Rape

(Racconto d'Inverno)

Parte V

 

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La mattina dopo, quando Oscar si svegliò, André dormiva ancora. Fu strano, ritrovarsi tra le sue braccia. Constatò che non ci era abituata. Era piacevole. Considerò che non ci si sarebbe mai potuta abituare. E lo fece con rammarico. Chiuse di nuovo gli occhi, annusando l'odore della sua pelle. Si strinse di più a lui. André si svegliò. Le sorrise, gli occhi luminosi. Le diede un bacio.

"Buongiorno, mia Oscar..."

Era ora di alzarsi. Fuori, la cameriera che, come ogni mattina, le portava l'acqua calda per lavarsi, aveva già bussato per annunciare che il recipiente sarebbe stato lasciato fuori dalle stanze. Quel rituale quotidiano riportò Oscar alla realtà. Provò un brivido. André se ne accorse. Le strinse una mano.

"Coraggio..."

Rimase ad osservarla mentre lei si rimetteva addosso qualcosa, per sporgersi fuori dalla porta e recuperare l'acqua.

"Sei bellissima..." Oscar arrossì. Quando lui, con l'indice, le delineò le linee del corpo, gli prese la mano e se la accostò alle labbra.

"Ti amo", gli disse, con gli occhi pieni di amore, tristezza, paura.

Lui si rizzò, accanto a lei, abbracciandola. "Anche io ti amo..." Poi, rapidissimo, si vestì, per tornare in camera sua, approfittando del fatto che Oscar controllava, mentre ritirava l'acqua, se qualcuno potesse vederli.

Il tempo di lavarsi. Scesero tutti e due insieme. André la osservava, preoccupato. Oscar aveva un'aria tiratissima. Pallida. Era presto. Fecero colazione in silenzio. Oscar, che adorava il cioccolato, quella mattina prese solo del tea.

"Ragazzi, dove andate, così di buon'ora?", domandò la governante, sorpresa di vedere di nuovo Oscar spuntare dalla sua stanza, ma preoccupata per il suo atteggiamento.

"Oggi siamo in libera uscita! Andiamo a fare un giro...", mentì André, mentre porgeva ad Oscar il suo mantello.

"Con questo tempo?" obiettò la donna.

"Fuori Versailles non sarà così... Non sappiamo se torneremo tardi o ci fermeremo fuori...", continuò, "in ogni caso, non preoccuparti!"

"Ma non volete che vi prepari qualcosa da portare via?", implorò la nonna.

"No, grazie... mangeremo qualcosa lungo strada."

Uscirono. Presero i cavalli. Oscar, pur di non affrontare anima viva, preferì aspettare nelle scuderie che André sellasse anche il suo cavallo.

Una pioggerellina sottile li bagnava. Considerando le condizioni in cui sarebbe tornata Oscar ed il tempo, forse sarebbe stata più indicata la carrozza. Ma l'assenza di una di queste, dalle scuderie, avrebbe anche dato troppo nell'occhio. Inoltre loro usavano sempre i cavalli. Come spiegarlo? Non avevano trovato molte soluzioni. Una - forse l'unica - praticabile era prendere una carrozza al ritorno, attaccando dietro i cavalli. Ma quando Oscar, improvvisamente, dopo appena qualche metro, fermò il cavallo e, lentamente, muovendosi come un automa, scese a terra, svenendo, André si rese conto che lei non era nelle condizioni di cavalcare. Preoccupatissimo, la soccorse, deponendola, poco fuori dalla proprietà dei Jarjayes, sul suo mantello, che aveva steso sull'erba. Le slacciò lo jabot ed il gilet. Lei era pallidissima. Aspettò che si riprendesse. Oscar riemerse dall'oscurità, le orecchie che le ronzavano, gli occhi che, a poco a poco, restituivano l'intero campo visivo.

"Oscar... va meglio?"

Lei fece per sollevarsi, ma lui le impose di restare giù. "Dobbiamo andare...", disse lei, debolmente.

"Non credo che tu sia in grado. Non hai forze per stare in piedi, figuriamoci per affrontare un intervento..."

"Ti prego.", gli prese la mano, "Devo farlo ora, altrimenti... non ne avrò più la forza..."

André sospirò. Non c'era altro da fare. La fece salire sul suo cavallo. Lui salì dietro a lei, sorreggendola. Rientrarono. Cambiarono i cavalli con una carrozza. Lui chiamò il cocchiere, solo quando, di peso, aveva già issato Oscar dentro e tirato le tendine. Non poteva rischiare che lei svenisse, di nuovo, senza poter avere soccorso. Doveva starle accanto. Si sedette al suo fianco, guardandola in modo intenso, un braccio che le circondava le spalle. Oscar gli si appoggiò contro, senza forze, la testa sulla sua spalla. L'atteggiamento di André era leggermente cambiato, dopo la notte trascorsa insieme. Pareva quasi che volesse proteggerla, che la guardasse e toccasse con un misto di rispetto e delicatezza, come una cosa preziosa. Rimase silenziosa, tesa per tutto il tragitto. Era una tortura. Aveva paura. Avrebbe voluto fosse già finito. Non vedeva l'ora di potersi accoccolare accanto ad André e dimenticare. Poi, cominciò a riprendersi. Fecero fermare poco prima della casa del dottore. Proseguirono a piedi. Lui le cingeva premurosamente le spalle con un braccio, sostenendola. Lei cercava di essere forte, ma aveva paura. Non solo di ciò che andava ad affrontare. Ma anche di ciò che significava. Della decisione che esso implicava. Ma non riteneva di avere scelta. Se le cose fossero state diverse... ma così, no! Era terribilmente triste, ma, dopo aver deciso, si era sentita più leggera. Soprattutto, era stanca, svuotata. Le restava da affrontare questa, ultima, lunga, prova. Poi, sarebbe finita. André la osservava in silenzio. Avrebbe voluto dirle tante cose. Ma non lo fece.

Entrò da sola nello studio. Alzandosi dal divanetto, nel corridoio, sfiorò il braccio di André, ma si allontanò senza neppure guardarlo. Ora era il suo turno. A lui non restava che aspettare. Dentro, il dottore la attendeva. Ebbe parole di conforto. Le disse che era tutto pronto. Era sola. Sempre più mentre, dietro un paravento, si preparava; mentre vedeva un tavolo di marmo gelido,[1] sul quale era stato disteso un telo;[2] mentre il dottore la rincuorava, a sua volta, in attesa della preparazione della mistura, ebbe paura. Cominciò a tremare, vistosamente. Doveva farcela. Anche se, ancora, non riusciva a credere che tutto quello fosse capitato proprio a lei. Si aggrappò disperatamente al pensiero di André, del loro amore, della notte precedente. Quella doveva essere la sua forza. Cercò di pensare solo a lui. Doveva superare quel momento e continuare a vivere.

Fuori, il cuore di André era una tempesta. Voleva vederla. Attese, poi agì d'impulso. Prima che il dottore cominciasse, chiese di entrare. La scena era impressionante. Il tavolo di marmo, coperto da un telo. Oscar, pallidissima, che non perdeva di vista i movimenti del dottore. Sembrava profondamente indifesa. Lo guardò. Tristemente, intensamente. Lui provò una pena infinita. Avrebbe voluto essere al suo posto.[3] Lei sentì un dolore profondo. Non avrebbe mai voluto che lui vedesse la sua sofferenza, perché gli avrebbe fatto troppo male. Lui le si avvicinò e le diede un bacio sulla fronte, scostandole i capelli. Lei lo guardò, sorpresa, dolcissima e disperata..

"Ti voglio bene..." le sussurrò lui, gli occhi lucidi.

Lei gli prese la mano mentre si stava già allontanando "...Anche io...", disse, piano, mentre due linee sottili le si delineavano lungo gli zigomi.

Poi, André tornò sui suoi passi, stringendole la mano: "Andiamo via, Oscar! Vieni via! Non voglio che ti facciano questo!"

Lei lo guardava, disperata. Le dispiaceva. Sapeva che vederla in quello stato gli avrebbe fatto un effetto terribile. Ma non era riuscita ad evitarlo...

"No. Non posso..." gli disse a voce bassa, "Lo sai..." Si era alzata in piedi. La voce ricominciò pericolosamente ad incrinarsi, di fronte al suo atteggiamento. Lui, che, in tutta la situazione, era stato un punto fermo, incrollabile.

"Scusami..." André ebbe un sorriso triste. Chinò la testa. "Hai ragione..."

Non se ne andava. Incerto, qualcosa lo tratteneva.

"Oscar..." non sapeva da dove cominciare... ma non c'era tempo. "Mi vuoi sposare?"

Le sue parole risuonarono, nel silenzio dello studio. Il dottore tossicchiò, sempre più perplesso. Oscar le sentì echeggiare nella sua testa.

"Ma... André... perché?" Era sorpresa. Non se lo aspettava.

Il dottore uscì, sconsolato. Di solito a quelle domande si rispondeva con un sì o con un no... mah, i giovani d'oggi!

"Ti prego... una cerimonia solo per noi due. Non lo saprà nessuno. Ma, tra di noi, vorrei che fossimo sposati..." Aveva uno sguardo dolcissimo ed intenso. "...appena starai meglio... magari ad Arras..." Oscar lo guardava, incredula. "Ti prego, non dirmi di no. Non cambierà niente nella tua vita.", insistette lui.

"Quanti anni ho per risponderti?", scosse la testa Oscar, sorridendo del suo gesto, ma, in realtà, profondamente colpita.

"Un momento solo..." una pausa, "e, dopo, tutta la vita..." La guardava intensamente, lo sguardo dolcissimo e innamorato.

Oscar chiuse gli occhi. La sera prima aveva sperato... Perché no? Alzò le spalle. "Va bene... accetto.", disse con la sua bella voce chiara. E aggiunse, cercando di sorridere, "Dopo dobbiamo discutere le condizioni!" Gli strinse la mano. "Ora vai. E, per favore, di' al dottore di entrare."

Lui si chinò a baciarla, accarezzandole i capelli. Lei lo guardò allontanarsi attraverso il velo delle lacrime.

 

Fu una cosa lunga. Seduto sul divanetto, fuori dallo studio, André attendeva notizie. Era sempre più preda dell'ansia. Non aveva assolutamente idea di come stesse andando. Erano trascorse ore. La pioggerellina aveva lasciato il posto ad un pallido sole di mezzogiorno, che, alto, dalla finestra in fondo al corridoio, disegnava quattro riquadri sul pavimento. Aveva soltanto udito Oscar lamentarsi in un paio di occasioni e la cosa gli aveva gelato il sangue. Aveva paura. Anche se si ripeteva che quelle cose erano molto più ordinarie di quanto lui pensasse. Quello che era accaduto tra di loro la notte precedente, il fatto che Oscar avesse accettato di sposarlo... sembravano, adesso, situazioni irreali. Tutto era irrilevante, di fronte al terrore di perderla. Maledisse il momento in cui, per chiarirle le idee, le aveva prospettato l'aborto, con tanto di argomentazioni razionali! Se lui non avesse parlato, la sua Oscar non si sarebbe trovata in quelle condizioni! Era furibondo. Con se stesso. Poi, lentamente, riaffiorò la coscienza della violenza che lei aveva subito. Lo stato di necessità, che l'aveva spinta a quella decisione. Le scelte sono tali quando le alternative sono appetibili. I fondamenti dell'economia. Non era tale la prospettiva di un figlio, per Oscar, soprattutto da uno stupro. Oscar si era dovuta difendere. Non le era stato concesso di difendere il proprio corpo. E, allora, aveva difeso la propria integrità morale, la propria facoltà di autodeterminazione. La comparsa del dottore sulla porta interruppe i suoi pensieri. Un tuffo al cuore.

"Dottore, come sta Oscar?"

"Vieni, André, ho bisogno di una mano..."

Mentre camminava, sentiva le gambe di pietra. Ebbe paura. La vide. Pallidissima, priva di sensi, distesa ancora sul marmo, una larga chiazza rosso scuro affiorava sul telo, che ne celava il corpo. Per terra altri teli più piccoli, sporchi di chiazze scure. Impallidì.

"Puoi portarla qui?", il dottore gli indicò la stanza di degenza. "Sollevala con cautela... muovila il meno possibile..."

Lui la prese tra le braccia, delicatamente. Fu allora, quando fece per girarsi, che vide il catino, che era stato poggiato su di un ripiano. Vacillò, alla vista dei grumi scuri, stemperati nel sangue. Il dottore intuì il suo sguardo. Lui si riprese. Depose Oscar sul letto, la coprì delicatamente, liberandola dal telo.

"Come sta?"

"Deve riposare... ha la febbre. Aumenterà, probabilmente, nelle prossime ore. L'organismo deve reagire." Il dottore le stava provando il polso. Aveva un tono spento. Era stato medico di Oscar fin da quando era una bambina. "Starà male per qualche giorno. Non deve muoversi." Si volse verso di lui. "Stasera la riporterai a casa. Se ci sono problemi, chiamatemi. Altrimenti verrò io, tra un paio di giorni..."

"Vi ringrazio..." Esitò. Ma la cosa andava chiarita. "Dottore... ricordate che nessuno, tranne la madre di Oscar e mia nonna, sapeva del bambino. E che nessuno sa... di oggi..."

"Certo... sta' tranquillo, André."

André lo lasciò uscire, poi si sedette accanto ad Oscar. La stanza era in penombra. C'erano altri letti. Oscar riposava, sotto l'effetto dell'oppio. Lui non riusciva a pensare a niente. Non poteva fare niente. Né alleviare il suo dolore, né proteggerla. Poteva solo rimanerle accanto. Solo sperare che tutto andasse bene. Non sentiva la fame. La stanchezza. Niente, in confronto a quello che stava passando lei. Le carezzò delicatamente i capelli, scostandoglieli dal viso. Appoggiò la schiena alla poltrona. Sospirò. Poi, tornò a guardare Oscar, tenendole la mano.

Oscar riprese i sensi nel primo pomeriggio. Aprì gli occhi e trovò André al suo fianco.

"Oscar... come ti senti?" domandò, premuroso.

"Noi... ci sposiamo... vero?", articolò. Poi, richiuse gli occhi, respirando debolmente.

Lui la guardò, intenerito. Era ancora intontita. La febbre che si stava alzando. La mente sprofondata in un grigiore plumbeo. André chiamò il dottore, che gli fece cenno di uscire. La visita durò a lungo. Poi diede indicazioni ad André.

Solo più tardi Oscar cominciò a riprendere un labile contatto con la realtà. Era tempo di tornare a casa, ma lei non aveva forze. Allora, fu André ad occuparsi di tutto. La teneva tra le braccia, avvolta nel suo mantello, quando lasciarono lo studio del dottore. Oscar sentì l'aria, fredda, sul suo viso. Era buio. André fermò una carrozza. Per attutirle gli urti, la tenne in braccio, la testa reclinata sulla sua spalla. Oscar non disse niente per tutto il tragitto. Soltanto con lentezza la sua mente riusciva a formulare pensieri relativamente coerenti. Paradossalmente, considerava, quelli erano i loro ultimi momenti di intimità. Poi, sarebbero stati restituiti alla loro esistenza ordinaria. Lacrime silenziose le rigarono il viso. Era confusa. La febbre le faceva dolere i muscoli e le velava i pensieri. La moglie di André... una frase che le si ricostruiva, sorda, nel cervello. La moglie di André... Aveva un suono dolce... Fece uno sforzo per sollevare la mano fino al viso di André. Lui gliela coprì con la sua, premendola delicatamente contro la sua guancia. Le baciò i capelli.

"Ti amo", le disse, piano.

Poi, di nuovo, lei sprofondò nel limbo.

André fece in modo di rientrare dalla porta posteriore, così che nessuno notasse che Oscar non stava in piedi. Avrebbe detto che aveva preso freddo a causa della gita e che aveva la febbre. Era l'unica scusa plausibile. Il dottore, se del caso, avrebbe retto il gioco... se non altro di fronte al generale. Non aveva neppure chiesto ad Oscar come regolarsi con la madre e con sua nonna. Loro lo sapevano. Bisognava trovare il modo di metterle a parte di questa... evoluzione. Sospirò. Davvero, tutte quelle complicazioni, oltre la dolorosissima esperienza... povera Oscar... La sistemò a letto. La spogliò. Il dottore gli aveva dato istruzioni molto dettagliate su cosa fare. Sarebbe toccato a lui accudirla. In tutto. Dato che nessuno doveva sapere. Ma avrebbero notato le macchie sulle vesti, sulla biancheria. Si decise. Scese nelle cucine a cercare dell'acqua calda per pulire Oscar. E a parlare con sua nonna. Dovette. La prese in disparte. Non fu facile spiegarle. Pure con tutto il bene che l'anziana governante voleva a Madamigella Oscar, non fu facile farle capire. Ma André aveva assolutamente bisogno del suo aiuto per tutelare Oscar. E fu irremovibilmente fermo. Tornò su. Terminò di occuparsi di Oscar. Poi, a pezzi, si sedette al suo fianco. La nonna, silenziosamente, scivolò nella stanza. Gli toccò la spalla. Del brodo caldo. André le sorrise. La governante si avvicinò ad Oscar e le carezzò, delicatamente, il viso, scostandole i capelli.

"Povera bambina..."

Rimase per un po' seduta al suo capezzale. Poi prese gli indumenti sporchi e li portò via, sotto lo sguardo riconoscente del nipote.

André era stanco. Si lasciò andare contro lo schienale della poltrona. Non voleva dormire. Doveva rimanere sveglio. Oscar poteva avere bisogno di lui.. Sussultò al rumore della porta, dietro di lui. M.me Jarjayes si avvicinò al letto. Mise una mano sulla fronte di Oscar, le prese la mano. Si sedette.

"André, va' pure. Resto io, stanotte."

Lui la guardò, sorpreso. Poi scosse la testa. "No, vi ringrazio... Resto qui."

M.me Jarjayes lo guardò. Con affetto. "Mi dispiace...", gli disse. "Avrei voluto risparmiarvi questa esperienza..."

"Non c'era scelta.", rispose lui.

"L'ho immaginato quando, oggi, Nanny mi ha detto come eravate andati via..." Chinò la testa. "Ero preoccupata... che potesse succedere qualcosa ad Oscar..." "Solo di questo." Aggiunse.

"In realtà....", André esitava. Poi proseguì, serio, "Immagino che una scelta non ci sarebbe stata neppure se Oscar non avesse subito una violenza..." Parlava lentamente. "Suo padre non le consentirebbe mai una vita normale. Intendo, un marito e dei figli... pur conservando il suo incarico..."

"Temo che tu abbia ragione...", confermò lei. Poi, sembrò leggere, dentro i suoi occhi, tutto il suo dolore, mentre lo guardava, in silenzio. Rimasero lì, quella notte, accanto a lei.

 

Oscar rimase in quello stato di semi-incoscienza per tutto il giorno successivo. Debolissima, continuava ad avere perdite abbondanti. La mattina dopo, però, quando André riaprì gli occhi, la trovò già sveglia, la schiena appoggiata ai cuscini, la mano, che non aveva sottratto, ancora nella sua. Stava meglio. Piuttosto dolorante. Ma meglio. Le diede un bacio sulla fronte.

"Come ti senti?"

Oscar notò la differenza rispetto al precedente atteggiamento di André. Sorrise, sentendo il suo affetto manifestarsi in una forma concreta. Sentì un brivido caldo lungo la schiena. Poi, decise di prenderlo un po' in giro: "Non mi dici 'Buongiorno mia Oscar' stamattina?" lo apostrofò con un'aria innocente.

"Allora, va un po' meglio?", riprese, serio.

Oscar lo guardò, in modo strano. "Non lo so..." Non riusciva a connettere come avrebbe voluto. Lui la confondeva. Soprattutto dopo quello che era accaduto.

"Hai perso molto sangue", le spiegò lui, avvicinandosi di nuovo.

Lei respirò a fondo. "è andata", disse. "Ne siamo usciti."

Lui annuì. Erano trascorsi quasi due mesi da quel giorno maledetto. Le strinse la mano. Lei trasalì al contatto. André osservò la mano, candida, di Oscar nella sua. E la lasciò, precipitosamente, andare, sperando di essere coperto dalla propria schiena, quando sua nonna irruppe, ignara ed allegra, con la colazione per Oscar. Un silenzio imbarazzato calò su entrambi.

 

Primavera

Oscar riprese le forze rapidamente. Tutti notarono che, finalmente, cominciava a reagire. Solo André poteva accorgersi della tristezza, che, in alcuni momenti, le velava lo sguardo. Nei momenti in cui erano soli, Oscar parlava pochissimo. Anche con lui. Sembrava profondamente provata. Sembrava aver bisogno di pace. André si limitava a starle accanto. Ma, quando si avvicinava per baciarla, o abbracciarla, lei si lasciava andare completamente, indifesa verso quel sentimento, abbandonando tutte le sue paure. Dimenticando tutto. Esistevano loro due, soli. Quando lui la abbracciava, poteva sentire il suo affetto vibrare attraverso il suo corpo. E avrebbe voluto che, per lui, fosse lo stesso. Gli voleva bene. Lui la coccolava. La trattava con tenerezza, come una bambina. E lei aveva bisogno di tranquillità. Ricominciarono a fare passeggiate, camminando rigorosamente separati, per poi abbracciarsi appena fuori dalla portata dei curiosi. Si muovevano a piedi. Per cavalcare era ancora presto. Si andava verso la primavera. Stavano recuperando la quotidianità. Né Oscar, né André avevano più accennato a quanto era accaduto tra loro. Forse, per una sorta di tacita tregua, finché lei non fosse stata meglio.

Tra loro due, quella più confusa era Oscar. Lui aveva le idee piuttosto chiare. E nessun dubbio, quanto a sé. Semmai, preoccupazioni per la tranquillità di Oscar. Voleva sposarla. Pubblicamente non avrebbe potuto, a meno di non mettersi contro tutto e contro tutti. Così, le aveva proposto un'unione privata. Lei, invece, era un groviglio di confusione. Ancora incredula per quanto era accaduto tra loro, timorosissima di fronte a qualsiasi cambiamento - anche se la sua vita era lungi dall'essere soddisfacente - lei, che aveva modellato la sua esistenza sulle aspettative di un padre che aveva sempre subordinato il suo affetto e la sua accettazione al giudizio degli altri, sapeva, ora, di volere qualcosa che non avrebbe potuto avere nella sua forma completa e che, in quel suo piccolo mondo, non sarebbe stato accettato, soprattutto da suo padre. Non poteva sposare André. Non poteva vivere con lui. Per troppe ragioni. Anzi, per troppe convenzioni. Ma lei lo amava. E desiderava stargli accanto. Si fece, lentamente, largo nella sua mente la considerazione che André, razionalmente, le aveva prospettato la situazione più praticabile. Esteriormente non sarebbe cambiato niente. Lei avrebbe continuato la sua vita di sempre. In realtà, forse, la soluzione aveva di appetibile proprio il fatto di essere "nascosta". Tutto sarebbe continuato come al solito. Un compromesso. Era triste, a pensarci. André aveva tutto il diritto di desiderarla in moglie (non che lei, personalmente, si considerasse una buona scelta: per essere chiari non avrebbe mai consigliato al suo migliore amico di sposarla). E, lei, di sposarlo. Che mondo squallido era quello, in cui le persone non avevano di che vivere? In cui non ci si poteva comportare se non secondo regole prestabilite e riconosciute? In cui André non aveva il diritto di sposarla ma Girodel lo aveva avuto di farle violenza? In cui lei non aveva potuto denunciare il fatto, per il rischio, concretissimo, di avallare le proposte di Girodel a suo padre? Avrebbe voluto andarsene! Mandare al diavolo tutto e fare ciò che le pareva! Ma non poteva. Lei era una bambola nelle mani di suo padre... Cosa avrebbe fatto se, una volta scoperta la sua unione con André, suo padre l'avesse cacciata di casa? Dove sarebbe andata? Forse, se le avessero lasciato il suo incarico, avrebbe potuto sostentarsi. Ma se le avessero tolto anche quello? Un incarico che lei poteva ricoprire solo nella qualità di erede dei Jarjayes... Lei non valeva niente... Era impotente... Per la prima volta, nella sua vita, si trovò a fare i conti con il fantasma dei problemi concreti, della sopravvivenza, lei, che aveva sempre avuto tutto, anche più di ciò che aveva voluto. Lei, che problemi non ne aveva mai avuti. Era triste. Avrebbe voluto piangere, ma non ci riuscì. André, invece, quella situazione doveva averla ben presente, lui che, a 8 anni, era rimasto solo e si considerava fortunato ad essere stato accolto presso di loro. Lui che non si era mai pianto addosso ed aveva sempre guardato avanti, con semplicità. Anche ora, pur infrangendo le barriere tra di loro, rispettava la sua formale diversità. Si umiliava, proponendole un'unione dimidiata, formale, sì, per metterla al sicuro da qualsiasi rivendicazione ed eventualità, ma privata. Era stato ragionevole, come al solito.

E, poi... Oscar aveva mille dubbi. Avrebbe voluto parlargli, chiedergli se davvero la voleva in moglie... ma si sentiva stupida. Quello che, sotto l'urgenza di una situazione, era stato spontaneo, ora sembrava terribilmente complicato. D'altra parte, che motivo avrebbe avuto André di cambiare idea nel giro di così poco tempo? Fu un giorno, durante una passeggiata. Avvolti nei soprabiti - quello di André nero, che, nel contrasto con lo jabot bianco, faceva risaltare ancora di più i suoi capelli scuri, la sua pelle chiara, le lunghe ciglia nere, che incorniciavano gli occhi verdi, luminosi; quello di Oscar carta da zucchero, che le metteva in evidenza gli occhi e le tinte pastello della sua carnagione e dei capelli, che teneva raccolti da un nastro rosso scuro -, si erano seduti sul bordo del fiume. Vicini. Lui le aveva cinto le spalle e l'aveva attratta a sé. Senza dire niente. Lei era rimasta in silenzio, accoccolandosi come un gatto contro il suo corpo. Aprì la bocca per parlare. Esitò.

"André... tu..." Chinò la testa. "Scusami..." Non aveva il coraggio di affrontare l'argomento.

Lui la guardava. Immaginava, in realtà, la ragione dei suoi tentativi di discorso, ma non sapeva, realmente, cosa dire, senza rischiare di farla sentire vincolata, in un modo o nell'altro. Forse, era stato stupido, da parte sua, lasciarsi andare con lei, proporle, addirittura, il matrimonio. Ma lui l'avrebbe fatto comunque. Decise di chiarirle la sua posizione, venendole incontro.

"Oscar..."

"Sì, dimmi André..."  

"Volevo dirti... ecco... per quello che è successo l'altra sera... e, poi, per quello che ci siamo detti dal dottore..." fece una pausa... era penoso, ma non voleva che lei si sentisse costretta in alcun modo. Oscar ebbe un tuffo al cuore. "Se vuoi, possiamo fare come se niente fosse accaduto..." Lui aveva lo sguardo lontano, tristissimo. Oscar lo guardò, sorpresa. Lui continuò. "Vedi, Oscar, per me le cose non sono cambiate... quello che provo per te, le cose che ti ho detto... Però..." esitava. "Però... io non vorrei aver approfittato di un momento in cui eri più vulnerabile..." Sospirò.

Oscar rimase in silenzio. Non sapeva che dire. Avrebbe potuto lasciare andare le cose, come al solito, tacendo. Nascondendosi. Sarebbe stato comodo. Lo ammetteva. Fare come se niente fosse stato. Però. Però stavolta non voleva sbagliare. Stavolta non solo c'era di mezzo André, ma, soprattutto con lui, lei aveva infilato una serie storica di errori madornali, che, per un pelo, non erano divenuti irreparabili. Non voleva fuggire anche in questa circostanza. Non voleva nascondere i propri sentimenti. E, comunque - e, al pensiero, ebbe un sorriso pallido - ormai era troppo tardi.

"No..." abbassò lo sguardo. " No, André. Non voglio dimenticare quello che è successo tra di noi..." Poi, lo guardò dritto negli occhi. "E non voglio neppure che tu dimentichi!" Gli prese la mano. "Se non ricordo male," sorrise, "mi hai chiesto di sposarti... ed io ho accettato..." Ridacchiò "Non vorrai mica ripensarci, spero!", con aria minacciosa.

Lui, allora, la abbracciò, finalmente, lasciando andare tutta la tensione.

 

 

Continua...

Mail to laura_chan55@hotmail.com

 

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[1] Qui è forte l'influenza di Piccola storia ignobile di GUCCINI.

[2] Per la documentazione in materia, si vedano LEBRUN F., La vie conjugale..., cit., pp. 147-153; MC LAREN A., Reproductive rituals…, cit., pp. 89-112.

[3] Beh, questo sarebbe stato un po' difficile...J