Rape

(Racconto d'Inverno)

Parte

IX

 

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Nota: un ringraziamento, ancora, a Fiammetta, per il tempo dedicato ad analizzare questa parte e per i preziosi suggerimenti, e a Daniela, ad Irene ed a Sonia, il confronto con le quali mi è stato utilissimo. Grazie, ragazze, davvero!

 

"E' meglio che io venga con te…"

"No, André." Il tono di Oscar era risoluto.

"Oscar, per favore, dammi retta…" insistette lui, preoccupato.

Oscar sospirò. Bisognava affrontare il generale. Non aveva senso rimandare ancora. "Resta qui", disse ad André, di fronte alla porta dello studio.

"Padre, devo parlarvi", disse.

Il generale la osservò. Da qualche tempo gli appariva stanca… sicuramente dal caso del Cavaliere nero, dal suo trasferimento alle Guardie francesi.

"Avrò un bambino."

Certo, però, non si aspettava quel genere di notizia. Rimase inchiodato alla sedia.

Oscar continuò. "Ho chiesto un congedo. Non ci saranno problemi… credo", aggiunse.

Suo padre continuava a tacere.

"Tornerò nell'esercito quando il bambino sarà nato…"

Si era fatto livido.

"E… ho deciso di trasferirmi a Parigi. Vado ad abitare là", concluse, tutto d'un fiato.

Ci fu ancora qualche attimo di silenzio. Oscar fissava dritto in faccia il generale. Che taceva. Sembrava inanimato. Una statua di cera, il cui unico segno di vita era costituito dalle vene azzurre, in rilievo, gonfie, pulsanti, che si intravedevano attraverso la pelle pallida delle mani.

Un lampo negli occhi dell'uomo.

"Che cosa?" Tuonò.

Oscar rimase immobile. Paralizzata.

Furibondo, sbatté violentemente le mani sulla scrivania. "Che cosa ti è saltato in mente?"

Lei taceva.

Passarono istanti interminabili. Oscar percepiva solo la rabbia del padre. Era un tormento pazzesco. Ma andava affrontato.

"Come hai potuto?" Il generale era fuori di sé. "Hai disonorato la nostra famiglia!" L'aggredì. "E chi… chi è… chi sarebbe…" non aveva la forza di continuare. E, tuttavia, doveva sapere.

"Padre", Oscar cercò di mantenere la calma. "Non sono un'incosciente…" Parlava a voce bassa.

Un'espressione indecifrabile, negli occhi dell'uomo.

"Non ho mai fatto colpi di testa", continuò, "per questo vi chiedo di rispettare la mia decisione…"

Lui la osservava.

"Non intendo lasciare il mio lavoro…" Non sapeva più che dire… la sua misera razionalità cozzava irrimediabilmente contro la rabbiosa ostinazione del genitore.

"Devi essere impazzita!?" Tuonò. Fece volare i libri sulla scrivania.

Oscar lo fulminò con lo sguardo. "In che senso?" La sua voce suonò tagliente, mentre, il viso basso, lo osservava, gli occhi scintillanti. "Non vedo il problema", osservò. "In fondo, voi siete diventato generale pur avendo sei figlie… non vedo perché io…"

"Perché tu sei…" Si interruppe. Strinse i pugni.

"Come vedete, il paradosso lo avete creato voi…" osservò lei.

"Sta' zitta", la bloccò. Era pallido di rabbia, non sapeva più che cosa obiettare. "Voglio sapere chi… chi è… il padre…" insisté, imperioso.

"Mio marito", fu la laconica risposta di Oscar.

L'uomo dovette pensare di non aver udito bene. Marito? E… quando?

"Cosa???" Si alzò in piedi, urlando. "Chi è?" Le si avvicinò, la strattonò con violenza. Lei taceva. "E quando ti saresti sposata!?" La teneva contro la parete.

Oscar sbarrò gli occhi. Ebbe paura per il bambino. Paura? Sentì tutta l'ingiustizia, l'assurdità di quella situazione. No, non poteva essere così! Lui non doveva permettersi quella boria. L'ira a lungo repressa esplose in lei, sotterrando il rispetto ormai soltanto formale. "Che cosa volete da me?" Oscar prese il padre per il bavero e lo spinse, a sua volta, contro la parete. I ruoli si erano rovesciati. "Che altro volete?" Urlava. "Avete fatto di me quello che volevate! Non me ne sono mai lamentata!" Era rabbiosa. "Ma ora? Cosa vorreste? Che io rinunciassi a tutta la mia vita? Che io vivessi un'esistenza solo di facciata, una vita immaginaria? Magari per farvi contento? E che non mi fossi sposata o, magari, che avessi spostato un idiota? Un imbelle? E per cosa?" Ebbe un sorriso amaro. "Già… per cosa? L'onore? Il rango?" Abbassò gli occhi, improvvisamente triste. "Già… ma cosa significa onore? Di chi? Mio?" Scosse la testa. "No, io non ho fatto niente di male…" Lo guardò in faccia. "Io…" La voce le si incrinò. "Io… ho…" Le era difficile esprimersi, ora. "Ho già pagato abbastanza. E non intendo pagare ancora", concluse, lasciandolo andare con uno strattone.

Aprì la porta dello studio, risoluta. Fuori, l'aspettava André. Aveva udito le loro grida.

Rivolse al padre uno sguardo duro. Aveva preso la sua decisione e, ora, tutto sommato, si sentiva più libera. Ripensava ai sacrifici, alle rinunce. A tutto quello che per anni aveva fatto per accontentarlo. Al dover vivere di nascosto il suo amore con André. A ciò che aveva imposto, anche a lui. Ripensava alla sua vita costantemente rinviata, per il timore di scontentarlo, di non fargli piacere… o, forse, per paura, per vigliaccheria… Pensava che, solo ora, di fronte a quel figlio, trovavano il coraggio di fare passi che, troppo a lungo, avevano atteso a fare… Sentì la rabbia ed il rimpianto di aver perduto tempo. Troppo tempo. Consapevolmente. Sentì la vita scivolarle dalle mani senza alcuna possibilità di recuperarla. Quanti errori. Troppi. Improvvisamente, quello che, prima, le era sembrato ragionevole, le apparve insulso. Inutile. Profondamente ingiusto. Inaccettabile. E non solo per sé. Pensò anche ad André. Respirò a fondo. "Vado via da questa casa", disse, in tono perentorio.

Il generale parve incassare, sbalordito.

"André, fa' preparare i nostri bagagli. Staremo in un albergo finché la casa non sarà pronta."

"Oscar…" André la osservava, preoccupato. Era pallidissima, sudata. Sembrava non reggersi neppure in piedi.

"Che cosa vorresti dire?" Suo padre la prese per un braccio, violentemente. "Se te ne vai ora, te ne vai per sempre!"

Oscar lo guardò, quasi con pena. Per sempre… Ebbe un'espressione perplessa. Sbuffò. In fondo, si disse, non sappiamo cosa accadrà domani, come possiamo essere certi quando diciamo "per sempre", quando facciamo progetti… Si liberò dalla stretta con un gesto stizzito. Ha paura, in realtà, si disse. Paura che io sfugga al suo controllo. Che io sia libera…

"Fate come volete", gli rispose, infine, Oscar duramente. "La cosa non mi riguarda", concluse, mentre faceva per avviarsi.

Lui la trattenne per un braccio, la costrinse a girarsi.

"Dove credi di andare?"

Oscar lo ignorò. Si limitò a voltargli le spalle e a dirigersi verso le sue stanze. André era qualche passo dietro di lei.

Il generale la rincorse per le scale, superando André. "Non puoi andartene!"

Oscar si voltò. "Ora basta." Ne aveva abbastanza. "Non tollero che mi diciate cosa devo e non devo fare."

"Sono tuo padre e decido io", le si oppose il generale.

Oscar abbassò la testa, un sorriso triste. "No… non ne avete il diritto…"

Il generale sbarrò gli occhi, livido.

"Decido io della mia vita… Noi ce ne andiamo", disse.

Un'espressione che non sfuggì al padre. "Noi? Che cosa significa?" In realtà aveva già capito. Temeva da troppo tempo quella realtà."Che cosa vorresti dire?" Il tono si era fatto concitato.

Fu un attimo. La scosse per le spalle. La colpì in pieno viso.

"Lasciatela stare", urlò André, una fitta al cuore.

Oscar vacillò, si aggrappò al corrimano. Perdeva sangue. Alzò lo sguardo verso di lui. "Noi siamo sposati", disse. "André è mio marito."

"No!" Il generale era in preda ad una furia incontenibile. "Non è possibile!" La strattonò con violenza, come un oggetto inanimato, come se volesse distruggerla. E, mentre André si slanciava verso di lei, con un ultimo colpo, le fece perdere l'equilibrio, spingendola lontano da sé, giù, verso il fondo della scalinata.

"Oscar, no!" André se la vide, come al rallentatore, precipitare addosso. Caddero insieme, mentre lui la stringeva a sé per proteggerla.

Passarono istanti interminabili. I due erano ai piedi delle scale, immobili, abbracciati.

Oscar… il bambino… no, amore, no… devo portarti via da qui… devo portarti via… André riemerse dal turbine di pensieri.

"Oscar!!! Oscar!!!" La sostenne. Le sostò delicatamente i capelli dal viso.

Lei aprì gli occhi.

"Stai bene, amore?" Le domandò, premuroso, incurante della presenza di Jarjayes.

Annuì. Aveva lo sguardo carico di tristezza. Quei gesti, quelle parole le avevano fatto male. André la aiutò a rialzarsi. Quando, però, Oscar si rivolse al generale, livido di rabbia, i suoi occhi si erano fatti duri. Era finita.

Fu André a parlare.[1] "Non toccatela mai più", sibilò. Jarjayes lo guardava, dall'alto della scalinata. "Oscar è mia moglie", gli disse, la voce dura. "Ci siamo sposati col consenso del Re, se volete saperlo…" Teneva Oscar per la mano. "Quindi, quella forma a cui tenete tanto è salva", aggiunse con amarezza.

"Non ne avevi il diritto!!!" Quella figlia! L'aveva cresciuta con mille speranze! Le aveva affidato il suo sogno, le sue ambizioni. La sopravvivenza del casato… per un'altra generazione ancora. Tutto. Non aveva mai pensato che avrebbe osato… che le cose sarebbero cambiate… Si sentiva vecchio, ormai, non la capiva, non riusciva a capirla. E lei a capire lui. Anche se erano profondamente simili. Oscar non era più una bambina. Era adulta. Non era più possibile tornare indietro… Non lo guardava più con quel misto di ammirazione e timore, che riempiva i suoi occhi da piccola. Da troppo tempo, se ne accorgeva, lo guardava come un nemico… E il bambino che le aveva messo accanto, il compagno di giochi, era diventato il compagno della sua vita…

"No…" André scosse la testa, lo sguardo intenso. "Vi sbagliate… Io la amo. Credo… credo che nessuno potrà mai volerle bene come gliene voglio io. Rispettarla come la rispetto io."

Il generale abbassò la testa, vinto. Forse André non si rendeva conto che Oscar era stata importante anche per lui… che aveva voluto bene, a suo modo, a quella figlia speciale. Che, se lui non avesse deciso di farla vivere come un uomo, di farli crescere insieme,[2] tutto quello, compreso quel loro amore, non sarebbe mai accaduto. Ebbe un sorriso amaro. Dovresti ringraziarmi, si disse…

"Non voglio più vedervi!" Diede loro le spalle e si allontanò, mentre cercava di scacciare le immagini della figlia adulta e della figlia bambina, che gli si confondevano davanti agli occhi…

André si girò verso Oscar.

"Amore, vieni…"

Era scossa. Tesa. Pallidissima.

Allungò un braccio verso di lei, in un gesto affettuoso.

Fece appena in tempo a muovere qualche passo verso di lui, a sentire il suo abbraccio caldo - già, avrebbe sempre ricordato il calore di quegli abbracci -, che tutto si fece buio, la voce di André sempre più lontana.

 

"Oscar!"

Una voce lontana. Buio. C'era solo buio.

"Oscar, rispondi!"

Sentì la voce farsi più vicina…

Oscar aprì gli occhi. C'era fumo, attorno a sé. Era buio, l'oscurità infuocata da mille scintille.

"André…" riuscì ad articolare.

"Oscar, Oscar, come ti senti?" André la sorreggeva tra le braccia.

"Io… io…"

"Colonnello, come vi sentite?"

Oscar trasalì. Quella voce…

"Colonnello, ci avete fatti spaventare…"

Girodel? Che ci faceva, lì? Con André! E perché? Oscar era confusa. Non capiva cosa stava accadendo. "Io… André, tu… noi…" Si trattenne. "Ma dove sono?"

André era stupito. Pensò che Oscar fosse ancora confusa a causa dell'esplosione.

"Oscar, non ricordi? Dovevamo catturare Jeanne Valois. Sei scesa da sola e…"

"Dove…" Oscar non capiva. Non capiva. Ascoltava André ma non capiva.

"Quando sono arrivato", continuò André, "Nicolas de la Motte stava tentando di ucciderti e Jeanne lo ha colpito, poi ha fatto saltare in aria il convento… Ti ho portato fuori…"

"Ma… noi… noi… Chi è Jeanne… Valois?"

André e Girodel si scambiarono uno sguardo perplesso. Era chiaro che lo shock aveva causato ad Oscar un'amnesia…

Oscar, invece, ricordava tutto con estrema chiarezza. Ricordava tutto. Fino alla lite col padre. Tutto. Ma non quella realtà. Non quella situazione. Le sensazioni ed i ricordi dai quali pareva come essersi risvegliata le sembravano chiari, netti, mentre la realtà che si trovava attorno appariva, rispetto a quelli, completamente diversa. E accaduta anni prima. Lo era. André, Girodel erano reali. Ma differenti. Più giovani.

Ma allora, si disse con sollievo, ho sognato che Girodel… E, poi, immediatamente, si rabbuiò. Già… allora neppure André… e il… non terminò la frase.

A mano a mano, la realtà del proprio risveglio iniziava ad acquistare maggiore consistenza, mentre i ricordi si sfocavano nella distanza, facendosi sempre più evanescenti.

Durante il viaggio di ritorno dalla missione, mentre André la riportava a casa sul suo cavallo, visse con un misto di tristezza e tenerezza quegli ultimi sprazzi di vicinanza e di amore che le erano rimasti nella mente.

 

Oscar ritornò, così, alla vita di sempre. Anche se, spesso, nella sua mente, si affacciavano, come dejà-vu, scene di quello che, con se stessa, aveva finito per definire uno strano, lunghissimo sogno. Anche se quel sogno continuava a sembrarle estremamente reale.

Visse, soprattutto, quel ritorno alla realtà con uno strano senso di perdita nei confronti di André, faticando ad imporsi di considerare che niente mai era accaduto, neppure tra di loro; faticando a considerare normali quei loro rapporti attuali.

Ripensò spesso a quelle scene, negli anni che seguirono, domandandosi come sarebbe stata la sua vita, se quello non fosse stato un sogno.

E si sorprese, da allora, a guardare André con occhi diversi. Quell'André che aveva immaginato così diverso…

 

"Les réves se partagent comme on partage un fruit

Même nuit même coeur mêmes promesses aussi

Mais les ombres séparent nos réves à-demi

(…)

Quand il n'y a personne ni la peur de personne

Mes anges sont si clairs que je ne les vois plus

Il me reste l'attente nos réves à-demi

Enfin elle se rapproche je la touche dejà

J'appelle sa présence et le son de sa voix

La doucer de sa peau les ailes de ses bras

La belle si vous vouliez nous dormirions ensemble

Dans un grand lit carré couvert de roses blanches

(…)

Nous y ferions l'amour jusqu'à la fin du monde"

 

Gabriel Yacoub, "Réves à-demi", in Babel.[3]

 

14 luglio 1789

Sento dolore… dappertutto…

Tutto si sta facendo buio… ho paura, André. Ho paura.

Il respiro di Oscar si era fatto più faticoso. Aprì gli occhi.

Ma ora che tu non sei più qui, con me, che senso ha affannarsi a vivere?

Aveva gli occhi lucidi.

"André…"

Non voglio stare senza di te, amore. Non voglio più stare senza di te…

Amore, aiutami… aiutami…

La vista le si stava appannando. Stava precipitando nell'abisso. Le voci attorno a lei si facevano sempre più lontane. Faticava sempre più a percepirle. E, d'altra parte, non le importava più di udirle, non le importava più di niente.

Sentiva solo la voce dei suoi pensieri.

André…

Avrebbe solo voluto annullarsi nel rivedere André. Solo questo. La sua immagine, non quelle degli altri. La sua voce soltanto. Ma non vedeva la sua immagine. E non udiva la sua voce. L'ultimo inganno…

Sentì il suo corpo inghiottito nel vuoto, nel buio.

André, amore…

Mio amore…

Poi, più nulla.

 

Un'immagine, da lontano, investita dalla luce calda del crepuscolo, si faceva progressivamente più vicina.

Gabbiani si stagliavano su quel tramonto rosso.

Rumore di spari. Delle risa. Quella voce… Amore! Un'ondata terribile di tristezza e felicità la investì. Una figura, in piedi, il fucile in mano. Sempre più vicina, sempre più netta.

Ma… sono… io! Una Oscar più matura si stava esercitando con le armi da fuoco. Qualche passo più in là, André, un bambino in braccio, sistemato su un mucchio di pietre, pareva contemplarla divertito, l'aria sorniona, il mento appoggiato ad una mano.

Amore… amore mio… Oscar ebbe come l'impressione di farsi sempre più dentro a quella scena, a quella realtà.

Vide l'altra Oscar farsi sempre più vicina e, mentre brandelli di ricordi cominciavano ad affiorare alla sua mente e tasselli di memoria ricomponevano il mosaico, una luce fortissima la abbagliò, come un lampo, e gli occhi dell'altra Oscar furono i suoi; le mani, il corpo, la voce i suoi.

"Mamma!!!" Vide il piccolo, entusiasta, saltare giù dalle ginocchia di André e correrle incontro. "Ancora! Spara ancora!!!"

Lasciò cadere il fucile, lo sollevò tra le braccia, stringendoselo contro quasi con timore, mentre gli accarezzava i capelli, osservandolo con occhi nuovi, diversi.

"Dopo, amore…", gli sorrise. Gli baciò la fronte, poi le guance, le piccole mani, come se lo stesse vedendo allora per la prima volta.

"Allora, sparo io!" Propose lui.

Oscar scoppiò a ridere, guardandosi intorno, disorientata. Decisamente precoce, l'"altro" André. Poi, si fece seria. Le armi… nonostante fosse cresciuta in mezzo alle armi, l'idea che lui potesse usarle, il pensiero che potesse farsi male, la spaventavano.[4]

"Ehi, te l'ho detto", lo guardò negli occhi con aria severa. "Non voglio che usi spade o pistole."

"Ma tu le usi…" protestò lui.

"E tu sei troppo piccolo", gli rispose, gli occhi dolcissimi. Gli accarezzò le guance. Non riusciva a smettere di contemplarlo. Quanto somigliava ad André. Provò un'ondata di tenerezza nel ricordarlo bambino. Nel pensare che, tra qualche tempo, loro figlio avrebbe avuto la stessa età di quando loro si erano conosciuti. Lo strinse a sé, mentre lui giocava con i suoi capelli, sempre più lunghi, e quei gesti la colpivano, la intenerivano, la sorprendevano.

Non ricordava segni d'affetto, contatto fisico coi suoi genitori. Semmai, con Nanny…

Lentamente, si avvicinò ad André. Si fermò a pochi passi da lui. Lo guardava.

Poggiò delicatamente a terra il bambino. Con cautela. Quasi fosse un gesto per lei sconosciuto.

"Sta' lontano dai fucili", gli ricordò, intenerita, prima di lasciarlo andare. Poi, restò ad osservarlo mentre correva via, immerso nel suo mondo di giochi e fantasie.

André le prese una mano. Gliela strinse.

Quel contatto, i ricordi e le sensazioni che destava in lei, la fecero trasalire.

"Non è mai stanco…" Le sorrise. "Beato lui…"

"Amore…" Oscar scosse la testa, mente gli rivolgeva uno sguardo dolce, disperato, incredulo, felice, pieno di cose che non si potevano raccontare e neppure immaginare, carico di tutta la sofferenza e di tutto l'amore che si portava dentro.

André si alzò. Cercò con le mani il suo viso, i suoi lineamenti. Oscar fu investita da una miriade di sensazioni diverse. Sentì, a quel gesto, una fitta al cuore, una pena atroce, un profondo senso di colpa. Ma anche, mentre lui le carezzava i capelli e intrecciava le dita alle sue, tenerezza, dolcezza, calore.

"Sei qui…"[5] le disse soltanto, gli occhi lontani, luminosi, pieni di felicità; la voce calda, che gli tremava, carica di rimpianto.

E Oscar lo abbracciò, quasi travolgendolo, con forza, nella paura di scoprire che non fosse reale, che non esistesse, nel terrore di perderlo ancora. E, mentre anche lui la serrava contro di sé, lo tenne stretto a lungo, ostinatamente, accarezzandogli i capelli, aggrappandosi a lui quasi con disperazione e, poi, baciandolo mille e mille volte, sorprendendosi a riconoscere e scoprire, insieme, il suo viso, la sua pelle, le sue labbra. "Amore…" piangeva. "Amore dolcissimo… Non voglio più stare senza di te…"

Poi, ma solo molto dopo, trovò la forza di sciogliersi dall'abbraccio e, a lungo, rimase a contemplare, commossa, i suoi due André.

 

 

Laura, novembre 1999, giugno 2001

Fine

Mail to laura_chan55@hotmail.com

 

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[1] Ringrazio Fiammetta per l'idea di fondo su come gestire questa scena. E ringrazio, di nuovo, ancora, Daniela, Fiammetta, Irene e Sonia per i giudizi franchi che mi hanno dato, che mi hanno consentito di vedere quello che scrivevo con obiettività maggiore e di renderlo più adeguato.

[2] Non posso non pensare a "In vece del Padre" di Fiammetta. Molto di quella analisi è passato nella mia mente, mentre scrivevo del generale. E deve essere tornato in mente anche a Fiammetta, mentre lavorava ad "Errore" 9, ripensando alla figura di Nanny, che parla di Oscar come una "figlia".

[3] Un grazie, davvero, ad Alexandra, senza la quale non avrei mai conosciuto le canzoni di Yacoub.

[4] Pensiero suscitato dalla lettura di "Gli anni…" parte 3, di Sonia. Altro che cornicione!!! ^^;;; Un bel guinzaglio con un metro di gioco e passa la paura!!!

[5] Suggerimento di Fiammetta, rispetto al meno ambiguo "Sei tornata" del testo originale.