un fuoco accendersi piano,
una luce sorprenderli in quel pomeriggio arioso, un calore che li percorreva
mentre intrecciavano un dialogo di mani e bocche in un amalgama di sensazioni.
Si staccarono ansanti e un refolo di vento colpì i loro visi.
André le scostò una ciocca ribelle dalla fronte e poi la prese per mano.
“Andiamo a casa, Oscar, abbiamo tante cose da dirci, tante da festeggiare” le
disse sorridendo.
Si incamminarono allacciati, fermandosi di tanto in tanto per baciarsi, affamati
di pelle e di labbra, immergendo le mani l’uno nei capelli dell’altra. Entrambi
ripensarono alla vecchia Martine e alle sue predizioni, ormai ridotte a un suono
flebile. Sorrisero e la ringraziarono mentalmente annusando l’odore buono
dell’aria, guardando il sole scendere tra gli alberi e il cielo trascolorare nel
tramonto dorato.
Pubblicazione del sito Little Corner giugno 2020
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