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In obscuro - Darkening Deeps

Warning!!!

 

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Ad Alessandra, perché l’ispirazione è arrivata da uno dei libroni che lei, generosamente, mi regalò, tenendomi compagnia per mesi.

 

 

“Vostra figlia è secca e priva di succhi.

Ho giaciuto con lei come d’accordo, e tentato d’inserirmi, ma è inizialmente stato pressoché impossibile. Le volte che, con fastidio e fatica, ci sono riuscito, mi è stato difficile portare a termine l’atto. L’ho fatto però varie volte, in questi mesi, e non ne viene fuori niente. Arida. Secca. Inutile.

Ve la ridò.”

 

Questo biglietto ricevette il generale de Jarjayes qualche tempo prima di essere trovato morto.

La sua uccisione fu dovuta, pare, ad un’imboscata ad opera di facinorosi e rivoltosi che miravano a colui che si occupava dei depositi di armi durante lo spostamento di un convoglio di rifornimento. Qualcuno, si disse, lo aveva forse scambiato per il collega Bouillé.

Qualcun altro ancora ricordò le frequentazioni libertarie della figlia, pardon, figlio minore, Oscar François.

 

Il colonnello Girodel fece anch’egli una brutta fine. Tentando di emigrare via mare, anni dopo, scivolò inspiegabilmente da una passerella. Quando ritrovarono il corpo, un sottile segno a malapena si mostrava tra le scapole.

 

“Padre, è una follia!” Reagì Oscar. Si era sentita gelare il sangue all’idea. Proposta non era, no. Una decisione comunicata.

Immediato, violentissimo, uno schiaffo la stordì. E un altro ancora. Erano dieci anni che il padre non la picchiava. Qualcosa che, con un genitore, annulla le reazioni.

“Domani parlerai con lui!” Ruggì, rialzandola con violenza per un braccio. “Quando sarai sicuramente incinta, mi pagherà, lo sposerai e mi darete un erede!”

“Come?”

“Non essere sciocca! Mi darai un erede per i Jarjayes o, altrimenti, sarà un figlio delle tue sorelle, se tu non partorirai un maschio!”

“Non ha senso!” Trovò la forza di reagire. Ma un altro colpo la zittì.

 

Domani…

Io? Incinta? Ma come parla? Cosa dice? Io? È pazzo… è pazzo…

Rimase lì, stordita. Stravolta.

 

Nella sua vita, aveva dovuto subire le decisioni paterne. Il fatto, però, che, tutto sommato, fossero andate verso la sua libertà ed autonomia, che le avessero consentito educazione, cultura, libertà, aveva reso la cosa comoda, accettabile. Non le sarebbe piaciuto vivere come le donne. Anche se, per essere così, aveva faticato. E, da capo, quel pazzo pretendeva che buttasse tutto al vento, dimenticasse, rinunciasse a se stessa, cambiandosi testa e cuore, modificasse radicalmente la propria vita per concedersi a qualcuno con cui non condivideva niente, che non stimava, e per il quale non provava niente. Il tutto, per essere venduta. Un utero. Un corpo. In cambio, se fosse andata bene (e che genere di bene, da non augurarsi!), di denaro. Venduta per un erede. Una pazzia!

Per un capriccio. Per l’ennesimo capriccio di un vecchio dispotico.

Senza contare la questione André.

 

Respirava piano, un passo faticoso, quasi paralizzato, dietro l’altro. Le mani gelate. Dolorante.

 

Si chiuse nella sua stanza. Seduta, le braccia attorno alle gambe, sul letto. Sperando che tutto finisse lì, che niente mai più accadesse.

Il tramonto, piano, si spense nella notte.

Venne la nonna.

Si rifiutò di aprire.

 

Bisognava uscirne, in qualche modo.

Che, possibilmente, non contemplasse il suicidio.

 

Poi, venne André.

 

Nel tenue bagliore delle candele, mentre con le mani gli percorreva la schiena, le braccia, i glutei, mentre i respiri e le ciglia e i silenzi si mescolavano, ricordò com’era entrato, pallido. Come, silenziosamente, le avesse accarezzato il viso, scostandole i capelli. Guardandola dall’alto. Accanto al letto. Lei, gli aveva cinto la vita con un braccio. Piano, abbracciata in quello strano modo, aveva pianto.

Solo dopo, l’aveva guardato.

 

 

“Oscar!” la regina l’aspettava, in piedi, controluce. Le venne incontro. Lei, sembrava annichilita, dentro l’uniforme, persa. Finita.

Provò una pena infinita, Maria Antonietta. “Mi dispiace… non so cosa dire” le prese le mani e sembrava aver dimenticato che lei l’aveva abbandonata pochi mesi prima.

“Maestà…”

“Oscar…  è una follia!”

La guardò. Avrebbe voluto implorarla, ma riuscì a trattenersi. Dignità prima di tutto.

“Oscar... sono riuscita ad ottenere che…”

Le strinse le mani e Oscar, improvvisamente, avrebbe voluto che l’abbracciasse. Come una sorella. Come un’amica.

“Tre mesi”.

“…”

“Se non accadrà niente entro tre mesi, sarete libera.” Le fece scivolare tra le dita un biglietto. “Parlate con questa donna. E col vostro dottore.”

 

“Oscar… ascolta…”

Lo guardò e gli consegnò, negli occhi, nelle mani, tutto quello che si portava dentro. Tempesta, amore, vendetta, odio.

“Abbiamo solo due soluzioni”, disse solo. “Andare via.”

Una speranza, una luce di libertà. Il realismo concreto a spegnerli. “E come? Come vivremmo? Tu ed io abbiamo bisogno dei nostri lavori…”

“Allora, giocarli.” Netto. Deciso. Poi, distolse lo sguardo. Dalla finestra, un ramo sfiorava i vetri.

“No…”

Lui rimase in silenzio.

“No. Non posso. Non posso.” Lasciandola ponderare. “Per chi mi hai preso?” Io non intendo prostituirmi…

“Oscar, cosa ti ha detto la regina?”

“La stessa cosa.”

 

Si sente condannata.

 

“Oscar.”

“Madre…”

“Oscar, io non approvo niente di tutto questo.”

Lì accanto, c’era un uomo. Vecchio amico di famiglia. Forse dei Laborde, i banchieri.

Oscar, questo è il notaio Vitrey. Tutti i miei beni disponibili ora passano a te. È tutto quello che posso fare. Per proteggerti. Con un vincolo. Se tuo marito diventerà il cavaliere de Girodel, lui non avrà mai niente e i beni andranno metà a te, metà ad André Grandier, che, per me, è come un figlio e, per te, come un fratello”.

Uno sguardo azzurro.

“Madre…”

“Grazie…” abbassa gli occhi.

Ora sono condannata.

 

“Oscar!” La serrò per le spalle. “Oscar, ora basta! Sono dieci anni che noi due facciamo l’amore! È vero, io uso precauzioni e sto attento, e tu anche, ma perché non dovrebbe funzionare?”

“André?, vuoi che quello mi violenti?”

“Oscar, no! No! Voglio che tu ne esca viva e libera!”

“…”

“Ascoltami.”

 

“Dottore… dovete aiutarmi…”

“Oscar, cara…”

“…”

 

“State tranquilla. Ora vi spiego tutto…”

 

Fu una notte di amore dolce e intenso. Mentre lui la baciava, mentre le lasciava baci sui seni, mentre la prendeva, infinitamente, sentì di amarlo e che quella era l’unica via di uscita.

 

“Oscar, amata.” Viscido come una lumaca.

“Devo parlarvi.” Accavalla le gambe. Posa il bastone. Striscia. Lascia la scia.

“Prego, sedetevi.” Si aggiustò i merletti stratiformi.

Si spazzolò la cipria dalla parrucca e a lei venne da tossire.

Il bastone, i merletti, la parrucca, le gambe storte. Lo guardava. Taceva.

Che schifo, pensò.

“Copuleremo e vi ingraviderò.”

“…”

“Allora, pagherò vostro padre.” Scricchiolarono le giunture, quando si alzò.

“Diventerete mia.”

 

“Ho delle condizioni.”

“Sì? Dite… se posso.”

“Se non potete, fottetevi.”

 

“Due volte al mese, in date che vi comunicherò. Nelle mie stanze.”

“Sta bene.”

“Come vi ha detto sua maestà, tre mesi. Dopodiché, sparirete.”

“Certo, certo…”

 

Scolato mezzo bicchiere di cognac per placare l’incazzatura, ora si passava al piano pratico.

“Ti mando via. Non voglio che tu veda quello che succederà.”

“Che cosa?”

“Non ti lascio sola, in questa situazione”, protestò.

Se l’era aspettato. Ma lo sorprese.

“Vai in Normandia. Cerca una casa per noi due. E non essermi infedele.”

 

Le veniva da vomitare. E non perché fosse incinta di André, con cui scopava felicemente da una decina d’anni. Da quel viaggio in Arras. Perché, come sostiene da tempo l’autrice di questi testi (coi suoi tempi lunghi da circa otto anni ci sta scrivendo su una fanfic “La casa rossa” e ha prodotto delle fanart), i nostri due si misero insieme durante quella trasferta. E, ovviamente, come nelle FAQ, usano adeguata e ridondante contraccezione. E perché no? Esisteva, all’epoca. Romanticismo non esclude buonsenso. E se verrete a dirmi che romanticismo non è, dato che siamo in epoca anteriore, l’Illuminismo, vi risponderò che meglio mi sento e che, comunque, questa è una fanfic e vale quello che sta in testa all’autrice. Di cui le idee sono ben note…

“Stasera il cavaliere di Girodel verrà per copulare”. Si era trovata queste righe vergate su un biglietto, portate dal servente. Poveretto. Chissà quante doveva averne viste, seguendo quel coglione.

Era tesa e spaventata e incazzata. A sangue freddo sapeva cosa doveva fare. E lo avrebbe fatto. Ma mantenere il sangue freddo era tremendo. A che prezzo? A quale prezzo?

Padre, mi fate schifo. Vi odio. Vi odio!

 

“Non parto.” Aveva gli occhi lucidi. Non l’aveva quasi mai visto piangere. Era un ragazzo forte.

“Sì, invece.”

 

Avrebbe voluto potersi vendicare. Una vendetta morale. Ma non aveva mezzi.

Madame lo incrociò, fuori dalla stanza di lei. Lo guardò. A lungo. Come a dirli “Fidati. E aspetta.” Ma non lo disse. Rimase in silenzio. Come spesso faceva. Tutta quella congiura si svolgeva nel silenzio.

Rimase con lui mentre preparava il bagaglio. Ogni volta che, da un cassetto, prendeva qualcosa, le mancava un pezzo di anima. Quando chiuse la borsa, le sembrò qualcosa di definitivo.

Le veniva da piangere.

Le carezzò i capelli, una guancia. Le strinse la mano. “Pensa solo che presto ci rivedremo.” Uno sguardo triste, intenso. “Promettimi che penserai solo a questo…”

Non era questione di possesso di un corpo. Ma di un affronto per un essere umano. Lui, l'avrebbe ammazzato, per quello che stava facendo a lei.

Triste, mentre una folata di vento sollevava le foglie sulle pietre, e l’acqua della fontana si agitava, lo guardò partire lungo il colonnato. Si voltò a salutarla. Una, due volte. Poi, gli veniva da piangere, e spronò il cavallo al galoppo.

“Ti scrivo”, le aveva promesso.

 

E, così, cominciarono le danze. E, ogni santa volta occorreva un palmo di pelo sullo stomaco per attendere il ciclo. Riconoscere ogni segnale. La paura di illudersi. Con André non le era mai successo. Ma lui era un alleato. Questo, invece, è un nemico.

 

Le si spogliò di fronte. Lei restò in piedi, ferma. Rigida.

Non avrebbe voluto guardare, ma non poté evitare di osservare le gambe secche e storte. Il culo secco. Le costole sporgenti l’addome cascante. La parrucca rossiccia, che nascondeva un cranio lucido con qualche peluzzo rosso. E quel ramo d’albero, mostruoso, bluastro, da cavallo, tra le gambette inermi.

 

Si trovò piuttosto lucidamente a pensare che, se non l’avesse uccisa per emorragia interna, le avrebbe eiaculato direttamente nelle coronarie. O in gola. Solo, passando per vie traverse… Sai che gioia. Sempre che fosse sopravvissuta. Cosa che, a questo punto, diventava questione principale, rispetto allo scamparla o meno al concepimento.

 

Distolse schifata lo sguardo da questo rosso Priapo d’oltralpe.

E adesso?

 

Il primo round lo vinse Oscar, barando, per knock-out. Una provvidenziale ginocchiata assestata quasi per errore tra le enormi melanzane del rosso, nel mentre si apprestava, dopo averle ciucciato a morte i capezzoli, sbavato l’ombelico, leccato fino all’irritazione ogni immaginabile e non interstizio, ficcato di forza falangi su falangi, poi dita, trovandola arida e dicendoglielo pure, manco fosse un’esplorazione medica, ad attraversarla. Violaceo. Venoso. Lucido.

Le bruciava. Le faceva male. Forse anche perché, apposta, restava contratta. Addominali. Tutto esercizio.

“Come siete secca.” Si contorceva eccitandosi ancora di più. “Io vi renderò fertile.”

Mavaffanculo…

E si issò. Solo che, nell’issarsi, le ficcò il gomito sull’ovaio destro o, forse, sull’appendice, e Oscar reagì.

Risultato. Steso per almeno due settimane, lo travasarono dolorante su un lettino da carrozza e lo portarono via, esanime ma ancora eretto.

Corse subito a lavarsi, Oscar. Tirò via le spugne e protezioni, compì tutti i lavacri e le lavande. Poi, un bagno infinito, lungo.

Aveva perso l’appetito. Si rivedeva, nuda, i seni, il ventre, e la lingua di lui.

Era viva e per stavolta lo aveva evitato. Ancora un po’ di resistenza, e forse ne sarebbe uscita.

Si domandò a che punto del percorso fosse André. Se almeno avrebbe potuto fare qualcosa di positivo per loro due. Allo scrittoio, di notte, gli raccontò. Si sfogò.

Poi, strappò i fogli, vergognandosi, e riscrisse, mostrandosi più coraggiosa e ironica.

 

Girà il viso di lato, e lo sguardo. Perché avrebbe pensato a lui. A come la toccava. A come sapeva fare. E le sarebbe venuta tristezza. E piacere. E si sarebbe bagnata. E non avrebbe dovuto. Tutta quella situazione era assurda e andava terminata.

 

Era da un’ora che la leccava. Implacabile. Roba da non averne più voglia per esaustione.

Mantenendo la testa altrove, osservava distante.

Ha la forfora.

Scostò con fastidio un pezzo che le era sceso sul ventre. Allora lui tornò al suo ombelico. Una mezzaluna perfetta. Allungata. Un’ombra sulla madreperla della pelle. Dei muscoli.

André…

Stavolta non sarebbe stato possibile evitarlo… tra due o tre giorni avrebbe dovuto tornarle il ciclo, e ormai era questione di  avere fegato e tenere duro e pensare che non c’era altro da fare.

Meglio stavolta, allora.

I capezzoli le bruciavano, a forza di morsi e ciucciate. L’aveva scambiata per una vacca? Si agitò sopra di lei, patetico.

“Oscar… mi darete un erede…”

“Non vi interesso io?”

“Compatibilmente.”

“In che senso?”

“Mi interessa giacere con voi perché mi eccita il pensiero di mettervi incinta e di rendervi donna.”

“Io sono una donna.”

“Dimostratelo.”

“Non ce ne è bisogno.”

“Voi siete incompleta.”

“E voi un pervertito.”

“Ma vi riempirò e farò donna.”

“Provateci.”

“Appunto.”

“Ma non ci riuscite…”

“Troia!”

“Mi fate schifo.”

Ma ormai lui era lì, e sentiva il suo bacino e il ventre cascante addosso. E quell’assurda verga da animale.

E, senza attendere che lei fosse pronta, e, d’altronde, dopo un’ora, pronta avrebbe dovuto esserlo, tentò di entrare.

Per entrare, entrò. Ma quasi scorticandosi. Non c’era spazio, non c’era un muscolo pronto ad accoglierlo. Semmai, a respingerlo.

Provò e ritentò, patetico, bruciante. Entrò per poco, facendosi male. Senza riuscire. Non gli venne da depositare niente. Voleva solo uscire, velocemente, e tuffarsi nell’acqua fresca, perché quella non era una donna, era un mostro.

 

Ma stavolta si sarebbe vendicato. Dopo le umiliazioni precedenti, le avrebbe fatto capire chi comandava.

E, ferocemente, forzandola, l’attraversò. Poi, se ne andò senza una parola.

Oscar ebbe tre settimane di emorragie.

 

André era tornato. La trovò pallidissima, dimagrita, incazzata, ancora libera.

Era già qualcosa.

L’aveva abbracciata.

L’aveva cullata, nella notte.

Le aveva raccontato di cose belle, e impossibili.

Aveva sognato, anche per lei, che forse non era più capace.

 

Quando André era tornato, le era sembrato ancora più bello e quella bellezza, vera, autentica, la commosse. Ora, respirando il suo odore, nella stretta delle sue braccia, al ritmo del suo respiro, si lasciava cullare. Come fosse una cura. Come potesse dimenticare.

Dimenticare, forse, no. Ma vivere, sì.

 

Stavolta Oscar si alzò sui gomiti. Bussarono alla porta.

“Avanti”, gracchiò il cavaliere de Girodel, nel mentre si sollevava dalle sue gambe.

André entrò, reggendo un vassoio. Stravolto, fece un passo indietro.

L’aveva fatto apposta a farsi portare qualcosa. Dettando orari e istruzioni precise.

“Vieni avanti, André”, le labbra ancora tumide di lei. “Posa qui”. Gli indicò un tavolino accanto al letto.

Oscar, stravolta, rimase impietrita.

“André, per favore, esci”, articolò. Le tremava la voce.

“No, resta pure qui”, lo fermò il cavaliere, mentre, lascivo, allungava una mano a prendere una fragola. La passò su di lei, insistentemente, mentre Oscar rabbrividiva. André distolse lo sguardo.

La leccò. Poi inghiottì.

Un chicco d’uva. Glielo appoggiò addosso. Oscar, quasi tratteneva il respiro. Non questo, no!

“Vieni, André, avvicinati.”

André restò fermo.

La sfiorò, quasi bagnata, poi se lo portò alle labbra.

“Non vedi quando è eccitante, la nostra Oscar?”

Sembrava di fuoco, lo sguardo di André. “Spiacente, signore. Come vedete, una ferita mi ha reso quasi cieco”.

E se ne andò.

“Aspettate! Non notate che è incinta?”

Sbatté la porta.

 

Incinta? Quello deve essere pazzo! Pazzo, pazzo, un sadico torturatore, un imbecille senza confini…

Pazzo si sentiva lui, però. Corse in dispensa, svacanta un cognac. Un altro. Senza rendersi bene conto e, insieme, restando lucido. E corse, corse fino alle scuderie, e prese il cavallo e lo spinse fino a farlo correre via, via, via, lontano da tutto, dove non esistesse più niente, neanche Oscar.

 

Quasi la investì, uscendo di corsa. Rosalie serrò le labbra e affrettò il passo. Non immaginava che la consueta visita alla governante, un saluto brevissimo ad Oscar, sarebbe stata così movimentata. La trovò seduta al tavolo di marmo, uno strofinaccio e il coltello abbandonati, accanto alle verdure.

“Cosa succede, nanny…”

 

Aveva il cuore in subbuglio, Oscar. Per André.

Era umiliata.

E avrebbe voluto piangere.

Non sentiva niente, non sentiva più niente.

Lo vedeva, che premeva, premeva, e, alla fine, la forzò, entrò. Lo vide fare quattro movimenti, come fosse un dovere, e non desiderio. E come fossero animali, uscire. Mentre sentiva qualcosa di viscido dentro. E provò più schifo e ribrezzo di quanto ne avesse mai provato prima. “Non può essere questo”, si disse.

 

Salva per l’ennesima una volta, torrenziale inondazione con grave scorno del rosso fecondatore.

Signore, come potete darmi a uno così? E come potete pensare di disporre di me? Del mio corpo?

Se potessi, vi ucciderei.

 

“Grandier, ti desiderano…”

Era Bernard. André lo accolse, sorpreso.

Arrivò al dunque, esauriti brevemente in convenevoli. “A quanto pare, mia moglie non desidera che quello che è successo alla sorella minore succeda anche ad Oscar. Lei ed io abbiamo un debito.” Sorrise.

Non si dissero molto. Quanto bastava. Ma André si concesse una speranza, e fantasticando, gli confidò “Mi toglierei la maschera davanti a lui, prima”.

“Decisamente meglio di no”, escluse Bernard.

 

Poi, parlò con lei. “Oscar, non essere idiota. Tu e André dovete avere un alibi. Che ne so, vai a Corte dalla Regina. Non ne ho idea, ma fatti vedere bene in un posto in cui non sei e non siete sospettabili.”

 

Avrebbe dovuto incontrarlo per l’ultima volta, poi, sarebbe stata salva. Sempre che non trovassero altre scuse. Da persone così, ormai, se lo aspettava.

 

Sempre più livido, il cavalier de Girodel si affannava tra le lenzuola.

“Questo è un addio”, lo congedò, alzandosi precipitosamente, per correre a lavarsi nel camerino, la sua salvezza. Non riuscì ad evitare il sarcasmo. E neanche un’espressione schifata. Si rivedeva, sotto di lui.

“Lo vedremo… dobbiamo attendere…”

“Lo vedrete. E starete ai patti.”

 

 

Ricevette un biglietto dalla Regina.

“Ho fatto sapere che considero scaduto il termine. Sottraetevi.” Diceva.

 

“Raggiungimi a Corte, più tardi. La Regina ci aspetta al Trianon.” Salutò André, quella mattina.

“Sono di turno.” Obiettò lui.

“Cambialo.”

 

“Ma tu guarda che stronzo”. Lo fece apposta, Alain, ad alzare la voce. Indolente, appoggiato allo stipite della porta. “Il comandante chiede di lasciarti libero al turno così stai con lei a Corte.”

“Che cosa?” I commilitoni sollevarono lo sguardo.

“Ma come si permette?” Qualcuno si alzò.

“Te lo scordi, stronzetto!” Pronti a menare le mani.

 

Al cenno di Alain, gli si fecero attorno.

“Ora ci divertiamo un po’.”

“Mi diverto io, stronzi. Non avete neanche idea di quanto sia incazzato.”

“Sì, ma noi siamo cinque.”

A terra, dolorante, gli veniva solo da piangere. Oscar… Oscar… Oscar…

No, Oscar… no…

Gli si fece accanto, Alain, quando la stanza fu vuota.

Oscar, ti prego… non ti sposare… ti prego, Oscar…

 

“Su, avanti…” Lo aiutò ad alzarsi. Se lo caricò addosso.

Aprì gli occhi, André, un filo di sangue che gli colava dalla fronte.

“Ma che cazzo fai…”

“Coglione, ti sto salvando il culo. Sono il tuo alibi.”

Lo scaricò in infermeria. Rimase con lui tutto il tempo.

Prima del cambio turno, andò dal vice.

“Colonnello D’Agoût, Grandier ha ancora bisogno di assistenza… se mi date il permesso, resto con lui…”

 

“André non arriva, ancora… strano…”

Le venne incontro, la regina.

“Oscar… meno male che ne siete uscita…” l’accolse in un abbraccio fraterno.

E Oscar, che da troppo tempo si teneva tutto dentro, crollò. Lacrime di umiliazione. Di solitudine. Di una figlia tradita. Di speranza. Di paura.

 

Fu un delirio, nel dormiveglia. Immaginò tutta la scena. Come se ci fosse. Come se due persone, vestite di nero, corporatura simile, comandassero i due manipoli di ribelli che, in quella giornata, si scagliarono contro il convoglio di armi scortato dagli uomini del generale Jarjayes, che lo seguiva personalmente. Forse era quello che aveva sognato. O temuto. Immaginò il greto soleggiato del fiume, la radura boscosa. Vide nettamente le ombre blu e fresche tra le fronde degli alberi e il sentiero, e il sottobosco lo udì scricchiolare sotto i piedi e le foglie frusciare.

Aveva la febbre, ma era lì.

E vide l’assalto, vide uomini feriti, la vettura con le armi circondata. La mischia. Si vide cercare il generale. Inseguirlo. Avrebbe voluto essere lui, quello che, ora, gli stava davanti, e gli puntava la pistola al petto. E, in quell’ultimo istante, togliersi la maschera. Che lo vedesse. Che sapesse chi lo stava uccidendo.

Con il colpo pronto, Bernard raggiunse Jarjayes.

Lo fece inginocchiare. Poi, sparò.

 

Scarse e frammentarie notizie su un agguato tenuto forse al generale Bouillé giunsero il giorno dopo. Il generale jarjayes non tornò. Lo attesero invano per qualche giorno, i normali tempi di una missione. Poi, iniziarono le ricerche.

Quando glielo dissero, Oscar corse a casa. Trovò un André, piuttosto malconcio, invero, e, tra lacrime forse inspiegabili, vide che le passava un fazzoletto, che la guardava, intenso.

 

Non era un incubo, invece, quel mare che risaccava, luminoso, infinito. Non lo era quel cielo immenso, sopra di loro.

Oscar posò la testa sulla spalla di André, come a riposarsi. Gli strinse ancora più la mano. Forte.

C’era parecchio da camminare, da casa loro, quella piccola, in pietra e ardesia, con gli infissi carta da zucchero, che André aveva trovato e che, infine, avevano scelto, fino a quell’insenatura, un po’ sabbia, un po’ roccia. E il mare. Intenso. Azzurro-verde. André se la strinse contro, la guancia contro i suoi capelli. Ancora un po’ di vacanza, poi sarebbero tornati al lavoro. Gli Stati generali li aspettavano.

 

Laura, 18-28 maggio 2012, pubblicazione sul sito Little Corner giugno 2012

Vietati la pubblicazione e l'uso senza il consenso dell'autore

 

 

Mail to laura_chan55@hotmail.com

 

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