BK's Night
Parte VI
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Vorrei
essere il tuo dolore, per parlarti di me,
vorrei
essere il tuo risveglio dopo un sonno di tramontana
(...)
Vorrei
essere il tuo respiro, il tuo orgoglio ferito a morte,
vorrei
essere forte per non tormentarmi più.
E
tu neanche lo sai che esisto... nel tuo sguardo non mi hai previsto,
io
ti incrocio e ogni volta abbasso gli occhi e scappo via.
Mario
CASTELNUOVO, Il mago.
"Tra pochissimi giorni, dunque", considerò Oscar, buia in
volto, ancora in mano il dispaccio recatole da Victor. André strinse i pugni.
Davvero un problema dopo l'altro…
"Sì, colonnello. Non abbiamo scelta…"
Erano davanti al caminetto acceso. Oscar si versò da bere. L'ordine era
di partecipare ad una missione di un paio di settimane, in supporto ad uno dei
reggimenti usualmente impiegati in questo tipo di compiti.
Non era certo dell'umore adatto per partire sapendo di dover lasciare
André in quelle condizioni. E André, a sua volta, ruggiva di fronte
all'impossibilità di accompagnarla, come avrebbe fatto normalmente. Non poteva
non considerare come, rispetto alla vita di corte, quella missione presentasse
rischi effettivi, palpabili. Era preoccupato. Già da prima che Oscar partisse.
Prese a valutare per quanti giorni ancora sarebbe stato necessario tenere le
bende… considerò di nuovo di toglierle. Tutto, pur di non lasciare che Oscar
si esponesse a quel pericolo, andasse senza di lui. Si chiese se,
egoisticamente, non fosse solo questo il problema. Oscar non era una sprovveduta
e Girodel l'avrebbe certamente protetta, se ce ne fosse stato bisogno (e non era
detto che ce ne fosse). Già, forse, semplicemente, non riusciva ad accettare il
fatto che Oscar potesse allontanarsi da lui, potesse essere in grado di agire
senza il suo apporto. Forse era lui ad aver davvero bisogno di Oscar, ad
aggrapparsi al compito di proteggerla, per sentirsi ancora utile, per trovare
ancora un posto nella sua vita, per confermare quello che era sempre stato il
suo unico posto nella vita... Si disse, però, che, in fondo, la cosa gli pesava
particolarmente per via delle sue condizioni di salute, perché era ferito ed
immobilizzato. Come alibi poteva anche reggere, era vero… ma era altrettanto
certo che Oscar era stata cresciuta indipendente e che lui non poteva rubarle
l'aria, diventare un carceriere o, peggio, un peso morale, qualcuno a cui si
tengono nascoste le cose, per evitarne le reazioni eccessive. No, non voleva
essere questo, per lei. Però si disse che avrebbe comunque tentato di parlarle
della situazione. Se non altro, avrebbe saputo che cosa ne pensava lei… il
tono che aveva percepito nella sua voce non manifestava particolare entusiasmo.
Avevano cenato in un'atmosfera tesa, la conversazione mantenuta
stancamente solo per riguardo all'ospite, poi Victor si era congedato e loro
due, in silenzio, avevano salito le scale. Oscar aveva accompagnato André. Lui
l'aveva fatta sedere accanto a sé, sul letto. Quel momento, che nelle sere
precedenti era stato di accese schermaglie amorose, era adesso come sospeso,
denso come d'imbarazzo. Lui era rimasto in silenzio, immobile, a lungo. Avrebbe
voluto parlarle, ma aveva paura di fare il passo sbagliato. Anche Oscar taceva,
lo sguardo perso nel vuoto, la mano, come morta, fredda, dimenticata nelle sue,
calde. Avrebbe preferito interrompere quel silenzio pesante, ma non osava,
avrebbe dovuto andarsene, ma non lo desiderava. Non sapeva cosa volesse, forse
soltanto stare lì, con lui, rimanere lì, e pregava che lui non parlasse. Ma
sapeva che gliel'avrebbe detto. E solo quando qualcosa l'avesse costretto. E,
così, fece per alzarsi. Toccava a lei interrompere il gioco e provocare la
reazione.
"… Aspetta…" La voce di André le giunse incerta.
Si sedette di nuovo. "Dimmi."
"Non andare."
"Non posso evitarlo…"
"Lo so." Poi, si affrettò ad aggiungere "Scusami",
come per farsi perdonare quell'attimo di debolezza.
"Sai…" le tremava la voce. "Lo sai che non…" Non
poté finire. Oscar, che si sentiva debole, che non si sentiva pronta a
separarsi da lui neanche per pochi giorni, di fronte a quella crepa nella
maschera di André, crollò, lacrime che le rigavano le guance, singhiozzi
soffocati che le scuotevano le spalle, fino a rannicchiarsi contro di lui, che
la strinse a sé.
"Promettimi che starai attenta", le disse solo, mentre le
carezzava i capelli, perso anche lui in quella tristezza nuova.
Nei giorni precedenti la partenza, era stato difficile per André non
parlarne, come per Oscar. Era come un tarlo che lo rodeva, che conferiva ad ogni
momento trascorso insieme una sensazione di ineluttabilità, rovinandolo e, allo
stesso tempo, rendendolo più prezioso. La tranquillità che lo pervadeva,
quando era accanto a lei e riusciva a non pensare ai suoi problemi, pareva, in
quegli istanti, averlo abbandonato. Aveva paura… di perderla, di perdere la
vista e forse soprattutto questo lo terrorizzava. Gli sembrava di impazzire… i
timori che pensava di essere riuscito a razionalizzare grazie alla presenza di
Oscar, al loro amore, ora, alla prospettiva di saperla lontana, esposta al
pericolo, e di rimanere solo senza quello che era stato il suo appoggio più
forte in quei giorni di malattia, s'impadronivano di lui… avrebbe voluto
poterle confidare quello che provava. Quella sera, dopo essersi coperti di baci
e di carezze sempre più ardite, mentre erano abbracciati, avrebbe desiderato
che le sue difese franassero per trovare, finalmente, il coraggio di parlarle,
di sfogarsi, di dare un nome a quell'angoscia che lo invadeva, fino a
paralizzarlo, al timore di diventare cieco, alla paura di affrontare la cecità
e di perdere lei, lei che era la cosa più importante di tutta la sua vita,
l'unica che contasse davvero… Mentre nella sua mente si andava componendo un
discorso che sapeva sarebbe rimasto muto, l'aveva serrata sempre più a sé, il
viso affondato nei suoi capelli.
"Oscar, io…"
La stretta della sua mano le aveva comunicato un fascio di sensazioni.
Era stata una stretta quasi febbrile, diversa da quelle con cui lui usava
rassicurarla. Stavolta era lui ad aver bisogno di conforto ed Oscar lo aveva
compreso dal respiro affrettato, dai gesti nervosi e più intensi. Si era
voltata verso di lui, lo aveva baciato sulla fronte.
"Dimmi…" L'ansia repressa nella voce.
André se ne era accorto. E se Oscar avesse capito? Non si sentiva in
grado di affrontarla. Quel momento, il bisogno di condividere la sua
disperazione erano durati solo un attimo. Poi, l'incomunicabilità, la paura di
ferire i sentimenti, la paura di restare soli; il non saper gestire la
preoccupazione di Oscar, oltre che la propria; il timore insieme delle
conseguenze di quella confessione e quello ancora più grande di dover
fronteggiare la realtà avevano ripreso il sopravvento.
"No, niente…" aveva risposto, con voce triste.
Oscar ci era rimasta male. Si rendeva conto che qualcosa stava
accadendo… "Per favore…" Lo aveva fissato con sguardo accorato. Ma
lui non aveva potuto accorgersene.
E aveva fatto cenno di no con la testa.
"Per favore…" Aveva insistito lei.
L'aveva baciata, sperando di distrarla. E ci era riuscito. Oscar,
avvolta nel suo abbraccio, gli aveva domandato "me lo dirai, quando sarò
tornata?"
"Faremo l'amore, quando sarai tornata", era stata la risposta.
Ancora quattro ore, pensava André, stretto al corpo di Oscar, in
quell'alba livida di inverno inoltrato. Non aveva dormito tutta la notte,
aspirando l'odore della sua pelle, dei suoi capelli, memorizzando ogni
sensazione che aveva accompagnato quei lunghi istanti… Se quel momento non
fosse mai arrivato! Cosa avrebbe fatto, una volta che lei fosse partita? Avrebbe
atteso prima la fine del suo viaggio, immaginandone ogni tappa, poi il
trascorrere dei giorni ed, infine, il ritorno? Avrebbe cercato di sprofondare in
un sonno non ristoratore ma obliante, con l'aiuto dell'alcool, per trascorrere
le ore che lei avrebbe passato in viaggio, per annegare la preoccupazione che le
potesse accadere qualcosa? E come avrebbe sopportato l'attesa, ogni giorno, ogni
sera, di notizie da lei, di rassicurazioni che tutto fosse a posto? Non avrebbe
saputo dire se sentiva o no la stanchezza, se quel senso di oppressione, che lo
pervadeva e gli avvolgeva il cuore, fosse dovuto più alla tensione di quei
giorni o alla tristezza della separazione o alla paura per lei.
Quando lacrime silenziose, scivolandogli sul volto, bagnarono il viso di
Oscar, che si voltò per accarezzarlo, seppe che anche lei non dormiva.
Ogni gesto, quella mattina, segnava l'approssimarsi del momento in cui
si sarebbe dovuta allontanare da lui. Si era svegliata tra le sue braccia, ma
non era stato un risveglio sereno, accompagnato da quell'ansia sottile legata
alla separazione. Lo aveva osservato, imprimendo nella mente tutti i particolari
del suo viso, lo aveva baciato, si era stretta a lui, come a trovare nel suo
conforto la forza di andare, di andare verso il distacco. E, poi, si era dovuta
sciogliere da quell'abbraccio caldo, perché non c'era molto tempo, e quella era
stata l'anticipazione della partenza. Contando i gradini delle scale, lasciando
quasi intatta la colazione, percorrendo il breve tratto fino alla vettura, Oscar
sentiva crescere dentro di sé una tristezza indicibile, assieme ad un nodo che
le serrava la gola.
E silenzioso e teso era anche André, che ne seguiva ogni spostamento,
premuroso e rassegnato. Un'ombra rendeva malinconico e quasi duro quel viso, di
solito così solare, una sfumatura gravava la sua voce, usualmente allegra.
Volle ad ogni costo accompagnarla alla carrozza, che l'avrebbe portata a
Versailles, dove si sarebbe ricongiunta ai suoi uomini, seguito a distanza di
sicurezza dalla nonna. Mentre sistemavano il bagaglio, salì con lei. In
silenzio. Chiudendosi la portiera alle spalle.
"Le tendine sono tirate?" domandò, l'aria più innocente del
mondo, mentre le si avvicinava.
"A… aspetta…", Oscar precipitosamente, le chiuse.
"Bene", le sorrise lui, mentre la baciava e la copriva di
carezze appassionate. "Ti amo… ricorda che ti amo…" le disse,
mentre la voce cominciava a tremare.
"Anche io…"
Si staccò da lei. "Stai bene", le disse, accarezzandole i
capelli ed il viso, "e sii prudente… Manda notizie", aggiunse,
mentre apriva la portiera allontanandosi.
"André", lo richiamò Oscar. "Quando ci incontreremo di
nuovo, ti avranno tolto le bende", gli sorrise, la voce piena di fiducia.
Seduta nella carrozza che seguiva il convoglio militare, Oscar, dal
finestrino, osservava quella sera di luna rossa in un cielo plumbeo, pesante per
la nebbia. Attorno a sé le voci dei soldati, i rumori attutiti degli zoccoli
dei cavalli e delle ruote dei carri sul selciato coperto di paglia. Ormai erano
quasi arrivati, poteva vedere le porte del villaggio. Non aveva avuto voglia di
viaggiare a cavallo, stavolta, non era abituata, senza André e, comunque, le
pareva quasi un tradimento nei suoi confronti: se doveva stare lontana da lui,
almeno non avrebbe fatto le stesse cose di quando erano insieme. Chissà cosa
stava facendo, in quel momento, André. Certamente non avrebbe potuto guardare
quella luna e, una volta tornata, si sarebbe certamente sentita sciocca, se gli
avesse raccontato quello che, ora, contemplandola, provava… e lo stesso, lo
sapeva, avrebbe provato l'indomani, quando le sensazioni di quella serata non
fossero rimaste che un ricordo insolito e imbarazzante. Negli anni precedenti
aveva desiderato, sentendosi pervadere di una forza strana e commovente di
fronte all'immensità di un tramonto, allo scorrere dell'acqua limpida in mille
increspature, alle foglie farsi rosso fuoco in autunno, alle emozioni date dalla
musica o dallo stormire del vento, di poter avere accanto la persona che amava,
in quegli istanti, che le erano sembrati eterni. Si diceva, allora, che tutto le
sarebbe parso più completo. Ora, per quella strana ironia che è propria della
sorte, ora che amava André, lui non poteva condividere quegli stessi momenti e
lei non poteva non sentire la mancanza della sua presenza.
Eppure, quella stessa notte, mentre nelle stanze a lei riservate, Oscar,
riscaldandosi davanti al camino, scriveva righe dolci e appassionate ad André,
lui, avvolto nel vento freddo, seduto sui gradini della fontana di palazzo
Jarjayes, osservava quella stessa luna, le bende dimenticate in una mano. Si era
concesso quei pochi attimi, prima di rimetterle, dopo la medicazione. Voleva
condividere quello stesso cielo con Oscar. "Sono con te, amore mio",
sussurrò. Era ancora inverno… chissà se Oscar era arrivata… se stava
bene… Avrebbe voluto raggiungerla, ma non poteva… non poteva… doveva
curarsi. Il prezzo per essere corso a salvarla, allora, era non poterla seguire,
ora. "Dove sei, mia Oscar…" Si strinse nel mantello. Chissà cosa
stava facendo, se stava pensando a lui, se anche lei era sotto quello stesso
cielo, in quella notte scura, che, in certi momenti, sembrava non finire mai.
"Ogni sera", disse piano, guardando il cielo lontano, "ti
aspetterò."
Quanti giorni sono che non vedo André, si chiese. Ci si può abituare
così facilmente all'assenza di una persona? Forse, se si sa che non è né
ineluttabile, né definitiva. Forse, se non sei solo, se hai qualcosa che ti
distrae… Oscar, lo sguardo fisso sulle fiamme del camino, un bicchiere di
cognac a scaldarla, pensava a questo, mentre Victor parlava. Stavano stilando un
rapporto sulla missione per il comando. Il tavolo era ingombro di mappe e
documenti. Ma Oscar non aveva voglia di ascoltarlo, non riusciva a concentrarsi
sulle sue parole. Dopo aver passato la giornata fuori, a cavallo, ad impartire
ordini, le pareva una violenza non potersi concedere almeno uno spazio per sé -
per i propri pensieri - neppure la sera. Voleva solo stare tranquilla, pensare a
lui, scrivergli, senza importuni colleghi a distoglierla da quel rituale. Anche
se sapeva che, poi, si sarebbe sentita sola. In realtà André le mancava, le
mancava terribilmente, ma il lavoro la costringeva a distaccarsene e si stupiva
di come, in certi momenti, quasi si dimenticasse di lui, mentre in altri si
sorprendesse ancora, felice, a pensare che lui era il suo compagno, finalmente
lo era diventato. Ma era soprattutto in quelle sere solitarie, tristi, dopo il
lavoro, che avrebbe voluto che lui fosse lì, che avrebbe voluto la sua
compagnia, la sua presenza, il suo affetto.
C'era Victor, invece. Victor che le parlava di lavoro e a cui avrebbe
piuttosto voluto chiedere di quelle dame di Versailles ammiratrici di André…
non glielo chiese. Per non apparire troppo interessata… no, innamorata… - si
domandò se si notasse. Se si notasse che aveva smesso di reprimere i propri
sentimenti. Probabile, considerò. Si rendeva conto che lui la scrutava in
maniera strana, con attenzione, forse… e si nascose che un'altra potesse
esserne la ragione che non la curiosità.
"Stavate scrivendo", si interruppe improvvisamente Victor,
gettando uno sguardo a dei fogli riempiti da inchiostro color seppia.
Oscar arrossì. "Beh, sì…"
"Se volete, domani provvedo io ad inoltrare le vostre
lettere."
"No!" Poi, addolcì il tono. "No, no, grazie, non ce n'è
bisogno… si tratta di cose… personali…" la spiegazione non richiesta,
la frase sfuggita, la fecero sentire ancora più scoperta.
"Bene, vi lascio, colonnello." Le sorrise. Un sorriso triste.
"Buona notte."
"A… domani…"
Oscar lo guardò chiudersi la porta alle spalle, mentre, con la mano,
portava davanti a sé i foglietti sparsi. Le sue lettere. Le lettere ad André.
Non le aveva spedite. Ne aveva avuto vergogna. Chissà se avrebbe trovato il
coraggio di dargliele, un giorno. E perché mai scriverle, se non per
consegnargliele? Si disse che scrivere è una cosa diversa, che, quando si
parla, non si riesce -lei non ci riusciva, perlomeno- a dire le stesse cose che
avrebbe scritto. Di fronte ad una lettera, considerò, si è come più aperti,
ma anche più vulnerabili… forse perché i momenti dedicati alle lettere
personali sono più raccolti, più intimi. Riprese a scrivere una delle lettere
interrotte. Rilesse alcune frasi, col disincanto della distanza. No, non sarebbe
riuscita a dirgli a voce le stesse cose che, nelle notti solitarie -come
sembravano distanti quei momenti-, gli aveva scritto. E ne era sorpresa.
Erano state difficili e strane, per André, quelle prime giornate senza di lei, in bilico tra la realizzazione del suo sentimento per Oscar e la solitudine e la paura. Sensazioni contrastanti lo accompagnavano, ma lo stupore di fronte a quell'amore, che gli rendeva meno pesanti la convalescenza e l'assenza di Oscar, era come spento dalla tristezza della lontananza e dall'ansia per il suo futuro. Giornate simili a come sarebbero state le altre che sarebbero seguite. Impossibilitato a trovare un diversivo, aveva cercato la compagnia della nonna, nelle cucine, come faceva da bambino, per non cedere alla tristezza, il ritmo lento delle ore scandito solo dalle medicazioni - spesso anche pensare ad Oscar non bastava -, le notti, che, ormai, diventavano insonni, i dubbi, sul se il suo fosse amore o solo abitudine, che distruggevano ogni sua illusione. L'aveva sognata, una notte. Di tornare da un lungo viaggio, un giorno, per scoprire che lei era ormai di un altro… E quel sogno gli aveva lasciato come la sensazione di una perdita, di una premonizione. Si era detto che non aveva senso, ma aveva continuato a pensarci con un senso vago di disagio, chiedendosi se il suo attaccamento ad Oscar, così ossessivo, non fosse più la paura di abituarsi a non averla più accanto a sé.
Continua...
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