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3

II parte - Duelli

Warning!!!

 

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2 - Duelli

 

Non sono più dei bambini.

Li guarda dal balcone.

Sono così belli, vicini. Così perfetti.

Lo dicono anche a Corte, quando li vedono passare.

 

Li osserva, a lungo.

Indugiando. Anche se non ha visto la mano di lui che è corsa sopra quella di lei, nel tramonto che quasi li nasconde. Il riflesso dell’acqua della fontana non li ha traditi. Non ha visto lei trasalire, lo sguardo ostinatamente fisso a terra, un inferno, dentro, agitazione, paura, freddezza, determinazione, rabbia giusta. Né l’ha notata, poi, girare lievemente la testa verso di lui. Quasi trattenere il respiro. Un guizzo lucido di sguardi tra le ciglia. Il respiro che muoveva i capelli.

Ha indugiato a lungo, a immaginare, temere, sperare, per quei due.

Poi, però, ora sente di violare qualcosa, di entrare in un territorio incorrotto, troppo personale, che la curiosità, o anche solo la speranza di una madre, infangherebbe.

 

Lontane, in un altro tramonto, risuonano le campane. I rintocchi riempiono l’aria.

Trasale. Vede un cielo immenso, tingersi di rosso. Un volo di rondini. E prova una malinconia, un senso di perdita e vuoto, che mai avrebbe immaginato. Un’angoscia per il futuro. Per il non sapere assoluto che, in questo momento, più della consapevolezza dilaniante che sempre l’accompagna, la pervade. L’annichilisce.

“…”

Ho paura, André, non so perché…

Non so neanche perché l’ho sfidato…

Non è giusto, non è giusto quello che ha fatto, però…

Vorrebbe parlare, dirgli quelle parole che giacciono in fondo, e non riescono ad emergere. È da quando, dopo che è successo, e si sono allontanati in fretta, e lui le ha preso la mano, fugace, che le sono salite alla mente.

Che qualcosa si è risvegliato. Un bisogno, un dolore. Qualcosa che era rimasto sopito negli anni. Il cui ricordo l’ha fatta trasalire. Perché era lì, sapeva che c’era, ma aveva come voluto non dimenticarlo, ma lasciarlo stare.

Sa che è strano, che sono altre le cose a cui avrebbe dovuto pensare, eppure, capita.

 

Non ha quasi cenato. Se ne è accorto, André. D’altronde, neanche lui.

Era nelle cucine, solitario, scontroso, scontento. È passata, quasi sfiorandolo, e gli ha detto, piano, sperando che l’avesse udita “Passa da me, dopo.” Dopo… dopo… e, mentre le parole riecheggiavano in lui, si è dileguata, morendo di vergogna, non sa più se all’idea di quello che ha fatto o di come possa prenderla lui o se almeno l’abbia sentita.

 

Sente il gelo, dentro. Ora ha qualcosa che la distrae dall’idea del duello. Geniale, Oscar…

 

Serra, tra le dita febbrili, un vassoio. Tea caldo, qualcosa da mangiare. L’ha messo insieme per lei. Scaldandolo, sovrappensiero, come in sogno, rischiando di scottarsi.

Sale i gradini, contandoli uno ad uno, metà di ognuno. Contando ogni secondo e ogni respiro difficile, che non viene fuori.

Dopo… dopo… dopo…

E poi?

C’è un’ansia, sottile, che si somma alla paura.

C’è l’incognita di domani, all’alba. E quella dell’adesso.

Che bel diversivo che ha creato, Oscar.

Come si fa a pensare al sesso, ora? Come si fa a non pensarci, dopo quelle strane parole? E lui, cos’è che vorrebbe? Si sentirebbe davvero pronto, se fosse? Pronto a, dopo averla adeguatamente carezzata, spogliata, dato piacere e tutto, ad entrare, oddio, meglio non pensarci, detta così sembra uno svalicamento, sorride, e non far danni, e a questo invece è meglio pensarci… e lei, cosa vuole, se gli ha detto davvero così, una cosa che sembra così strana, che forse non ha sentito bene. Ma forse non è così strana, a pensarci. Considerato tutto. Considerati loro due.

 

Le sue stanze sono un piccolo appartamento. Uno studio, la stanza da letto, un salottino col pianoforte. Una stanza privata. È da tempo così, ha fatto sistemare le cose in modo da non essere disturbata.

 

Siede sul letto. Impaziente. Si sente in imbarazzo a quello che può essere il programma neanche troppo imprevisto della serata. Quanto è che, tra loro, va avanti la storia? Non è ora di farlo? Non si sentono pronti? Ne hanno parlato.

Si sono spogliati, baciati, toccati.

Le dita di lui l’hanno esplorata. Lei anche, s’è data parecchio da fare.

Non è il momento di lasciar andare le paure, gli imbarazzi, e farlo?

Non che non voglia morire vergine, non è questo. È che il pensiero di domani, all’alba, le dà come un senso di urgenza, di un termine, di un confine da valicare. Per vivere. Una scommessa con se stessa.

Vuole vivere, fortemente. Vuole André accanto. Fare l’amore con lui. Completamente.

Per tutte le volte che si sono guardati, trattenuti, osservati, abbracciati.

 

Le viene anche da ridere, all’idea che lega il sesso al letto. Perché non il tappeto, in fondo, o il divano, o la scrivania… scomoda, ma chissà… Fugge precipitosamente dal pensiero e dal luogo del delitto. Passa alla poltrona. Alla scrivania. Si sente paralizzata, dentro, eppure non riesce a stare ferma.

 

 

La trova silenziosa, un po’ agitata. Forse c’è imbarazzo. Appoggia il vassoio.

“Ti ho portato qualcosa…”

“Non ho fame…” la voce esita.

“In realtà, neanche io.” Mente, l’agitazione ora gli ha scavato una voragine nello stomaco.

Finita anche la scusa alimentare. Non resta che fronteggiarsi.

Sono soli. Lontani. Nella penombra.

“Oscar…”

Alza gli occhi su di lui.

Vorrebbe parlare, ma non riesce.

 

Le prende la mano.

“Vieni…” intreccia le dita alle sue.

Il cuore le sobbalza.

Ma sono passi verso la porta.

Sorpresa, delusa, forse, lascia che stringa le dita tra le sue. Quando le passa accanto, il cuore sobbalza. È innamorata.

Il respiro sospeso.

Le scale. Quasi buie.

Gli ultimi rumori della casa, nel giorno che va morendo.

Solo i loro passi, il frusciare del mantello, che, nel vestibolo, le appoggia sulle spalle, quasi abbracciandola. Sfiorandola quasi col viso, con le dita. Sente il respiro. La barba. L’emozione, e non più solo l’ansia, le taglia il respiro. Si sofferma sul particolare del nastro che gli lega i capelli e vorrebbe scioglierlo. Tenerlo lei.

Poi, le riprende la mano.

Nel silenzio della sera, vorrebbe saper dilatare la notte, quelle ore che li separano dal giorno, e cammina. Mette passi. E respiri. Silenzi.

 

Come sarà? Come sarà averlo dentro?

Come sarebbe, morire?

 

Fino al lungofiume. Il cielo sembra immenso, lassù, in alto. La luna, lontana, si perde tra brandelli di nuvole.

Il tempo sembra immobile. Pesa.

“Mi porti a bere, in taverna?” Scherza lei.

Un sorriso. “Spero bene che resterai sobria…”

Lei trattiene un sospiro. Ha paura di rompere non sa cosa, un’atmosfera. Un pensiero, una speranza.

Lui guarda lei, e guarda lontano.

Lei lo osserva. E lo trova bello.

Stringe più forte la mano.

Quando si ferma e le si mette di fronte, e ha sentito l’erba, sotto i piedi, piegarsi, ha già capito. E il tempo si ferma. Si arresta l’acqua nel suo scorrere. E i pensieri giacciono.

“Voglio fare l’amore con te”, le dice. E non immaginava che la sua voce sarebbe stata così ferma.

“Sì”, si sente rispondere”.

E non ha nessun dubbio. L’ha sempre saputo.

 

Allora, l’abbraccia.

 

Forte. Ma quasi con paura. Serrandola a sé. Trattenendosi e trattenendo il respiro.

Mormorandole, tra i capelli, come in un bacio, “Ti voglio bene…”

Parole che non ha potuto dire.

Ripetendolo, mentre si stacca da lei, e le dita scorrono tra i suoi capelli, sul suo viso, sulle sue braccia, fino ad intrecciarsi a quelle di lei.

“Ti voglio bene…”

“Anche io…”, confessa lei, e quella risposta, che conosce, lo illumina e, per un attimo, gli fa dimenticare la paura. E, ancora, la stringe a sé.

In uno strano miscuglio di malinconia, di ardore. Un sentimento di tristezza e, insieme, d’infinito.

 

Restano lì, vicini. Mentre il tempo scorre. Sembra che l’acqua, la brezza lo portino via.

 

“Torniamo a casa…”, ma ora l’avvolge il braccio che le tiene sulla spalla. Possessivo. È sua.

 

La stanza sembra diversa, ora. Come se la diversa padronanza che quelle poche parole, tra loro, hanno generato, riesca a modificare l’atmosfera.

Non saprebbe come altro dirlo.

Oscar è quasi incerta, quando, passando, sfiora i mobili di sempre e, dalla scrivania, osserva davanti a sé. Lui, invece, più sicuro.

 

Fa qualche passo.

“Non andare…”

Lo guarda.

“Domani…”

Abbassa gli occhi. Quasi a chiedere pietà.

“Non posso” quasi un gemito.

“Ti prego…”

Gli sembra che lei si rifugi in lui, quando gli si accosta, appoggiandosi piano. Come cercando protezione. conforto. Poi, in silenzio, quasi nel buio, si avvicina alla finestra, staccandosi da lui. Cerca il freddo del vetro, e i luoghi dove, fino a qualche attimo fa, erano rifugiati.

 

La raggiunge.

Non dicono niente.

 

La cerca, in un bacio tra i capelli. Il respiro lieve. Da dietro, la serra a sé.

Lei trasale, al sentirselo addosso. Le dita che premono. Il suo respiro.

Scorre le mani sul corpo, incontra la stoffa.

 

Lo lascia fare. Sente quelle mani calde. Che la ritrovano.

È terribile, l’idea di perderla. Non vuole pensarci. Qualcosa, dentro, gli dice che non è così. Che non andrà male, ma è tremendo pensare di dover affrontare un duello, ferire o uccidere, un metodo barbaro, feudale, una cosa fuori dal tempo.

È mostruoso, questo tempo che la separa dal domani. Quando sarà già passato. Finito. Concluso. Quando l’angoscia avrà lasciato il passo alla soluzione. Ma l’attesa sarà terminata.

Non vorrebbe pensarci, eppure sa che è per questo che gli ha chiesto di essere lì.

 

Insinua le dita tra le pieghe della stoffa. Sente la pelle, liscia, tesa. Impaziente, ora, cerca il seno, lo serra. La sente gemere. Le labbra, attraverso il tessuto.

Inarcarsi, quando scende insistente verso il basso. Vita, fianchi. Indugiando attorno all’ombelico.

Quando, incapace di resistere, si preme addosso a lui.

 

Quasi non ci sono parole.

Sguardi.

Labbra.

 

Si stacca da lei, quando le slaccia la cintura, fa scivolare i vestiti e la cerca.

 

Non c’è niente di programmato. Non sente di usarlo. È diverso. È tanto che doveva accadere. E, se domani non ci sarà più, stanotte vuole stare con lui. Lui.

Lo desidera da tanto.

 

Se è vissuta, finora, libera, come un uomo, è anche per poter scegliere questo. Lui.

 

Lui, che, ora, intreccia le dita alle sue, mentre la sfiora, bagnata.

Lui, che aspira il riflesso dei capelli, della pelle, sotto la luna.

 

Vorrebbe più luce. Ricordarne ogni tratto, ogni cosa. Invece, ruba le immagini alla luce avida delle candele. I contorni di lei, che tiene per mano, accompagnandola al letto.

 

“Sai come…” inizia lei.

“Sì”, la rassicura “stai tranquilla… ho preso…”

“Anche io” lo interrompe, precipitosa.

Gli sorride, divertita da quell’imbarazzo. Una carezza tra i capelli.

Si sente tesa, e spaventata, e immensa, e pronta a tutto.

 

 

Si slacciano.

E lui è lì, su di lei, che la sfiora e la tocca, qualcosa che ha sognato per anni, messo in pratica quotidianamente, nella sua immaginazione, fin da ragazzino, e ha paura, ora, di sbagliare, di non piacerle, di non darle piacere. Ma le mani di lei, che lo serrano, se lo stringono contro, lo carezzano, sembrano rassicurarlo. O Oscar è molto paziente o, forse, come sta andando non le dispiace.

E, così, con le dita, scivola in lei, e indugia, e la sente inarcarsi, e rispondere, fremere, fermarlo, quando il ritmo si fa più intenso, chiedergli di rallentare, per godere, e quest’idea, e lei che, con le mani, silenziosa, lo guida, lo fanno impazzire, verrebbe lì, solo per questo.

Si sente enorme, e pieno. Di desiderio. Di possederla. Farla sua.

Percorrerla. Farla impazzire. Godere.

Non esiste altro, in quei momenti. Se non guizzi di immagini. Sensazioni. Gli occhi che si chiudono, poi lo guardano, ribelli. Le dita che lo scorrono, lo serrano, lo apprezzano. Un modo d’inarcarsi e premerglisi contro, che pare invitarlo, e lo fa impazzire.

 

Vuole solo raggiungerla. Ancora di più.

 

È calda, quando le scorre dentro. La pervade. Si ritrae.

 

È bella. bella più di ogni altra ragazza abbia immaginato.

Le mani, piccole nelle sue. Immaginarsi, pensarsi, sapersi dentro di lei. Carezzato, avvolto in quelle ondate. Calde. Lucide. Guizzanti. Insistenti.

 

Le piace che le stia così dentro. Si vergogna, ma stanotte è diversa da sempre. Tra poche ore potrebbe essere tutto finito, perduto. Lei non esistere più. Mai più pensarsi accanto ad André, e lui, si domanda?

E le dispiace, un vuoto immane, quest’idea di perderlo, proprio ora. Di non aver avuto tempo.

Si osserva. Vede la sua pelle chiara, il suo corpo teso, quello di lui, sopra, snello, la pelle appena più scura della sua. Lo vede, sopra di sé. Cerca di rintracciare la sensazione del contatto tra le loro pelli. Il loro calore. E dentro. Mentre la scorre. Mentre si muove. Duro. Nervoso. Mentre si spinge più ancora. Lo stringe, dentro di sé. Lo accoglie, sente, carezza coi movimenti. Preme. Curiosa, risoluta. Tentatrice. Giocando coi movimenti. Coi muscoli.

Guarda il punto in cui le pelli si toccano. I corpi si smarriscono. Lui scorrerle dentro, raggiungerla, abbandonarla.

Le mani di lui, i capezzoli tra le dita. Li serrano. S’inarca di piacere.

Si solleva sui gomiti.

Il ventre, piatto, sapere che le sta dentro, riempiendola.

Si eccita ancora di più percorrendolo, con le mani, per sentire il suo corpo, la pelle, contro il palmo. Tra le dita. Mentre lo sente sui capezzoli. Quello è lui. E le piace.

 

Questa è lei.

 

“Abbiamo lasciato qualcosa in sospeso… troppo tempo fa…” respira, abbandonato sui cuscini. Sfinito. Svuotato. Si gira a guardarla. Lei sembra lontana, ora. Meditabonda.

Cos’hai… paura? Del duello… di quello che abbiamo appena fatto? Di come ci cambia?

Vorrebbe proteggerla. Dirle che non c’è da avere paura.

Non avere paura…

L’abbraccia, in un moto d’affetto. La tiene stretta a sé, quasi cullandola.

“Mia Oscar…”

Si stringe a lui, si lascia custodire in quel gesto. Che sembra volerla proteggere.

“Non è stato per usarti…”

“Lo so…”

 

Vorrebbe non addormentarsi mai, stanotte. Che ogni attimo di queste ore si propagasse, diventasse infinito. Vorrebbe darle un piacere infinito. Che lei lo capisse. Perché se le dà piacere, è perché è sua, tutta sua. Di nessun altro mai. Perché solo per amore vuole farlo. La guarda girarsi, indolente, tra le lenzuola. I contorni della stoffa che le sfiorano la pelle. Il corpo caldo. Inarcato. Come a chiedere piacere. E impazzisce a desiderarla. Ancora.

 

Si sveglia, tenendola ancora abbracciata.

In silenzio, si solleva, per guardarla. Incredulo. Spaventato. Felice.

Sono così vicini.

La notte li avvolge.

È così bella. Si muove lentamente.

La ripercorre con lo sguardo. Solleva una mano per sfiorarla. Poi, si trattiene.

Emozionato, ricorda ogni attimo, ogni sapore, sensazione. Il seno. I fianchi. Le mani di lei, che lo stringevano. Il ventre. Lui, dentro di lei. Respira più profondamente. L’idea lo fa impazzire.

Sente gli occhi su di sé, si muove, per guardarlo. Gli sfiora la guancia in una carezza.

“Ti ho svegliato…” le dice piano, confuso.

Scuote la testa. Il seno si solleva in un respiro. Lui prova un brivido. “Non dormivo…”

 

È quasi mattina, quando lo ritrova. La serra ancora, non l’ha perduta, durante l’assenza della notte.

 

Che non la perda il giorno che inizia.

 

Fine II parte

 

Laura, 5 dicembre 2009, 20 marzo-16 maggio-27 luglio-27 settembre-16 novembre-7 dicembre 2010, revisioni giugno-settembre 2012,  pubblicazione sul sito Little Corner ottobre 2012

Vietati la pubblicazione e l'uso senza il consenso dell'autore

 

 

Mail to laura_chan55@hotmail.com

 

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