Quello che resta
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Dall'oscurità del buio emerge un grido. No, un pianto, si dice. Lo percepisce come lontano, nel limbo ovattato del sonno. Un incubo... Poi, quasi lentamente, il risveglio alla realtà. Quasi peggio dell'incubo, pensa con sarcasmo, alzandosi a sedere sul letto.
Un tocco lieve e caldo sulla pelle del polso lasciata scoperta dal tessuto. "Lascia, vado io", le fa una voce dolce e assonnata.
Lei
sposta la mano, con rabbia. O, forse, è risentimento. Non lo sa più. Sa solo
che sta male, male con se stessa. Nonostante l’affetto, sempre, nella voce di
lui. Nonostante la sua pazienza. Pazienza per cosa, le viene da dire? L’ha
voluta lui, non io, questa cosa.
Chissà
che ora è… magari fosse ancora notte fonda, così da poter dormire ancora
tre, quattro ore…
Non
cerca il quadrante, ma sa, dalla piccola fessura a sinistra, in alto, sulle
persiane, che è quasi giorno. Merda… Non trova la forza, né di alzarsi, né
di rinserrarsi sotto le coperte. Una volta, in un tempo felice, quelle coperte
le erano parse una nuvola, morbida e accogliente, nella quale lasciarsi
scivolare e rifugiarsi. Ora, del sonno, ricorda solo il mal di schiena che le
rende quasi impossibile una posizione e la sveglia, ormai traumatica.
Sente
dei rumori, di là. Alla fine si alza, con i fianchi che le si spaccano dal
dolore.
Rimane
lì, appoggiata alle parete, sulle scale, a soffocare uno sguardo d’odio che
cerca di stemperare in scetticismo, mentre lo osserva preparare il latte.
Stronzo! Prima non avresti saputo ritrovare niente, ora vedo che la cucina la
conosci meglio delle tue tasche, che, d’altronde, sono sempre strapiene… una
volta avrebbe ripensato con affetto alla mole di oggetti che lui riusciva a
stiparvi, ora no, ora ce l’ha con lui e l’affetto è andato perso chissà
dove. Non è che sia proprio perso. Non si riesce a disfarsi di un amore così
lungo, ma di certo al momento non vuole neppure ritrovarlo, lo lascia lì, chissà,
quando la rabbia sarà sbollita…
Lui
sale i gradini, impegnato nelle operazioni, lo sguardo concentrato. Sei bello,
brutto stronzo maledetto! Lei ne osserva il viso, leggermente chinato in avanti,
tutto preso. Lui se ne accorge e, quasi timidamente, con dolcezza, solleva gli
occhi verso di lei. Occhi dolci, da cerbiatto. E’ talmente innamorato e sicuro
di quell’amore che non si rende conto della freddezza di lei. C’è una
distanza che lui non riesce a percepire, neppure nei segni esteriori, e che lei
non riesce a colmare, perché non lo vuole più.
Gira
lievemente lo sguardo, quasi senza muoversi, a seguire il suo itinerario, nello
studio, dov’è più caldo, a passi silenziosi e attenti.
Vaffanculo,
una volta quello era il mio studio…
Rimane
lì. Non ci va. Non vuole vedere com’è diventato. Un’invasione aliena,
cristo!
Ma
anche se non ci va, la scia acre e rancida del latte che percepisce non le
permette di ingannarsi. Gli occhi si possono chiudere, ma non se la sente di
diventare una tabagista per evitare che l’olfatto le funzioni, ora che è
riuscita a smettere con l’alcool.
Cerca
di reprimere la sensazione di schifo e prostrazione, insieme, che l’ha colta.
Andare
via, si dice… devo andare via… e dove? Dove può andare una come lei? Una
fatta come lei? Cosa le resta?
Strapparsi
quel cuore che la fa soffrire, avere una tabula rasa al posto della mente e
ricominciare… e tanto è sicura che neppure così funzionerebbe… quando
quello che ci fa male sta anche dentro e non soltanto all’esterno…
Si
scruta nello specchio mentre si lava.
E
distoglie lo sguardo. Subito. Non vuole vedere.
Mentre
l’acqua ancora le scorre attorno e la sensazione del freddo la avvolge, si
piega su se stessa, le mani nei capelli. Dio, che schifo… che schifo che sono
diventata… e non trova più nemmeno la forza di fare qualcosa, neppure quello
che per anni ha fatto e che, tutto sommato, la rassicurava e la faceva sentire a
posto. Non sarebbe complicato, ma non ce la fa. E’ come qualcosa che la
schiacci a terra – qualcosa di ineluttabile… e, invece, è lei che non ce la
fa, è soltanto lei…
Rimane
lì, al freddo. Basterebbe allungare una mano. Prendere il telo. Avvolgerselo
addosso. Invece è come bloccata.
Forse
spera che lui noti la sua assenza. Che venga a cercarla. Non l’avrebbe fatto
prima, figuriamoci adesso… adesso ha un giocattolo nuovo. No, non è neppure
così e forse è anche per questo che non riesce a chiuderla, questa storia. Lui
le vuole bene – e lei lo sa. Solo, non trovano più il modo di comunicare.
Forse
lui le ha voluto bene per troppo tempo, pensa, a volte, e quell’amore si è
come esaurito. No, neppure questo è corretto. Arde ancora, ma è tenue. Ma
neanche questo, no. E’ solo su un’altra linea. Preso in mezzo ad altre cose.
E lei, ora – e già da tempo -, non ha più la forza per coltivare quel
sentimento, per mantenerlo. Lo ha fatto per anni - e per questo ha fatto anche
errori - e ora non ne è più capace, fisicamente. A volte non si è in grado di
fare qualcosa. Non si tratta di volerlo fare o meno. Mancano le energie. Anche
per affrontarlo. Così quello che sente ora è rabbia. E risentimento. Forse più
verso se stessa, per aver lasciato che la situazione andasse tanto avanti. A lui
continua a volere quel barlume di bene che le fa stringere il cuore ogni volta
che, con uno sguardo, vorrebbe fulminarlo, inchiodandolo alle sue responsabilità.
Se, fino ad ora, non se ne è andata, è stato solo per questo. Per quel
qualcosa, dentro, che non la rende capace di chiudere. Perché non riuscirebbe
ad abituarsi a non sapere se sta bene, cosa fa… Ora, dopo averlo amato, dopo
aver vissuto con lui, non ci riuscirebbe…
E’
venuto a trovarla, quel giovane.
E’
rimasto in silenzio ad osservare i suoi gesti, meno precisi e più rabbiosi di
un tempo. Ha imparato ad allenarsi da sola. E’ quasi più sola di prima.
Una
solitudine che è un abisso.
E
si vede.
Come
fa, lui, il suo compagno, a non rendersene conto, si chiede, mentre gli occhi
scuri ardono di lei.
La
osserva risalire le scale mentre si asciuga il sudore e lei si sente come
bruciare, da quello sguardo che le pesa addosso.
Ora
sta lì, accostato alla porta.
“Dov’è”,
le chiede. Ma la risposta già la conosce. Fuori fino a notte.
Le
sfiora la spalla con le labbra. Sulla pelle nuda le pare di bruciare.
Ora
le sta baciando il seno. E la fa sentire come mai si è sentita prima di allora.
Come ha solo immaginato.
Forse
i baci di un ex-amico di vecchia data fanno un effetto diverso da quelli di un
estraneo… forse è per questo. Forse… sente solo la pelle di lui che quasi
la brucia, non è come l’altro – perché la pelle dell’altro la conosce
– e non la sorprende più. Forse, non l’ha sorpresa mai…
Perché
non glielo ha impedito?
Non
importa. Non importa a lei. E neppure a lui.
Perché
lei è bella, così bella che pare una statua scolpita.
Ma
non è solo questo. Sono forse quegli sguardi di solitudine disperata che
lancia, a volte. Come fa, lui, il compagno, a non rendersene conto?
E
invece lui li ha dentro, quegli sguardi. Ha dentro la disillusione della sua
voce, a volte cristallina, a volte cupa. E la vuole. Vuole prenderla e starle
dentro e che diventi sua, tutta, almeno per una volta.
Le
è sopra, e le pare di impazzire dal piacere. Qualcosa che non ha mai provato.
Non è come le altre volte. Completamente diverso. Lo sente dentro – e non è
come desiderarlo. E’ reale.
“Mi
fai impazzire…” gli dice, mentre soffoca un tremito. “Non… è come
con… lui…”
Si
solleva sulle braccia. La scruta. “Com’è, con lui…”
“Non
smettere…” Lo riattrae a sé.
“Diverso…”
Lo serra dentro di sé e lui si domanda come sia, di solito. Se sia sempre così
forte.
Forse,
pensa lei, davvero fare l’amore con una persona a cui hai anche voluto bene è
diverso rispetto a qualcuno che ti attrae e basta. Forse, pensa, sono diverse
proprio le implicazioni.
“Forse”,
dice, infine, “perché abbiamo imparato a farlo assieme…”
Non
dice tutto il desiderio frustrato. Non dice le aspettative deluse. E la dolcezza
di lui. E la tristezza di lei. E il senso di frustrazione e, poi, di colpa. Che
si è trasformato in rancore.
Mentre
lui si sente a disagio, a quella confessione.
“Dimmi
com’è…” Le domanda, infine.
“Come…”
“Come
lo fate…”
“Non
stavolta…”
Lo
ha fatto impazzire, starle dentro. Sentirsi avvolto da lei.
“Sai
cosa vorrei…” La voce affannata.
“…”
“Venirti
dentro e metterti incinta…” Lei soffoca un gemito. “… e guardarti mentre
ti riempi di me… e nasce qualcosa di nostro…” Ora si muove più
velocemente.
Lei
ha un sorriso triste. “Non so se essere eccitata o terrorizzata, da una
proposta del genere…” Gira il viso di lato. Lo sguardo lontano.
Si
è staccato da lei.
Lei
torna a guardarlo.
“Non
lo farei mai…”, dice serio. Le posa le mani sui fianchi. Le appoggia il viso
sul ventre. “Per me sei sacra…”
“E’
per questo che l’hai fatto con me?”
“…”
“Per
vendicarti…”
“…”
“Di
lui…”
“Dev’esserci
per forza una ragione per ogni cosa?” Si è affacciata allo studio per
controllare se è tutto a posto. Sente un senso di schifo dentro, ogni volta che
ci pensa. Si detesta. Detesta il suo corpo. Detesta le implicazioni del sesso.
Soprattutto,
detesta la sua debolezza. Dire di no, prima, sarebbe stato meno dannoso.
Sente
il corpo caldo di lui contro il suo.
“Perché
l’avete fatto, allora?” Si avvicina piano al lettino. Non osa sfiorarlo.
Lei
quasi è disgustata da quella scena.
“Lui
lo voleva…”
“Ma
tu no…”
“Non
sono riuscita a dirgli no…”
“Avresti
dovuto decidere tu…”
“Era
quello che diceva anche lui…”
Ha
cambiato le lenzuola. Lasciato le finestre aperte.
Ora
si sente meglio.
Per
la prima volta, dopo essersi lavata, non fugge davanti ad uno specchio.
Ne
ha ancora voglia. Cerca di non pensarci.
Sono
anni che cerca di non pensarci. Ma il desiderio resta lì, precisamente
localizzato, fin da quando era bambina e nessuno se lo sarebbe mai aspettato, e
frustrante. E la consuma, quasi. Come un fuoco.
Quando
lui rientra è notte, ormai.
Lei
gli va incontro, lui le lascia sui capelli un bacio stanco, slacciandosi dalla
sua stretta debole.
Lei
raccoglie l’ennesima delusione. Dobbiamo parlare… quante volte ha
immaginato, negli ultimi anni, di iniziare questo discorso…
Per
lui è più facile non ascoltare… fingere che un problema non esista. Anzi,
per lui non è neppure un problema.
Resta
sulle scale, ad osservarlo mentre entra nello studio ad appoggiare le sue
cose…
Quella
notte e mille altre notti ha provato a carezzarlo, baciarlo. Niente. Lui non
pare notarlo. Si mette a letto e dorme. E lei resta insonne, sola, sempre più
sola. A cercare di non pensare all’altro.
Lo
ha rivisto una volta ancora, l'altro.
Non
lo ha cercato, ma è tornato a trovarla.
Un’occhiata
bruciante. La voce incerta. “Ti disturbo…”
Lo
ricambia con uno sguardo diretto e muto. Un dolore sordo, dentro.
Si
chiude la porta alle spalle e già non sa più che dire.
Difficile
sostenere quello sguardo. Difficile entrare nel suo mondo. Lei ti consuma. Ti
prende dentro. E’ una strana persona di cui non riesci neppure a spiegarti
cosa ti attragga.
Fa
qualche passo, si siede sui gradini. Guarda lontano. “Dimmi, allora…”
Le
si avvicina. Il silenzio pesa. “Niente…” Le guarda le braccia, forti e
snelle, le spalle definite.
Tende
una mano, ad accarezzarle il collo, la spalla. “Sei così bella…”
Lei
non smette di guardare lontano.
La
prende per il braccio e la fa alzare, fino alla camera. Lo segue senza una
parola. Prende a baciarla. Sulla bocca, ovunque. Le apre la blusa sulle spalle,
poi, sul seno teso.
“Voglio
sapere come lo fai tu, stavolta…”
Lo
ha stravolto, col suo modo forte di farlo. Di darsi tutta. Non la immaginava così.
“Sei
straordinaria”, le dice, mentre, le mani strette sui fianchi di lei, la
osserva su di sé, la sente avvolgerlo, serrandoglisi attorno. Sono gesti forti,
quasi senza atti d’amore. La ama, ma è una cosa che trascende tutto, questa,
tra di loro. Lei, invece, non lo ama, ne è sicuro. Lei è morta nell’amore di
lui, ed è lì che continuerà a morire. L’amore è finito, per lei.
La
guarda venire, il ventre teso, contratto. Una volta, poi un’altra, un’altra
ancora. La guarda inarcarsi e poi abbandonarsi. Prendersi il piacere da lui.
Ora
anche lui giace, vinto, accanto a lei.
Resta,
in silenzio, ad osservarla, mentre lei guarda lontano, come persa.
Per
lei il sesso è come una lotta. Non è mai stato così, con le altre. Soddisfare
un’urgenza, una curiosità, scopare, non fare una figura di merda, durare,
spassarsela. Con lei è una partita da giocare volta per volta. La vuole. Ci
sono momenti che la vuole e non può farne a meno… Fortunato, finché lei starà
al gioco… quanto potrà durare, ancora…
Fortunato
lui, il tuo compagno, invece, che ha potuto averti, che potrebbe averti… Ma
che cazzo sta combinando, quell’imbecille?
Un’occhiata,
mentre si siede. A lei che, abbandonata, si volta a ricambiare quello sguardo.
Due solitudini? No, non ha mai visto una persona così disperatamente sola…
“Che
cosa vi è successo…” Le si fa più vicino.
“…”
“Eravate
così felici…” Le sfiora il viso in una carezza.
“…
Non lo so… non lo so più…” Si volta per nascondergli le lacrime.
Lo
aspetta giù, nel cortile, il berretto in mano. Fa caldo. Lo vede arrivare, una mano a ripararsi gli occhi dal sole.
“Che
sta succedendo?” Lo affronta.
“…”
“Cosa
vi sta succedendo? Si vede lontano un miglio che vi siete allontanati – e la
colpa non è sua.”
Lo
vede aggrottare le sopracciglia.
“Rispondimi!”
E’ esasperato. Non lo capisce. Lo costringe a girarsi.
“Credo
che lei mi detesti…”
Allora…
“Perché
non gliene parli…”
“Ha
come un muro, intorno a sé…” Il tono si fa triste. “E’ distante…”
“Ascolta,
dovevi immaginare che correvi questo rischio. Evitarla non è certo il modo
giusto di risolvere la cosa. E’ chiaro che ti ritiene responsabile, perché
l’hai forzata…”
Lo
guarda. Carte scoperte.
“Sei
stato un egoista…”
“Lo
so…”
Scuote
la testa. Non può essersi ridotto così…
“Speravo
le cose si sistemassero…”
“E
come, lasciandola sempre più sola?”
“Era
come se non mi volesse più…”
Allora
l’aveva capito…
“Devi
fare qualcosa… o la perderai…”
“Non
voglio ferirla ancora…”
“La
tua indifferenza la ferisce più di tutto, lo capisci?”
“Ho
lasciato passare del tempo… speravo che… in qualche modo…”
“Già,
magari speravi che qualcuno la consolasse al tuo posto!” Era esasperato. “Ma
sta di fatto che lei ama te!”
Si
volta, furibondo, e se ne va.
Lo
lascia lì, solo, stupito, il sole che lo acceca, incapace di muovere un passo.
Quello
che è successo l’ha già capito. Non c’è bisogno di parlare.
Rientra
a casa. In silenzio.
E
in silenzio anche lei lo accoglie. Ormai è finita.
A volte ho pensato di farla finita, per mettere termine a questa agonia… perché mi sono accorta che, senza questo amore, io non riesco a vivere…
Ma
questo amore è morto. Da tanto tempo. Almeno per te. Ora, anche per me.
Ed
è stato solo un errore trascinarlo finora. Un errore a cui non riesco a trovare
rimedio se non chiudendo tutto.
Se
solo si potesse dimenticare… ogni cosa sarebbe più facile…
Si
china su di lei, lo sguardo appannato, non distingue le lettere sul foglio.
La abbraccia, forte. “Ti amo”, le dice, piano, mentre lei sente le lacrime di lui cadere, scivolarle lungo il collo.
Che cosa vuoi… che cosa vuoi da me, ora?
La
fa girare verso di sé. Se la stringe contro. “Ho sbagliato… perdonami…”
Impietrita,
lo ascolta pronunciare quelle parole. Come una bambola, rimane immobile tra le
sue braccia. “Ti prego, ti prego… dammi un’altra occasione…” Non osa
guardarla, rimane con la testa contro di lei.
E
lei, ferita da troppi anni di solitudine, non sa più che dire.
Sente
la pressione di lui sui polsi. Ha il respiro tagliato.
Vorrebbe
fuggire via e, insieme, stringerlo. In fondo, questa vita è colpa sua, pensa. A
volte, basta decidere…
Si
alza, lo allontana da sé. In silenzio.
Lo
osserva guardarla, con quegli occhi dolci da cerbiatto, troppo lucidi. I suoi,
invece, sono freddi.
Di
una freddezza sconcertante.
Lo
vede appoggiarsi al muro, vinto, l’espressione di chi ha perso tutto.
Quanto ci metterai ad abituarti all’idea? A tornare alla tua vita tranquilla?
Tu puoi vivere, senza di me! Sono io che senza te non ce la faccio!
Lo
detesta. In quel momento lo detesta. Per quello che le ha fatto. Per quello che
non ha saputo darle. Eppure, le fa male vederlo così.
Ognuno
è solo…
Eppure,
se avesse continuato a provare a comunicare…
“Va bene”, ha abbassato lo sguardo, ora. “Hai ragione tu…. È finita…” Si gira, verso lo stipite della porta, perso. Non osa muoversi. Neppure asciugarsi le lacrime. Come se fare un gesto potesse segnare la fine di tutto. Preferisce restare lì, sospeso in un limbo.
E’
allora che realizza che, senza di lui, non si sente più vivere. Che quel peso
dentro è la mancanza di lui. Che, senza di lui, il senso di vuoto resterà
sempre. Come se, l’uno senza l’altro, non avessero scampo.
Intreccia
la mano alla sua, timidamente. “No. Proviamoci ancora…” dice piano. E
dentro non sa se si sente morire o crescere una nuova speranza.
Laura, marzo-aprile 2003, settembre 2003 pubblicato sul sito Little Corner il 30 settembre 2003
Fine
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