L'alba
IX
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IX
Muove passi esitanti sulle assi di legno. Il rumore rimbomba nel silenzio.
In quell’atmosfera ovattata, azzurrina.
È quasi buio.
Lui vive lì…
Osserva attorno a sé, un soggiorno, le sue poche cose. Cerca, sospesa,
attenta, avendocela con se stessa, tracce di presenze diverse. Femminili.
Niente. Sollevata, nota solo il suo mantello, lasciato per terra.
Sorride, lo raccoglie, ancora umido di pioggia, se lo preme contro, in una
carezza, lo poggia sulla spalliera di una sedia.
Ma lui… lui dove…
Poi, gli occhi, abituatisi alla penombra, notano un’altra stanza.
“André”, chiama piano, quasi in sordina, sentendo la propria voce esitare
troppo. “André, sei lì…” muovendosi concitata.
André…
André…
Gli pare di udire una voce, lontana, nel delirio, chiamarlo.
È così, che lo trova, riverso sul letto.
È un attimo. È volata da lui e ora gli tiene il volto tra le mani,
accarezzandolo.
Pallido, smagrito. Ancora febbricitante. Lo scuote, lo invoca.
Un tuffo al cuore, pensa di essere ancora annebbiato dalla febbre, di avere
le allucinazioni, quando la sente accanto a sé, un’immagine sfocata.
“Sei tu…”
La pelle. Le voci. I colori. Tutto le appare nuovo. Ma lui…
“Dio, che ti è successo???” Non riesce a smettere di guardarlo. In modo
diverso da prima.
“Sei dimagrito…” Poi interrogativa, quasi severa: “Sbronza epocale?” Lo
interroga.
“Male…” corregge lui, la voce flebile, “… d’amore…” trova la forza di
scherzare, neppure poi tanto.
L’ultima sbronza ce la siamo presi assieme, vorrebbe chiosare, ma non ha
forza. Tutto gli turbina attorno al minimo movimento.
Gli sente la fronte, il polso.
“Hai la febbre…” constata. Poi, subito, allarmata: “Ci vedi? Ci vedi
ancora?”
Lui, debole, chiude gli occhi, senza far caso alle sue parole. “Sei davvero
tu…” con un filo di voce. Gli gira la testa, sente solo il fresco della
pelle di lei, i suoi capelli. Le mani. Le prende. Le tiene a sé, senza
lasciarle. Non importa niente altro, ora. Nel buio, stringe le dita di lei.
André riposa, dopo che Oscar, inutilmente, è corsa a cercare un medico. Che
non c’è. Visita un giorno ogni due settimane, le hanno spiegato i vicini,
perplessi, a cui ha chiesto informazioni. Altrimenti bisogna andare fino
alla città più grande.
È stato, così, cercando, convulsamente, per la casa, acqua da dargli e da
scaldare, teli puliti, che Oscar si è resa improvvisamente conto che, quasi,
non ci sono candele. Lumi.
È un colpo dolorosissimo. Attenuato solo dall’urgenza di occuparsi di lui.
Si aggira, così, per le stanze, in bilico tra le troppe emozioni, un
opprimente senso di colpa, la stanchezza incombente, la curiosità, per lui,
per quelle mura che erano le stesse quando lui era bambino e amato, che lui
sembra aver rimesso a nuovo. È così piccola, si scopre a considerare. Le
persone vivono con poco, in un mondo diverso dal suo. Dal loro. Lì è tornato
lui, adattandosi, forse ritrovando qualcosa di sé.
Respira attorno a sé l’atmosfera, semplice, tranquilla. Tocca, con mano
esitante, lascia le dita scorrere. Come a ritrovarlo lì, nelle cose, negli
oggetti.
Accende il camino, usando i guanti per non ferirsi.
La fame la vince sui rimuginii. Forse anche a lui farebbe bene qualcosa di
caldo.
Se fosse stata attenta a osservare la nonna, ora saprebbe forse organizzare
un pasto elementare ma decente, invece sa solo come scaldare cibo, misero
lascito delle istruzioni per le missioni, cose di cui di solito si occupano
gli attendenti e i soldati addetti al rancio, non gli ufficiali. Escluso
tornare di nuovo dai vicini a domandare lumi.
Entra in cucina, setacciandola. È appena una stanzina, così diversa da
quelle del suo palazzo. Una stufa, una dispensa. Pane, avvolto in un
canovaccio. Brodo, verdure per, forse, della zuppa, considera, nella sua
pressoché totale ignoranza delle questioni domestiche. Granaglie essiccate?
Sale. Tea, zucchero (sprecone!, pensa, costa!). Una brocca con dei rametti
in acqua… Stoviglie pulite. André sembra decisamente ordinato e organizzato,
registra con una punta di scorno e gelosia, per quella vita di lui così
lontana da lei, così diversa da prima.
Impilati su uno scaffale, assieme a delle brocche, dei volumi. Incuriosita,
li prende. Libri di cucina!!!
“Esistono anche questi?” Stupefatta. “Però!”, considera. “Forse si mangia…”
Un indice, una prefazione… organizzati non tanto diversamente dai manuali
che era abituata a consultare lei. Gira le pagine, trova qualche appunto,
poi un segnalibro.
“Ah, bene!!!” E, aggrottando le sopracciglia, concentratissima, le mani nei
capelli, come quando studiava da ragazzina, si siede a leggere, alzandosi
solo ogni tanto per dare un’occhiata ad André.
Poi, con cautela, manco avesse di fronte un ottentotto, inforca un coltello.
“Tagliere…” rimugina tra sé, continuando a consultare gli scritti. “Che…?”
Poi, guarda le figure, scrutando attorno a sé. “Ah!!! Ecco!”
“Cazzo, so caricare un cannone, calcolare una traiettoria, saprò fare
qualcosa di più semplice!”, afferma per incoraggiarsi.
Ricontrolla le istruzioni, rilegge, poi, esegue, poi di nuovo torna al
testo, tenendo il segno col dito, poi agisce di nuovo.
Alla fine, esausta, si lascia cadere sulla sedia. Non ha più neanche fame!
Assaggia il brodo che ha scaldato. Buono. Sorride sorpresa, intenerita,
all’idea che l’abbia preparato lui. Poi, le verdure, aggiungendo, dopo aver
riconsultato il manuale, del sale; quindi prova ancora, annuendo
soddisfatta.
Le
viene da ridere pensando a quando, sveglio, scoprirà che gli ha intaccato le
scorte. Impensabile esperimento culinario, fino a poche ore prima. O che ci
sono i piatti da lavare: lei quello proprio non ha idea! Cercherà nei
manuali, risolve.
Con una ciotola tiepida, nelle mani, si affaccia alla stanza.
Lo
guarda, ora, nella penombra. Sciupato, bellissimo, abbandonato, nel sonno,
tra i cuscini. Sembra quasi esposto, fragile. Vorrebbe averlo saputo
proteggere. Ora… ora…
Tende la mano verso di lui, piano, temendo di svegliarlo.
Gli sfiora appena, leggera, i capelli.
“Te la senti di mangiare qualcosa?” Gli domanda.
Ma
si rende conto che, forse, lui ha bisogno solo di dormire.
Lascia il piatto sul comodino.
Mangia anche lei, mette via le cose. Recupera il proprio bagaglio.
Si lava.
Poi, esausta, dopo avergli toccato la fronte, si stende lì accanto, ogni
movimento trattenuto, per non svegliarlo. Sente freddo, si accoccola contro
il calore del corpo di lui. Come se potesse proteggerla. Senza quasi
accorgersene, mentre ancora registra le sensazioni di trovarglisi di nuovo
vicina, si perde nel sonno.
La
luce dell’alba la risveglia. In una stanza nuova. Sente l’aria, fredda,
pungente. Istintivamente, si rannicchia contro il nucleo di tepore, alle sue
spalle. Il raggio di sole che penetra dagli scuri disegna una lama di luce,
nel pulviscolo. La mente fatica ad adattarsi al luogo, a quegli ultimi
giorni. Poi, ricorda. E, improvviso, il dolore l’attanaglia. Cieco. Sta
diventando cieco…
Sente un braccio attorno a sé. Voltandosi, se lo ritrova accanto, in una
sensazione strana di dolcezza, novità, tristezza, tenerezza, angoscia. Lui,
smarrito nel sonno, sciupato. Senza rendersene conto, le ha tenuto la mano
stretta tutto il tempo: dormiva e gliela stringeva, senza lasciarla, mentre
le serrava il corpo contro il suo.
Si
gira contro di lui, circondandolo in un abbraccio lieve, per non svegliarlo.
Lo osserva. Non riesce a trattenere una carezza, appena sfiorata, delicata,
le dita che indugiano giusto un attimo tra i capelli, sulla cicatrice, e la
commozione le sale alle ciglia, in un tremito. È così bello.
Avrebbe voluto non avergli causato male.
Ancora debole, anche André si risveglia, a quei movimenti, sorpreso, ancora
allacciato a lei, che lo tiene tra le braccia, il viso vicinissimo. Sente la
presenza, il calore, il respiro. Allora, piano, apre gli occhi. Con meno
paura delle altre mattine.
Prima ancora di riuscire a vedere, perché le ombre lo lasciano solo
lentamente, prima ancora di poter mettere a fuoco, la sente, la percepisce.
Ne avverte il corpo, il braccio, la mano, la pelle, il suo calore, il suo
profumo…
Quasi senza riuscire a credere ‒ lui che, forse, avrebbe solo osato sognarlo
‒ di trovarsela accanto, come davvero in una favola, al risveglio. Custodito
tra le sue braccia. “Sei tu… sei davvero tu…” articola. “Allora non ti ho
sognato”, riesce solo a dire, sollevandosi un poco sul letto, mentre, senza
ancora forze, vorrebbe stringerla a sé, e si vergogna, si vergogna da morire
per come sta, chissà cosa penserà lei, ma lui è
solo felice, felice,
appagato come un gattino, vuole solo essere stretto da lei, sentire la sua
pelle, sentire i suoi capelli che gli carezzano il viso.
“L’hai preparato tu?” Incredulo, grato. “Per me?”
“L’ho mangiato anche io, ieri sera,” sdrammatizza, imbarazzata, appoggiata
allo stipite, “e non sono ancora morta avvelenata!”
Poi gli si fa più vicina. “Ce la fai? Vuoi che ti aiuti?”
“No… no… ma… è buonissima!!!” Forse è la debolezza, forse la prostrazione,
ma fatica a contenere la commozione, che gli fa tremare la voce.
“Sarà la fame!” Minimizza, lei. “Da quanti giorni non mangi?”
Più tardi, con cautela, lo aiuta ad alzarsi, sorreggendolo. Osservando e
valutando i suoi movimenti, se siano incerti, se siano indizio che la vista
è scesa. Deve parlargliene. È diventata un’amara consuetudine, tra loro, che
lo aiuti, malato. Allora, però, erano bende insanguinate.
Colpa mia. È tutta colpa mia.
Scaccia il pensiero.
“Hai bisogno di altra acqua?”, si informa, dalla porta.
“No, grazie…”
È strano, riflette. Proprio non si aspettava di trovarlo così. Le altre
volte che lui non è stato bene, lei gli è stata vicino, ma non si è mai
seriamente occupata di un malato. Non ha mai pensato al cibo adatto, ai
cambi di biancheria. Alle medicine. Erano tutte cose a cui provvedevano la
nonna o il medico. Ci sarà lì attorno, ragiona, qualcuno che si occupa di
bucati, di approvvigionamenti… una specie di governante…
Stanno lì, titubanti, quasi imbarazzati. Ora che André si è sistemato,
mentre, ancora indebolito, siede con lei, Oscar si rende conto di quanto
tempo abbiano passato distanti. In quell’istante, in un’urgenza improvvisa,
le sue mani corrono a controllare la
cicatrice scostandogli i capelli dal viso, mentre lui, sorpreso, ha un
leggero scarto indietro.
Oscar, fa per parlare, poi, rimane in silenzio. Vorrebbe chiedergli della
vista. Parlare di loro due, ma ha paura di spezzare quei momenti così
fragili.
Allora, lui, le prende la mano, se la riaccosta al volto. Chiude gli occhi
sulle sue dita. Respira, piano. Dopo, l’attrae a sé.
La
tiene abbracciata, serrata al proprio corpo, a lungo. Senza quasi lasciarla
respirare, muovere appena.
Quella prima, nuova loro giornata, passa così.
Sentendola su di sé. Ascoltandone il respiro.
Accarezzandole, piano, i capelli, le braccia. Il viso.
Sta meglio, André.
Non sono abituati a stare lontani, eppure, ora sembrano come disabituati
alla propria presenza. Quasi in imbarazzo. Siedono lì, sulla soglia di casa,
Oscar alla destra di André, ormai ha cura di fare così, in modo che lui
riesca a vederla, sullo sfondo della siepe densa di colori, a riprendere
contatto, senza ferirsi. Senza dire troppo. Mentre si domanda quanto si
abituale, per lui, stare lì. Godersi quella brezza. Osservare quelle cose.
Osservare, considera, improvvisamente, e il respiro si serra.
Tutte le strette al cuore che ha provato, lontana, sono lì, condensate,
impietose. Dolorose. E sono sulla punta delle sue dita. Nei palmi delle sue
mani. Nella luce affettuosa degli occhi con cui lo sfiora, intensa,
delicata, quasi imbarazzata, a volte. Nei lunghi silenzi. Sognava di dirgli
mille parole d’amore, e non sarebbero bastate, invece è muta.
Pensierosa, gli cerca una mano.
“Il dottore mi ha detto tutto…”
“Mh?” Si volta verso di lei.
“Parlo del tuo occhio destro…”
Ha un respiro trattenuto, lui. Ma rimane in silenzio. Continua a guardare
lontano.
“Tu non vedi quasi più…”
Lui ha giusto uno scarto impercettibile. Come a dire non ho voglia di
parlarne.
Lo osserva, per un breve attimo, poi distoglie lo sguardo. Non ha idea di
cosa riesca a vedere, è un pensiero abominevole, a volte vorrebbe sapere, in
una curiosità che a tratti trova riprovevole, ma è solo per poterlo aiutare,
altre non vorrebbe, per scacciare quella realtà.
Nel silenzio, sente solo la sua presenza calda, lì. Lui. Vivo. Accanto a
lei. Allora, gli si appoggia contro, la testa nell’incavo della spalla.
“Abbracciami”, gli dice solo.
Continua
Laura, da autunno 2013 a novembre 2015 pubblicazione sul sito Little Corner marzo 2018
Vietati la pubblicazione e l'uso senza il consenso dell'autore
Laura Mail to laura_chan55@hotmail.com