Lezioni proibite - Rose II
III
Warning!!!
The author is aware and has agreed to this fanfic being posted on this site. So, before downloading this file, remember public use or posting it on other's sites is not allowed, least of all without permission! Just think of the hard work authors and webmasters do, and, please, for common courtesy and respect towards them, remember not to steal from them.
L'autore è consapevole ed ha acconsentito a che la propria fanfic fosse pubblicata su questo sito. Dunque, prima di scaricare questi file, ricordate che non è consentito né il loro uso pubblico, né pubblicarli su di un altro sito, tanto più senza permesso! Pensate al lavoro che gli autori ed i webmaster fanno e, quindi, per cortesia e rispetto verso di loro, non rubate.
Copyright:
The Copyright of Lady Oscar/Rose of Versailles belongs to R. Ikeda -
Tms-k. All Rights Reserved Worldwide.
The Copyright to the fanfics,
fanarts, essays, pictures and all original works
belongs, in its entirety to each respective ff-fa
author, as identified in each individual work. All Rights Reserved
Worldwide.
Policy:
Any and all authors on this website have agreed to post their files on
Little Corner and have granted their permission to the webmaster to edit
such works as required by Little Corner's rules and policies. The author's
express permission is in each case requested for use of any content,
situations, characters, quotes, entire works/stories and files belonging to
such author. We do not use files downloaded or copied from another website,
as we respect the work and intellectual property of other webmasters and
authors. Before using ANY of the content on this website, we require in all
cases that you request prior written permission from us. If and when we have
granted permission, you may add a link to our homepage or any other page as
requested.
Additionally, solely upon prior written permission from us, you are also
required to add a link to our disclaimers and another link to our email
address.
The rules of copyright also apply and are enforced for the use of printed
material containing works belonging to our authors, such as
fanfics, fanarts,
doujinshi or fanart
calendars.
Ho iniziato questo racconto il 7 gennaio 2015, ispirato da due miei disegni e dal mio testo “Rose”. Da anni avevo l’idea delle lezioni di ballo impartite da André ad Oscar, innestata sulle tematiche di “Rose”, in cui, però, i protagonisti erano poco più che ventenni; poi all’improvviso, arrivò la scena finale scritta sugli appunti del cellulare. Mentre scrivevo già da un po’, si innestarono nella storia considerazioni nate dagli scambi con Sara, per la sua “Essere una donna”.
3
Notti – pericoli
danzanti
Le parlò, piano, accarezzandola, languidamente, dopo averla fatta venire. Appoggiato allo schienale del letto, lei, distesa nuda contro di lui, che continuava a percorrerle il corpo, in un gioco lento. Era sempre più difficile, trattenersi.
“Voglio che tu vada dal dottore.”
“Cosa?” La sentì irrigidirsi.
“A farti spiegare come non restare incinta.” La voce, soffusa, tra i capelli.
Che diavolo? Le piacevano la sua voce, il suo respiro, così vicini. Perché distrarsi?
“Ma, io non… noi non…”
“Oscar, io so come fare. E ho rispetto per te per trattenermi o, nel caso, prendere precauzioni.” Una pausa, poi aggiunse: “Voglio che sappia anche tu come fare.”
“Va bene.” Rassegnata. Si era accomodata nella sua pigra posizione, ora le toccava darsi da fare.
“Perché, nel caso sia con me, meglio doppie che niente. E, nel caso sia con qualcun altro, meglio che non ti metta nei guai. Non tutti fanno attenzione.”
Lo guardò, rossa in viso.
“Tu sei pazzo… disse scuotendo la testa.”
“Non sono pazzo. Tengo a te.” Io, sottinteso.
Si presentò alla lezione successiva con un’aria trionfale.
“Ci sono stata.”
“Bene, approvò lui.”
La lezione finì presto, quel pomeriggio.
Giorno dopo giorno, di quei quindici concessi, proseguiva il loro gioco. Una lezione, sempre più breve, loro due che si domandavano che figura mai avrebbe fatto Oscar, al ballo, ma poi, nella vecchia soffitta, dove nessuno li avrebbe trovati; dove, da bambini, si rifugiavano, in un’alcova improvvisata, lui, lei, la bambola, vecchi teli a velare il loro segreto, ora si ritrovavano. Ogni giorno.
Lui che la faceva venire, la faceva impazzire.
La memoria del contatto di lui tra le sue gambe.
Le mani tra i suoi capelli.
Lei, scossa da ondate.
A corte, quando la incrociava, e, stranamente, le pareva che facesse in modo di incrociarla sempre più spesso, Fersen si comportava in modo inconsueto.
Era qualcosa di anomalo, per lei. Le pareva seduttivo, strano. Ci stava forse provando? A che pro? Ormai, la cosa a lei non interessava più.
Era davvero così?
Come si era sentita quando, poche ore prima, Hans, con una scusa, aveva fatto in modo di parlarle e, al riparo dell’ombra di una colonna, prendendole una mano, l’aveva attratta contro di sé. Lei lo aveva bloccato, ma ora quel comportamento si era insinuato, disturbante, provocando pensieri e dubbi inattesi.
E non era stato solo quello.
Le stava troppo addosso, la cercava per ragioni inutili, inconsistenti. Ogni occasione era buona per parlare con lei, per carezzarla di sguardi.
Se ne era accorto, André. Solo che per lui i motivi erano chiari.
Fersen se la voleva portare a letto e stava costruendo tutto il castello di circostanze utili a ottenere il trofeo, la sera del ballo. Era talmente evidente. Anni e anni di amicizia priva di interesse, dopodiché, scopre l’oggetto strano della possibile collezione, il pezzo raro, quasi servitogli su un vassoio d’argento dalla sua amante principale, una vera oca… probabilmente neanche ci aveva pensato, all’inizio – era seriamente dispiaciuto per Oscar –, ma, poi, la ghiotta occasione, la tentazione di aggiungerla alle sue conquiste, il cominciare a prenderla in considerazione da un diverso punto di vista, l’accorgersi che era bella, la sfidante peculiarità della situazione, e il ballo… il ballo… ci avrebbe provato, quella sera. André ne era quasi sicuro.
E forse, Oscar, non se ne rendeva neanche conto.
Le aveva chiesto di Fersen, lui, e, davvero, ora quei sentimenti le sembravano lontani una vita. Ora Fersen non la interessava quasi più. Poteva rinunciare a lui. Ora pensava, invece, ad André. I cui occhi l’avevano sempre vista davvero come una donna normale. Sapeva di non essere stata, per lui, solo una specie di sorella e amica a cui si era troppo affezionato. Sapeva, purtroppo, cosa aveva provato a lungo. L’aveva temuto.
Un tempo aveva pensato a Fersen. Sapendo di non poterlo avere – aveva ragione André, su questo –. Eppure, considerava ora, era da chi le era sempre stato vicino che, in fondo, aveva sempre avuto la continua conferma di poter piacere, di poter esser amata, di non essere qualcosa di strano. Qualcuno che l’aveva sempre vista con occhi da innamorato. Lei se lo era sempre nascosto, ma lo sapeva, e, in fondo, era stata la presenza di André a non farle mai porre il dubbio di poter essere considerata una donna normale, proprio perché, tra loro due, il fatto che lei lavorasse, facesse quel tipo di vita, era sempre stato consueto e non aveva intralciato niente, tranne una possibile storia d’amore, ma lì i problemi erano di status sociale o di loro paure. Anche se lei aveva voluto negarlo, era così, era da parecchio tempo così, a giudicare dal modo in cui lui la osservava e lo sapeva da quanto le aveva confessato . Non era solo adesso, che più di sempre, quando la guardava negli occhi, aveva un modo adorante, una luce nello sguardo, come volesse carezzarla, sostenerla. No, quel modo di seguirla con lo sguardo, anche se ha tentato di schivarlo, lui l’aveva sempre avuto. Solo che lei, apposta, noncurante, quando l’aveva notato, l’aveva eluso quasi di proposito e, quando non se ne accorgeva ancora, l’aveva lasciato fare. Crescere.
E questo si ritrovava, ora, a provare. Uno strano sentimento di addio, verso Fersen, una specie di nostalgia di qualcosa che era rimasto inappagato, incompiuto, ma, nel contempo, un trasporto fortissimo, un’attrazione verso André, assieme a una più completa consapevolezza di se stessa. Qualcosa che sapeva, ma che ora trovava conferma.
I sentimenti erano cambiati. Ora voleva André. Certo, la compiaceva il fatto che Fersen da un po’ sembrasse cercarla, ma era tempo di dirgli addio.
Lei stessa, a mano a mano, si era resa conto che era gratificante sentirsi desiderata. Era qualcosa che le dava una percezione diversa di sé, come più completa, come se ora avesse osato aggiungere, ammettere, un altro lato di sé.
Questo, pensava Oscar, mentre si domandava, però, come mai André si trattenesse con lei, come mai non facessero ancora l’amore in modo completo, nonostante le parole di lui, le sue richieste.
Quasi provava rabbia, quando lui l’abbracciava, quando la faceva venire, poi, però, non la prendeva.
Perché? Perché restava così distante, ora che sapevano entrambi evitare complicazioni? Era chiaro che gli piaceva, allora, per quale ragione si tratteneva dal prenderla? Lei, lo voleva.
Allora, provocante, scendeva su di lui, e lo prendeva tra le mani, tra le labbra.
Sconcertata, annotava come lui la lasciasse fare, apprezzasse moltissimo, ma, invece, si lasciava venire. Ti voglio dentro, non osava dirgli. Appena riusciva a formulare il pensiero in sé.
Frustrata, non capiva. Lo trovi sconveniente? Non mi vuoi? Si domandava, delusa, osservando l’espressione appagata di lui.
Non lo capiva. Era una vita che le faceva capire che gli piaceva… e ora… ora…
Proprio ora che, in quegli ultimi tempi, in quegli ultimi, convulsi, giorni prima del ballo, si era resa conto di quanto fossero cambiati i suoi pensieri da prima, da quando, stupita, aveva accolto i suoi primi baci. Ora lo desiderava, con forza, con passione. E non le bastava che la facesse venire. Non le bastava chiudersi in camera e masturbarsi. Lo voleva. Dentro.
Se aveva, nel passato, temuto di essere disturbata
dalla cosa nel suo immobilismo, nella sua volontà di non cambiare, nel suo
terrore di cambiare, nel pallido equilibrio che aveva trovato, ora, con le
consapevolezze che stava cumulando alla velocità della luce, rispetto ai
tempi precedenti, quanto a se stessa, al senso e ai dubbi sulla propria
vita, sulle aspettative che da parte dei genitori la circondavano, se
davvero avessero consentito la
presenza di André al suo fianco come compagno non separandoli per tutti
quegli anni, la feriva questo suo non concludere.
E adesso? Adesso che quasi ci sei
riuscito, ti tiri indietro?
Adesso che, la
mattina, quando apro gli occhi, quasi non penso più a lui, ma a te… ora ti
fai da parte?
Mi lasci sola?
Aspettava, André, aspettava solo che Oscar fosse più tranquilla, terminata quella assurda follia del ballo, che li aveva coinvolti. Non vedeva l’ora che arrivasse quel giorno, che, Oscar, la sera, con l’abito lungo, di ritorno, lo abbracciasse e allora… allora… Ma questo, lei, nel tumulto dei propri sentimenti, neanche poteva immaginarlo, avendo scambiato il rispetto e l’attenzione per disinteresse. Si sentiva solo scontenta, non apprezzata.
“Aspettate…”, la richiamò Hans. Lei si voltò. Lui le prese un braccio, forse con forza eccessiva, mentre la trascinava nella penombra. Le si avvicinò, avvolgente, sentiva la sua pelle, mentre la baciava…
“No…”
Dopo un lungo istante, in cui aveva perso il senso del tempo, si sottrasse. “Lasciatemi… lasciatemi andare…”
“No.” Tenendole un polso.
“Che cosa volete?”
“Voi…”
“Credo che lui voglia portarti a letto”, le disse.
“Che cosa?” Temporeggiando.
“Fersen.”
Un cenno di diniego.
“Ti sta continuamente addosso, da un po’. E non l’ha mai fatto, prima…”
“E quindi?”
“Ne deduco che sta preparando il terreno per cercare di fare l’amore con te, la sera del ballo.”
“Non scherzare.”
“Non sto scherzando.”
“E perché lo farebbe?”
“Perché sei una preda ambita. Manchi nel suo carnet. E sei bella.”
“Non è molto lusinghiero…” sembrava delusa, lei.
“Preferiresti che dicessi che è innamorato di te o gli piaci?”
Lo guardò molto male.
“Ma non lo è. Sicuramente si sta rendendo conto che sei bella, ma, a parte che considererei suicida perorare la sua causa, non credo che ciò che prova per te sia cambiato. Lui ha la testa dietro la regina, principalmente, e, poi, dietro la sua schiera di amanti. Da Parigi e dintorni all’estero. Cani compresi.” Ironizzò.
“Sei uno stronzo.” Ferita, avvilita, colpiva.
“No, lo stronzo è lui.”
Gli girò le spalle, offesa. Gli occhi le bruciavano di lacrime.
“E non voglio che tu ci vada a letto. Non voglio… non farlo.” Sembrava quasi minaccioso. Forse, aveva esagerato.
Rendendosene conto, le si avvicinò, mettendole una mano sulla spalla, scendendo fino al polso, per serrare le dita di lei con le sue, per cercare un contatto di riconciliazione, ma, in un gesto brusco, lei lo allontanò. Non voleva farsi vedere piangere.
Corse via.
Lontano.
Lontano.
A rifugiarsi nella sua stanza. Sul suo letto. Senza riuscire a frenare le lacrime.
Stronzo! Sei
soltanto uno stronzo che vuole farmi star male!
Ma sapeva che non era così.
Era colpa della regina, della corte, di quel mondo assurdo…
Sentì, prepotente, per la prima volta, il desiderio di andare via.
“Avete chiesto udienza, Oscar, ditemi…”
Inginocchiata, davanti alla sovrana intronata, inondate entrambe dal sole.
“Volete forse impetrarmi una deroga per il vostro ballo’”, la derise amabilmente, sventagliando la polvere del Trianon.
Che deficiente, pensò Oscar. “No, maestà. Volevo chiedervi di poter essere trasferita ad altro incarico.”
Sorpresa, la sovrana, chiese spiegazioni. “Una novità ulteriore nella routine… ultimamente ce sono parecchie… E come mai, ditemi, ora che siete così apprezzata, non volete raccogliere i frutti, qui a Corte?” Provocò.
“Vorrei solo un incarico in cui io possa rendermi più utile.”
Ci aveva pensato. Era già da un po’ che provava disagio. Era anche stufa di fare da baby sitter alla compagnia teatrale della regina. Voleva sentirsi meno inutile. E avrebbe messo un po’ di sana distanza anche da Fersen.
“Come? Non siete utile, qui? Proteggete me, la regina!” Scandalizzata. Incapace di comprendere.
“Non ho mai domandato niente, maestà. È la prima supplica che faccio a mio nome.”
“Vedrò… ora, ritiratevi.” E la congedò col cenno del fottutissimo ventaglio, le piume pericolosamente oscillanti in capo, la barchetta, tra le onde, prossima a precipitare a picco.
“Devo parlarti”, gli disse, asciutta.
Allora lui osò guardarla. Era veramente dispiaciuto di averle detto quelle frasi. “Scusami. Davvero. Ho esagerato.” Cercò, come fosse la prima volta, la sua mano.
“Ho chiesto di lasciare la Guardia reale”, gli annunciò. Gli aveva preso le mani nelle sue. Gliele carezzava.
Lui rimase in silenzio. Sospeso.
“Voglio allontanarmi dalla corte. Magari avere un incarico più utile…”
Continuava a guardarla, le mani in quelle di lei. Una domanda muta. “Era da un po’ che ci pensavo…” Poi “Se per te va bene, tu verrai con me”, aggiunse.
Era come se si fosse tolto un peso. “Certo… certo”, annuì, sollevato.
Fu lui a cercarla, come per scusarsi.
Prodigandosi in carezze, dolci, ardite.
E lei stette al gioco. Approfittandone. Inarcandosi. Indicandogli dove baciarla, toccarla.
“Sai”, esordì, dopo, quasi trattenuta. Quella notte, tutto risuonava strano. Come un cambiamento in atto, percepibile, attorno a loro, “mi domando se, in tutti questi anni, non ci abbiano lasciato stare insieme…”
Si voltò a guardarla. “Che intendi?”
Abbassò lo sguardo, non era facile dirlo “Che, forse, loro… mio padre, loro, speravano che noi due facessimo coppia. Casta o meno”, sorrise. Poi continuò. “Che tu rimanessi con me, che mi evitassi la solitudine… o che, rise, “provvedessi cautamente e con discrezione alle mie… necessità…”
Era arrossita.
“Può essere”, considerò lui, meditabondo. “Non l’avevo mai pensata così… anzi, mi trattenevo, preoccupato di fare qualcosa che non gradissero…” Scosse la testa… “Valli a capire… come ti è venuto in mente?”
“Niente, riflettevo… ma…” Si girò tra le sue braccia, “non è che ora perdi con me il gusto del proibito?” Lo canzonò. “Sembri quasi deluso…”
“No, sono incuriosito… e, comunque” stabilì, tuffandosi sotto le lenzuola, “di proibito ormai rimane ben poco!”
Le notizie volavano nella cerchia ristretta dei suoi collaboratori diretti.
“Oscar! Comandante!” La rincorse.
“Un attimo, per favore!”
“Ditemi, Girodel.”
“Ho sentito che avete chiesto…”
“Sì”, annuì, tagliando corto. Non si aspettava lui si sarebbe interessato alla cosa.
“Ma come mai? Non vi trovate più bene con noi?”
“No, capitano, no… non è questo…” che strano…
“O, forse… qui… a corte? È per quella storia del ballo?” Diretto. Perspicace.
Sorrise, lei, di rimando. “Scusatemi, non posso dirvi le ragioni…”
Le prese la mano. Lei trasalì: “Per favore… ripensateci…”
“Cos’è questa storia del trasferimento?” Si tratteneva a stento, il generale, impaziente, adirato. Chissà da quanto aspettava il suo ritorno, camminando furente, per scaricare la tensione.
Si era seduto sulla scrivania. Le braccia incrociate. “Sentiamo, cos’hai da dire?” Il tono impetuoso delle solenni incazzature causategli dalla figlia ribelle..
“Niente”, mantenendo un tono calmo, l’unico modo che conosceva per contenere quel padre a tratti irascibile. Forse anche perché quegli scoppi d’ira non li aveva mai sopportati. Li trovava ridicoli, vili, violenti.
“Come niente? Rispondi, avanti!” La provocò: “Devo chiedere ad André per saperne qualcosa?” Sembrava infastidito e sorpreso, come per aver perso qualcosa in proprio potere. “Te l’ho messo accanto perché ti faceva ragionare, ma mi pare che ultimamente, a parte scoparti, non si renda utile…”
Arrossì violentemente, zittita da parole decisamente inattese.
“Padre, alla mia età non devo rendere conto a voi di cosa faccio.” Si rese conto di aver usato le argomentazioni di André e se ne stupì. “A corte non mi sembra di essere utile, a fare da guardia alla regina mentre recita amatorialmente con i suoi amici commedie contrarie all’aristocrazia. E questo, al di là delle mie opinioni personali. Tutto qui. Penso di poter essere più utile altrove.”
“Renditi conto di cosa sei. Una sesta figlia femmina”, le rinfacciò gelidamente. “Vivi libera grazie a me. Se non fosse per me, non saresti niente.” Stava per andarsene, poi si girò: “Staresti a sfornare marmocchi, anzi, neanche so se ne saresti capace!”
Rimase così, come dopo un uragano. Stupita, ferita. Stordita. Sapeva di André… da quanto? E quella minaccia di sfornare figli… e l’ironia subdola, non so se ne saresti capace…
No…
Non che non conoscesse suo padre..
Non che non sapesse com’era e perché si comportava così.
Dall’esterno, sapeva tutto. Solo, non era mai riuscita ad abituarsi. Forse era anche questo, questa profonda differenza, la calma, la dolcezza, che l’aveva colpita in André. Forse era anche per questo, che gli aveva sempre voluto bene…
Il generale era corso ansimante nel proprio studio, stupito dalle proprie parole e dal pensiero che avevano germinato nella sua mente. Forse quella era davvero la soluzione per quella pazza ribelle.
Era la mattina del trasferimento dal Trianon. Tutti loro erano impegnati. Chi a contare gli infiniti bauli della sovrana, chi ad assicurare un’inutile sicurezza. Fucili, cavalli, carrozze. Percorso, rischi. Cameratismo tra soldati. C’era anche Fersen. Inevitabile. “Ve ne andate davvero?” La fermò. “Aspettate”, mentre lei si sottraeva.
Dopo l’ultima volta, davvero non aveva voglia di un confronto con lui. Fece per allontanarsi, ma lui la portò al riparo, mentre l’avvolgeva, da dietro, e le parlava, nei capelli.
“Perché volete andarvene’” Le sussurrava. “Cosa è successo…”, mentre le infilava una mano sotto la giacca, la camicia, e le cercava i seni, carezzandoli, premendo.
Rimase così, contro di lui, immobilizzata nella sorpresa.
Mentre le serrava i capezzoli tra le dita.
“Rispondetemi…” La lingua, le labbra, dall’orecchio, alla mandibola, giù.
Fremette.
Poi, cercò sotto la cintura, facendola tremare, improvvisamente irrigidita.
“Fermatevi…” la voce vacillava.
“È forse colpa mia?” Pronunciando quelle parole, la percorreva, la sentiva, insinuandosi in lei con le dita. “È per me?” Mentre con la lingua le esplorava il collo.
“Oh… siete così asciutta…” Constatò, mentre, in lenti movimenti, sapienti, la faceva bagnare.
Inarcata, incapace di farlo smettere, mentre continuava a frugarla, sembrò quasi crollare. Si sostenne al muro.
Fu forse quel contatto che le fece recuperare il senso della realtà. Di se stessa.
Strappò da sé le mani di lui, rossa in viso.
“Andatevene! Andatevene!”, gli urlò.
Lui rimase, invece, a guardarla, imperscrutabile.
Poi, lentamente, si allontanò.
Ma era difficile sottrarsi, stando così vicini, e il conte insistente, soprattutto ora che erano rientrati a corte.
Girodel domandò all’improvviso: “Che cosa vi sta facendo, Fersen?”
Li aveva scorti, poco prima, lui che la teneva contro il muro, per i polsi, bloccandola con le gambe.
Poi, le aveva aperto la camicia, cercandole i seni bianchi. Un’immagine che aveva colpito Victor, nella sua insensatezza. Era rimasto stordito, senza potersi muovere. Senza reagire.
Erano stati pochi attimi. Lei lo aveva schiaffeggiato, Fersen aveva mollato la preda. Voltandosi verso il muro, la testa china, Oscar si era ricomposta. Dai gesti, sembrava furibonda.
E la osservava, ora, cavalcandole accanto, e notava tutta la tristezza, il fastidio che le contraeva i lineamenti.
Lasciò scorrere appena un attimo lo sguardo su di lei. Sotto la giacca, immaginò fin troppo facilmente il seno abbagliante di quelle immagini. Le mani che serravano nervose le redini. Il viso, così bello, semplice, senza trucco. I capelli, liberi, sciolti. Le gambe. Sembrava non rendersi neanche conto di quanto era bella. Si domandò se ne fosse consapevole.
Respirava, trattenendo i pensieri.
“Che cosa vi stava facendo” insisté.
“Niente…”
“Non mi pareva…”
“Non vi riguarda.”
“Non riguarda neanche André?” La provocò.
Lo fulminò con lo sguardo. “Non so cosa gli sia preso.” Sbottò. “Evidentemente trova divertente tutta questa farsa!”
Scosse la testa, lui.
“Forse, dopo tanti anni, lui e sua maestà si annoiano”, osò, “e avranno pensato di mettere un po’ di pepe nella relazione, alle vostre spalle…”
Scoppiò a ridere, quando vide l’espressione tra il furibondo e lo scandalizzato di lei. “Scusatemi… davvero”, tenendosi la fronte. “In effetti tutta questa storia è assurda…”
“Già…”, ammise lei. “Non sarò in grado di muovere un passo al ballo. Per giunta, mi renderò ridicola, conciata in… quel modo…”
Lui non ripose.
Lei continuò, come per riempire un vuoto.
“Nessuno si aspetta come io possa essere… idioti curiosi…”
Ebbe un sorriso amaro. “Sarete quella di sempre…”
“Appunto…”
“È per questo che è assurdo… voi siete perfetta così…” disse piano, come riflettendo tra sé, facendole sbarrare gli occhi, arrossendo lui stesso alle proprie parole.
Poi, non potendo sopportare di ripensare a lei, a quel seno, in sua presenza, anche se avrebbe voluto rimanere lì, con lei, scartò e fece galoppare il cavallo lontano. Distante. Distante.
Arrivò nelle proprie stanze trafelato, nervoso.
Chiuse tutto. Scuri, tende. La porta, le porte. Era assurdo. Lui, lui e Oscar…
Davanti allo specchio, lentamente, il respiro trattenuto, iniziò a toccarsi, infilando le mani sotto la stoffa della camicia, mentre si spogliava, saggiandosi, scivolandosi addosso, come gli facevano le donne. Come avrebbe potuto fargli lei. Guardandosi allo specchio, languido, se lo toccò inesorabilmente già duro.
Indugiò, pensando a lungo a lei, fremendo, lo sguardo torbido, i capelli che gli ricadevano sul viso. Prendendoselo nella mano. Muovendola attorno a sé. Lentamente, prima.
Si stese sul letto, continuando a toccarsi. Tra le pieghe lucenti della stoffa, che sentiva sulla pelle, sempre più eccitato. Come mani. Gambe. Carezze. Immaginandola. Senza fretta, il respiro profondo, poi, più affannato.
Non gli era mai venuto in mente di farlo pensando a lei, invece, ora, tra le lenzuola, ansimando, era completamente soggiogato all’idea. Quel lampo d’immagine che era rimasto nella sua retina. Lei, lei. L’uniforme, il seno fasciato, le mani delicate. Così, immaginava di toccarla. Di averla sopra. Lei che gli si inastava, calda, sul membro. Congiungersi, darglielo fin nel profondo intimo della sua essenza. Possederla e darsi a lei. In un lungo delirio di immagini e fantasie.
Infine, sognando i colpi spasmodici dei suoi fianchi in lei, venne, interminabilmente.
Dopo, restò a lungo lì, disteso. Riprendendo il respiro. Tornando a se stesso.
Ma desiderando rifarlo.
Era stato un lungo attimo di follia, si disse poi, ridendo di sé. Domandandosi che avrebbe pensato mai, l’indomani, di fronte a lei o, magari, a cena, ospite del generale… decisamente, era troppo, concluse.
Continua
Laura, da gennaio 2015 a dicembre 2015, revisione marzo-maggio 2016 pubblicazione sul sito Little Corner giugno 2016
Vietati la pubblicazione e l'uso senza il consenso dell'autore
Laura Mail to laura_chan55@hotmail.com