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Christine

Parte XXVIII

Warning!!!

 

The author is aware and has agreed to this fanfic being posted on this site. So, before downloading this file, remember public use or posting it on other's sites is not allowed, least of all without permission! Just think of the hard work authors and webmasters do, and, please, for common courtesy and respect towards them, remember not to steal from them.

L'autore è consapevole ed ha acconsentito a che la propria fanfic fosse pubblicata su questo sito. Dunque, prima di scaricare questi file, ricordate che non è consentito né il loro uso pubblico, né pubblicarli su di un altro sito, tanto più senza permesso! Pensate al lavoro che gli autori ed i webmaster fanno e, quindi, per cortesia e rispetto verso di loro, non rubate.

 

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Nota: L'idea l'ho avuta a Macerata, un pomeriggio del maggio 2000, mentre, camminando lungo le mura, andavo a fare spesa. Ho immaginato subito la I scena. Poi, subito di seguito, una successiva. Un pomeriggio, a luglio, ho cominciato a trascriverle e a lavorarci, come è mio solito, per intervalla insaniae.

Sebbene delle mie storie sia stata sempre la più piana, quella di cui avevo in mente lo svolgimento da subito, una svolta, maturata durante l’autunno del 2005, mi ha portato a cambiare un po’ il plot, rendendolo più disturbing. Tra l’altro, dato che BK, che mi richiedeva più energie, evolveva verso la fine, ho potuto tornare a lavorare su questo racconto, di cui, negli anni, avevo messo insieme parecchi appunti.

Questa nuova versione della prima parte contiene solo aggiustamenti cronologici in vista del seguito.

Il copyright dei personaggi appartiene a R. Ikeda – TMS-K.

Il copyright dei personaggi di Christine e Daniel, così come la loro rappresentazione, appartiene all’autrice. Le rappresentazioni di essi si trovano nelle immagini della vecchia versione del I episodio.

 

 

È un André diverso, quello che ricorda, le dita allacciate alle sue, il calore del suo corpo accanto a sé, felice, durante quella breve cerimonia. Piccoli gesti, come continuare a tenerle la mano. E non lasciarla. Così magro, il viso scavato e ancora pallido. Sembrava come illuminato.

Sembrava come se, finalmente, fossero riusciti a lasciarsi alle spalle un peso enorme.

Ora, niente potrà più dividerci…

 

E l’ha stretta in un abbraccio possessivo, forte.

Lei era felice. E ha avuto paura.

 

All’uscita, Daniel le è sgambettato dietro, conquistando la sua mano. Oscar, sorpresa, si è voltata, e gli ha letto in volto un sorriso orgoglioso nello stringergliela, nel camminarle accanto. “Oggi sono proprio felice”, ha commentato, lasciandola totalmente incredula.

 

Si è dovuta arrendere. Non c’era granché da scegliere, per la verità, e ora sono tutti installati in casa sua. Non è facile prendersi le misure, per fortuna Daniel era, sulle prime, talmente contento del cambiamento, di avvicinarsi ancora di più ad Oscar nella sua totalità, casa compresa, curioso di possedere più dal di dentro e di vivere in qualcosa che, fino ad allora, aveva solo potuto esplorare, che è stato quasi perfetto. Quasi, finché non ha preso maggiore confidenza con gli spazi, la casa, e le abitudini.

“Ma io voglio entrare!”, protesta Daniel di fronte alla porta dello studio di Oscar, rigorosamente sprangata.

“No, non si può…”

“Perché? Ci sono gli inchiostri, voglio pennellare!” Le si incolla addosso. Ama il contatto fisico, lo cerca, con un’aria dolce e sorniona, ma insistente.

“Appunto, sono inchiostri per scrivere, così come i fogli… sono lavoro, non si possono usare per giocare…” Ovviamente una porta chiusa è un mondo a parte, tutto da scoprire. Una scatola da scoperchiare, piena di giochi. Il paradiso del piccolo esploratore. Ovviamente la stessa porta chiusa è segno di confini, per un adulto. Insomma, il suo spazio vitale, almeno uno studio, una camera da letto e un bagno privato, in casa propria, le spettano. E così ha condotto una spedizione in caccia di colori e carta adatti all’uopo, e li tiene nei paraggi del soggiorno, allettanti, spera. Convivenze, scuote la testa, ma quando mai…

Quello che, invece, non aveva previsto era l’entusiasmo da novello sposino di André, che, in un rapporto che, tutto sommato, sembrava stabile e collaudato – lei non si sente diversa da prima. Lui, evidentemente, sì, perché se ne va in giro senza fare niente per nascondere un’aria beata e svagata, quando lei cerca il più possibile di sembrare dignitosa –, non smetteva di sorprendersi di lei. Di desiderarla con un ardore e un’impazienza che, quasi, non gli conosceva. Era bello. Nuovo. La faceva sentire desiderata. Importante – anche se si domandava quanto sarebbe durato. “Tutta la vita”, le rispondeva lui. “Magari…” si sorprendeva a pensare –. Mentre le scopriva una spalla, e sentiva il respiro sulla sua pelle. Le volte che la abbracciava, da dietro, e sentiva il suo calore, i suoi baci. Il mento sfiorarle il collo. E provava un brivido. Quando la trascinava sulle coltri e la prendeva. A lungo. Appassionatamente.

 

È stato un pomeriggio d’autunno, mentre, i fucili abbandonati sull’erba alta, una brezza ancora leggera che animava i fili, che ha saputo completare quel vecchio discorso fra loro. L’ennesimo, fra i tanti lasciati in sospeso.

Non ha saputo spiegarsene la ragione, ma qualcosa, forse un’emozione, le ha detto che era il momento giusto.

Forse è stato quel manto di nuvole infuocate. O l’immenso estendersi dell’orizzonte. Forse quello stormo di migratori che lui le ha indicato.

“Guarda… gli uccelli migratori…” in un cenno. Lo sguardo luminoso.

È successo allora.

“Ti amo”. [1]

L’ha avvolta in sé.

 

Quella notte, nel silenzio della stanza, dopo essere rimasta, vigile, accanto a lui, assaporandone la pelle, il respiro, le dita su di lui, ha trovato la voce.

“Perché… perché l’hai fatto…”

Non torturarmi… “Non parliamone…”

“Già…”

Si gira verso di lei. Come vinto, posa la testa sul suo petto.

Lei, non gli passa una mano tra i capelli. Resta lì. Una ferita non del tutto guarita.

Sospira.

Si solleva da lei. “Perché ho pensato che ero innamorato di te, ma non sarebbe mai stato possibile. E così…”

“Mettermi da parte…”

“Ma non era possibile…”

Una pausa.

“Ce l’hai con me, ancora…”

“E tu?”

“Io vorrei non pensarci più… guardare avanti…”

“…”

Guarda lontano. Nel buio.

Rabbia. Tristezza. Amore. Ci sono momenti che vivono, tra loro, intensi. Anche come questi.

Poi, un tuffo al cuore, nel voltarsi e trovarlo lì, inerme, tra i cuscini. Ripensare a quella ferita. Allora, cautamente, col timore di fargli ancora male, vola tra le sue braccia.

“Abbracciami”, domanda.

“Non lasciarmi…”

“Ho bisogno di te”, mentre lui la stringe forte e lei si sente quasi protetta. Quasi forte.

 

L’ha sorpresa, una sera. D’autunno.

Quando l’ha trovato, rientrando, a recuperare la legna. E lei era scesa per lo stesso motivo. Si sono incontrati lì, giusto sulla soglia, a sorridere di quello strano legame di intuizioni e bisogni, affetto. Delle loro comuni passioni. E le è sembrato bellissimo, scarmigliato, il mantello buttato sulle spalle, a scegliere i pezzi migliori per il loro fuoco. Loro camino. Casa loro. Loro. E basta.[2]

 

La vuole. Così. Schiuderla. Assaporarla.[3]

 

Daniel ha preso l’abitudine di accompagnarla, la mattina. Orgoglioso, scende con lei, poi le cammina accanto, aderendo al suo corpo con aria possessiva e soddisfatta. Di fronte all’adorazione che ha per il padre, però, anche la sua preferita deve lasciare il passo, così, a metà percorso, molla la preda e trotterella dove sa di trovarlo, fendendo il sole che illumina le pietre e l’erba.

"Daniel, aspetta!!!", protesta Oscar. Vederlo prendere il largo verso il cortile in quella maniera la preoccupa. I pargoli saranno pure resistenti, ma sono dotati di una notevole inventiva nel crearsi guai e nel non guardarsi attorno. Sospira, se la ride tra sé, imbarazzata: non se lo sarebbe mai aspettato di avere a che fare con un bambino, che, senza troppi problemi, l’ha accolta nella sua vita. Lo osserva caracollare[4] verso le scuderie, verso André. Oscar sorride, scuotendo la testa. A volte i fantasmi sembrano più lontani. Nel tempo. Nel passato.

Fa per avviarsi anche lei. Il bambino si apposta dietro la porta delle scuderie, circospetto. Poi, la sua testa sbuca all'improvviso. Oscar segue tutta la manovra, divertita, sapendo già come finirà, eppure, quando vede l’espressione sorpresa, illuminata, di André, sente il cuore fare un balzo. Di gelosia. Di calore.

André, nello scoprirlo fare capolino e, poi, irrompere allegramente nella penombra, si inginocchia, allargando le braccia per accoglierlo. “Eccoti…” Daniel si slancia e ruzzola, tra le foglie e il fieno.

"Stai bene?", lo recupera André, mentre si accomoda a terra con lui tra le braccia. “Ora ti spulcio…” fa, con aria fintamente concentrata. “Facciamo l’inventario…” propone, e inizia a passargli la paglia. “Tieni…”

"Ecco fatto…", proclama, mentre se lo abbraccia.

Poi “Lo sai che ti voglio bene, vero…” gli dice, piano.

Oscar, rimane immobile. Osserva. Resta lì, ancora per qualche istante. Non riesce a interrompere quel momento. Né a intromettersi. Vuole solo rimanere lì, a guardare André, a rubare quei momenti.

André alza lo sguardo dai capelli di Daniel. La vede. Giusto uno cenno. La mano che si muove verso di lei.

Lei, incerta, fa qualche passo. Entra. Resta a guardarli, in piedi, a distanza di sicurezza. André tende la mano verso di lei che, piano, intreccia le dita con quelle di lui.

 

Una volta ha difeso la propria indipendenza, la propria libertà, la propria casa. Quello spazio che aveva conquistato, anche nella decisione di viverlo, non era qualcosa a cui era disposta a rinunciare. Quando André le ha chiesto di sposarlo, forse per la situazione che avevano appena vissuto, il dubbio non l’ha neanche sfiorata, non ha pensato allo spazio, alla casa. Non aveva più importanza, di fronte a quello che era successo, alla prospettiva di perderlo, il difendere ancora i confini. Aveva, semplicemente, considerato che la cosa si sarebbe risolta, in qualche modo. E, in qualche modo, stava accadendo. Non sempre con facilità.

 

La sera, nel suo studio, quando tenta di ritirarsi a leggere Daniel gioca a raggiungerla. È diventato un rito e una piccola tradizione. La raggiunge, facendo capolino dalla porta. Ha imparato a restare sul confine. Ma sa rendersi irresistibile. Un sorriso sornione. “Pennelliamo?”

Lo solleva, manco fosse uno straccetto, e lui se l’abbraccia. “Come sei forte…”, beato. O, forse, captatio benevolentiae.

“Chi ha più muscoli, papà o io?” Mentre André, che sta asciugando le stoviglie dall’acquaio per riporle nella piattaia, le lancia un’occhiata di rimprovero.

“Tuuuuu!”

“Oh, così mi piaci” e lo deposita su una sedia.

Copre il tavolo con un telo tutto pennellato, schizzato di segni di inchiostro, un sospiro ai tempi in cui i mobili laccati chiari erano intonsi, uno sguardo ironico ad André che, sperando di farla franca, dopo la corvée dei piatti, sta per conquistare il divanetto, pregustando beato il relax.

In fondo, la sera è sempre stata la parte della giornata che, pensandosi in coppia, preferiva. La giornata e gli impegni ormai alle spalle. Un pasto caldo in compagnia, la compagnia stessa, l’affetto. Un senso di appagamento, di nido, di tana.

È questo, allora, si domanda, che desiderava? E lui? Lui, se lo domanda, o vive tranquillo e basta, solido, non superficiale, ma, semplicemente, più tranquillo di lei?

No, non era proprio questo. Forse può andare.

 

“E allora la farfalla sia posa su un fiore.”

“Disegnala.” Lo osserva, mentre, coscienziosamente, spiaccica colori.

André li segue, spaparanzato, rilassato, un sorriso che aleggia, lieve. Oscar non sa se detestarlo o amarlo.

“Ma dove sta il fiore?”

Ci pensa su, serio. “Nella terra.”

“Disegnala.”

“Bravo. E… cosa c’è nella terra?”

“L’erba. La disegno” propone.

 

Si è accorto che gli adulti tramano qualcosa. Accenni, discorsi interrotti quando lui compare. Non capisce, in certo momenti si sente quasi perso. Loro, sono il suo mondo.

Sospira, André. “è ora”, gli ha fatto notare Oscar.

“No, non andate!”.

Si china alla sua altezza. “Daniel, è lavoro, dobbiamo uscire.”

Ma gli si spezza il cuore.

 

“Non mi piace che ti sei tagliato i capelli”, protesta. Non accetta le uscite serali. Non ama i cambiamenti.

“Ricrescono”, cerca di tranquillizzarlo.

“Non mi piace”, s’imbroncia. “Non sei tu!”

Oscar lo prende da parte. Si inginocchia accanto a lui: “Non l’ha deciso lui…” tenta di spiegargli.

“Come non l’ha deciso?” Si svincola, nervoso. “Decidete sempre tutto, voi!”

Magari potessimo… mentre si rialza, colpita.

 

“Dove vai così tardi stasera?” Uno sguardo che trafigge, il tono risentito. Come se parlare servisse a cambiare la situazione. E non solo a lasciargli uno sfogo, a far capire a suo padre che lui si rende conto delle cose..

“Ascolta”, riprende paziente, ma fermo, lui. ”Siamo stati insieme fino ad adesso… ora però devo lavorare… e, mi raccomando, da’ retta alla nonna, quando non ci sono.” Ripete.

Altro sguardo di condanna. Silenzio. Non abbassa gli occhi, continua a fissarlo. A seguirne ogni movimento, mentre André si allaccia il mantello. Vorrebbe dirgli che lo lascia sempre solo, e saper urlare, essere dispettoso, scalciare. Ma non è da lui. Lui è un bambino che deve gestire quei due adulti strampalati, a volte gli sembra che le responsabilità delle loro vite dipendano da lui. E non si concede molto. È un piccolo adulto.

“Lo devo fare, cerca di capirlo...” Quelle sere sottratte, dopo il lavoro, nel tentativo di catturare il Cavaliere nero. Le sere in cui si appoggiano a palazzo Jarjayes per non lasciarlo solo. Perché stia con le nonne. E lo vede che Daniel si agita a cambiare riferimenti così spesso, eppure, quando sono insieme, cerca di circondarlo di tutto l’affetto, di tutta la stabilità possibile, di fargli capire che lui, Oscar, ci sono, e sono per lui. E un periodo un po’ così, per tutti. Gli pare anni fa che, giusto qualche mese prima, erano appena sposati e tutti loro erano più sereni. Lo sfuggire agli sguardi del figlio per non fargli vedere il travestimento: potrebbe parlarne, far nascere qualche sospetto. Sa benissimo che gli sta domandando troppo. Si sente di merda, ma non ha scelta. Lo adora, e non sa come farglielo capire. Eppure, non vuole viziarlo. Non vuole che il bambino perda il senso della realtà e si comporti come un tiranno. “Vorrei non facessi i capricci con la nonna, che è anziana, quando non ci sono…” la voce di nuovo ferma. È preoccupato. Daniel ha avuto delle intemperanze, ultimamente. Non va bene. Sono segni di disagio e vanno capiti, e va capito dove stia il disagio, ma gli spiace che succeda. Nanny è anziana, sembra una roccia, piccola, solida, energica, ma può essere fragile. E, al di là di tutto, certi atteggiamenti vanno anche arginati.

“Mi lasci sempre solo...”

“Daniel.” Preferisce non intervenire, di solito, in quelle fasi. È di André, non è suo, e in qualche modo questo continua a pesarle. E non vuole neppure che il bambino colleghi lui alle negazioni e lei alle concessioni, quindi cerca un equilibrio. Ma lui non ha fatto niente di male, e non può permettere che lo accusi così ingiustamente. Non avrebbe voluto parlare, ma il viso di André ha cambiato espressione, di fronte a quell’ultima frase. Uno schiaffo. Peggio.

“Papà lo fa per lavoro. Non è una cosa che vuole fare…” Lo fa per me, vorrebbe dirgli. Ma è troppo scoperto. E scatenerebbe reazioni e gelosie peggiori. Si china verso di lui. “Papà ti adora”, gli dice piano, cercando di calmarlo, mentre gli tiene le braccia. “Lo sai, vero?”

“Va bene”, conclude lui, come a fulminarli, “allora stasera puoi uscire anche senza di me.”

Uno sguardo al cielo unisce i due miserrimi, mentre si chiudono alle spalle la porta.

“Tremendi i bambini, eh?”

“Già…” ammette lui, tetro.

 

“In fondo, è il suo modo per farti capire che ti vuole bene…”

“Mi sembra il suo modo per dirmi che lo lascio solo…” è teso. Stringe nervosamente le redini. Mentre scivolano nella radura.

“Sarebbe peggio se non ti considerasse…” cerca di consolarlo. Non piace neppure a lei avergli domandato questo sacrificio. Si sente, per l’ennesima volta, un’intrusa tra loro due. Una che sbaglia ad ogni passo. Ad amare. Ad essere presente. Perfino ad essere assente.

“Devo trovare il modo di stare più tempo con lui…” annuncia, con voce funerea.

Ha domandato ad Oscar di diradare le uscite, se è possibile.

Lei gli ha promesso che queste saranno le ultime.

Gli manca, suo figlio. Gli manca coccolarlo come quando era più piccolo. Quando lo stringeva, lo sollevava in aria, e lui rideva, soddisfatto. Quando tutto sembrava su un piano più istintivo. Un abbraccio bastava. Ora non più. Si scopre a scrutarlo con nostalgia, cercando di rintracciargli sul viso tracce dei lineamenti di prima. A dover ammettere di non conoscerlo quasi. Lui e il mondo che vive e anima.

“Questo è vero…” ammette lei.

“Ma… attenzione…” ha abbassato improvvisamente la voce.

“…” Si gira verso di lei.

“Attento, André!!!”

 


 

[1] Brano aggiunto l’11-11-06.

[2] Trascr. 5-11-06 da appunto precedente.

[3] 16-11-12.

[4] Merci bien alla somma Ale.

Laura, primavera 2006-primavera 2007, revisione settembre-ottobre 2012, estate 2013 pubblicazione sul sito Little Corner novembre 2013

Vietati la pubblicazione e l'uso senza il consenso dell'autore

 

 

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