Rape
(Racconto
d'Inverno)
Parte
I
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Nota:
Una storia mai accaduta.
Pura fantasia. Da situarsi dopo l'episodio Un amore impossibile, e la
partenza di Fersen, che, nel manga, si colloca prima della nascita di Maria
Teresa Carlotta,[1] nell'anime,
prima della nascita di Louis Joseph,[2] mentre,
nella realtà, Fersen, che fin dal marzo 1780 è stato designato come aiutante di
campo del generale Bochambeau, si imbarca il 13 aprile dello stesso anno sul
Giasone, per Brest.[3] Girodel è,
ovviamente, quello del film.
Ho cominciato a pensare a
questa storia nel 1983. Il nucleo, ovviamente, era quello attuale. Però solo
nell'autunno 1999, immaginando i dialoghi tra Oscar e André, ho sentito il
bisogno di scrivere.
Normandia
Seduta di fronte alla
finestra, il mare di Normandia all'orizzonte, guardava lontano. Era un'assolata
giornata di settembre ed una lieve brezza, di tanto in tanto, scostava
leggermente le tende. Era stanca. La sua malattia l'aveva
provata.
Il bambino era addormentato nella culla.
"Shh... piccolo mio... non
piangere..." L'aveva tenuto stretto a sé fino a poco prima.
"Mio figlio si chiama André.
Ha gli occhi verdi. Non so se lo vedrò crescere."
"Guardo le mie mani e mi
sembrano le mani di un morto. Pallide, incavate. Ma accolgo ogni istante di
questa nuova vita come un dono."
"Io non volevo essere madre.
Non ho mai desiderato di essere madre. Ma amo mio figlio con tutte le mie
forze."
"Lui è la continuazione
della nostra vita e del nostro amore. Soprattutto. E ho paura di doverlo
lasciare solo. È terribilmente piccolo ed indifeso. Dipende in tutto da me, da
suo padre."
"Mio marito non potrà vedere
nostro figlio. Ma sono sicura che conosce ogni suo singolo respiro, ogni suo
movimento. E ringrazio Dio, nel quale non credo, di averci dato la possibilità
di sopravvivere."
"Ma continuo a pensare che lui non è stato... è una storia triste. Avvenuta molti e molti anni fa."
Le cose erano cominciate a
cambiare in quella fine estate. Così, senza che lei se ne accorgesse. Non
avrebbe saputo spiegare come. Soltanto, un giorno, si era sorpresa a pensare a
lui in maniera diversa. A provare una strana ansia, come un'attesa di qualcosa
d'altro. A sentire il cuore che, all'improvviso, prende il volo, senza
possibilità di controllo. La loro vita era sempre la stessa. E lui non era
diverso. Come al solito, sempre accanto a lei. Il suo migliore amico. Ma lei...
All'inizio non aveva compreso. Quel pensare a lui così spesso. Quel ritrovarselo
in tutti i pensieri. Una cosa strana. Un dubbio atroce. Poi, molto lentamente e
con molto scetticismo, aveva realizzato. E, allora, si era opposta con tutte le
forze. No! Non poteva essere! Alla sola idea era inorridita. Quello era il suo
migliore amico! Non doveva! Non poteva essere! Non voleva! Avrebbe voluto che
tutto restasse com'era. Anche se non sapeva spiegarsi perché. Forse era paura.
Paura di cambiare. Paura di affrontare situazioni nuove. Così, quando era con
lui, aveva continuato a fare come se niente fosse.
Poi, non aveva potuto
evitarlo. Si era ritrovata a svegliarsi con in mente lui. Ad abbassare lo
sguardo e ad arrossire, quando lui la guardava, quando lui parlava. Era sempre
più strana. Non aveva idea di come gestire quel sentimento inaspettato. Le
piaceva stare in sua compagnia, le era sempre piaciuto. Ma, ora, quando provava
gratificazione, quasi si sentiva in colpa. In bilico tra fuggire e restare.[4]
Un pomeriggio erano rimasti
fuori ad esercitarsi, con le pistole. Avevano fatto tardi e, per lei, la
sessione era stata particolarmente pesante, dopo tutta la giornata trascorsa tra
le Guardie reali. André si era accorto della sua stanchezza e, amichevolmente,
mentre si riavviavano verso casa, le aveva appoggiato una mano sulla spalla, con
affetto. Lei era trasalita. Il contatto con la sua mano le aveva gelato il
sangue. Sentiva il calore bruciante che emanava da quel tocco. L'energia che le
infondeva. E si era irrigidita. André se ne era accorto. E aveva immediatamente
mollato la presa. Stupito. Quante volte aveva fatto quello stesso gesto? Oscar
era strana, in quel periodo. A volte, sembrava lo evitasse intenzionalmente.
Altre volte - ma non voleva illudersi - sembrava lo cercasse.
Ma mai, come allora, gli
allenamenti erano stati leggeri per Oscar. Trascorrere il tempo con lui era
bello. Più bello del solito. Quando erano insieme, dava il meglio di sé. Sapeva
che lui era molto orgoglioso di lei. E non voleva deluderlo. Rimanevano ore ad
esercitarsi. Lei, ormai, si era abituata a quello strano sentimento, che le
faceva desiderare di trascorrere sempre più tempo accanto a lui. Le serate nelle
taverne o nelle osterie, a parlare per ore, come, una volta, da ragazzi, avevano
fatto, trascorrevano troppo veloci. Non sentivano il chiasso, la confusione
degli avventori. Non sentivano il freddo dell'autunno, che cominciava ad
avvicinarsi. Perduti nel dedalo di viuzze della Parigi cinquecentesca, avvolti
nei loro mantelli, per proteggersi dalle prime folate gelide, non osavano
affrettare il passo. Non avrebbero mai voluto rientrare, perché stavano bene.
Due grandi amici. Due compagni. Da una vita. Vicini.
Una sera, sotto il cielo
terso, erano rimasti ore, fermi, a contemplare la luce incerta delle stelle.[5] Seduti
sull'erba umida, l'uno accanto all'altra, in silenzio per il timore di rompere
quella magia. Sulla strada del ritorno, percorsa lentamente, si erano scambiati
sguardi intensi, che dicevano più di mille parole; si erano sorrisi con
complicità, con calore, sentendo il legame, sempre più profondo, esistente tra
loro. Rientrando in casa, quando, davanti alla stanza di Oscar, si erano
salutati, lui le aveva preso la mano, dolcissimo. Avevano parlottato a bassa
voce un attimo, prima di salutarsi, poi lei, un ardore bruciante, un
indescrivibile senso di appagamento ed attesa, tutto il futuro davanti, si era
chiusa la porta alle spalle ed era rimasta ad ascoltare i suoi passi
allontanarsi.
Il Capodanno lo
festeggiarono a Corte, quell'anno. Fu memorabile lo spettacolo di fuochi
d'artificio riflessi nel laghetto e nelle fontane. Maria Antonietta, lungo la
scalinata, sembrava pensare a qualcosa di lontano. Capodanno sui campi di
battaglia... Ma l'allegria del consorte, animatissimo di fronte ad ogni nuovo
marchingegno tecnico, finì per contagiarla. Era entusiasta dello spettacolo,
indaffarato a spiegare la preparazione, il funzionamento e lo scopo di ogni
gioco pirotecnico. E lei, riscuotendosi improvvisamente, guardandosi attorno,
notò qualcosa di impercettibile. Gli sguardi di Oscar e André scintillavano come
diamanti. Rimase per un po' ad osservarli. Ripensò ad alcune recenti
osservazioni delle dame, a corte, che lei aveva registrato con un certo
scetticismo. Sorrise, divertita all'idea di stuzzicare un po' la sua glaciale
Oscar. Glaciale... doveva avere un animo ardente! Troppe volte l'aveva vista
infuocarsi, per non saperlo. La prese da parte.
"Madamigella Oscar", le
sorrise, "mi hanno detto di chiedervi se voi ed André siete...insieme..." Aveva
un tono adorabile, scherzoso.
"Perdonate, Maestà... In che
senso?" Oscar cercò di tenersi alla larga.
"Sì, insomma, se siete
innamorati..."
Oscar, al buio, avvampò.
Compita, rispose "Che io sappia, no, Maestà", inchinandosi.
"Ah, capisco..." "Peccato!",
aggiunse, amabile, la Regina.
Allo scoccare della
mezzanotte, i fuochi si intensificarono, attraendo l'attenzione di tutti. Oscar
seguì André in mezzo agli altri. Era appagata di poter condividere quel momento
con lui, anche se dei fuochi non le era mai importato niente. Ma era bello stare
a contemplare tutte quelle luci. Poi, la festa terminò. Al momento dei saluti,
Maria Antonietta, scherzando, si rivolse ad André:
"Non salutate Oscar per il
nuovo anno con un bacio?"
Oscar non fece in tempo a
realizzare, che André aveva abbassato delicatamente il viso verso il suo, e le
aveva dato un bacio, gentile, sulla guancia. Oscar provò una sensazione di
fresco, a sentire quella pelle liscia e sbarbata.
Quella notte, rientrati a
casa, corsero, congelati, a ravvivare il fuoco nel caminetto. Mentre André
sistemava la legna, Oscar procurò dell'alcool per scaldarsi. Si sedettero.
Rimasero così, a contemplare le fiamme. Poi, André le prese una mano,
stringendola nella sua e, con uno sguardo carico di tante cose, le disse piano,
semplicemente,
"Buon anno,
Oscar."
Lei lo guardò con intensità.
Ricambiò l'energia di quella stretta.
"Anche a te...", gli
sorrise.
Il nuovo anno cominciò
così.
Inverno
André entrò nella stanza di
Oscar. Come accadeva ormai da giorni. Lei se ne stava rannicchiata sul letto,
avvolta nelle coperte, assente. Non voleva vedere nessuno. Non voleva nessuno
vicino, che potesse cercare di offrirle conforto o di dare un senso a quello che
era accaduto. Solo André. Era di lui che subito aveva domandato. Solo André
poteva capirla. Solo lui voleva accanto. La sua presenza discreta le dava un po'
di calore.
Era stato lui a trovarla.
Lui che, come una furia, l'aveva trascinata via, stringendola forte, lontano da
quella pazzia. Quando non l'aveva vista, si era subito preoccupato. Di solito la
seguiva ovunque, ma, quella volta, lei aveva ricevuto da uno dei suoi uomini un
messaggio di recarsi con Girodel dalla Regina che stava posando per un ritratto
campestre vicino al Trianon ed al borgo in ristrutturazione. In effetti, in quei
casi, Sua Maestà riceveva solo Oscar. Non aveva potuto seguirla... D'altra
parte, si trattava di un percorso brevissimo. Lì per lì non ci aveva neppure
badato, ricognizioni di quel tipo potevano capitare a corte, ma, dopo ore di
assenza, certo poteva non essere casuale. E, anche se, sulle prime, aveva
pensato che l'udienza si fosse protratta, la durata anormale dell'assenza di
Oscar l'aveva messo in allarme, così, aveva domandato, cercato, in preda ad
un'ansia crescente. Poi, ad un tratto, qualcuno degli ufficiali aveva
detto
"Ma no, oggi Sua Maestà è a
palazzo..."
La paura si era fatta più
forte. Che cosa poteva essere accaduto? Non riusciva a togliersi un pensiero
dalla mente... Sapeva che Girodel sfoderava delle velleitarie avances nei
confronti di Oscar - la quale ne era più che altro infastidita -, pare, da
quando l'aveva vista in alta uniforme al famoso ballo in cui lei aveva danzato
tutta la sera con la Regina (lui, invece, aveva trascorso una serata orrenda,
attendendola presso le scuderie reali, solo e sconsolato, sentendosi
infinitamente stupido); sapeva anche che aveva intavolato delle trattative col
generale, il quale non si era mostrato contrario alle nozze, ma avrebbe
preferito attendere ancora, per consentire alla carriera della figlia di
avanzare ulteriormente. Sapeva che, negli ultimi tempi, si era fatto più
insistente, ma, soprattutto, che aveva fama di libertino. Il che, nel complesso,
lo preoccupava non poco.
"Chi vi ha detto di dire al
Comandante della Regina?" affrontò la guardia che aveva riferito il messaggio
della Regina.
"Ma... a
Corte..."
"Sì, appunto! A Corte... La
Regina non è al Trianon. Perché avete detto ad Oscar di andare lì?" Lo sbatté
contro il muro. Gli altri pensarono che fosse impazzito. Doveva sbrigarsi, prima
che arrivassero ad aiutare il compagno. "Chi vi ha detto di mandarla lì?" lo
incalzò. Poi, pensò bene di convincerlo a pugni. Non c'era tempo da
perdere.
"Il... capitano...
Girodel..."
"Dove dovevano andare?"
André era furioso.
"Non lo so..." Altri pugni.
Provvidenziali. "Un casolare... o una stalla..."
"Dove, perdio! O volete che
vi massacri?"
"Una delle costruzioni lì
intorno... di preciso non lo so..."
Lo lasciò andare. Corse via.
A cavallo, col cuore in gola, passò in rassegna ogni angolo, intorno al Trianon.
Non era una zona molto conosciuta. L'accesso era riservato, anche per il Re,
all'espresso invito della Regina. Perlomeno, se non si ingannava, doveva trovare
i cavalli fuori dal casolare.
Oscar era disperata. Mentre
erano a cavallo, Girodel le aveva fatto cambiare direzione, dicendo che la
Regina stava posando in un ambiente "realistico" e l'aveva condotta ad un
casolare a cui lei, personalmente, non aveva mai fatto attenzione. Quando erano
entrati, lui le si era avvicinato in modo allarmante, da dietro, abbassando il
viso verso il suo, sfiorandola. Lei si era irrigidita. "Cosa
fate?"
Lui si era fatto più vicino.
"Vi desidero", aveva detto, prendendola per le spalle.
Lei, con uno strattone,
l'aveva allontanato "Non ci pensate neppure!", e si era diretta, decisa, verso
la porta.
Lui l'aveva trattenuta.
"Aspettate!"
Oscar si era liberata della
stretta e si era precipitata fuori dalla porta.
Allora, lui l'aveva presa
per le spalle, buttata a terra. Vi voglio", le aveva ansimato in un
orecchio.
Era rabbrividita. Lui le
pesava addosso. "Lasciatemi! Siete pazzo! Lasciatemi!"
Le aveva immobilizzato le
braccia e cercava di trascinarla. Lei lottava, ma lui l'aveva riportata dentro e
chiuso col catenaccio. Poi, quel pazzo l'aveva colpita, lei aveva lottato con
tutte le sue forze, ma non ce l'aveva fatta. Lui l'aveva buttata a terra e,
quando lei, rialzandosi, gli si era gettata contro per difendersi, lui l'aveva
presa per le spalle e le aveva sbattuto la testa più volte contro il muro. Si
era ritrovata per terra, i capelli impastati di sangue, le mani legate dietro il
corpo, quell'essere addosso, che la toccava. Quando aveva sentito le sue mani
sul suo seno, era arrossita violentemente. "Lasciatemi! Lasciatemi!" aveva
urlato. Come se servisse a qualcosa.
Lui aveva continuato. Faceva
come se lei non ci fosse. Come se lei non fosse un essere umano. La spogliò con
violenza, quel tanto che bastava.
Lei gridava "Nooo!!
Noooo!!!!!", ma lui le premette una mano sulla bocca "State
zitta!".
Non riusciva a respirare.
Non poteva muoversi. Lui le era sopra, la toccava con brutalità, stringendola,
le faceva male. Cercò di tenerle le gambe separate, lei resisteva, come una
furia. "Non voglio! Non voglio!" Si difendeva come poteva, ma era legata. Urlava
disperata, ma nessuno la udiva. Non c'era nessuno.
Lui non pensava di
incontrare tanta resistenza, ma era più forte. La picchiò a sangue, fino a
stordirla. Il resto, nonostante questo, fu altrettanto difficile. Lei si era
irrigidita e resisteva, anche se era allo stremo. Sul viso, sul corpo e sulle
gambe cominciavano ad apparire i lividi, le ferite le bruciavano. Poi lui fu più
forte. La prese con brutalità. Un dolore lacerante si aggiunse agli altri. Poi,
qualcosa di dolorosamente bruciante, di violento.
Lei piangeva, la testa da un
lato. "Noooo! Noooooo!" Oscar non voleva sentire niente... Non voleva essere lì.
Il suo corpo le mandava impulsi dolorosi, terribili. Ma lei non poteva accettare
quella situazione. Non era lei. Non era lei.
Andò avanti a lungo. Poi, ma
solo molto dopo, lui si allontanò per qualche tempo. Tornò. Si distese su un
fianco accanto a lei. Cominciò a toccarla. Ma, ormai, lei non sentiva più
niente.
"Ma non volete proprio
collaborare, Oscar..." osservò sarcastico, aggiungendo, "penso che dovremmo
passare al tu, dopo questa intimità. Oh, già... tra nobili non si usa... ma con
le prostitute, sì." "Beh, devo dire che ora potrò rivendicare come mio di fatto
ciò che prima mi negavi... E tuo padre accetterà con sollievo un bel matrimonio
riparatore... soprattutto se, in tempi brevi, da questo nostro incontro, nascerà
un erede!"
Oscar, gli occhi sbarrati,
tornò alla realtà. No, non poteva essere... anche questo, no... "André..." disse
piano piangendo. Dio, cosa avrebbe detto... e suo padre...
Quando lui le tornò addosso,
di nuovo, gridò più forte, la voce spezzata "Noooo! André! André!" cercando di
resistere con tutte le forze.
Ma lui ricominciò, ancora.
Lei non sapeva più neppure quanto tempo fosse trascorso. Ancora altro tempo.
Ancora violenza. Oscar avrebbe voluto morire. Non pensava più a niente. Non
riusciva a pensare niente. Solo il buio. Il vuoto. Lui non
smetteva.
Lei, disperata, schiacciata
sotto il suo peso, urlò, di nuovo, "Noooooo! Noooooo!" Piangeva. "André" gridò.
"André! Aiutami..."
André, in prossimità di quel
piccolo casolare, notò i cavalli. Ma, soprattutto, udì qualcosa di appena
percettibile, all'inizio, ma, poi, più forte. "Oscar...". Un tonfo al cuore. Si
avvicinò, cercando di non fare rumore, sentiva i propri passi attutiti sull'erba
ed il cuore che pulsava in petto. Doveva fare attenzione. Se Girodel era lì lui
doveva poter contare sul fattore sorpresa. Si affiancò alla finestra per poter
dare un'occhiata. Era armato. Spada e pistola carica. Fu solo un attimo. Non
seppe mai dire, poi, come riuscì freddamente a ragionare, quando vide quella
scena. Oscar, a terra, urlava, lo chiamava. Girodel le era sopra, semisvestito.
Bisognava essere rapidi. Calcolò che la stanza doveva essere subito a sinistra
dell'ingresso. Con un calcio sfondò la porta, entrò e si trovò, con pochi passi,
silenziosamente, alle spalle di Girodel, puntandogli la pistola alla
testa.
"Adesso toglietevi di lì."
disse, gelido.
"Ah, bene, servo." Si girò
appena. "La tua padrona ed io abbiamo avuto un incontro molto
interessante."
André, il dito contratto sul
grilletto, lo scostò brutalmente e si inginocchiò accanto ad Oscar. "Oscar..."
mormorò. Era piena di lividi e graffi, lo sguardo fisso, i polsi
legati.
Girodel si rialzò,
sistemandosi i vestiti.
"Ha insistito tanto,
scegliendo, però, un luogo con poca discrezione. O, forse, sperava che tu ci
vedessi?"
André, in preda ad una
rabbia sorda, lo prese per il bavero "Non mi pare che possa aver insistito, dato
che avete dovuto legarla!" rispose, tenendolo bloccato contro il
muro.
"Sei un primitivo." rise,
"Forse non conosci certe perversioni..."
André avvicinò
pericolosamente una mano al collo del conte. Dentro di sé aveva una tempesta.
Era furibondo. Ma si stupì di come, nel contempo, riuscisse a considerare quanto
fosse inutile dare spiegazioni ad un essere del genere. E seppe col cuore che
lei doveva essere stata trascinata lì, che non poteva aver accettato una cosa
del genere.
"Ti ha nominato spesso."
rincarò Girodel.
Ad André si strinse il
cuore.
"Forse pensava ad un
incontro a tre."
André non volle sentire
oltre. Lo colpì con violenza, prima, a pugni, poi, lo stordì col calcio della
pistola. Liberò Oscar. Legò Girodel con quella stessa corda in modo da avere il
vantaggio della fuga. Aveva uno sguardo indicibile, gli occhi pieni di lacrime,
quando, accanto a lei, con infinita dolcezza, la sistemò, la coprì, la sollevò
tra le braccia. Lei lo lasciò fare. Era annullata.
"Io... non volevo..." disse
solo piano.
"Lo so... Andiamo a
casa."
Continua...
Mail
to laura_chan55@hotmail.com
[1] Il 18 dicembre 1778.
[2] Il 22 ottobre 1781.
[3]
CASTELOT, Maria Antonietta, Milano, Rizzoli, 1987, pp.148-150. ERICKSON,
Maria Antonietta, Milano, Mondadori, 1996, pp. 201-202. HASLIP, Maria
Antonietta, Milano, Longanesi, 1989, pp. 158-160. ZWEIG, Maria
Antonietta, Milano, Mondadori, 1984, pp. 197-198. Fersen sbarca a Brest nel
giugno del 1783, cerca di tornare subito a Versailles, ma, solo dal 1785, riesce
definitivamente a stabilirvisi.
[4] Chiara influenza del GUCCINI di E un giorno...
[5] Non so perché, ma mi ricorda il GUCCINI di Stelle.