BK's Night

 Parte IX

 

Warning!!! The author is aware and has agreed to this fanfic being posted on this site. So, before downloading this file, remember public use or posting it on other's sites is not allowed, least of all without permission! Just think of the hard work authors and webmasters do, and, please, for common courtesy and respect towards them, remember not to steal from them.

L'autore è consapevole ed ha acconsentito a che la propria fanfic fosse pubblicata su questo sito. Dunque, prima di scaricare questi file, ricordate che non è consentito né il loro uso pubblico, né pubblicarli su di un altro sito, tanto più senza permesso! Pensate al lavoro che gli autori ed i webmaster fanno e, quindi, per cortesia e rispetto verso di loro, non rubate.

André, invece, aveva problemi d’altro tipo. Già quella prima mattina, mentre si lavava, alzando lo sguardo verso lo specchio, il viso bagnato, l’acqua che gli colava giù dalle mani, non aveva incontrato la propria immagine riflessa, ma il buio. Si era sentito perduto, gelare. La paura.

“Oscar! Oscar!” aveva urlato, istintivamente, facendo qualche passo indietro e rovesciandola brocca dell’acqua.

Oscar era accorsa immediatamente.

“Che cosa ti succede?”

Lo aveva trovato in terra. Spaventata, gli aveva cinto le spalle, come a proteggerlo, accarezzandole, come si sarebbe fatto con un bambino.

L’arrivo di Oscar, la sua voce, il suo calore lo avevano riportato indietro da quel vortice di terrore. Era rimasto per qualche istante così, addossato contro di lei, cercando di calmarsi, mentre la vista lentamente tornava.

“Niente, sto bene…” doveva cercare di tranquillizzarla. “Mi girava un po’ la testa… devo aver perso l’equilibrio.”

Oscar, rassicurata solo perché non chiedeva altro che d’esserlo, lo aveva aiutato ad alzarsi.

“Chiedo altra acqua”, aveva detto, allontanandosi, mentre André fissava se stesso, pallido, smarrito, allo specchio, cercando di dimenticare quelle sensazioni, pensando che era stato solo un caso… solo un caso…

Nei giorni successivi, altre crisi, meno gravi, erano andate e venute, mettendolo di fronte alla prospettiva di quella realtà che sentiva inaccettabile, estranea, impossibile… e invece era lì. E lui cercava disperatamente di nasconderla, e Oscar, incredibilmente, non si accorgeva di niente. Eppure, i segni ci sarebbero stati, a volerli notare. A volte, lui, incerto, fissava a lungo uno scritto prima di riuscire a metterlo a fuoco; altre volte, smarrito, doveva attendere per riuscire ad individuare dov’era, chi aveva di fronte; camminava molto più eretto, come per prestare attenzione ad ogni altro tipo di senso che non fosse la vista, spesso portava le mani davanti a sé, come a guidarlo; senza contare quei mal di testa sempre più frequenti. Ma Oscar non voleva vederlo. E lui quasi si scusava, dicendo di essere un po’ stanco. E, invece, avrebbe voluto urlare, di notte, per la paura, ma taceva e si stringeva ancora di più a lei, forse rabbioso per quella solitudine in cui era costretto ad affrontare quel male, quella paura incontrollabile, quella disperazione, forse sollevato dal poterglielo ancora nascondere- perché, una volta che lei l’avesse saputo, sarebbe stato inevitabile che le cose sarebbero cambiate, che lui avrebbe dovuto lasciare, se non subito, in seguito, il suo lavoro – e lui non voleva, non voleva lasciarla, nemmeno per un attimo, era come una droga, ma non riusciva assolutamente ad accettare di allontanarsi da lei. Anche se lei a volte non lo considerava o scherzava su di lui. Ma lui sapeva che quello era il suo modo di volergli bene e l’accettava, ne viveva, non voleva altro.

Oscar, d’altro canto, era felice. Presa tra i vari incarichi, era sicura di poterlo trovare accanto a sé, finalmente, la sera, tutto per sé, perché, invece, durante il giorno, faticava enormemente per non far notare il modo in cui lo guardava, l’apprensione con cui seguiva i suoi passi, quando lui si allontanava per sbrigare qualche faccenda. Si sentiva nuova, diversa, più forte… eppure, non era successo molto… e, nonostante questo, la vita di prima le sembrava lontana secoli, la Oscar di prima, la Oscar senza André – senza l’amore per André e l’amore di André -, le pareva incompleta, una negazione di sé. Quella nuova forza la stava aiutando a prendere consapevolezza di molte situazioni.

Era ormai giunto il momento di tornare a casa. Quella mattina, Oscar e André si stavano allenando, in attesa di partire per l’ultimo sopralluogo. Li interruppe Girodel.

“Colonnello!!!” Teneva un foglio tra le mani.

Si voltarono entrambi. Oscar avanzò di qualche passo. Gli fece cenno di parlare.

”E’ arrivato un dispaccio dal Comando.” André lanciò un’occhiata rapida ad Oscar. “La missione in parte prosegue. Solo i più alti ufficiali seguiranno ancora per qualche giorno l’evolversi della situazione. Tutto il resto dei soldati deve rientrare.” Vide, con intima soddisfazione, André serrare le labbra. “Sta arrivando qui il generale Bouillé per fare il punto delle indagini sui rivoltosi.”

Oscar abbassò lo sguardo. E lui che era arrivato lì proprio per stare con lei, considerò… Freddamente rispose “Bene, date ordini in proposito”, poi, mentre il cuore le si stringeva, si chinò a riporre le armi. “Devi andare anche tu”, disse piano, gli occhi lucidi, la voce incrinata.

Lui rimase in silenzio. No, era la prima risposta che gli era venuta in mente, ma era troppo riflessivo, per lasciarsela sfuggire.

“Anche se non sono un soldato?” provò ad obiettare. “No, io resto qui con te…” Era in fondo una sciocchezza, avrebbe rivisto Oscar dopo pochi giorni, eppure non voleva lasciarla ora, sentiva un fortissimo senso di perdita.

“Il problema è che si tratta di un incontro ufficiale e ristretto… non posso lasciarti rimanere neppure come attendente…” Insistendo le rendeva tutto più penoso. Nemmeno lei aveva voglia di lasciarlo andare.

Già, Oscar, gli ordini non si discutono mai, considerò André… ma la nostra vita? S’inginocchiò accanto a lei, prendendole delicatamente le spade dalle mani per riporle lui. Intravide gli occhi lucidi di lei. Ma non disse niente. Non si avvicinò, come altre volte, al suo dolore dimenticando il proprio. In quel momento, ognuno chiuso nella propria tristezza, erano distanti secoli.

Il resto della giornata trascorse come le altre, tra riunioni operative e sopralluoghi. André molto rattristato, soprattutto molto deluso nei confronti di Oscar e arrabbiato con se stesso. Certo, era una missione e lui non poteva mettersi a fare i capricci, ma se solo Oscar avesse voluto, sapeva che sarebbe bastata una sua parola per risolvere quella stupida questione. Oscar, invece, preoccupata che André ci fosse rimasto male e che non capisse la sua posizione. Non le andava di sembrare l’unico ufficiale sotto tutela, munita di assistente tutto-fare (veramente, tutto-fare, si era trovata a sorridere tra sé), anche se non voleva che partisse. Senza, poi, neppure essersene resa conto, aveva fatto in modo di non lasciare che lui le togliesse la sua libertà, il suo spazio. Inconsciamente, ora lo percepiva come soffocante, lo sentiva quasi come un peso addosso a sé, in alcuni momenti, e diventava rabbiosa nei suoi confronti, anche se non l’avrebbe mai ammesso con se stessa. Comunque, André si sforzò di non parlare più della cosa, un po’ per la sua dignità assolutamente calpestata, considerò, ridendo di sé, un po’ perché sperava che Oscar avrebbe cambiato idea all’ultimo momento, un po’ perché era chiarissimo che non erano loro a decidere delle loro vite e questo era bene non dimenticarlo. Si sentiva soltanto molto stanco e molto triste, con un enorme peso ad opprimerlo. Avrebbe voluto chiudere gli occhi e diventare insensibile, non dover pensare più a nulla. Si rendeva conto che Oscar, in alcuni momenti, gli si avvicinava e lo coccolava, ma gli pareva che fosse soltanto perché temeva di essere stata troppo dura. Diventava rabbioso, allora, non voleva essere trattato in quel modo, quasi infantile, quasi scoperto, ma quando incrociava il suo sguardo limpido, quando sentiva la sua voce dolce, il cuore gli diceva che non aveva senso provare ostilità verso di lei, lei che era tutto, troppo, per lui. Che quell’amore era troppo antico per smarrirlo in quelle piccole stupide dispute di una coppia come tante. E, allora, un sentimento di dolcezza lo pervadeva, riscaldandolo, ma la tristezza restava, opprimente e nera.

E anche quella giornata, l’ultima, si avviò alla conclusione. Apparentemente come le altre. E, in camera, il tempo gli sembrò interminabile mentre, seduto sul letto, aspettava che Oscar finisse di prepararsi per la cena, la mente persa in mille discorsi che non avrebbe fatto, perché era inutile, non c’era altro da dire, se non la sua delusione e anche quella, forse, era meglio dimenticarla e non rovinarsi l’ultima serata insieme prima della partenza. Un’altra partenza. Avrebbe voluto poter almeno avere il sollievo di piangere. Niente. Doveva restare lì impassibile e accettare tutto. In fondo, le cose non andavano poi male. Era soltanto lui, si disse, ad essere mostruosamente egoista, a pretendere Oscar tutta per sé. Già, forse era quello il punto. Non doveva starle troppo addosso, farla sentire soffocata. Doveva saper continuare a viverle accanto con discrezione, senza farle pesare la loro unione, anche se è difficile soffocare l’entusiasmo dell’inizio di un amore, dei primi incontri, dei momenti in cui la disillusione non ha ancora posto e tutto è ancora una scoperta, un sorprendersi di tanti, piccoli, particolari. Sorrise. Che tristezza e che gioia, insieme… Sono proprio complicato, si disse…

“André… ehi!” Lo richiamò la voce di Oscar. Sembrava arrivare da lontano. Lo riscosse da quei pensieri, che, di fronte a lei, gli parvero insulsi. Solo lei contava. La guardò. Bella. Bella come forse soltanto a lui che l’amava da tanto poteva parere – che inganno, sapeva che sarebbe parsa meravigliosa anche ad altri, se solo si fosse lasciata guardare, incuriosendo gli uomini con una veste, un atteggiamento diverso…- Sospirò. A lui non era servito l’inganno degli abiti. Lui si era innamorato di Oscar così com’era. Esattamente per quello che era. E Oscar era anche rude, a volte, e malinconica e dolce.

L’abbracciò, quasi triste.

“Ti amo”, le disse, stringendola forte. E la serrò ancora più a sé quando, riaprendo gli occhi, trovò di nuovo il buio, e allora affondò il viso nei suoi capelli, sperando che passasse presto e lei non ne accorgesse.

Poi, lentamente, lei si sciolse da quell’abbraccio che le pareva soffocante e che, in seguito, le sarebbe mancato.

Più tardi, quella sera, in mensa, Girodel, con soddisfazione malcelata e voce tagliente, gli si rivolse:

“Allora, André, domani riparti anche tu…”

Perché, perché doveva fare in modo di ferirlo così? E lui, poi, cosa poteva rispondere? Sì, no, giustificarsi, dare una spiegazione? A che sarebbe servito, quando quella provocazione, così fine a se stessa, in fondo, era andata perfettamente a segno nel farlo sentire ancora più solo…

“Non ho ancora deciso…” Cercò Oscar con lo sguardo - uno sguardo mite, pieno di inutili speranze -, ma sembrava distratta.

“Non c’è niente da decidere”, Girodel pareva non aspettare altro per rincarare la dose. “Devi solo obbedire.”

André si domandò come potesse essere tanto acido. Forse godeva a vederlo così smarrito.

“Vi ricordo che io sono un attendente, non un militare, e come tale rispondo solo ad Oscar.” Aveva parlato solo per farlo tacere. Sapeva che la realtà non si poteva cambiare, al di là del fatto che Girodel la vivesse come una misera vittoria e lui come una cocente sconfitta- ma non era così: non si trattava di trascinare Oscar dall’una o dall’altra parte-, voleva almeno che lui la smettesse di tormentarlo… Oscar, perché non dici niente?

La mano di Oscar sulla sua. Trasalì. Così, davanti a tutti! La sua voce, triste e pacata.

“Mi dispiace che non siamo riusciti a vederci quasi per niente…” Gli strinse la mano, lasciandolo sorpreso, ma con addosso la stessa tristezza, mentre Victor guardava il suo comandante con un misto di sconcerto e disgusto.

 

Fecero l’amore, quella notte. André scacciò nella passione il pensiero che Oscar avesse voluto farlo solo per addolcirgli il suo rifiuto di lasciarlo restare, Oscar, dal canto suo, si chiese per un attimo se lui non la volesse così, per una rivincita, ma poi i dubbi si persero nel desiderio, nei corpi, nelle parole che prima ricacciarono indietro, con rabbia, poi si sussurrarono con affetto e tenerezza, senza riuscire a smettere di abbracciarsi.

“Noi siamo speciali” le disse, piano, lui, quasi imbarazzato da quella confessione, avvolto nell’oscurità, circondandola nel suo abbraccio, quando pensava che lei si fosse abbandonata al sonno.

No, avrebbe voluto rispondergli lei, siamo come tutti gli altri. Una tristezza infinita s’impadronì di lei, senza lasciarle scampo. Avrebbe voluto abbandonarsi al pianto, ma era stanca, confusa, disillusa. Non ti illudere, avrebbe voluto dirgli… Forse, alla fine, più liberi di altri, nonostante tutto… almeno noi possiamo scegliere… Eppure, la dolcezza di quelle parole avrebbe continuato ad accompagnarla a lungo, risuonando nella sua mente, nei suoi ricordi, esattamente con la voce di lui, e riscaldandole il cuore. Poi, il sonno la vinse.

 

Fu un abbraccio lungo, quello che li unì, nella loro stanza, il mattino dopo. André continuava a non volerla lasciar andare, a tenerla stretta. Ma si era fatto tardi, lo sapevano entrambi. Oscar lo guardò salire a cavallo, avvolto nel pesante mantello, un’occhiata al cielo grigio, sperando che il tempo reggesse, almeno finché lui non fosse arrivato. L’inverno sembra non finire mai, quest’anno… Lo accompagnò a cavallo per un tratto, poi si abbracciarono ancora, il saluto definitivo. E lo osservò farsi sempre più piccolo, voltandosi un paio di volte ancora, agitando la mano per salutarla. Rimase lì a lungo, cercando di calmarsi. Avrebbe voluto raggiungerlo, per abbracciarlo ancora. Ma non lo fece. Ringraziò il cielo di averlo accompagnato per un tratto, così da avere modo di non presentarsi stravolta alla riunione. E, in effetti, Girodel la vide arrivare stranamente fredda, come assente.

 

Fu un viaggio lungo, per André, immerso nei suoi pensieri. Ferito, rattristato dal fatto che Oscar non gli avesse concesso di restare, non ammetteva però neppure con se stesso di esserne rimasto colpito. Era una situazione eccezionale, si costrinse a pensare, senza la quale le cose sarebbero andate come al solito. E, però, quando la vista gli si oscurò di nuovo, durante il cammino, quando ebbe paura di rimanere lì, solo, senza possibilità di aiuto, allora detestò Oscar per non aver compreso quanto bisogno avesse di lei, soprattutto ora… E, poi, passata la crisi, quando poté riprendere la strada, di nuovo tornò a giustificarla, lei che non poteva sapere cosa stava passando.

Arrivò a casa molto tardi. Trovò il generale, ancora in piedi, che gli chiese notizie di Oscar e che, mentre lui si allontanava, si sorprese a pensare come André avrebbe potuto essere il figlio che non aveva mai avuto, al quale affidare la carica, il casato; il figlio che, con meno problemi di Oscar, gli avrebbe sfornato altri piccoli Jarjayes coi quali rinnovare tutto, ancora ed ancora… Ma erano solo supposizioni. Si era dovuto accontentare di crescerlo ed educarlo in casa propria e in fondo doveva ringraziare il cielo che non avesse ancora combinato guai, con le cameriere o, peggio… con Oscar! Anzi, improvvisamente, quella sensazione si trasformò in sottile preoccupazione. Forse era il caso di trovargli moglie… Rientrò nelle sue stanze e tirò precipitosamente giù dal letto la moglie, convocando immediatamente il consiglio di famiglia. E solo la ragionevolezza della consorte, la sua immensa pazienza lo dissuasero dal mettere in atto l’insano proposito. L’ennesimo.

Ignaro di tutto, André, affamato ed infreddolito, mise sul fuoco l’acqua per il tè e cercò qualche avanzo. Era stanco, voleva solo mangiare qualcosa e poi dormire. Con un bicchiere di cognac per scaldarsi, raggiunse la propria stanza e si raggomitolò sotto le coperte, addormentandosi subito.

Quella stessa notte, Oscar sognò di stare facendo l’amore con Victor. Nel sogno provò una pena infinita, non si capacitava di come aveva potuto fare una cosa del genere ad André, farlo soffrire così, non pensare a lui. Nel sogno si chiese cosa potesse averla attratta nell’altro e scoprì che erano state delle piccole attenzioni, dei corteggiamenti a cui non avrebbe ceduto neppure una ragazzina. Si svegliò nel disagio più totale, cercando di ricacciare indietro quello scomodo incubo, quella parte di se stessa che non voleva conoscere, un lato oscuro che lei cercava di dominare e che non sapeva dove avrebbe potuto condurla e quanta sofferenza avrebbe causato nella persona che lei amava.

 

Furono giorni grigi, per André. Senza di Oscar, si sentiva come perso. Il generale lo aveva subito impegnato, mandandolo a seguire per lui una serie di questioni, ma terminato questo, la tristezza lo avvolse di nuovo. Chissà perché, poi, si disse. In fondo, Oscar stava lavorando – e lui anche -, non l’aveva certo deciso lei quel cambiamento di programma. Si sdraiò sul letto a leggere, ma presto la vista si stancò, le lettere si confusero, le frasi divennero incomprensibili. Si sedette, la testa tra le mani. Scese dalla nonna, che lo tenne occupato con una serie di lavoretti interminabili. Alla fine, la giornata era trascorsa e lui si sentiva vuoto. Rabbioso, forse più verso se stesso, spronò il cavallo fino a Parigi, infilandosi in una taverna, la prima che gli capitò in quel vagabondare. Voleva solo starsene un po’ tranquillo, trovare pace. E non pensare più.

 

 

Continua...

Mail to laura_chan55@hotmail.com

 

Back to the Mainpage

Back to the Fanfic's Mainpage