BK's Night

 Parte XII

 

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Prefazione alla nuova versione.

Ho riletto il pezzo, a distanza di oltre un anno e mezzo, e ho sentito che qualcosa stonava fortemente col mio stile e col mio sentire. Ho deciso dunque di ripristinare la versione originale del testo.

 

E non rimarrà più il segno di noi, le nostre anime mute, un biglietto

con su scritto "ho paura", e con un filo di voce… e nessuno saprà mai di noi,

di questo nostro amore atroce… e non andartene… e non andartene…

non andartene via

Mario CASTELNUOVO, La notte che venne il giorno

 

“Sei ricomparso”, gli fece Alain, sollevando il boccale di birra in suo onore.

Era seduto accanto a lui, annegato nell’alcol. Era rimasto in silenzio, ad ascoltarlo parlare, per riuscire a scacciare dalla mente i pensieri che, ad ogni bicchiere, si facevano più tristi e non solo più annebbiati come aveva sperato.

Pensava a lei. Così bella. Così sola, nonostante il suo amore. Pensò che la odiava. Odiava quella sua capacità di farsi del male – di fargli del male. Quella sua incapacità di essere felice.

Eppure, l’amava. Forse proprio per questo. Perché era così diversa da lui e questo, ogni volta, lo stupiva. Era un amore irrazionale, eppure quieto, appagato, il suo. La voleva accanto. La voleva sua. E l’aveva avuta. E, anche razionalmente, stava davvero bene con lei. Eppure, un pensiero tormentoso lo rendeva triste, gli opprimeva il petto, gli dilaniava il cuore.

Forse, quella sera, l’aveva lasciata sola proprio per metterla alla prova. Per poter dubitare di cosa avrebbe fatto con lui, con Fersen… Si sentiva un infame. No, non era per quello… non era così contorto. Semplicemente, non ce l’aveva fatta a reggere la visione di lei, bellissima, circondata dalla musica. Era sua, lo sapeva, eppure era un’immagine che faceva male al cuore. E lui, lui che sapeva che l’avrebbe persa, aveva voluto conservarla nel cuore. E aveva voluto che, quella sera, fosse libera, libera dalla sua presenza, libera nel suo mondo. Solo questo.

Solo questo, si ripeté?

“Sei silenzioso, stasera…” osservò il compagno.

“Nunc est bibendum…” sospirò André, come tra sé, in un sorriso amaro. Chissà perché gli era affiorato in mente quel frammento, eco di studi ormai lontani… Alzò il bicchiere, in un silenzioso brindisi a lei. Lei. Lei. Lei. Un moto di rabbia. Serrò le dita. Sempre lei, sempre lei… Scosse la testa. Possibile che non riuscisse a dimenticarla, a trovare pace?

Si alzò di scatto. Lasciò delle monete sul banco. Quelle che il barlume di lucidità residuo gli consigliava. Posò una mano sulla spalla di Alain, in un cenno di saluto.

“Me ne vado”, disse, stanco. E uscì.

Alain lo guardò allontanarsi. Scosse la testa.

 

Non si era resa conto di quando avesse smesso di guardarla, da lontano. Eppure, ad un certo punto, terminato l’adagio, aveva notato che lui non c’era più. Sorpresa, forse. Una crescente sensazione di inadeguatezza. Di mancanza. Come un’ondata di tristezza e di impotenza, l’aveva invasa. Non poteva lasciare la regina. Non poteva cercarlo. Non poteva raggiungerlo, dovunque fosse. Respirò a fondo e si impose di continuare a prendere parte alla conversazione. Ma, improvvisamente, sentì come un peso, dentro, una tristezza inspiegabile scivolarle addosso, avvolgerla.

Lo cercò, poi, quando si fu liberata, ovunque. Senza trovarlo.

Sospirò. Era troppo tardi per sperare di rintracciarlo in qualche taverna. Ormai avrebbe dovuto essere sulla via del ritorno. Chissà dov’era. L’interrogativo le fece male. Il sospettò la ferì. E, senza poterselo impedire, provò rabbia, rabbia nei confronti di lui che non aveva avuto la pazienza di aspettarla, che, quasi, pareva avergliela voluta far pagare di dover svolgere quel lavoro. Con la regina. Con Fersen. Idiota! Idiotissimo André! Stupido, stupido, stupido, meditò ferocemente, mentre il peso sul cuore aumentava e non poteva fare altro che sentirsi, lei, immensamente stupida. Gelosa. Possessiva, finì per dirsi, ridendo di sé.

Rientrò. Il suo cavallo non era nella stalla. Com’era prevedibile.

Si sedette al piano, sperando che, come altre volte, la musica placasse quel sentimento che la divorava, quell’ansia sottile e maligna. Ma la musica, a volte, suona come stonata, rispetto al cuore. Chiuse il piano. Si soffermò per un istante sul contrasto del legno verniciato di nero con le sue dita bianche. Gelate. Attraversate da un tremito. Poi, senza poter rallentare i battiti impazziti, senza riuscire a frenare la mente, scese sotto e rimase ad aspettarlo davanti al caminetto, in cui le fiamme si andavano estinguendo lentamente, senza poter fare altro che abbandonarsi alla tristezza.

Quando si svegliò, non era ancora tornato. Il fuoco era ormai spento.

Strinse i pugni. Si alzò, risoluta, stavolta, ad uscire a cavallo. Tanto, ormai albeggiava quasi, considerò sconsolata. Era solo stanca. La rabbia aveva lasciato il posto ad una spossatezza infinita. Ed alla delusione. Purché lui stia bene, si disse. Almeno questo…

 

Notò subito la porta delle scuderie, lasciata aperta. Una piccola scintilla tiepida le scaldò il cuore. Si slanciò.

"André!" Lo trovò riverso, sul fieno.

Cercò di sollevarlo. Inequivocabilmente imbottito di alcol. Idiota, lo apostrofò mentalmente. Eppure se ne pentì quasi subito. Si passò una mano tra i capelli. Perché, si chiese, perché ridursi in quel modo? Cosa, cosa gli mancava? Si sentì inutile. Possibile che il suo amore non gli bastasse, che lei non fosse abbastanza? O era qualcos’altro che lo tormentava e lei non riusciva a comprenderlo? E se fosse stato… un brivido di paura.

Lo prese per le spalle: "André!? Che cosa ti succede?"

Era pallido. Aprì gli occhi: "Oscar..."

Si mise a sedere, stordito, le mani nei capelli, mentre, in ginocchio accanto a lui, Oscar lo scrutava, pensierosa ed avvilita.

Lo aiutò a salire in camera, a lavarsi. Non gli domandò niente. Anche se avrebbe voluto sapere dov'era stato ed il pensiero la faceva stare male. Anche se avrebbe voluto domandargli perché e le risposte le temeva.

 

Fu un attimo, durante l’addestramento delle Guardie, quella mattina. Oscar si allenava con André, come di consueto. Attaccava. Ma lui, indietreggiando, si rese conto che non riusciva più a parare, quasi non vedeva gli assalti… non vedeva distintamente neppure dove finiva con la propria arma nella difesa. Troppo veloci i movimenti. Ebbe paura. Paura di colpirla per errore. Il sole abbagliava, in un riverbero accecante sull’erba, sulle mura, sulle pietre. Un rapido sguardo alle spalle, a cercare ancora terreno, dietro di sé, per arretrare. Per evitare di farle del male e anche di implorarla di fermarsi, che non la vedeva, non la vedeva… non voleva dirglielo… non ora… ancora un po’, dio, ti prego… ancora un po’… Ma, quando tornò a guardare avanti a sé, un capogiro improvviso, la visione che stentava a ricomporsi.

I soldati si fermarono, impressionati, a quel grido. I rumori delle spade cessarono.

“André!!!”

Si era accasciato a terra.

Lentamente, come intimiditi, si avvicinarono al colonnello, in ginocchio accanto a lui. Gli teneva la testa sollevata, gli allentò la camicia.

Fu Victor ad intervenire.

“Avanti, soldati, continuate gli addestramenti”, disse. Poi, rivolto ad Oscar, “Dobbiamo portarlo dentro.”

 

Aprì gli occhi.

“André…” La voce dolce di Oscar lo accolse.

Percepì una sensazione di fresco. La stanza era in penombra. Provò sollievo.

“Ci hai fatto preoccupare”, esordì Victor con un calore strano, che fece sorridere André.

“Sto… sto bene…” Tentò di mettersi seduto. Oscar lo sostenne, premurosa. Senza alcun imbarazzo. Con gesti perfettamente naturali, notò Girodel.

“Bene, ora vi lascio…” si congedò. “Colonnello, non preoccupatevi, continuo io.”

“Vi raggiungo tra poco”, disse di rimando Oscar.

“Che cosa ti è successo?” gli chiese, quando furono soli, scrutandolo con una strana serietà nello sguardo, il tono accorato. E triste.

La guardò. Lesse la preoccupazione sul suo viso. “Niente”, cercò di minimizzare. “Niente, Oscar, davvero…” Fece per alzarsi. “Sto già bene, vedi?”

Lo bloccò per le braccia. “Rimani qui”, lo pregò. “Almeno per un po’…”

Poi cedette all’impulso di abbracciarlo e lo strinse forte a sé, come a volerlo proteggere.

 

“Che cos’ha, André, colonnello?” Fu una domanda a bruciapelo che la gelò. Le si era affiancato a cavallo.

Lo guardò stravolta. “Che volete dire…”

“Siete sicura che si sia ripreso da quell’incidente?”

Incidente, rifletté Oscar. Un modo elegante per glissare. Perché le persone di mondo non dicono… e, soprattutto, a corte non sapevano. “Voi pensate…” cercò d’interloquire, in un’ansia crescente. Anche lei aveva avuto lo stesso dubbio.

“Non avete notato qualche stranezza nel suo comportamento…”

Oscar rimase in silenzio. Certo, non poche, rifletté, ma si era detta che forse era la stanchezza o forse lui non era abbastanza sicuro di lei, del suo amore… aveva pensato a problemi alla vista, ma non voleva crederci lei per prima. Eppure, se così fosse stato, tutto il resto ne sarebbe stato una conseguenza abbastanza logica… e sospettava sempre di quando Victor si mostrava così mellifluo: era pronta a giurare che si preparava a colpire.

E così fu. “Io credo che sarebbe doveroso”, la incalzò, “visti soprattutto i rapporti che ci sono tra voi”, una pausa studiata, calcando apposta su quelle parole, “che lui vi parlasse.” Le strinse un braccio. Oscar provò un brivido. E accusò il colpo di quella insinuazione. Ecco cosa voleva, si disse. La guardò. “Che siano soltanto dubbi o problemi reali”, concluse, “a me pare evidente che c’è qualcosa di strano.”

Oscar trasalì. Dubbi? Su di lei? Su di loro? No, non era possibile… no… ma non era migliore l’alternativa dei guai alla vista…

Victor lesse i pensieri sul suo viso turbato. “Comunque, dovete stare tranquilla”, ebbe il coraggio di concludere, reprimendo un’espressione di trionfo.

 

[1]Lo raggiunse di soppiatto. Come un ladro. Aveva atteso che Oscar fosse impegnata, sicuro che non potesse allontanarsi. L’aveva meditato a lungo. Voleva metterlo in un angolo, voleva colpirlo con parole che non potesse riferire ad Oscar. Si sentiva onnipotente.

Bussò. Lo trovò seduto sul letto, i gomiti sulle ginocchia. Sollevò lo sguardo, sorpreso.

“Come ti senti, ora?” La prese molto alla larga.

André si alzò. “Sto bene…” Recuperò la giacca, fece per uscire. Non gli era chiaro l’atteggiamento di Girodel, ma non presagiva niente di buono.

“Aspetta”, lo bloccò lui. Gli stava addosso.

Un’espressione interrogativa in risposta.

“Cosa stai nascondendo?”

Lo ricambiò con un’occhiata perplessa. “Come?” Lo fissava, senza capire dove volesse arrivare e, soprattutto, se parlasse della sua storia con Oscar o dei guai alla vista o di chissà che diavolo d’altro. Quello sì, era un tipo contorto.

“Non nasconderlo… io me ne sono accorto…” Lo guardava dritto in faccia.

Strinse gli occhi, scosse la testa. Ma cosa…

“Che cosa farai se non potrai proteggerla?” L’aveva preso da parte. “Ne sei in grado?” Lo incalzò, mellifluo, insistente.

André, sulla difensiva, sosteneva il suo sguardo, senza rispondere. Possibile che avesse… E se ne avesse parlato ad Oscar? Si sentì scoperto.

“Ti rendi conto che finirai per metterla in pericolo?”, insistette. “L’incarico che avrà è più rischioso di questo.”

Come spiegargli che, se fosse stato per lui, si sarebbe ritirato ad Arras? “Lo so”, disse con voce chiara, lo sguardo triste, “ma non dipende da me… E, comunque”, aggiunse, “io sono in grado di proteggerla.” Non è vero, pensò, provando una stretta al cuore. Proprio quella mattina aveva temuto di ferirla. Strinse la stoffa della giacca, in un gesto nervoso.

Victor ebbe un moto d’ira, di fronte a quella pacatezza. “Ti piace, no? La vuoi!? E allora almeno fa’ qualcosa per lei.” Voleva provocarlo, spingerlo a parlare. Voleva sapere qualcosa di più su di lei, su di loro.

André accusò il colpo. Sapeva di poter fare poco e che avrebbe potuto fare sempre meno. Sapeva che sarebbe diventato inutile, un peso per lei. Ma non voleva pensarci… non ora… era troppo presto… E, poi, d’un tratto, tornò con la mente a lei, alla tenerezza con cui lo guardava, al calore della sua voce, a loro due, a quel loro rapporto, a com’era prezioso. No, si disse, Girodel non avrebbe mai potuto capire.

“Voi non sapete niente”, gli si rivolse, triste, la voce chiara. Che cosa sapeva del suo rapporto con Oscar. Qualcosa che era soltanto loro. Che né Girodel né gli altri avrebbero mai potuto comprendere.

“Non credo proprio”, ribatté lentamente, sarcastico. André si impose di rimanere calmo, di non rispondere alle provocazioni. “Quanto a te”, alzò gli occhi su di lui, “ti consiglio di fare qualcosa… e subito. Vedi di trovare, senza dirglielo, qualche scusa plausibile e di lasciare il tuo posto di attendente. O dovrò parlarne col generale.”

André ebbe la forza di rispondergli “E’ Oscar a decidere queste cose, io non mi intrometto mai.” Aprì la porta. “Comunque, se volete, potete sempre parlargliene voi.” Poi, la richiuse dietro di sé.

Camminò, lungo i corridoi ombrosi, fino alla piazza d’armi. Voleva raggiungere Oscar. La vedeva, eccola laggiù. Vigliacco, pensava. Dillo tu ad Oscar, se vuoi! Era disgustato. Pretendere che lo faccia io, venirmelo a dire, sapendo che non posso raccontaglielo.

Lo sentì arrivare. “André!” Lo accolse, sollevata dal vederlo, gli occhi luminosi. Poi, notò il suo viso, pallido, tirato, le dita serrate, i gesti nervosi. “Che cosa ti succede?” Si preoccupò. Si volse un attimo verso i soldati: “Proseguite!”

“Niente, Oscar, sta’ tranquilla”, le sorrise. Ma era un sorriso teso. E Oscar se ne accorse.

Gli batté una pacca sulla spalla. “Non pensare che non mi accorga di quello che ti sta succedendo”, aveva parlato a voce bassa, con calore. Poi, abbassando lo sguardo, aveva aggiunto “Ma capisco anche che forse tu non abbia voglia di parlarne…”

Un tuffo al cuore. “Oscar…” ebbe l’impulso, fortissimo, di lasciarsi andare, di raccontarle tutto, di condividere quella pena che lo distruggeva, di dirle che era lei l’unica cosa importante, di pregarla di lasciarlo rimanere accanto a lei, finché fosse stato possibile, di non tenerlo fuori dalla sua vita. Forse avrebbe protestato che era impossibile, forse gli avrebbe risposto che temeva di perderlo. Ma l’avrebbe convinta, col suo amore. “Io…”

“André!!!” La voce secca di Girodel li costrinse a voltarsi.

“E adesso che altro ci sarà…” si lasciò sfuggire, spazientita, Oscar. “Coraggio…” fece comicamente, con un’occhiata eloquente ad André.

“Vieni, André, il mio attendente è impegnato, prendi il suo posto.” E gli mise in mano una spada.

André guardò Oscar implorando pietà. Ricevette, in risposta, uno sguardo desolato. “E va bene”, rispose piano.

“In guardia!”

E Victor partì all’attacco, senza lasciargli tregua, incalzandolo e costringendolo ad indietreggiare.

“Ti consiglio di pensare a quello che ti ho detto”, gli ricordò, minaccioso, quando fu sicuro che Oscar non avrebbe potuto udirli.

André parava. Faceva caldo. Si asciugò la fronte.

“Mi hai capito?” E affondò.

André non vide la lama arrivare. Non fece in tempo a scansarsi.

Girodel lo colpì, di striscio, allo zigomo sinistro. Di proposito.

Trattenne un grido. Sentì il freddo della ferita, poi il bruciore. Si toccò la guancia. Guardò, incredulo, il sangue sulle dita. Ma cosa aveva in mente? Era impazzito?

“Vedi che non sei più in grado di difenderla?” sibilò, soddisfatto.

Un altro affondo. Un taglio al mento.

E André reagì, con tutta la rabbia e la forza di cui era capace. Attaccò, d’impeto, come una furia, costringendo Victor ad arretrare.

“Che cosa vorresti fare?” Non si aspettava quel contrattacco. Non con quell’energia. In quel momento, André, pallido in viso, determinato, veloce, faceva paura.

Lo costrinse a scartare. Inciampò. Cadde. Gli fu subito addosso, la spada puntata alla gola.

“Credo che l’allenamento sia finito…”

“André!” Accorse Oscar. “Ma che cosa…” Guardò preoccupata i tagli. Lesse l’espressione determinata, sul viso di André. Rivolse uno sguardo duro a Victor. Ne intuì il disagio. “Che cosa significa?”

Lui si rialzò, imbarazzato.

“Ve lo dirà lui stesso”, rispose, sibillino.

Era troppo. “Se avete qualcosa da dire, parlate, altrimenti tornate nei vostri alloggi. Non credo”, aggiunse, “che siate così maldestro da ferire il vostro compagno in allenamento per errore!”

André provò una fitta al cuore, a quelle parole.

“No…” sorrise ironico Victor. “Io no di certo…” E lanciò uno sguardo pieno di stizza ad André.

 

Rientrarono, stanchi, dalla corte, in un silenzio pesante e imbarazzato. Oscar, esausta e ferita per la nottata, preoccupata per quello che era accaduto, ripensava alle parole di Victor, al dubbio che le avevano insinuato confermando i suoi timori, alla sua animosità verso André, alle sue allusioni; ripensava al comportamento di André, ai suoi silenzi, alla sua tristezza… André pallido e tirato, con i tagli che dolevano e ancora un gran mal di testa per la sbornia della notte precedente o, forse, era la vista a giocargli qualche altro brutto scherzo. Ci mancavano solo le minacce di Girodel… Aveva cercato un chiarimento con lei, anche per tranquillizzarla, ma, per tutto il giorno, non ce n’era stata più occasione e, lungo il percorso, lanciandole, di tanto in tanto, rapide occhiate desolate, non aveva osato aprire bocca, tanto lei sembrava stravolta. Avrebbe tentato di parlarle a casa, si disse. Ma, quando arrivarono e trovarono ospiti ad attendere Oscar, anche quella speranza svanì.

 

Laura, giugno-luglio 2002. Revisione del testo, 10 dicembre 2003. Ripristino della originaria versione sul sito Little Corner del dicembre 2003.

Continua...

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[1] La scena è stata ricostruita, il 10 dicembre 2003, per come era stata originariamente impostata, nel giugno 2002, sulla base dei miei backup. Fu ampliata su suggerimento di Alessandra, inizialmente era molto più breve. Rileggendola, però, l’ho ritrovata talmente distante dal mio stile e dal mio sentire, che ho creduto necessario, per la mia onestà, togliere delle cose e riportarla alle idee originali.