BK's Night
Parte XI
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A
corte la notizia si era ormai diffusa. Oscar, finalmente, si sentiva più
leggera e pregustava il viaggio ad Arras, sebbene intuisse una profonda
disapprovazione negli ostinati silenzi di suo padre, che lei sosteneva con
intima soddisfazione. Victor era turbato.
“Colonnello,
non andate”, le aveva detto, mentre attendevano insieme per una delle ultime
volte ai loro compiti.
Oscar
aveva sorriso, noncurante, come se di proposito non volesse dare peso a quel
tono sincero e come accorato, che, però, non poteva non aver notato.
“Ormai
ho deciso…”
Lo
aveva guardato di sfuggita. Lui si era fermato improvvisamente.
“Mi
mancherete”, aveva ammesso, piano, quasi in un sussurro.
Poi,
si era girato e se ne era andato. Oscar aggrottò le sopracciglia. Mancargli?
Non lo avrebbe mai detto, a giudicare da come erano cominciate le cose tra di
loro. E da come erano proseguite. Ma Oscar, quando voleva, sapeva proteggersi
bene dalle attenzioni di chi la circondava… Sorrise tristemente di sé.
Appoggiò i rapporti sulla scrivania.
“Aspettate!”
Lo rincorse. “Devo… devo raggiungere André… e, prima, passare in
libreria. Fate… fate un pezzo di strada con me?”
“Certamente…”
aveva risposto, in un misto di sorpresa e disillusione che, lo sapeva, lei
avrebbe ignorato per l’ennesima volta.
“Musica…
e carte geografiche…” aveva osservato Victor, tra il pensieroso ed il
sorpreso, con un’occhiata rapida allo spartito e ai fogli della regione
dell’Artois che Oscar aveva scelto accuratamente, dopo averli spiegati e
osservati con attenzione, sul tavolo inondato dalla luce della vetrata.
“Partite?” Controluce, lei era una visione notevole.
Lei
annuì, distratta, scorrendo con lo sguardo i titoli sulle copertine delle
ultime novità, esposte sul banco.
“Non
appena terminato il mio incarico a corte…” rispose evasivamente, prendendo
uno dei volumi.
Lui
sorrise. Provava una sorta di imbarazzo al pensiero di Oscar in vacanza… “La
nuova Eloisa”, disse come tra sé.
“In
ristampa”, precisò lei.
“Perché,
invece, non prendete questo” E le passò Justine.
Oscar
avvampò. Conosceva di fama quella novità editoriale. Ma, per non mostrarsi né
bigotta, né retrograda, tolse quasi con furia dalle mani del collega il libro
e, per non essere da meno, chiese anche una copia de Le relazioni pericolose
lasciando interdetto Victor. Quando stava per pagare, un’altra esitazione.
“Voglio
regalarvi una cosa…” disse, quasi maliziosamente. “Devo ricambiare i
vostri consigli, no?” Sorrise.
A
Victor si aprì il cuore.
“Prego,
avete una copia del Contratto sociale?”
E
uscì, trionfante, dopo aver cacciato nelle mani della sua povera vittima il
prezioso volume, non senza avergli spiegato, accalorata: “Dovete assolutamente
leggerlo… è molto interessante.”[1]
Chiuse
gli occhi. Un gesto quasi rabbioso. Pieno di scoramento. Non la vedeva. Bella
com’era, non riusciva a vederla, quella mattina. Così, aveva chiuso gli occhi
e si era rifugiato nell’accostare nella mente mille immagini dei ricordi di
lei. Ma, più che le immagini, era la sua voce che risuonava, a volte
cristallina, a volte profonda. Ebbe paura. Paura di non riuscire più nemmeno a
ricordare il suo viso. Di ricordare com’era stato vedere. Oscar era come
un’illusione… ogni volta che gli pareva farsi più vicina, di accostarsi di
più a lei, la scopriva più lontana. Di slanci e delusioni, ecco di cos’era
fatto il suo amore. Si era accorto di vedere sempre meno. Piccoli dettagli che
si perdevano nelle immagini, giorno dopo giorno, confrontando il ricordo della
visione precedente con quello che mancava in quella successiva.[2]
Era diventato bravo a ricordare quello che stava perdendo… dettagli, sfumature
di colore… Scosse la testa. Cercò di riscuotersi.
“André!!!”
Oscar sollevò il braccio in un cenno di saluto, da lontano.[3]
Strinse
gli occhi. Ricordava che era bella. Si rallegrò del calore nella sua voce.
“Che
ti succede”, s’informò lei, abbagliante in quel giorno pieno di luce e di
colori. Gli porse i libri. “Sono appena usciti.”
La
guardò, come sorpreso da quell’attenzione, quasi con tristezza. Tacque forse
per un istante di troppo. Spostò lo sguardo lontano sulle copertine.
Lentamente. Scostò la testa leggermente di lato. I capelli ondeggiarono al
sole. I titoli… non riusciva a leggerli. Percorse, quasi timoroso, con le dita
le lettere. Tienili tu, avrebbe voluto risponderle, ora… ora ci metto molto più
tempo… Ma non ne ebbe il coraggio. O la forza. E Oscar se ne accorse.
“Posso?”
Victor gli prese uno dei volumi dalle mani. Era Justine.
La
sua voce arrivò a sorpresa, costringendolo a riscuotersi. Era lui la sagoma
accanto a lei.
“Come
vi dicevo, comandante, è molto interessante”, approvò, sottolineando il
rimando alla precedente conversazione. “Quando l’avrete finito, ne
parleremo…” Si era rivolto ad Oscar, lanciandole uno sguardo ardente. “E
anche questo”, aggiunse, sfilandogli dalle mani anche Le relazioni…,
“è davvero notevole…” Prese a sfogliarlo, cercando un passo. “Ecco,
leggete qui…”
André
constatò che non aveva perso la pessima abitudine di intromettersi sempre tra
di loro e di escluderlo platealmente dai discorsi. Rimase in silenzio. Non
c’era niente da dire.
“Sì…
interessante…” Lesse qualche riga. “Ma ci vorrà un po’, temo:”,
sorrise Oscar, “di solito i libri li legge li legge prima André. Lui è molto
più veloce di me”, spiegò, “e, in questa maniera, evito di averlo alle
costole finché non li ho finiti e posso leggerli con comodo…” Aveva parlato
senza rendersene conto, quasi ridendo di quella loro abitudine, e non aveva
fatto caso alla sorpresa di Victor. Che rimase di stucco quando la sentì dire:
“Ecco qui le mappe che ci servono”, passando i fogli arrotolati
all’attendente. E aggiungere poi: “Ho preso anche questo”, porgendo ad
André uno spartito. “Che ne dici? Stasera proviamo…”
Annuì
in silenzio, un groppo alla gola. Oscar gli lanciò uno sguardo preoccupato.
Fuori,
il tramonto infuocava il cielo. Chiuse il libro. Ruote di una carrozza. Stava
arrivando gente. Con un sospiro si tirò su dal letto. Si prese la testa tra le
mani. Doveva andare. Potevano aver bisogno di lui, sotto. Lanciò un’occhiata
desolata al volume abbandonato sul comodino. Sospirò. Si guardò intorno. La
sua stanza. La stessa di quando era bambino. Quella che gli avevano assegnato
allora… chissà se era previsto che niente sarebbe mai cambiato, nella sua
vita, che lui avrebbe continuato ad occupare la stessa camera, negli anni, senza
che a nessuno venisse il dubbio che avrebbe potuto desiderare una vita sua…
andare via… lasciare tutto… – non Oscar. Lei, mai. – Ebbe un sorriso
amaro. Si chiuse la porta alle spalle.
“André!”
Nessuna
risposta. Aprì. La stanza era vuota, inondata dalla luce del crepuscolo. Senza
rifletterci, andò direttamente a vedere a che punto fosse André con la
lettura. Un gesto abituale. Sorrise al ricordo. Ma, stavolta, nessun segnalibro.
Il libro era intonso. Stranamente… Ripensò all’espressione di lui, quella
mattina. Si ripropose di parlargli, poi, ma la voce di André la richiamò.
“Oscar!”
Stava salendo le scale. “Il conte di Fersen ti attende nel salone…” Un
tono neutro.
Appoggiò
precipitosamente il volume, come se non avesse fatto altre mille volte il gesto
di controllare fin dove fosse arrivato a leggere, per sapere tra quanto avrebbe
potuto avere lei il libro. Per una sorta di premura, stavolta non voleva che lui
pensasse che gli stava mettendo fretta… se, a causa della ferita, ora faticava
di più a leggere, non voleva fargliene una colpa. Uscì in fretta. Attese di
proposito che lui arrivasse al pianerottolo. Un cenno. Lui si avvicinò.
“Amore…”
Si
strinse a lui. Come un appoggio. Come un rifugio. Era profondamente stanca.
Aveva bisogno del suo calore. Ma fu un abbraccio quasi febbrile, quasi
disperato, quello che l’avvolse. Alzò lo sguardo verso di lui. Lui che la
fissava con una tenerezza infinita, con una profondità sconosciuta, come
volesse leggerle dentro, come se tutti i suoi sentimenti fossero consegnati a
quel gesto e tutti i suoi dubbi potessero essere placati dalle risposte che
avrebbe trovato in fondo alla sua anima.
“Sei
così bella…”
“Lo
sai quanto ti amo?”
Gli
passò una mano tra i capelli.
“Lo
so”, le rispose, portando la mano di lei alle labbra.
Rimasero
abbracciati ancora qualche istante. Poi, dal basso, le voci si fecero più
insistenti. Si separarono, tenendosi per mano finché non arrivarono alle scale.
Scesero insieme, lei che lo precedeva di qualche passo, lui un po’ incerto, ma
come uniti da un accordo silenzioso. Hans li vide arrivare così. E provò un
fastidio crescente a quella loro consuetudine, quasi come un muoversi
all’unisono, che aveva notato molte altre volte.
“Conoscete
già la vostra destinazione” le aveva domandato, al crepitare della legna nel
camino. La fissava in modo strano… O, forse, era il riflesso del fuoco nei
suoi occhi.
André
appoggiò il vassoio. Servì da bere.
“Vieni,
André”, fece Oscar. “Sì… le Guardie francesi…”
Si
sistemò in piedi dietro di lei. Hans gli lanciò un’occhiata di
disapprovazione. Lui finse di ignorarla. Oscar, amore… Avrebbe voluto
chinarsi e baciarle i capelli. Andiamo via, lontano…
“Non
è un reggimento particolarmente selezionato…”
“Prenderò
servizio ad aprile”, si limitò a ribattere lei.
André
serrò le labbra.
“Prenderemo”,
si corresse con un sorriso dolce.
“Oscar,
non è certo un posto per una bella donna come voi…”
Uno
sguardo di Oscar lo fulminò. Si era contenuta meglio, tanti anni prima, quando
lui, in procinto di ripartire per la Svezia, aveva usato la stessa espressione.
Peccato, considerò Oscar in un lampo, che poi non se ne fosse più accorto.
Dopo di allora. Prima di oggi. O, per fortuna, si disse.
“Ci
sarà André”, rise noncurante, “state tranquillo…”
Hans
notò il tono sferzante, il senso di quelle parole. Vedremo, pensò.
Venne
la governante ad annunciare la cena.
Raggiunse
Oscar in camera, dopo la cena. Aveva uno sguardo strano. Si chiuse la porta alle
spalle.
“Perché
è così strano accettare che una “bella donna” abbia anche delle capacità…”
Calcò apposta quelle parole.
Oscar
sorrise, sollevata, poggiando lo spartito che stava studiando sul piano. Tipico
di André dare voce anche ai pensieri di lei. O trattenersi un’intera serata e
riservare solo a lei le sue considerazioni più intime.
“Oscar…”
Si
avvicinò, esitante.
“Dimmi…”
Rimase
in un silenzio incerto. Come imbarazzato. Indicò la partitura. “Suona… Vuoi
suonare per me…” Me lo avevi promesso, pensò.
Annuì.
E prese a suonare.
Rimase
ad ascoltarla, in silenzio, rapito, le mani poggiate sulle spalle di lei, in
piedi, dietro di lei. Oscar ne sentiva il calore.
“Un’altra
volta”, disse, semplicemente, quando ebbe finito.
E
quando ebbe terminato una volta ancora, si chinò su di lei, abbracciandola.
Poi, si perse in lei. E lei l’accolse.
Più
tardi, dopo l'amore, avvolti dal buio della notte, volle parlargli. Forse
sperava di dissipare i propri dubbi. O, forse, di essergli ancora più vicina,
con le parole. O, forse, perché quel silenzio le pesava. Come se incarnasse le
distanze tra di loro.
“André,
dimmi…” l’incertezza nella voce. “Va tutto bene?”
Lui
sembrò riscuotersi.
“Che
vuoi dire?”
“Hai
problemi?” Dio, com’era difficile. Molto più di quanto avesse immaginato.
“Cosa…”
E
lui non le facilitava il compito, stavolta. Sembrava quasi sorpreso di quella
interruzione della loro quiete. Una quiete che, a tratti, pareva una tregua.
“Problemi
alla vista…” Fece una pausa. La sua voce suonava triste. Poi, quasi a
scusarsi di quell'intromissione, sentì il bisogno di giustificarsi. “Vedi, in
questi giorni mi sei sembrato, in certi momenti, come assente”, un’altra
pausa, “triste”, era difficile dosare le parole, senza farlo sentire
aggredito, “preoccupato da qualcosa…”
Non
sapeva più che dire. Quel suo tacere la imbarazzava. La sua richiesta si perse
nel silenzio della stanza. Lui non rispondeva. Si limitava a fissare il vuoto
con aria malinconica, un braccio attorno alle spalle di lei. Gli lanciò
un’occhiata fugace. Bello, era bello. Di una bellezza malinconica. Soffocò
quelle sensazioni. Era un altro il discorso che si era proposta di affrontare.
“Non…
non è che tu… tu…”
André
sbarrò gli occhi. Ma fu solo un attimo. Poi, di scatto, Oscar si sollevò e lo
guardò in viso. Non resistette più. Parlò d’impulso.
“Tu…
tu ci vedi bene?” E subito se ne rammaricò.
André
continuava a guardare lontano, ma quella domanda lo riscosse. Si raddolcì, la
guardò intenerito. Le percorse con le mani le braccia ed il viso.
“Ti
amo”, si limitò a dirle.
Poi,
come tentando di scacciare un demone, come provando disperatamente a far
prevalere la vita sull'oscurità, la coinvolse nei suoi baci appassionati e, una
volta ancora, fecero l'amore.
Furono
giorni intensi e strani, quelli. Oscar era felice. Il fare l'amore con lui la
rendeva come più forte, più determinata. Una persona diversa. E i loro
incontri erano folli di desiderio, di curiosità. Si divertivano, come due
ragazzini, scherzando, mai prendendosi troppo sul serio, mentre ognuno di loro
imparava a conoscere l'altro, a prevenirne e, poi, soddisfarne i desideri. Ma
André, al di fuori di quegli incontri, era come perso. L’occhio continuava a
dargli noie e non riusciva a non pensarci, a liberare la mente da quell’ombra
angosciosa, la paura di ciò che sarebbe stato, di ciò che stava perdendo.
Oscar era sempre più dolce, sempre più affascinante, sempre più piena
d’iniziativa e questo lo stordiva, ma Fersen era presente, stranamente
presente. Come Girodel. E Oscar li lasciava fare, incurante. Certo, li arginava,
ma non poteva evitarne la presenza, le parole, le allusioni galanti a lei e
pesanti al suo servo. Lui non aveva motivo di lamentarsene, Oscar lo adorava, lo
amava davvero e non perdeva occasione di dimostrarglielo, proprio in quel
momento in cui lui più ne aveva bisogno. Ma non era facile. Cercava di non
pensarci, di pensare solo a lei - a loro due.
Quella
sera le restituì il libro. Glielo lasciò sul letto. Senza una parola. Come
ammettere una sconfitta. Ma non ce la faceva. Non ci riusciva più… e non
voleva che lei dovesse aspettare ancora…
Si
stavano preparando per un concerto a corte.
Passò
a chiamarlo. La porta era aperta.
“André…”
Alzò
lo sguardo su di lei. Rimase per qualche istante ad osservarla, un’espressione
di malinconica insistenza. Non… non riesco… Poi, distinse il bianco.
Oscar indossava l’alta uniforme. Per l’ultima volta, realizzò. Una stretta
al cuore.
Avanzò
di qualche passo. Aveva qualcosa da dirgli. Qualcosa che bruciava.
“Perché
mi hai restituito il libro…” gli occhi tristi. “Non lo hai terminato…”
la delusione nella voce.
La
fissò con dolcezza. Abbassò lo sguardo. Sorrise.
“Sei
bellissima”, ammise.
Poi
si voltò. Per non attendere la sua risposta. E per non mostrarle la sua
commozione di fronte a lei, così bella, avvolta in quel vestito… Per
scacciare quella malinconia struggente si mise a cercare qualcosa.
“Aspetta…”
Fece
qualche passo verso di lui. Avrebbe voluto parlargli, chiedere una spiegazione.
“Tieni.”
Le porse il suo vecchio nastro blu. Oscar sbarrò gli occhi. “Voglio che
stasera tu lo metta.” Un tremito nella voce.
Aveva
a tal punto paura di perderla, da consegnarle un segno, qualcosa di suo che,
agli occhi del mondo, significasse che era sua, soltanto sua? Era questo? Era
consegnarle il suo passato, affidarlo a lei? Era una premonizione d’addio,
racchiusa in un ricordo di lui? Non seppe rispondersi. Non seppe frenare un
brivido. Trattenere le mani che gli tremavano. Seppe soltanto asciugare le
lacrime, che, silenziose, rigarono le guance di Oscar quando lui le legò i
capelli, aggiustandoglieli con delicatezza, mentre le sussurrava “Ora, tienilo
tu.”
La
guardò, da lontano, tutta la sera. Il Concerto in si bemolle maggiore per
violoncello e orchestra di Boccherini lo accompagnò in quella sorta di
commemorazione solitaria. Voleva ricordarla così. Voleva guardarla mille volte
ancora, ma non avrebbe mai voluto dimenticare la Oscar di quella sera. Oscar
che, da lontano, di fianco alla regina e a Fersen, gli riservava brevi sguardi
carichi d’amore, di dolcezza, di malinconia, incurante delle persone attorno a
sé. Oscar coi capelli mossi dalla brezza, Oscar bella come nessuna donna lì
attorno. Oscar che guardava lui e non si accorgeva – o fingeva di non notare
– le occhiate di Hans. Oscar in mezzo all’immensità della musica, che si
confondeva con lo stormire delicato delle fronde, in quella serata magica e
perduta. Attese che l’adagio terminasse. Poi, lentamente, voltò le spalle a
tutto. Oscar, la corte, Versailles. Se ne allontanò, avvolto nel suo mantello,
in mezzo agli spruzzi d’acqua delle fontane e alle foglie mosse dal vento, con
la sensazione che stava perdendo qualcosa.
Nessuno
lo notò quando raggiunse le stalle e partì al galoppo.
Continua...
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