BK's Night
Parte V
Warning!!! The author is aware and has agreed to this fanfic being posted on this site. So, before downloading this file, remember public use or posting it on other's sites is not allowed, least of all without permission! Just think of the hard work authors and webmasters do, and, please, for common courtesy and respect towards them, remember not to steal from them.
L'autore è consapevole ed ha acconsentito a che la propria fanfic fosse pubblicata su questo sito. Dunque, prima di scaricare questi file, ricordate che non è consentito né il loro uso pubblico, né pubblicarli su di un altro sito, tanto più senza permesso! Pensate al lavoro che gli autori ed i webmaster fanno e, quindi, per cortesia e rispetto verso di loro, non rubate.
Appassiscono piano le rose,
spuntano a grappi i frutti del melo,
le nuvole in alto van silenziose
negli strappi cobalto del cielo.
Io sdraiato sull'erba verde
fantastico piano sul mio passato
ma l'età all'improvviso disperde
quel che credevo e non sono stato.
(…)
Ma il tempo, il tempo chi me lo rende?
Chi mi dà indietro quelle stagioni
Francesco GUCCINI, Lettera
Si svegliava, la mattina, già stanca e disillusa, la testa pesante per
il troppo bere. Non trovava più un senso in quello che faceva. E vivere
provando disgusto fa male. Doveva chiudere quella situazione. Doveva trovare il
coraggio di farlo. Andare via dalla corte.
Mille volte, in quei giorni, si era ripetuta mentalmente i possibili
discorsi da fare ad André, per comunicargli quel disagio. Ma non aveva trovato
il coraggio di parlargli.
Quando, la notte, la paura per André, il timore che lui potesse perdere
la vista, che potesse accadergli qualcosa, uniti alla sensazione di inutilità
legata alla propria vita, alla consapevolezza di non potere e, insieme, di non
avere la forza di fare quel passo e scegliere, tagliare i ponti, la portavano a
bere fino a stordirsi, fino a non riuscire più a pensare, in quei momenti
avrebbe voluto avere coraggio per fare anche un altro gesto e parlargli,
raccontargli le sue paure, condividerle con lui per alleviare quel peso. Ma
resisteva a questa tentazione egoistica e non lo faceva. Si sentiva sciocca,
temeva di preoccuparlo ancora di più, perché, ora che i rapporti tra di loro
si erano chiariti, si era scoperta ansiosa, aveva capito che, quando si ama, si
vive anche il terrore di perdere le persone a cui si tiene e si vive anche la
dolcezza di volerle, in qualche modo, proteggere. Questo era diventata, Oscar…
E ogni mattina, svegliandosi sola nel proprio letto, provava vergogna e
disgusto, pensando a sé, alla propria debolezza, e pensava, invece, alla forza
interiore che stava dimostrando lui.
Bere… non beveva quando, in qualche notte rubata, si addormentava
accanto a lui, ma quando, come accadeva spesso, doveva tornare, sola, nella
propria stanza, vivendo come una sensazione di perdita, di distacco, che, poi,
annegava nell'alcool… non sopportava di doversene allontanare, non sopportava
di non poter scegliere. Ma era una follia notturna, quella, che scompariva con
l'oscurità, quando, al risveglio, la luce del giorno le restituiva la sua
consapevolezza. E le sue catene.
E, alla fine, si era risolta a farsi forza e a non parlargliene, ad
eludere di nuovo il problema. E, con tristezza, pensava a sé, alla propria
situazione, e a lui, a quello che stava passando, mentre lo osservava,
sorprendendosi ogni momento di come la stupissero i suoi tratti, di come li
trovasse cari, densi di ricordi e, insieme, nuovi.
Lo guardava, seduto sul letto, la schiena contro i cuscini, quella pelle
così bella, la linea agile del collo, le braccia. La stanza era decisamente
fredda. Dava un'impressione di abbandono. Si riscosse da quei pensieri, mentre
emergeva dalle coperte e lasciava il calore confortevole del suo corpo. Chissà
se lui immaginava cosa le passasse per la mente… E chissà che stava pensando
lui… Chissà se si accorgeva di come lo ammirava. Si chiese se lui potesse
sentire addosso a sé quegli sguardi e si domandò se, quando gli avessero tolto
le bende, non avrebbe provato vergogna, nel guardarlo apertamente. Gli strinse
la mano.
"Voglio fare l'amore con te", le disse lui, semplicemente, la
voce che risuonò, chiara, ma, in fondo, non inattesa.
"Anch'io", si sorprese a rispondere lei, provando un brivido,
mentre si copriva. Mille volte si era chiesta come sarebbe accaduto, ora tutto
pareva naturale.
"Dobbiamo prendere delle precauzioni…"
Oscar annuì, sorprendendosi a considerare che, se non fosse stato lui
ad affrontare l'argomento, lei si sarebbe trovata spiazzata, col rischio di non
parlarne, per l'ennesima volta, o di parlarne quando sarebbe stato ormai troppo
tardi. I discorsi in linea di principio, le letture fatte da ragazzi nella
biblioteca paterna sarebbero serviti a poco, senza qualcuno che si preoccupasse
di metterli in pratica… Era curiosa, impaziente, anche se un misto di paura
per le possibili conseguenze la rendeva alquanto restia a muovere lei per prima
l'argomento. Doveva cambiare, si disse per l'ennesima volta.
"Appena mi toglieranno le bende, provvederò…"
"Vado io?" Fece, inaspettatamente, lei. Se era ora di
cambiare, tanto valeva…
Un'espressione perplessa si dipinse sul volto di André.
"Dato che tu non puoi muoverti…" considerò lei,
possibilista.
"Mi farai diventare pigro…"
"André, tu sei pigro." Oscar non lasciava scampo.
André non ribatté. Che se la veda lei, pensò, mentre un sorriso
amabilmente cinico lo illuminava, di fronte ad un'attonita Oscar, che lo guardò
con altrettanto amorevole commiserazione mentre terminava di vestirsi.
“Che ne dici di fare un’incursione nelle cucine?”, la voce
allegra, mentre cercava un diversivo al discorso di prima. “Tua nonna stava
cucinando dei biscotti spettacolari! Magari sono pronti…” Lo prese per un
braccio, come faceva da bambina.
“Oscar!” Sorrise divertito. Scosse la testa. “Non cambi mai…”
“Dai, muoviti…” Lo costrinse ad alzarsi. "Vestiti", gli
disse, mentre gli passava gli abiti, "qui fa così freddo… Andiamo
davanti al camino…"
Oscar si rese conto di stupirsi di ogni cosa, di come ogni gesto, ogni
sensazione fossero nuovi. Provare l’emozione di averlo accanto. Di toccarlo
anche solo per un attimo… era davvero innamorata, stavolta, si trovò a
considerare, mentre, un braccio attorno alla sua vita, appoggiato ancora
timidamente, un altro sul braccio di lui, lo aiutava a scendere le scale.
“Attento… ancora un gradino”, gli disse, mentre, dal basso, Nanny
e sua madre li osservavano.
La governante scosse la testa, con disapprovazione. Era in imbarazzo per
quella eccessiva familiarità. “Madamigella Oscar non dovrebbe perdere il suo
tempo con André…”
“Lasciali stare”, le sorrise m.me Jarjayes senza perdere d’occhio
la scena, un'espressione indecifrabile.
Nanny squadrò in tralice la signora, che se ne accorse e scoppiò a
ridere: “Ma… ma… ma…” Evidentemente si divertiva a stupirla… ecco da
chi Oscar doveva aver ripreso il suo spirito di contraddizione.
Le batté una mano sulla spalla. “Vieni, vorranno certamente i tuoi
biscotti…” E la precedette nelle cucine.
Seduti davanti al caminetto, un vassoio di biscotti ed il tea fumante,
Oscar e André valutavano la situazione di Bernard.
“Vorrei che assistessi anche tu al prossimo colloquio.”
Lui rimase un attimo in silenzio. “Preferisco di no”, le rispose,
mentre le baciava i capelli. Era il suo modo per farsi perdonare il rifiuto.
"Ma a me potrebbero sfuggire elementi…" Poi Oscar intuì che
una possibile ragione era evitare di mettere in imbarazzo Bernard dopo il
ferimento. "Capisco." Tacque, prima pensosa, poi distratta dalla
sensazione di André che le aveva preso una mano tra le sue e se l'era portata
alle labbra. Immediatamente, però, irrigidita, forse anche per il fatto di
trovarsi nel salottino, ritrasse la mano. André sollevò leggermente il viso e
non le fu difficile immaginare che ci fosse rimasto male. Si rese conto di
poterlo aver ferito. Si diede della sciocca per le tante cautele che impiegava
per evitare di essere scoperti. Gli si sedette accanto, impulsivamente,
lasciandosi andare alle sue sensazioni, e, allora, accoccolandosi contro il suo
fianco, gli prese la mano tra le sue e appoggiò la testa sulla sua spalla.
"Ti voglio bene", gli disse, piano. Poi, quasi come a
scusarsi, "Lo so che te lo ripeto ogni volta, ma mi sembra di non dirtelo
mai abbastanza…" Aveva gli occhi lucidi. Non doveva più, mai più
accadere che lui soffrisse a causa sua.
André le strinse di più la mano.
Erano partiti Rosalie e Bernard. Erano partiti col suo assenso, anzi,
era stata lei stessa a suggerire loro quella soluzione, quando, ormai prossima
la guarigione del giovane, si era resa conto del sentimento che era nato tra lui
e la ragazza. Aveva imparato a stimare il giornalista, nel corso di quei lunghi,
prima estenuanti, poi sempre più pieni di interesse colloqui, durante i quali,
più che tentare di carpire le motivazioni dei furti, aveva cercato di ampliare
la propria ottica. E, sebbene mantenesse nei confronti di quell'uomo delle forti
riserve per il ferimento di André, era troppo razionale e obiettiva per
concedersi di odiarlo. L'odio viscerale lei non lo conosceva. Non era capace di
praticarlo, di nutrirlo e, forse, per questo era anche incapace di difendersene,
come dagli intrighi e dalla meschinità delle persone…
E, così, aveva visto Bernard portare via con sé Rosalie e quest'ultima
seguirlo senza riserve, finalmente maturata, finalmente libera da lei. Chissà,
le era venuto da pensare, se anche André, lontano da lei, avrebbe trovato una
propria dimensione, come Rosalie? Essa stessa era stata felice, con Rosalie. Le
si era affezionata subito, le aveva voluto bene. Su di lei aveva potuto
esprimere liberamente sentimenti che aveva dovuto sempre tenere repressi - o,
perlomeno, aveva sempre ritenuto di dover reprimere…- Oscar era un persona
piena di affetto, che, nel timore di non essere adeguata al proprio ruolo, aveva
preferito celare i propri sentimenti dietro una maschera di freddezza.[1]
Forse solo con André e Rosalie si era concessa la libertà di voler bene…
Una cosa che per André era stata differente. Lui non aveva represso il
proprio amore, ma l'espressione di esso. Non aveva avuto paura dei propri
sentimenti, di accettarli, semmai aveva dovuto trattenerli, come una brace
ardente sotto un letto di cenere. Eppure, in quel periodo di mutamenti, André
stesso le appariva strano. Completamente preso da lei, quando erano insieme. Lo
notava. Ma, a tratti, come assente. Mentre lei della sua presenza aveva sempre
più bisogno.
E, certamente, le attenzioni di André, le sue carezze, il suo ardore,
la rendevano più forte, più consapevole della sua bellezza. Oscar era bella,
in quel periodo. Bella e tormentata. Risplendeva, come irradiata dell'amore di
André, che la rendeva più forte, nonostante tutti i dubbi e tutti i problemi
che la assillavano.
E bella la trovò anche Hans, che, come sempre più spesso ultimamente,
era venuto a trascorrere la giornata con loro e che, dopo un po' di esercizio
con le armi, si era seduto accanto a lei, sul bordo della fontana, senza
riuscire a smettere di stupirsi di quella visione nuova, del magnetismo che
sprigionava.
André stava scostato da loro, in disparte. Ancora bendato, ruggiva in
silenzio. Da una parte, era certo dei sentimenti di Oscar, dall'altra, percepiva
nella voce di Hans qualcosa di… diverso. Un po' troppo. In altre occasioni,
avrebbe avuto modo di stare con loro, di battersi con loro e di controllare la
situazione. Era accaduto tante di quelle volte… Ora, invece…
Abbandonò la testa all'indietro, focalizzando l'udito solo sullo
stormire delle fronde, cercando di non ascoltare le loro voci. L'inverno era
mite, la primavera sarebbe arrivata presto e lui sentiva gli alberi, a mano a
mano, caricarsi di foglie giovani, che parevano irradiare freschezza, alternata
alle zone in cui il sole, filtrando, lo colpiva col proprio calore. Avvertiva
quella sensazione sulla propria pelle e l'effetto che gli faceva era di una
grande energia libera, dispersa. Lasciò che la brezza tiepida lo sfiorasse.
Percepiva il tepore del sole quasi esplodere nell'aria, diffondersi nel cielo,
tra nuvole silenziose, bianche e soffici come la neve, nel contrasto con
l'azzurro che, a guardarlo in profondità, pareva sempre più infinito. Era
innamorato, era pieno d'amore e finiva per riverberare quello stesso sentimento
su tutto ciò che lo circondava. Sarebbe rimasto ad ascoltare all'infinito la
voce di Oscar, sarebbe rimasto a guardarla per sempre.[2]
E tutto quell'amore lo riempiva come di una tristezza strana, potente, lo
commuoveva. Viaggiare… Avrebbe voluto, in quel momento, poter tornare ad Arras
e in Normandia… chissà perché solo viaggiare tornando e non conoscere
altri luoghi… nostalgia? Si chiedeva se avrebbe guardato quei luoghi con occhi
diversi… Nostalgia… il suo amore per Oscar… era un amore vero? Non era
fondato anche in gran parte sul ricordo? Sull'egoismo di voler tenere accanto a
sé una persona? Di voler sapere cosa ne sarebbe stato della sua esistenza,
senza poter accettare di perderla di vista, di non saperne più niente? Di
volerne evitare il distacco? Esisteva allora un amore integro, non contaminato,
assoluto? O, più tristemente, ci si aggrappava affettivamente ad una persona,
per non perdersi nell'infinito, per trovare un senso a cose che non decidiamo,
ma di cui siamo parte? Provò, insieme, un dolore lacerante ed una sensazione
dolce, ripensando ad Oscar… Ricordava le sue mani, la linea delle sue guance,
il lampo che le attraversava gli occhi, quando il suo sguardo rideva, e la
tempesta che li rabbuiava, quando Oscar era triste. Qualunque cosa fosse, pensò
che quello era il suo modo di amare. In quel momento, avrebbe potuto affermare
di stare bene, nonostante tutto… se soltanto non avesse percepito la stonatura
della presenza ormai sempre più familiare di Fersen. Fersen che, dopo aver
duellato con la sua Oscar, le si era seduto accanto, sul bordo della fontana,
mormorandole parole di elogio per la sua bravura, pari alla sua bellezza. Te ne
accorgi adesso, avrebbe voluto dirgli… poi, sorridendo di sé, considerò che,
in fondo, era stato meglio così… Poteva immaginare la scena… Ma come?!
Strinse i pugni, impotente. Sentiva una nota di attenzione nella voce dello
svedese. E quella minima sfumatura lo allarmava. Chissà se Oscar se ne
accorgeva… Che idiota, rifletté… Sapeva di non avere alcun diritto di
sedere coi padroni, di condividere parte della loro vita. Eppure, vi era a tal
punto abituato, da considerarlo scontato, naturale. Oscar stessa non lo aveva
mai fatto sentire fuori posto, anzi, aveva alimentato in lui l'illusione che
loro due fossero… uguali… Fino ad allora, insomma, in un certo senso, Oscar
era stata sua. Era stato solo con lui che aveva condiviso certe cose. I duelli,
le cavalcate, i discorsi interminabili, le curiosità dell'adolescenza. Cose
che, considerò con rammarico, tra poco gli sarebbero state precluse. Provò, in
quell'istante, l'impulso violento e bruciante di strapparsi le bende. Dio! Non
ne poteva più! Si impose, invece, come sempre, di restare calmo. Di apparire
calmo - e, forse, questo era ancora più importante. - Distolse forzatamente i
suoi pensieri dalla cecità. Si costrinse, quasi come un rimedio, a pensare al
conte… Da qualche tempo - da un po' troppo tempo -, Fersen si presentava quasi
tutti i giorni, reclamando quelle attenzioni che, una volta (e anche ora, senza
la ferita), sarebbero state per lui e per nessun altro. Non poteva non notare
come Hans si comportasse con sempre maggiore familiarità, prendendosi, con
Oscar e con la servitù, libertà dettate solo dalla lunga consuetudine.
Appannaggio che, fino ad allora, era stato suo e suo soltanto. Non poteva non
notare come, in breve tempo, il conte avesse acquisito delle abitudini e dei
modi di fare che prima non aveva. Come un posto, al tavolo dei Jarjayes, fosse
divenuto il suo. Come una stanza particolare, tra quelle degli ospiti, fosse
definita "del conte Fersen". Avrebbe voluto detestare quel modo di
fare che lo svedese aveva assunto in un così breve arco di tempo… così come
avrebbe voluto detestare la familiarità e l'affetto, quasi, con cui la servitù,
sua nonna, tutti avevano accolto quel giovane. Che, d'altra parte, poteva
contare su una conversazione brillante, una esperienza notevole, una cultura
vasta e nata sul campo - aveva viaggiato, molto più di Oscar e di lui, e
viaggiando si conosce-, oltre che dai libri. Oscar non poteva non apprezzare
queste cose. Lui stesso si trovava ad invidiarle. Anche se sapeva che non
avrebbe dovuto. Che era inevitabile che ciò accadesse, eppure avrebbe voluto -e
non ci riusciva, perché da anni era abituato a ponderare, a ragionare, a
placare le sue pulsioni - detestare la situazione - e Hans in primis -. Non gli
era possibile esprimere ciò che davvero provava, qualcosa che neppure faceva in
tempo a nascere, che lui già lo soffocava. Lo avrebbe incenerito, se avesse
potuto? Lo aveva mai pensato? Lo avrebbe volentieri, più civilmente,
allontanato di peso dalla loro vita. Ma non era possibile. Non era lui che
sceglieva delle loro vite. Lui doveva stare al suo posto. Provava un sentimento
di disappunto, di fronte a quello che stava accadendo, ma si pentì subito di
essersi concesso la libertà di quelle digressioni, così poco consone alla sua
situazione.
Perso dietro ai propri pensieri, udì solo in ritardo dei passi
sull'erba, piegare i fili umidi.
"Oh, Girodel! Che sorpresa!" Fece Oscar che, da quando stava
con lui, era diventata meno incivile con gli uomini e, dunque, rivolgeva loro la
parola avvertendo meno il disagio. Si alzò, lasciando il povero Fersen
interdetto, per andargli incontro. "Come state?"
"Bene, comandante", fece lui, avanzando. Salutò anche Fersen
e André. "E voi… ma, soprattutto, André? Cosa mi dite?" Era stato
gentile, Victor, a pensare alla ferita di André.
"Eccolo lì", gli fece cenno Oscar. "Restate un po',
vero?"
Victor osservò la scena. "Sì, certamente…" fece a voce
bassa, quasi pensieroso. "Anche perché sono venuto per consegnarvi un
dispaccio, ma penso sia meglio parlarne più tardi", disse, avviandosi
verso André.
Gli si sedette accanto. "Allora, André, come va?" La voce
suonava meno formale del solito. Si informò sulle sue condizioni, sulla
convalescenza, sui tempi della guarigione. Fu parlando con lui che André si
trovò a considerare come, in fondo, proprio la quotidianità e il fatto stesso
di trovarvisi dentro, senza possibilità di scelta, gli avessero reso
accettabile, quasi normale, una situazione che, agli occhi del mondo esterno e,
forse, anche obiettivamente, era pesante. Ascoltò Girodel sorprendersi per la
naturalezza con cui gli parlava della ferita, di quella oscurità forzata, di
come cercasse le maniere di fare, senza la vista, le cose più normali… Se non
gli fosse accaduto di dover vivere egli stesso quella situazione, di non avere
modo di scamparne, di doverla subire giorno per giorno, si rese conto in quel
momento che non avrebbe mai potuto accettarla. Ora, invece, si trovò a
considerare, gli pareva quasi normale.[3]
André si sentì un po' meglio, non seppe spiegarsi perché, come
confortato da quella presenza e i due presero a parlare stranamente
amichevolmente.
"Sai che parecchie dame hanno chiesto di te?" Aveva alzato il
tono di voce e, mentre teneva d'occhio André, osservava Oscar per scrutarne la
reazione.
Una breve pausa, impercettibile, nel discorso che stava facendo. La voce
fattasi fredda. Un lampo d'ira negli occhi. Apparentemente Oscar pareva aver
incassato.
André rise imbarazzato: "Pensavo che fosse Oscar ad essere
popolare…"
"Certamente, ma in questo è aiutata dal suo bell'attendente",
scherzò Victor.[4]
"Se mi vedessero ora, dubito che desterei un minimo
d'interesse…" cercò di tagliare corto lui.
Victor gli batté una pacca sulla spalla. "Mai sottovalutare
l'istinto materno…"
"Casomai, quello geriatrico", lo corresse André ridacchiando.
"Hai così scarsa fiducia in me?" Fece eco Oscar che, invece
di prestare orecchio al suo ammirato interlocutore, preferiva tenere d'occhio la
situazione di André. Anche per non dare troppo corda a Fersen, che, quel
giorno, le pareva, non se ne spiegava la ragione, stranamente pericoloso…
Victor sorrise divertito. La situazione del suo colonnello gli si stava
chiarendo e, d'altronde, non era sorpreso. Dovette ammettere con se stesso che,
in realtà, non si aspettava niente di diverso…
"Scherzi a parte, le donzelle erano un po' di tutte le età,
diciamo dai 12 in su…" Scosse la testa. "Fossi in te, inizierei a
preoccuparmi della reazione di padri e mariti…"
"Vorrà dire che lo terrò segregato in casa", fu la risposta,
arcigna, di Oscar. 2-0. La lapidazione poteva proseguire. "Comunque",
aggiunse, "se consideriamo anche mia nipote, potete abbassare l'età delle
"ammiratrici" anche all'infanzia…"[5]
Poi, le cose accaddero velocemente. Oscar e Fersen stavano parlando
d'altro quando, quest'ultimo, lo sguardo fattosi più intenso, improvvisamente,
si avvicinò pericolosamente a lei. Decisamente, in quel frangente della sua
vita, Oscar doveva parere attraente, come brillasse di luce propria. Doveva
essere, nelle intenzioni dello svedese, un approccio destinato a sondare il
terreno. Fatto sta che Oscar, pur non dando avviso di averne recepito il senso e
fingendo indifferenza, l'aveva fulminato con lo sguardo, uno sguardo severo,
quasi di rimprovero, che lo aveva risospinto a distanza di sicurezza. Per poi,
navigata tattica di autodifesa, riprendere a parlare come prima, come se niente
fosse accaduto. Fersen ci rimase male, ma capì.
Chi notò tutto, invece, fu Victor. "Guarda guarda", disse
sottovoce ad André. "Direi che Fersen ci sta provando con Oscar…"
André rimase interdetto. Provando? Un corteggiatore? Com'era possibile
che Oscar rimediasse un corteggiatore - come Fersen, per giunta -? Non era
facile né crederci, né accettarlo. Continuando a pensare ad Oscar come avrebbe
fatto un fratello geloso, non si era reso conto di quanto potesse effettivamente
riscuotere gradimento - a parte il suo.-
Girodel lo costrinse ad alzarsi e lo prese sotto braccio.
"Colonnello Oscar, ci raggiungete dentro a bere qualcosa che ci
scaldi?" Disse, augurandosi che Oscar cogliesse al volo l'occasione.
"Certamente!" Fu la risposta, sollevata, di Oscar. "Hans,
venite anche voi?" Sperava le rispondesse di no.
"No, scusatemi, ma devo andare" e si allontanò, dopo averle lanciato uno sguardo carico di apprezzamento ed averle stretto il braccio, comunicandole una scossa che Oscar non si sarebbe mai aspettata di recepire…
Continua...
Mail to laura_chan55@hotmail.com
[1] Mi riferisco al IV volume dell'edizione Granata, in cui è André a notare come Oscar sembri fredda come il ghiaccio, ma con un animo ardente.
[2] Lo so, lo so… Vorrei di Guccini, una delle più belle canzoni d'amore.
[3] Considerazioni ispirate da Amrita di B. Yoshimoto.
[4] Nel manga (ed. Granata, volume XII) la Ikeda fa dire alle dame invitate al ricevimento di Oscar che Girodel "era conosciuto come uno a cui non piacciono le dame, ma in realtà desiderava il signor Oscar". Al di là di questo, il testo scritto da me vuole solo essere colloquiale, senza un particolare riferimento.
[5] Lelou de la Lorencie, figlia di Ortence, sorella maggiore di Oscar, che appare nelle Gaiden.