Rape

(Racconto d'Inverno)

Parte VIII

 

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Nota: un ringraziamento, ancora, a Fiammetta, per il tempo dedicato ad analizzare questa parte e per i preziosi suggerimenti, e a Daniela, ad Irene ed a Sonia, il confronto con le quali mi è stato utilissimo. Grazie, ragazze, davvero!

 

E, così, lentamente, André riuscì ad entrare nel mondo di Oscar, dei suoi problemi. E, lentamente, lei riuscì, seppure con immenso sforzo, superando il proprio pudore, a parlargli, a comunicargli quello che sentiva, la paura, l'ansia, il terrore, i sintomi, le situazioni; quello che le pareva, ad una analisi obiettiva, scatenante; quello che temeva, inconsciamente invece, fosse scatenante… parlare, cominciare a parlarne le faceva bene. Non risolveva il problema, ma, almeno, contribuiva a scaricare parte della tensione.

A volte bevevano insieme e, allora, Oscar, aiutata dall'alcool, pareva più calma. Altre volte, di notte, vegliava accanto a lei, che aveva il terrore anche solo di addormentarsi per abbandonarsi agli incubi che la perseguitavano. Altre volte ancora Oscar cercava come rifugio dalla nonna e dalla madre. Che non capivano molto dei fantasmi di quella mente, ma, istintivamente, sapevano come prendere la giovane. Una cosa di cui André, decisamente più razionale di loro, si stupiva sempre.

D'altra parte, Oscar stessa aveva saputo nascondere agli estranei - o, meglio, all'esterno - il suo problema. La Regina non sapeva che quello a cui aveva assistito non era un malessere momentaneo. Rosalie non immaginava quanto le stava accadendo. E neppure il generale. E i soldati non avevano notato niente. Era stata brava. Forte, a suo modo.

Aveva rifiutato, di fronte alle insistenze di André, di farne parola col dottore. Per pudore e perché riteneva che fosse, piuttosto, un problema suo, da risolvere con se stessa. Sentiva che non era cosa che la medicina avrebbe potuto sanare. Sentiva, ora soprattutto, che poteva, in qualche modo, aggiustare quel qualcosa che si era rotto dentro di lei. Si sentiva più leggera.

Accettò, dunque, di comandare una breve missione fuori Versailles, nonostante lei per prima dubitasse di farcela. In cuor suo, contava su André. E, comunque, si sentiva di poter fronteggiare quella piccola sfida. Ebbe, così, la conferma di poter ancora agire come una persona normale, come la persona normale che era stata prima. Lontano dall'ambiente consueto e dalle sollecitazioni che la mettevano sotto pressione, reagì allontanando i dubbi e le paure e rivelando una rinnovata tranquillità.

Certo, quando pensava che dello squadrone faceva parte anche Girodel, la cosa non la lasciava tranquilla. E l'uomo, d'altra parte, continuava a tormentarla, seguendola quasi di nascosto, l'espressione sicura. Ma André faceva in modo di non lasciarla mai sola e questo non era poco, per Oscar.

Così, in parte, quella missione densa di imprevisti, aveva segnato, dopo ormai sei mesi di crisi, il punto di svolta nei problemi di Oscar. L'impatto con l'esterno le fece bene e lei iniziò a sentire sempre meno drammaticamente i disturbi, che si fecero meno intensi e meno frequenti.

Se, prima, aveva avuto paura degli spazi aperti, ora aveva ripreso con rinnovato interesse i suoi allenamenti con André e anche Rosalie. Aveva riscoperto il piacere dell'esercizio fisico, del sentirsi il corpo a posto e la mente piacevolmente libera, sgombra da preoccupazioni. Mentre combatteva, a mano a mano, Oscar si rendeva conto che i pensieri scomparivano, per lasciare il posto alla concentrazione sui gesti, ad un tipo di attenzione diversa, fisica, che, alla fine, la svuotava. E si impegnava, fino allo sfinimento, per ritornare in forma, spinta dal bisogno di liberare il proprio organismo da tutto quello che aveva accumulato per troppo tempo. Voleva stare di nuovo bene. Voleva vivere.

André poteva vedere una luce diversa nei suoi occhi e, finalmente, poteva dirsi sollevato. La assecondava volentieri, fino allo stremo delle forze, per poi crollare, distrutto, sull'erba, mentre lei lo prendeva in giro.

 

Accadde durante un allenamento.

Avevano appena terminato di esercitarsi con le spade. André disteso sull'erba, Oscar seduta accanto a lui.

"Che ne diresti di un po' di esercizio con le pistole?"

"Che ne diresti di un sonnellino?" La candida risposta di André.

Oscar balzò in piedi: "Solo un po', poi il meritato riposo!" Aveva trovato un compromesso accettabile.

"E va bene…", fece lui mentre le tendeva la mano perché Oscar lo aiutasse. "Se mi dai una mano", aggiunse con aria sorniona. E, mentre lei gli prendeva la mano, lui l'attrasse a sé a sorpresa, abbracciandola.

Oscar lo baciò. "Dopo… promesso." E lo costrinse, suo malgrado, ad alzarsi. "Ti aspetto qui", gli sorrise, mentre si stendeva, con somma soddisfazione, sull'erba al suo posto, suscitando in lui uno sguardo scherzosamente torvo.

"Sta' attenta…" le gridò André mentre correva via.

Pochi minuti. La casa era a pochi minuti.

Pochi minuti… Oscar si rialzò a sedere. Non era tranquilla. Si guardò attorno, scrutando i cespugli, gli alberi; cercò di percepire il minimo rumore. Strinse l'elsa della spada, che aveva tenuto accanto a sé. Si pentì di non aver seguito André: non sarebbe rimasta da sola.

Ebbe l'impressione di un fruscio, dietro di sé. Ebbe paura.

Rimase immobile, incapace di fare il minimo gesto, le dita contratte sull'impugnatura.

Dei passi.

Una voce.

"Vedo che sei in forma come al solito."

Il terrore, che l'aveva paralizzata, la costrinse, ora, a voltarsi di scatto.

Era lui.

Proprio quello che aveva temuto per tanto tempo, in quel momento si era materializzato di fronte a lei. Tutte le sue paure, le sue angosce… neppure stare tanto male era servito ad evitarle questo momento.

Eppure, in un impeto d'orgoglio, non volle mostrargli la sua paura. Negli occhi, nei gesti.

"Cosa volete?" Lo squadrò, gelida. Si stupì di come la sua voce suonasse sicura. Di come, d'un tratto, le sue paure avessero lasciato il posto ad una sorta di vuoto in cui le parole risuonavano come amplificate e le immagini erano percezioni intensificate nei colori. Tutto sembrava scorrere al rallentatore.

"Già… non mi hai facilitato le cose, quella volta." Si avvicinò ancora. "Ad essere sincero, anzi, me le hai complicate parecchio", aggiunse in tono di sfida. "Da molti punti di vista…"

Ma che idiota,[1] si ritrovò a pensare Oscar… che vorrà dire? Doveva averlo guardato in maniera particolarmente strana, perché lui si sentì in dovere di spiegarsi meglio. O, forse, si era solo preparato il discorso e non era capace di parlare a braccio, si disse Oscar.

"Già, non immagini quante complicazioni… Gente che si fa negare, freddezza…"

Come minimo, commentò Oscar tra sé.

"E, poi", lo sguardo si fece tagliente, "le chiacchiere…"

Sentilo, l'idiota. Viene a dirlo a me. Lui. Oscar stava per scoppiare.

"Già, perché qualcuno provava simpatia per una… una come te.." Le si avvicinò.

Oscar non si mosse.

"Una che… sì, c'è stata, no?"

Oscar ebbe uno scatto. Balzò in piedi, la spada nascosta dietro di sé. Era furibonda.

"Una che ha ucciso… mio figlio!"

Quello che voleva essere il culmine del pathos, riportò, invece, Oscar coi piedi per terra. Lo guardò. Un miserabile. Un cretino di un metro e ottanta. Un imbecille che si nutriva di pregiudizi e luoghi comuni. E che non sapeva neppure… - soffocò un commento poco signorile. - Quella era la realtà. Un idiota che voleva ferirla e, invece, alla fin fine, la faceva solo ridere.[2]

Oscar, trattenendosi a stento, rimase in silenzio a squadrarlo, mentre lui si sarebbe aspettato una risposta.

"Non hai niente da dire?" La interpellò, spaesato.

"Se non ricordo male, siete voi che siete venuto qui. Suppongo, quindi, che abbiate qualcosa da dirmi…" Oscar non si spiegava, in effetti, il senso di quella… visita.

"Oppure da fare… con te." Il tono era volutamente minaccioso.

Incredibile, pensò Oscar. ^^;;;

Avanzò di qualche passo. Le si fece vicinissimo. "Ti piacerebbe?"

Oscar non ne poteva più. Gli mollò un calcio tra le gambe, poi un pugno nello stomaco e, mentre lui era piegato a terra, gli balzò addosso, tempestandolo di pugni ed, infine, puntandogli la spada alla gola, mentre, con l'altra mano, gli premeva il collo a terra, conficcandogli le unghie nella pelle. "No! Non mi piacerebbe per niente!" Gli sibilò. Strinse maggiormente la presa. Sotto le dita quella pelle, quelle vene gonfie. Sentiva il proprio sangue scorrere più velocemente, alla sensazione di poterlo strangolare. Capì che avrebbe potuto ucciderlo, se non si fosse fermata. "E adesso andatevene o stavolta non la passerete liscia!"

Ma lui fu rapido e le si scagliò addosso, dal basso. "Stavolta non la passerai liscia tu!" Le disse, tenendola bloccata a terra. Le pesava addosso. Di nuovo. Ancora quei ricordi…

"No!" Oscar cercò di scacciare quelle immagini dalla mente. Doveva difendersi. André sarebbe arrivato, prima o poi. Doveva guadagnare tempo. "No!"

Assestò, come poté, un altro calcio strategico. Lui dovette allentare la presa. Ancora un calcio allo stomaco e poté finalmente muovere il braccio con la spada per cercare di colpirlo alla schiena. Sentì qualcosa opporre resistenza. Lui urlò.

Oscar cercò di divincolarsi. Riuscì a rimettersi in piedi. Lo guardò. Uno squarcio gli lacerava la giacca, la ferita non doveva essere profonda. E, proprio mentre lui tentava, di nuovo, di aggredirla, André gli puntò la pistola alle spalle e così fece anche Rosalie.

"Fermo, o sparo!" Gli intimò André, mentre Oscar gli premeva la spada contro la gola.

“Un tempismo quasi perfetto!” Oscar gli sorrise di rimando. “Vedo che hai portato anche i rinforzi”, osservò, accennando a Rosalie che, lo sguardo gelido, concentrato, teneva l'intruso sotto tiro.

 

Fu un bel trambusto quello che animò quel giorno palazzo Jarjayes, di solito tranquillo. Gli uomini delle Guardie reali presero in consegna Girodel, mentre Oscar chiedeva udienza privata alla regina.

"Maestà, non mi importa che sia incarcerato. Anzi, non lo voglio. Chiedo solo che, d'ora in avanti, io non lo debba più vedere", disse Oscar, la voce chiara che tradiva l'emozione.

"Oscar, io intendo chiedere per il conte Girodel un provvedimento di confino nelle sue terre…"

"Come preferite, Maestà, ma", fece una pausa, "ormai… le cose non si possono cambiare… Chiedo solo di non doverlo incontrare mai più", concluse.

"Oscar, io…" la regina soppesava le parole. "Devo tutelarvi anche da vostro padre…" Le sorrise. "Di certo non pretenderà di accasarvi con qualcuno colpito da un bando di esilio o di confino…"

Oscar abbassò lo sguardo. "Certo, capisco…" Si rialzò in piedi. "Vi ringrazio…"

 

1788

Una pioggerellina sottile rendeva grigio il cielo di Parigi. Oscar, avvolta in un mantello ghiaccio, un'aria indecifrabile, attraversò la strada, raggiungendo André.

Furono poche parole. André la guardò, dolcissimo. Oscar, gli occhi scintillanti, le guance accese, un' espressione intensa, quasi triste, quasi malinconica, gli si appoggiò contro, cercando rifugio. Lui la cinse a sé. Rimasero così, a lungo.

Più tardi, seduti sui gradini di una scalinata, parlarono a lungo.

Parlarono di quel bambino che aspettavano. Parlarono delle incertezze di Oscar.

"Ho paura, André…"

Lui la teneva abbracciata da dietro. "Lo so, amore…" Aveva lo sguardo lontano… e non soltanto perché, ormai da qualche tempo, non vedeva più bene. Pensava. Pensava a tutto quello che avevano passato.

"Non so che fare…" Oscar aveva gli occhi lucidi. Avrebbe voluto piangere, ma non ci riusciva. Aveva paura, ma, nel contempo, si sentiva investita come di una forza inaspettata, che le faceva considerare possibili cose, fino ad allora, improbabili. Temeva che quel giorno sarebbe arrivato, ma si sentiva, in fondo, sollevata.

Fosse stato con qualcun altro, quel figlio, non lo avrebbe voluto. Sarebbe stato una cosa troppo grande, per lei, troppo lontana. In fondo, considerò, solo con lui poteva accettarlo. Chiuse gli occhi. Si appoggiò a lui. Pensare che era anche suo. Una parte di lui… Sentiva che con lui sarebbe stato diverso. Con lui avrebbe potuto fare l'impossibile… Respirò piano. Gli prese le mani. Lo scrutò da sotto, l'aria da gatta.

"Ti piacerò ancora quando sarò… cambiata?" Trovò, non si spiegò come, il coraggio di domandargli, l'aria comicamente preoccupata.

André la osservò stupito. Le attrasse il viso a sé, la baciò. Le passò le mani tra i capelli. Poi le sorrise. "Amore, perché dovresti cambiare?" Il suo sguardo era luminoso. "Sarai bellissima", le disse.

"Come fai a saperlo?", ribatté Oscar, imbronciata.

"Ti conosco", le rispose lui divertito, la voce profonda, dolce. Quello che Oscar voleva sentirsi dire. Poi, d'un tratto "To do less…" cominciò, scherzoso.

"Va bene! Va bene!", lo interruppe Oscar. "Tregua!" Lo guardò minacciosa: "Quando fai così sono sempre più convinta di non averlo…"

"Perché no?", fece lui, tornato serissimo, con tono accorato.

"Perché qualche volta vorrei che ti occupassi di me senza scherzare", buttò là la povera Oscar, imbarazzatissima e terrorizzata dal tono di André. "Ma, insomma, ti rendi conto cosa significa per me?" Proprio non se la sentiva di affrontare quel passo… Ma, ormai, non aveva quasi più scuse.

"Sì", fece lui, pensoso. Guardava avanti a sé. "Ma, per una volta, mi permetto di essere tanto egoista da essere felice…" La attrasse contro di sé, baciandole i capelli. "Sono felice… sul serio…" Era commosso. I loro visi si sfiorarono in un gesto affettuoso.

Oscar ne sentì le lacrime sulle sue guance. Lo abbracciò, di slancio, stringendolo forte a sé, come se avesse voluto -potuto- proteggerlo dal dolore, dalla tristezza. Ho paura, pensò, una paura da morire… Di questo figlio, di perderti… Amore, non lasciarmi mai…

"Potremmo prendere una casa a Parigi", fece  André all'improvviso. La teneva ancora stretta.

Oscar fu stupita dalla proposta. "Pensi che ce la faremmo?" Una casa. Non se l'aspettava. Per la prima volta, cominciò a pensare all'idea di una casa loro. Le veniva in mente soltanto qualcosa di raccolto, qualcosa solo per loro due. E per il loro cucciolo…

"Dobbiamo fare qualche conto, ma, ad occhio e croce, direi di sì", considerò lui.

Oscar si alzò. "Dobbiamo andare." Sarebbe rimasta lì, con lui, un'infinità. Dopo tanti anni, era ancora innamorata. Fece qualche passo. Un'ombra le velò lo sguardo. Tornò ad una sera, di tanti anni prima. "Un giorno... te lo dirò..." gli aveva risposto, quella volta. Chissà se lui lo ricordava…

"André… Vorrei chiamarlo André", disse soltanto, mentre, a passi rapidi, precedeva il suo stupefatto marito.

 

"Dovremo affrontare tuo padre…" considerò André, fattosi improvvisamente serio, a voce bassa. Teneva Oscar stretta tra le braccia. Avevano fatto l'amore.

Oscar non se lo spiegava, ma trovava che il modo di fare l'amore di André fosse diventato molto più intenso, quasi più possessivo, da quando aveva saputo del bambino. E le piaceva. Sospirò. "Hai ragione", gli disse. "Ormai…"

Avevano, finalmente, trovato una casa a Parigi. Una minuscola mansarda dalle travi a vista, ripidissimi scalini in pietra grigia, circondata da tetti e comignoli, ma calda e accogliente. Oscar era rimasta perplessa, quando l'avevano visitata, ma André se ne era innamorato e l'aveva convinta che quello sarebbe stato il loro nido d'amore. Nido… in effetti, le dimensioni non erano di molto maggiori. La padrona di casa, la moglie di un anziano medico ormai malato, aveva accordato loro un affitto accettabile e la casa sarebbe presto stata libera dagli attuali inquilini. Avevano intenzione di trasferirsi appena fosse stato possibile. Certo, non era la condizione ideale, ma erano certi che ce l'avrebbero fatta. Ormai, si trattava solo del generale - e, francamente, non sapevano se avrebbe preso peggio la notizia del matrimonio, del bambino o il fatto che Oscar avrebbe lasciato il palazzo-. Gli altri, ne erano abbastanza sicuri, non ne avrebbero fatto una tragedia.

 

 

Continua...

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[1] Sul termine "idiota" Daniela, giustamente, mi faceva notare che è un po' poco per uno che ti ha violentato e che, secondo lei, sarebbero stati più adatti "porco" o "animale". Io, pur concordando con la sua valutazione, ho preferito mantenere "idiota" per rendere meglio quel senso di distacco, anche formale, che Oscar prova a mettere tra di loro.

[2] Ironia involontaria… Cosa c'è di peggio che far ridere quando non si vorrebbe?