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3

III parte - Rivoluzioni

Warning!!!

 

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3 - Rivoluzioni

 

Pomeriggio.

 

In quel pomeriggio l’agitazione del silenzio pesante, delle chiacchiere inutili nelle camerate nasconde il pensiero della morte.

Se impara ad accettare l’oscurità, quella attorno a sé e pure quell’altra, diversa, di quando chiude gli occhi, due oscurità che, nella percezione, diventano quasi fuse, a volte, a volte si illude di potercela fare. Di poter sopravvivere.

Perché gli capita di riflettere che non sarà mai più, anzi, non riuscirà mai più ad essere come prima, come prima di perdere un pezzo di se stesso, quello che erano i suoi occhi, quello che significava poter vedere, essere normale, senza neanche dover riflettere su una mancanza a quella completezza.

 

Qualche passo ancora, mentre sente l’alternanza di fresco nell’ombra degli archi, e caldo, nel vuoto. Sente la sua voce.

 

“Mi hai fatto chiamare?” La voce esce quasi incerta, intorpidita dai pensieri. Spera non si noti lo sguardo lontano, e lo punta davanti a sé,

In una carezza, gli sfiora il viso, intenerita. Addolorata.

Quelle ciglia lunghe, scure. La carnagione chiara.

Il velo di barba del tardo pomeriggio.

 

Gli prende la mano.

Lo conduce dietro di sé.

 

Quanto tempo è passato.

Quanta lontananza. Quanta timidezza. Inutili.

Silenzi.

Paure.

Cosa contano, ora, quei freni, di fronte alla guerra. Forse, alla morte?

Il non aver osato, l’immobilità di una vita. Il non vivere per non scontentare il padre, per non cambiare, per non attentare al già stabilito. Da chi, poi?

Era vivere, invece. E non l’hanno fatto. Non abbastanza. Non completamente. A volte pensa che avrebbero potuto vivere ogni giorno del loro amore insieme, liberi, felici. Senza nascondersi.

Potesse tornare indietro, ora, quante cose cambierebbe. Cose di se stessa. Errori, scelte, negazioni.

Glielo direbbe prima, che lo ama. Non lo manderebbe al massacro, non causerebbe la ferita. E il resto. Invece ci sono. Tutte le conseguenze che ha causato.

Vorrebbe riuscire a non sbagliare più.

Fingere di essere saldi, non è un pregio.

 

C’è rabbia, dolore, frustrazione.

C’è stato qualcosa di drammatico, nel suo averlo cercato, oggi.

Lui neanche se l’aspettava. Stanco, anche lui, troppo preso dai suoi problemi. Silenzioso.

 

Quando ha osato. E l’ha fatto chiamare.

E, non trovandolo, ha insistito. Cercandolo.

E gli ha preso la mano. Serrandola tra le sue. Portandola alle labbra.

Chiudendo dietro di sé, precipitosa, determinata, la porta del suo ufficio. Un rapimento in piena regola.

Quando si è, poi, avvicinata, guardandolo con insistenza, poi, l’ha baciato.

Mentre le imposte filtravano il pulviscolo. E l’aria sembrava rarefatta. Invece, era solo amore.

 

Quando l’ha stretto a sé, sfiorando la pelle sotto la stoffa. E lui l’ha seguita, nei gesti. Cercandola. Cercandosi.

 

E, dopo, senza quasi fiato, si sono staccati.

Il tempo di indovinarsi. Trovarsi.

Precipitosamente. Standogli sopra, con fretta. Urgenza. Lì, sul divano. In quella lama di penombra. La seta del tappeto opaca per il tempo, qualche veste sul pavimento.

Guidandolo dentro di sé, accogliendolo in un gemito, prendendosi il piacere, le sue carezze, le onde dei suoi movimenti. La pelle, le ombre. Sentirlo. Impazzire. Inarcarsi.

Soffoca un grido, mentre si preme su di lui e viene. E ondate lo investono. E si abbandona su di lui.

Poi, il viso nascosto dai capelli, lo libera.

Vorrebbe prenderlo in bocca, farlo godere.

“Aspetta”, le dice piano, fermandola.

 

Mentre la stringe a sé, e le accarezza il corpo, da dietro. E aspetta che sia pronta. Ancora.

Perché la desidera.

E vuole farla impazzire.

 

Sta impazzendo.

Si preme la testa di lui, sente il naso, le labbra, il respiro, i capelli addosso a sé.

Quando sente le labbra, in quel modo, su di sé, sul ventre, sui seni. Lui che la tiene conto la scrivania. E la cerca.

E quella sensazione liquida, languida, che sembrava domata, torna, prepotente. E il respiro sembra non bastare, per quel fuoco. Né le gambe reggerla.

Si lascia scivolare sul legno. In un brivido, contro il piano freddo, una sola lama di luce e pulviscolo più calda, s’inarca. Il fruscio dei fogli.

La sente sollevarsi. La sente respirare. Gemere.

I capezzoli sotto le sue dita.

I capelli.

Umida. Calda. Contro il suo corpo. Il suo sesso. Che le preme contro il ventre, e lei percorre con le dita, la pelle tiepida, gemendo nel sollievo avvincente di ogni respiro, a ogni diverso tocco, e lui bruciante, l’ombelico contro le venature. Sempre più teso. Pesante.

Gli sembra di impazzire. Di desiderio. Di piacere.

 

La schiude, di nuovo. Prima, con baci, labbra, silenzi, respiri. Poi la prende, più intenso di ogni altra volta, amplificando, nelle ondate che risalgono il piacere, il dolore, la paura di quelle ore e quella che si porta dentro da troppo tempo, il senso di perdita, qualcosa di immane che sta per travolgerli. E la risale, la riempie e percorre, in ogni attimo di lei, che lo accoglie, e lo cerca, lo lambisce, e circonda, come il letto di un fiume che lo percorre, impetuoso.

 

Dopo, restano lì, lei le mani perse nei i capelli di lui, abbandonato su di lei. I respiri tagliati. Mentre la sera si fa ombra e tutto nasconde e spegne.

 

Più tardi, sarà più tardi. Quando rinnoveranno quei gesti.

“Andiamo a casa. Vieni con me…”

 

Sera.

 

E così, è confermato l’ordine di intervento, è arrivato Alain con la notizia ufficiale.

 

Non pensava che avrebbe avuto paura, invece ce l’ha.

Quella notizia attesa, che riesce a gelarla.

 

Pensa solo che non è possibile, invece accade.

Pensa solo che vuole stargli accanto, ogni attimo possibile, e poi che deve proteggerlo. Mandarlo via.

 

Ma lui non andrà via. Non la lascerà. Testardo. Irresistibilmente testardo. Lui è per lei, convinto, cieco come una talpa e infinitamente sicuro di poter fare qualcosa, ancora, per lei.

Quanto puoi essere folle, André?

 

E poi non vuole litigare ora, non oggi. Non così.

Ha bisogno di lui.

Di averlo accanto.

Di essere abbracciata.

 

Di abbracciarlo.

Di fingersi rassicurante.

Di affondare in lui e lasciarlo accogliere le sue paure, il suo dolore. Aiutami, vorrebbe dirgli. Tace, invece, ma lui lo sa.

 

Restano lì, abbracciati, nella cornice della finestra.

Oscar sente il respiro di lui nei capelli. Si lascia nascondere tra le sue braccia. Un rifugio.

 

Poi, si rende conto che qualcosa nel respiro è cambiato. E nella stretta.

Non ci sono parole.

Solo quell’abbraccio, che si fa disperato. Intenso. Immenso. E la sua voce. “Ti amo…”

Ti amo…

Mentre la avvolge. Mentre la brezza muove le tende e lei non sente più l’oscurità, non sente più neanche l’acqua della fontana e le foglie stormire nel buio e neanche le voci al piano di sotto. Non sente più niente, quasi non vede il cielo, nei rettangoli del vetro, di quella notte di luna.

Sente solo la pelle di lui. Il respiro.

Le mani che la cercano, incerte, e la percorrono e lo sa che è perché non vede quasi più, e prova una stretta al cuore, ma la ricaccia via, in un abbraccio e un bacio più profondo, di affetto, gratitudine, pena, nostalgia, amore, di tutto quello che, ad un certo punto, tra loro, ha preso forma. Ed è rimasto.

Ed è lì, nel suo letto, con lui, che la cerca, le pesa addosso, e la eccita, di nuovo, e la sfiora, e la morde, intenso, giocoso, impossibile, avvolgente.

Lo abbraccia, la abbraccia. Lo sente su di sé, le pare di impazzire, di nuovo. Mentre la provoca, mentre le sfiora col viso tutto il corpo, brividi, piacere, desiderio. I capelli di lui su di lei. Le labbra addosso.

 

La sta facendo impazzire, mentre, languida, lo carezza e si lascia scoprire dalle lenzuola e lui quasi perde la testa a intuire il corpo di lei. Scoprire la pelle, sentirla inarcarsi, la schiena contro il suo torace, la mano che la percorre e indugia e lei trattiene gemiti sempre più intensi.

 

Vuole sentire tutto di lui.

 

Non è neanche volerlo. È qualcosa di diverso, un bisogno di sentirlo vicino. Addosso. Come a vincere l’ansia, lo sconforto. La paura. Vuole sentire la sua pelle. Passargli le dita tra i capelli. Sfiorargli il collo, dove è coperto dai capelli e la pelle è tenera, dolce. E lo bacia lì, respirando l’odore lieve di lui.

Che le sembra infinitamente bello, mentre gli sfiora la guancia, la cicatrice. Le ciglia scure che dipingono le palpebre. Le sembra infinitamente giovane, come lo osservasse da un’altra vita, più avanti nel tempo e appena trent’anni non sono niente, mentre torna a percorrerla, con le mani, le labbra, e lo carezza dentro di sé sciogliendosi, accogliendolo, circondandolo, con tenerezza, con rabbia, spavalderia, e pensa che vuole godere, lo vuole, vuole impazzire e svuotarsi la mente, dimenticare la paura. Averlo e non lasciarlo andare mai più.

 

La cerca. Insistente. Vuole sfiorarla. Schiuderla. Assaporarla. Farla più sua di sempre.

 

E più di sempre, anche lei lo vuole. Per ogni volta che ha rinunciato, che ha chiesto a lui di rinunciare. E lo desidera con la disperazione di chi sa che è senza ritorno.

Potrebbe essere l’ultima volta.

Lo vuole, dentro, tutto. Infinito. Vuole che la riempia, sentirlo farsi immenso, duro, sentirsi potente, per il piacere che sa dargli. Che lui desidera da lei. Dimenticare tutto e godere di lui. Il resto non conta più. Solo loro due, due esseri umani, starsi vicini, amarsi, impazzire di loro.

E lui non desidera che, ancora, starle dentro, cento, mille volte, fino a farla godere, fino ad esplodere di piacere, poi, nella quiete, finalmente, abbandonarsi.

 

È quasi l’alba, ormai. Quando, placati, si risvegliano in un abbraccio. Quando, poco dopo, lasciano quel rifugio di lotta e di quiete. Si danno la mano. Insieme. Soli.

È l'ora di andare.

 

Serra le dita attorno al fucile, che ora è pesante, freddo. Vorrebbe non fare quei passi, non scendere le scale. Non dover morire, oggi. Proprio oggi. Poter tornare indietro e rifare tutto. Senza più errori.

Poter vivere.

 

 

Fine

 

Laura, 5 dicembre 2009, 20 marzo-16 maggio-27 luglio-27 settembre-16 novembre-7 dicembre 2010, revisioni giugno-novembre 2012, febbraio 2013 pubblicazione sul sito Little Corner marzo 2013

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