Christine

Parte I

 

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Nota: Un'altra storia impossibile… Tranquilli!!! ^_^;;; L'idea l'ho avuta a Macerata, un pomeriggio del maggio 2000, mentre, camminando lungo le mura, andavo a fare spesa. Ho immaginato subito la I scena. Poi, subito di seguito, una successiva. Un pomeriggio, a luglio, ho cominciato a trascriverle e a lavorarci, come è mio solito, per intervalla insaniae.

maggio 1780

André fissava il vuoto, sotto la pioggia battente che cadeva senza posa ed aveva oscurato tutto. Fissava il vuoto e piangeva. Piangeva disperato e muto, seduto, quasi abbandonato, su un muretto in pietra. Oscar era accanto a lui, una mano sulla sua spalla, lo guardava senza sapere cosa dire, una pena infinita che la opprimeva. Una angoscia fatta di mille cose: della consapevolezza del dolore di André, della sua disperazione; dello stordimento e dell'incredulità che, sempre, colpiscono di fronte alla morte di una persona giovane - una morte che non si aspetta mai -; del proprio dolore, per tutto quello che era accaduto.

Lo scosse leggermente, il mantello buttato sulle spalle: "Vieni via…" Non sapeva cosa dirgli. Sentiva la propria voce incrinata.

Lui non rispose. Lo guardò. Le lacrime che gli rigavano il viso in un pianto silenzioso; il volto teso, pallido; gli occhi tristi, quasi grigi dei colori di quel temporale.

Attorno alla tomba non c'era più nessuno. Solo loro due. E la pioggia, che rendeva molle il terreno e pesante l'erba.

C'erano ancora tante cose da sistemare. Avrebbero dovuto affrontarle, nei giorni successivi. Ma, adesso, André non sembrava in grado… era perso… annientato.

Oscar non sapeva come comportarsi. Quello che avrebbe voluto fare, abbracciarlo, consolarlo… no… non era possibile… L'unica cosa era rimanergli accanto, non lasciarlo solo… In fondo… fin dal principio, era stata colpa sua.

marzo 1777

Perché André era innamorato di lei. Ma lei, in un discorso pazzo e sciocco, gli aveva detto, tristemente, quasi crogiolandosi in quella tristezza, di essere solo una finzione… E aveva insistito, spiegandogli, a tratti, la voce spenta, mentre, le mani gelate, il cuore in subbuglio, la sua mente percepiva tutto estremamente alterato, che, forse, quella Oscar non esisteva… che lei non era come la vedeva lui. Che lei non era niente… Invece, nel suo cuore, Oscar sapeva che lui aveva ragione. Che lei era esattamente come lui la percepiva. Sapeva che sarebbe bastato spiegargli le proprie paure, i propri timori… superare l'incomunicabilità in cui, in quegli anni, si era chiusa… semplicemente, dirgli che anche lei gli voleva bene e che, forse, aveva bisogno soltanto di un po' di tempo per abituarsi all'idea.

Invece, anche se il cuore le diceva esattamente questo, quelle parole non le pronunciò mai. Non ne fu capace. Non fu capace di ammettere una cosa così semplice. Sapeva di sbagliare. Sapeva di fargli terribilmente male. Sapeva - anche - di stare perdendolo. E non riuscì a fare niente. Lo ascoltò, in quell'ultimo pomeriggio, parlarle di loro, la voce bellissima, chiara. Lo guardò guardare lontano, oltre quello che lei riusciva a vedere. Per l'ultima volta, gli stette incredibilmente vicino. Come era stato per anni e come, da allora in poi, non sarebbe più stato a lungo. Infine, lo perse.

Perché lui, innamorato, distrutto, sentiva di dover chiudere quell'amore impossibile nel suo cuore per smettere di farsi del male. Sentiva che, se il suo rapporto con Oscar non era destinato a crescere, era meglio fermarlo, prima che lo annientasse. Così, da quel giorno, lui cercò di sopravvivere, superando quella pena.

Quando Oscar si allontanò da lui, quella sera, provava un dolore sordo, da impazzire. E, per anni, si sarebbe odiata, pregando che le fosse concesso un modo di riparare. Pianse a lungo, chiusa nella sua stanza. Lo vide, più tardi, alla luce che sprigionava dal camino acceso, seduto, perso, un'espressione dura sul viso giovane. Avrebbe voluto avvicinarsi, dirgli le cose che pensava realmente… sapeva già di sbagliare… eppure, di nuovo, non ne fu capace.

Non fu facile per Oscar, assistere a questo cambiamento. Era abituata ad avere intorno un André festoso, gioviale, mentre quello che si ritrovava ora era un'ombra. Come spento. Almeno nei suoi confronti. Sembrava che le cose non sarebbero più potute tornare come erano state. Lui aveva eretto come un muro, attraverso il quale Oscar percepiva, a sprazzi, il vecchio André, ma che, invece, serviva a tenerla a distanza: lei stessa, imbarazzata dalla situazione, non sapeva assolutamente come comportarsi. Aveva anche odiato André. In alcuni momenti, rabbiosa, si era chiesta perché lui non avesse aspettato ancora un po', perché avesse rovinato tutto. Ma, in realtà, sapeva benissimo che la colpa era la sua.

A mano a mano, la situazione si era normalizzata. Oscar ne era stata sollevata, ma si rendeva conto che la sua incapacità di comunicare l'avrebbe rovinata, se non avesse trovato il modo di superarla. "Se André mi darà un'altra occasione…", si era detta… Invece, André cercò di non accennare più all'argomento. Oscar sperò fosse una questione di tempo. Invece, il tempo passava, lei era sempre più sola, André sempre più lontano. Terminato il servizio, raramente restava con lei. A meno che lei non glielo domandasse. E, anche quando erano insieme, ormai era diverso. Qualcosa si era spezzato. "Bisogna sopravvivere…", le aveva detto, una volta, in un raro accenno a quello che era accaduto tra di loro. E Oscar non l'aveva più dimenticato.

Il tempo era passato.

André cavalcava contro voglia tra le case di Versailles. Oscar era a Corte, ma il generale aveva preferito spedirlo a Versailles, dal libraio che era solito rifornire i Jarjayes, con una lista di volumi da ordinare. Una mattina come le altre. Un incarico poco entusiasmante… i librai di Parigi erano molto meglio forniti e solo un uomo di gusti sorpassati come il padre di Oscar poteva apprezzare i "classici", in pregiate edizioni decorate, con fregi dorati, di quel negoziante… D'altra parte, a Versailles erano i nobili i maggiori acquirenti di libri… che, poi, li leggessero anche, questa era tutt'altra questione. Aprì la porta.

"Buongiorno…" Si avvicinò Di fronte a lui, al banco, una ragazza che non aveva visto mai lì, prima, si stava alzando in piedi nella penombra lacerata dal pulviscolo della luce.

"Ditemi, signore…"

André rimase in silenzio, completamente assente. La osservava in modo stupito, quasi fosse sorpreso di scoprire qualcosa di strano. Quella ragazza… somigliava a Oscar. Gli ricordava Oscar. In qualcosa di indefinibile. No, non era possibile… Come potesse una perfetta estranea somigliarle… Eppure…

"Signore?", lo apostrofò, di nuovo, mentre lui si rendeva conto di essere rimasto in contemplazione un po' troppo a lungo.

"Oh, scusatemi…", fece André, cercando di scuotere quella sensazione di stordimento che l'aveva avvolto. "Ho qui una lista di volumi da ordinare per i Jarjayes…", disse, porgendole il foglietto che aveva in tasca, mentre continuava ad osservarla insistentemente, nel tentativo di capire cosa in lei gli ricordasse Oscar.

"Sì… il Generale li ha ordinati qualche giorno fa… Aspettate…" e scomparve nel retro, i capelli lunghi, castano chiaro, che ondeggiavano ad ogni suo movimento, mentre André non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, tanto era la incredibile versione femminile di Oscar.

Tornò dopo qualche istante con due volumi.

"Allora, sono arrivati solo questi", disse, sedendosi e spuntando dall'elenco, che le aveva consegnato André, due titoli, il Loysel e la Raccolta degli Editti reali…". Sorrise, con aria complice: "Ma veramente qualcuno li legge?"

André sorrise divertito. Quella ragazza aveva qualcosa che non si sarebbe saputo spiegare. Qualcosa che, in Oscar, faticava ad affiorare anche dopo anni di amicizia… "No, vedete… a parte il fatto che sono utili a riempire gli scaffali", scherzò, "possono servire come fonti, nel caso di rapporti… durante le missioni. Diciamo che sono di consultazione…", concluse.

"Ah", fece la ragazza, con l'aria di non averci capito molto se non che l'argomento non era interessante. "E li usate anche voi?"

"Capita… non sono le mie letture preferite…", scherzò lui.

"E quali sono, invece?", fece lei, femminilissima.

André sollevò le sopracciglia. Bella domanda… "Letteratura classica… il mio preferito è Orazio, ma anche Platone… filosofia, filosofia politica… le lettere sulla tolleranza di Locke, direi, ma anche Rousseau…", fece lui, cercando di dare un'idea riassuntiva delle sue letture… in effetti, non era facile catalogarle…

Lei rimase perplessa. "Però! Lettore accanito!", considerò. "E come mai non vi si vede tanto spesso qui?"

Tasto dolente… come dire a una ragazza così graziosa, così simpatica, che i libri di quel negozio erano quanto di più abominevole un lettore dotato di discernimento potesse desiderare? Erano quasi illeggibili… Il fatto era che quello era un negozio per nobili e, a parte il generale, che, in effetti, teneva quei testi per consultazione, la maggior parte dei nobili i libri li acquistava solo per metterli su polverosi scaffali, affinché non restassero vuoti e regalassero loro una parvenza di cultura… Insomma, il generale e i suoi criteri di educazione non erano la norma, a Versailles… In questo senso, lui era stato fortunato. Ma bisognava trovare una scusa…

"Perché non sapevo ci foste voi", si riprese, all'ultimo momento, pentendosi, però, subito di quello che aveva detto e pensando, per un attimo, con un leggero senso di colpa, ad Oscar.

Lei cercò di sdrammatizzare: "In effetti, mi chiedo spesso se quelli che comprano questi libri li leggano…" Lo guardò dal basso in alto. "Vi confesso che io non li reggo… Ci ho provato, ma non ci riesco…", scosse la testa, sconsolata. "Non avrei dovuto domandarvelo… Comunque", aggiunse, "neanch'io avevo mai avuto un cliente come voi, prima d'ora…", fece, di rimando, la ragazza.

"In… in effetti è stata una sorpresa… di solito c'è un signore… Ma non mi avete detto cosa leggete voi…", cercò di tirarsi fuori d'impiccio André.

"A me… beh… la mia preferita forse non la conoscete… è una poetessa italiana, Gaspara Stampa…"

"Arsi, piansi, cantai; piango ardo e canto; piangerò, arderò, canterò sempre…"[1], citò, in italiano, André.

La ragazza rimase senza parole.

"Non fateci caso, quando mi costringevano a studiarli non li apprezzavo…", cercò di sdrammatizzare lui. "Sono cose che ho capito più tardi…"

"Cosa fate?", domandò, alzandosi. "Intendevo… qual è il vostro lavoro?"

"Lavoro dalla famiglia Jarjayes. Sono l'attendente… di Oscar… il… figlio del generale", spiegò lui con un po' di imbarazzo. Non era abituato a parlare di sé o di Oscar e, francamente, era la prima volta da anni che gli capitava di instaurare una comunicazione così, a breve…

"Ah…"

"Ad essere sinceri", continuò André, stranamente loquace, "sono una specie di rifugiato…", sorrise, "perché, in realtà, mia nonna è la loro governante e, così, quando sono rimasto solo, mi hanno preso con loro. E siccome Oscar aveva un anno meno di me, siamo cresciuti insieme…"

"Ah…", fece, di nuovo, la ragazza, che, in tutta la situazione, trovava abbastanza strano che lui continuasse ad accennare a questo Oscar…

"Beh, scusatemi… temo di avervi annoiato…", si schernì André, sentendosi vagamente ridicolo e traditore, nei confronti di Oscar.

La ragazza sorrise: "No… anzi… capita così di rado che qualcuno parli, in questo mortorio!" Sorrise, guardandolo negli occhi. Aveva occhi da gatta, ecco in cosa somigliava ad Oscar. "Non sapete quanto ne sono felice! Anche perché", continuò, "non è che siano molti gli acquirenti di libri, qui, a Versailles…"

"Beh, in effetti, il Generale, a differenza di molti nobili, tiene molto alla cultura… anche troppo! Sapeste quante volte Oscar ed io saremmo scappati volentieri dai precettori!!!", ridacchiò lui.

"Io li avevo in casa i libri. Senza nessuna possibilità di fuga…", osservò sconsolata, la ragazza. André, all'osservazione, sorrise. "Ed ero sola… né fratelli, né sorelle… brutta situazione, no?"

"Infatti." Convenne André. Si riscosse. Meglio la fuga, considerò. "Ora, però, scusatemi… Devo andare."

"La prossima consegna di libri è prevista per la settimana prossima. Forse ci saranno quelli che vi interessano", gli ricordò.

"Vi ringrazio", fece André, gli occhi sorridenti, nel raggio di luce che la porta semiaperta lasciava filtrare. E fece per andarsene.

"Alla prossima settimana, allora!", lo salutò la ragazza, con uno sguardo fiducioso.

"Va… va bene", fece lui, che non era abituato a tanta loquacità in una estranea.

La ragazza lo guardò chiudere la porta dietro di sé.

Tornò spesso André in quel negozio. E le conversazioni con Christine si fecero sempre più frequenti. La ragazza sapeva metterlo a proprio agio. Con lei riusciva a parlare facilmente, a stabilire una comunicazione come, fino ad allora, era accaduto soltanto con Oscar. Oscar, era stata, fino a poco tempo prima, il suo unico oggetto di interesse. Adesso, invece, si ritrovava a sorprendersi – ed osservava la cosa con una certa tristezza – del fatto che avrebbe potuto prendere le distanze dalla sua situazione con Oscar. Se solo avesse voluto. Tutto stava a lasciarsi coinvolgere un po’ più di quanto non si fosse concesso fino ad allora… negli anni precedenti, in fondo, non aveva mai valutato la possibilità di interessarsi ad un’altra persona perché, fedele di natura, era preso soltanto da Oscar. Ma ormai le cose erano cambiate. Non valutò che Oscar potesse aver tenuto quell’atteggiamento per paura. Valutò che Oscar aveva deciso di fermare una determinata situazione e che stava a lui prenderne atto. Non si trattava di interessarsi intenzionalmente di una persona, no… si trattava di cercare di non pensare ad Oscar, di tenere la mente impegnata…

Quando si accorse di essersi aperto con Christine molto più di quanto non gli fosse accaduto neppure con Oscar, André visse sentimenti contrastanti. Una sensazione appagante di sorpresa, di stupore, come di fronte ad una situazione nuova, che sta nascendo. Unita allo smarrimento, allo sgomento di dover fare i conti con la figura di Oscar, fino a poco tempo prima costantemente presente nei suoi pensieri (il primo, al risveglio – l’ultimo, la notte), che, a mano a mano, si andava facendo sempre più lontana, fino ad essere divenuta evanescente. Era bello e triste, insieme. Si sentiva nuovo, come rinato, per alcuni versi, mentre per altri gli pareva come di aver perso una parte importante di sé. Oscar non era più la ragazza di cui era innamorato, la sua migliore amica. Oscar, ormai, era la ragazza di cui era stato innamorato, la sua vecchia amica. Continuava a volerle bene, un gran bene. Ma si era imposto di non concedersi altro. Non volle vedere le nuove fragilità di quella Oscar ferita dalla propria incapacità di comunicare.

 

 

Continua...

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[1] STAMPA G., "Piango, ardo e canto", in CERIELLO G. (a cura di), Rime, Milano, Rizzoli, 1979, p. 97.