Kitchen Corner
II SEASON - parte 19
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Addii
La stagione non voleva saperne di finire.
La mano di
lei fu strappata da quella di lui, sulla barella improvvisata. Il polso che si
intravedeva, le dita abbandonate. “No, André! No!”
Lei si
svegliò immaginando il risveglio di Oscar e André in quel mattino di luglio...
già, perché dava per assodato avessero potuto dormire insieme, così immaginava
lo stupore di lei, disabituata, un gesto dolce, disarmante, e l'abbraccio tenero
e caldo di lui, le voci basse, forse un po' intimidite, imbarazzate.
Come riusciva
a scavarle il cuore, dopo tanti anni, una storia come quella di Oscar e André,
non riusciva a spiegarselo. Le era entrata dentro da subito. Rise di sé. Quante
pippe mentali si era fatta, per quei due amici inesistenti e presenti? Poi, la
tristezza di dover partire, la riprese. Avrebbe volentieri annullato tutto. Il
viaggio, i corsi, tutto. E poi? Cosa fare della propria vita? La moglie? La
co-tenutaria (la parola, evidentemente associata nelle memorie storiche ai
casini) di una scuoletta di danza di provincia, come aveva sentito ballerine
importanti definire le associazioni culturali di appassionati? Il suo futuro, in
quel caso, sarebbe stato un mistero. Più che il futuro, la possibilità di
guadagnare.
Stancamente
preme sul telecomando. Avanti veloce. Ancora un balletto. Quanti anni sono che
non balla? Eppure, riguarda i video delle altre. Con affetto. Come un mondo di
cui non possa essere più parte.
È così, e
neanche poi tanto in fondo.
Le valigie
sono pronte.
“Guarda”, gli
dice, indicando i disegni dell’omonimo, poggiati in basso, contro il muro. “Li
ho fatti incorniciare. Che ne dici?”
“Belli”, e si
china a spostarli e scopre che la collocazione non è da rivista da arredamento,
ma copre una chiazza di umidità. ”Utili, anche”, mentre si rialza e lei pensa
che è bellissimo.
In un’ondata
di tenerezza, lo abbraccia da dietro.
Poi, non
riesce più a trattenere le lacrime.
Col naso
rosso, gli occhi gonfi, commenta: “Vedrai che i gatti apprezzeranno…” e lui se
la stringe forte forte.
Solleva la
tazzina, lì da ore. Ha ancora l’odore del caffè. Quello della partenza.
Del vuoto
nello stomaco di emozioni e mutismo sospesi.
Quando non
c’è più niente da dire, le cose si sono quasi lasciate decidere da sé, e o ci si
lascia andare, e non si lavora, o si parte.
Con le dita
aveva toccato piano le superfici. Alla prossima, sembrava dire.
Poi, tutto si
era snodato nei percorsi usuali. Del non detto.
Al, che nei
giorni prima la guardava in un modo che lei aveva faticato a decifrare e perfino
a sostenere. Sembrava voler insistere. Ma su cosa, cosa perdio?
E poi l’aveva
presa in disparte.
“Non andare.”
Alza le
spalle.
Scuote la
testa, lui. “Fai una cazzata. Non lo lasciare solo un’altra volta.”
Lui che
preparava le loro cene e teneva botta, ma aveva gli occhi lucidi.
E lei non
sapeva cosa ci fosse dietro.
Stavolta il sentimento del distacco è peggio di ogni
altra volta.
Passano il tempo tenendosi per mano, continuando a
cercarsi.
Nella distanza di pochi metri, lo guarda e sente il
bisogno di stargli vicino. Ma stargli vicino non è mai abbastanza.
Così, Andre ascolta Fedez e Nina Zilli a palla, chiuso
nel suo fortino di forzata freddezza.
“Ascoltala, questa, pare che parli di te…” mentre dalle
casse del pc tuona “è uno di quei giorni” e a lei veniva da ridere. Non hai
certo una buona opinione di me, davvero. Ma hai ragione, io sono così. Com’è che
mi hai definita? Intollerante, viziata. Bene.
Altra botta di malinconia e forse anche di rabbia, quando
lui intona Una vita da mediano, pure
troppo ispirato. Lei avrebbe preferito
Eri bellissima, anche se pure quella a rimpianti non scherzava. Ma, in
fondo, cosa poteva pretendere se la sua preferita era quel capolavoro di
Farewell, a parte le memorie
infantili con Signorinella, nella
fondamentale interpretazione di Ranieri.
Ha ragione lui, che non pensa troppo alle cose, alle
persone andate. Ma lei, qualche volta, non ce la fa.
Ricorda quando Al le parlava, con quella voce pacata, di
Signora Bovary e notava il parallelo
con Stagioni, successivo. Ricorda che
non l’ha mai sentito cantare. Andre sì, si diverte a cantare. Lui, mai
pervenuto.
“Ti do un passaggio”, si era offerto, dopo il lungo
preambolo gucciniano.
Guidava, Al, una mano sul volante, pigramente
abbandonata. L’altra, libera. Allungato, come un felino. Ed era bello. Non era
solo bello, aveva un suo fascino.
Poi, terminata la musica, dopo un lungo silenzio, era
arrivato dove voleva.
“Perché sei partita?” A bruciapelo.
“Non sono ancora partita.” Tenta di svicolare.
“Intendo quella prima volta…” La inchioda.
In fondo, lui non ci crede. Non che sia solo lavoro.
“Tu non pensi ci sia stato un motivo serio”, gli domanda?
Lui cade dal pero.
“Il lavoro”.
“Giusto”, annuisce lei, laconica.
“Però”, contrasta lui, “non morivate certo di fame. Uno
dei due il lavoro poteva lasciarlo.”
“Non volevo “non lavorare”. Se avessi avuto un talento in
qualche altro campo, sarebbe stato diverso, ma io so fare solo il mio lavoro…”
Troppo neutrale, pensa lui.
“E lui, lui che disse?” Insiste. Ricorda che era
distrutto.
“Lui…” sembra considerare lei, amara, guardando lontano.
Un sorriso triste. Uno sguardo talmente lontano che pare l’episodio 20. “Lui non
poteva dire altro.” In fondo, era anche
colpa sua… almeno un po’…
“Come?”
Una domanda che riapre una ferita e un abisso. Come può
parlarne? Come può spiegarglielo?
Il ricordo di quei momenti. Di quei giorni di ferite e
dolore. Di infinita rabbia, neanche delusione. C’erano state cose tristi, per
lungo tempo, che avevano appesantito il loro amore, invischiandosi, come un
veleno, che, in quei giorni, feriva di più. E lei si era sentita impotente. Al
punto di aver capito di doversi ricostruire, per salvare loro due. Altrimenti,
si sarebbe dovuta annientare, o avrebbe dovuto lasciato lui. E quest’ultima
opzione era fuori discussione. Se hai la fortuna di trovare un amore vero,
nonostante il contesto, nonostante i legami o le situazioni che lo invadono e
sporcano, tu lo devi riconoscere e proteggere. Ma a volte questo è doloroso.
“Che vuoi dire a due che si amano?” Gli risponde, sempre
citando il 20. Per fortuna, Al non conosce Lady Oscar a memoria, versione
italiana e versione originale. Ricorda vagamente che c’era quel cartone. Ma lui
non li guardava. A quanto pare Andre sì, invece.
In quella inedita versione investigativa, attende al
varco anche Andre.
Rigorosamente in macchina. Stavolta quella di lui.
Al: “Lascia, guido io…”
Un gesto di impazienza… “No…”
“Non puoi fare niente, per trattenerla?”
“E tu?”
“Niente.”
“Io neanche.”
“…” Un sospiro. Silenzio.
“L’ho fatto, ma non è servito. Non ho contatti, non ho
niente.”
“Niente… e voi due?”
Scuote la testa, pallido, rabbioso. “Non riesco a
pensare… ad inventarmi niente…”
“Di’ che tua nonna è gravemente malata…”
Gli viene da ridere.
“Cazzo…”
Alza le spalle… “Potrei dirle di lavorare con me…”
Al si illumina. “Giusto!”
“Probabilmente smonterebbe il tutto dicendo che non vuol
togliere il posto a Lia, in un caso, e che in studio non sente di avere
sufficienti competenze…”
“Conoscendola, lo direbbe.”
Eppure, quella frase semplicemente meditativa, ma che a
lui appare estremamente superficiale, lo incendia: “Cosa ne sai? Che ne sai di
come è lei realmente?”
Stupito dalla reazione, Al si gira verso di lui. Vede le
sue dita serrate al volante. Le labbra tese.
“Per colpa tua ha mollato tutto.”
“Mia?”
Poi, mette la freccia, accosta. Mentre la pioggia inonda
di gocce rumorose e i tergicristalli spazzano l’acqua inutilmente. Respira a
lungo, come per calmarsi, prima di parlare, ma, in realtà, la rabbia è stinta
nella tristezza: “Cosa ne sai di com’è lei realmente?”
Delle sue tristezze… di certi abissi che
intravvedi, ma non riesci neanche a toccare… puoi solo abbracciarla, dirle che
le vuoi bene davvero…
“So che è sola. Lo vedo. Il resto non lo so. Ci ho
rinunciato, anni fa. Per te. Che eri innamorato, era tua, intoccabile.”
“Ma vai al diavolo!”
“No. Io mi feci da parte. E per cosa? Vederla così?”
“Tu non eri adatto a lei.”
“No, sicuro. Tu sì, invece…” sarcastico. Triste.
“Sì.”
“Ma non le sai stare vicino. Non la sai sostenere.”
“Non le sto addosso.” Una voce di pietra. Fredda. “È
diverso.” Ferito.
“No. Tu hai il tuo mondo, il tuo lavoro, le hai fatto il
vuoto attorno e poi l’hai lasciata lì.”
“Che cazzo dici?”
“La verità. Sei un egoista. La volevi solo per te. E
sarebbe andato bene, forse. Peccato che eri talmente invischiato in altre cose,
a cui non hai mai detto dei no chiari, da indebolire lei.”
Sospira, le mani cadono dal volante. Gli occhi lucidi.
“Io ho cercato di proteggerla, da questo.”
“Cercare non vuol dire riuscirci…”
“E tu, che avresti fatto?”
“Avrei detto dei no. E avrei vissuto con lei. Non accanto
a lei.”
Lia apre la lettera con mani tremanti.
“No…”
A danza, quel pomeriggio, ripete meccanicamente con le
allieve, ma è su un altro pianeta.
“Il mio ultimo cantiere”. Al si alza, si solleva la
mascherina. È’ bellissimo. Le spalle larghe, il viso affilato, gli occhi
allungati. L’ha sempre trovato bellissimo.
“Come ultimo?” Stupita. Passando lì davanti, lo ha visto,
si è fermata.
“Ultimo”. Molla lo scalpello.
“Ma cosa dici? Andre lo sa?”
Poi, dopo.
“Non andare…”
“Non partire anche tu.”
Gli si para davanti.
“Non posso rimanere."
“Resterà solo.”
“Hai deciso di partire?”
“E come posso restare?”
Lui è inginocchiato. Istintivamente, le ha preso una
mano.
La guarda dal basso.
Il sole sfoca in rosso i loro contorni. Quasi non ne
intuisce gli occhi, dietro i raggi.
“Abbiamo sbagliato sempre tutto, noi.”
Lo guarda, poi distoglie lo sguardo.
“Tutti noi.” È profondamente triste, ora. Anche il tono
della voce.
“Non serve che tu non risponda.”
Lo guarda, quasi con durezza, come potesse con quella
durezza tenerlo a distanza, come sempre ha fatto, e bloccarlo.
“Non partire. Non lasciarlo solo.”
“Ti ho sempre amato.”
Per favore…
Scuote la testa, come se si possa negarlo in un gesto.
“Lo sai…”
Le si sta spezzando il cuore.
Rimane in silenzio. Poi, lentamente, gira la testa,
distoglie lo sguardo. Non può continuare a vederlo così.
L’ha raggiunta sul muretto, si è seduto accanto a lei.
“Mi chiedi di restargli vicino, ma a cosa serve?”
“Prima o poi, le cose tra voi si risolveranno.”
“Sono risolte quelle tra noi.”
Lui stira le labbra in un sorriso triste.
“In realtà non esistono.”
Alza un sopracciglio, perplesso.
“Non è risolto il mio lavoro qui. Non sono risolte altre
cose… ma, in fondo, ora vedo che non sono così importanti. Forse ora mi pare
così perché là ho un lavoro. Guadagno.”
Le prende la mano. Lei trasale.
“Io ho bisogno di ricostruirmi una vita.”
“Non andare…”
“Sei tu che parti. Sei stata tu, la prima a partire.
Forse… forse è solo che non vuoi che esca dalla tua vita, stando vicino a lui.”
“Non dirmi queste cose troppo vere…” E gli sfugge. Lei è
solo di Andre.
Le formalità dell’imbarco disumanizzano i distacchi.
Osano distrarre, forse provvidenzialmente, dalla realtà. E poi neanche sapere
quale sia l’aereo, tra quelli che, in piedi, contro la vetrata, rimane,
attonito, deluso, a veder decollare, poi virare e librarsi su, poi lontano. Non
è la prima volta, ma ogni volta è come la prima. Non ci si abitua. L’abbraccio
che non finiva più. Lei che non smetteva di piangere. Lui che si tratteneva a
stento.
Ora, con lo stomaco contratto in un grumo di pietra, il
cuore non sa più se pesante o anestetizzato, deve tornare ai nastri, poi al
parcheggio, e poi, ancora, farsi tutti i chilometri, che almeno ha la musica,
che silenzia i pensieri muti. Muti, che si ha da dire, in fondo? Non basta avere
un amore bello, anche se così difficoltoso? Non basta che le difficoltà non
siano tra loro due? No, a volte fa male e basta, e ci vorrebbe essere due
stolidi cretini, persi nelle cazzate e nelle formalità, incapaci di comprendere,
ma irrimediabilmente fisicamente vicini. Baratteresti essere due cretini per non
essere così triste? Il suo cuore ridotto a un macigno doloroso, in questo
momento, nonostante tutto, non gli suggerisce una risposta. Fa male e basta.
E iniziano i giorni di dopo. Quelli di Skype e di orari
strani. Lei a mezza giornata indietro, lui a viverla avanti.
Non sa ancora come sarà difficile, questo dopo.
Non sa ancora di Al, non può neanche lontanamente
immaginare di Lia.
Pensa che lei sia il suo tutto, ma non sa quanto anche
quei due contribuiscano a quel tutto. E dovrà scoprirlo.
Lo shopping di elettrodomestici è sempre stato curativo
per riempire il vuoto, per curare le tristezze con cose belle. Belle. Insomma,
che piacciano. Così, da un po’, sta tenendo d’occhio una piccola Nespresso,
verde chiaro. Tutto festante, la spacchetta, indeciso su dove collocarla.
Laura, da novembre 2014 ad ottobre 2015, marzo-maggio 2019, pubblicazione sul sito Little Corner luglio 2019
Vietati la pubblicazione e l'uso senza il consenso dell'autore
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Laura Mail to laura_chan55@hotmail.com