Il libertino

parte II

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"Oscar! E' vero che siete stata male?"

Maria Antonietta aveva preso le mani della ragazza nelle sue, e la guardava con una preoccupazione che ad Oscar sembrò imbarazzante.

"Niente di grave, maestà, solo una lieve indisposizione, probabilmente in un momento in cui ero un po' debilitata. Normalmente non mi succede, è stato un caso."

Maria Antonietta sembrò rassicurarsi, e lasciò le mani di Oscar per tornare a sedersi sulla sua poltrona. Sorrise e sospirò in sincronia.

"Che bella estate, Oscar, si sta proprio bene. Un anno fa era tutto così nuovo… forse solo adesso ho preso possesso della mia casa, della mia posizione. Qui, un giorno, sarà mio. Alla faccia della Du Barry e di quelle come lei. Quando avrò una corte mia, non permetterò alle donne come lei di frequentarla. Che razza di vipera intrigante!"

Oscar si sentì in dovere di puntualizzare.

"E agli uomini?"

"Come, agli uomini?"

"Gli uomini" (si morse la lingua) "intendo, i libertini, quelli come Casanova, sono il corrispondente delle cortigiane come la Du Barry."

Maria Antonietta spalancò gli occhi, con uno stupore divertito.

"Non dovreste dare troppo ascolto alle voci che corrono, la corte è spesso come la piazza di un mercato, non me lo avete insegnato voi? Ho conosciuto Casanova e l'ho trovato davvero amabile, forse l'uomo più gentile, più cortese che abbia mai incontrato finora. Ha dei bellissimi modi che mi fanno sorgere dei dubbi sulla sua cattiva reputazione. E' vero che ha dei nemici, ma anche tantissimi che lo stimano. So anche che mia madre l'ha cacciato da Vienna, ma in Austria, questo l'ho saputo dal re in persona, non è prezioso come lo è in Francia. Politicamente, intendo."

Oscar non osò ribattere. A pensarci bene, Casanova non le aveva detto niente di davvero offensivo, aveva solo - obiettivamente - un po' scherzato.

Dirigendo le esercitazioni delle guardie, Oscar continuava a pensarci, forse Maria Antonietta aveva ragione, forse quell'uomo era tollerabile. Ciò non toglieva che avesse tentato di corteggiarla, e questo non era tollerabile.

"Madame Orthense."

La viscontessa di Chateau-Pirenne accolse non senza compiacimento la riverenza di Casanova, ancora una volta suo ospite. Aveva cominciato a riceverlo spesso. Suo marito lo conosceva, era amico del maestro di musica della sua figliastra Jeannette, insomma era praticamente già di casa ancora prima di cominciare a frequentarla.

"Signor Casanova… sapete che per me è sempre un piacere ricevervi, per cui spero mi accontenterete se vi invito a cena per domenica prossima."

"Non mancherò. Si può rifiutare un'offerta così gentile?"

Orthense sorrise soddisfatta.

"Sarà una cena - oh, ecco tè e biscotti - dicevo, sarà una cena non troppo affollata, qualche parente, un paio di amici, tra cui voi."

Parenti? Casanova si mise all'erta.

"Sono indiscreto se vi chiedo di essere più precisa riguardo gli invitati?"

"Niente affatto, è un vostro diritto sapere chi ci sarà. Verrà mio cognato, cioè il diacono di Saint-Lazare; poi mia suocera, un amico, il cavaliere di Quierzy che forse conoscerete" (cenno di assenso di Casanova) "mia sorella Catherine con suo marito il colonnello Bressac, e la mia sorellina minore, Oscar François, comandante della guardia personale di Maria Antonietta."

Casanova non tradì eccessivo interesse; si limitò a lanciare un

"Davvero?"

che sapeva sarebbe stato sufficiente a far parlare la loquace Orthense de Jarjayes in Chateau-Pirenne. Infatti, la donna sospirò e riprese a parlare.

"Eh, sì. Quando mi sono sposata e ho lasciato casa mia, Oscar aveva… vediamo… sei anni. Io ne avevo sedici, e nonostante la differenza di età le ero molto affezionata. Però nostro padre le ha sempre impedito di passare troppo tempo con noi sorelle. Ha voluto darle un'educazione maschile e noi l'avremmo… diciamo distratta. Ma ora che è più grande la posso invitare, ogni tanto. Così può ricordarsi di avere anche una famiglia, oltre a dei soldati da comandare."

Casanova annuì. Il suo piano stava funzionando.

"André, verrai con me?"

"Oscar, non sono mai venuto alle cene dei tuoi parenti. Un conto è una festa dove ci si muove, c'è un sacco di gente, ma qui si parla di qualcosa di più ristretto. Non posso. Finirei con l'aspettarti fuori tutto il tempo. Personalmente non lo trovo molto utile."

Oscar finì di sistemarsi la divisa.

"Sì, forse hai ragione, André. Mi farò portare da uno dei cocchieri di mio padre. Non è giusto che ti faccia venire perché poi mi aspetti in carrozza. Chissà quando finiremo…"

Il visconte aveva una grande villa in campagna, poco a sud di Parigi. Oscar la raggiunse quando il sole cominciava appena a tramontare, allungando le ombre e coprendo tutto con un velo color ocra.

Oscar si fece annunciare, e sua sorella le andò incontro in anticamera.

"Sono così felice di vederti!"

Si assomigliavano abbastanza. Erano entrambe bionde e snelle, forse in altri contesti si sarebbero assomigliate ancora di più, ma allora ciò che in Oscar era ambiguo appariva in Orthense smaccatamente femminile.

"Vieni con me in salotto. La cena non sarà servita che tra una mezz'ora. Ti presenterò un paio di persone che potresti non conoscere."

A causa della sua esposizione, il salotto era in penombra, e questo preavviso di crepuscolo sembrava ovattare l'atmosfera, smorzare le voci. Per cui Oscar non si accorse subito che l'uomo vicino al caminetto spento era Casanova, che stava parlando con la madre del visconte.

"Oscar, questo è il cavaliere di Quierzy. Cavaliere, questa è mia sorella Oscar François, comandante delle guardie."

"Ci conosciamo, credo. Voi non siete cugino di Girodel?" disse Oscar stringendo la mano del cavaliere, che rispose:

"Esatto. Il mondo è davvero piccolo, non trovate?" e si congedò perché richiamato dal colonnello Bressac. Al che Orthense disse:

"Giacomo! Venite a salutare mia sorella minore!"

ed Oscar ebbe quasi un sussulto. Conosceva un solo Giacomo, e quello era lui. Si scoprì a provare un sentimento vicino alla paura. Ma non poté fare a meno di stupirsi quando Casanova si comportò con lei come se non l'avesse mai vista prima, fu molto cortese e formale ma non le baciò nemmeno la mano, trattandola in tutto e per tutto come un maschio, ritornando poi a parlottare con la suocera di Orthense.

"Per fortuna" pensò Oscar; ma si rese ugualmente conto di non aver risolto nulla, rimaneva un disagio di fondo, che aveva cambiato causa ma non accennava ad andarsene. Le sue aspettative nei confronti di Casanova erano state disattese, e questo la inquietava.

Per l'ennesima volta il veneziano raccontò le sue avventure, che non mancarono di divertire quella nuova platea. Oscar non parlava, mangiava pensierosa, ogni tanto guardava Casanova con la coda dell'occhio giusto per notare che lui non la guardava affatto. Questo ostentato disinteresse la insospettiva.

Finita la cena, i convitati tornarono nel salotto, ora illuminato dalle candele. Casanova continuò a tenere banco, gli altri ad ascoltarlo, e Oscar a preoccuparsi. Era molto tardi quando il ricevimento finì, Casanova fu l'ultimo ad uscire. Ringraziò il visconte e la viscontessa, augurò la buonanotte e simulò sorpresa quando trovò Oscar fuori ad aspettarlo.

"Ebbene?"

"Non capisco questo 'ebbene', madamigella. Cosa c'è che non va?"

Oscar esitò, poi riprese coraggio.

"Sarò sincera: non vi capisco. Prima vi comportate con me in una certa maniera, poi vi ritrovo qui ed è come se foste un'altra persona."

Casanova sorrise.

"Vi offenderete di nuovo se vi dico che questa vostra preoccupazione di fronte alla mia improvvisa indifferenza è una reazione davvero femminile? Anzi no, preciso, è davvero umana. Stranamente si vuole ciò che ci si nega, per cui eccoci qua."

"Come supponevo, era una tattica" ribatté sarcastica Oscar "non sono così disumana come pensate. Avevo capito che stavate fingendo."

"Pensate che io vi sottovaluti?"

"Sì. Direi proprio di sì" disse Oscar, tagliente "penso che voi mi consideriate come quelle ochette pronte ad accorrere non appena schioccate le dita, e io non ritengo di appartenere alla categoria, se mi perdonate la presunzione."

"ah, è così?" disse Casanova con una certa flemma "Temo vi sbagliate. Io amo le donne, diciamo, in maniera universale. Le ochette, le più savie, quelle caste, quelle puttane. Ma direi che ogni donna crea una categoria a sé, quindi c'è spazio anche per voi, così come siete. E intendo come siete, non come vi dicono di essere. Ognuno dovrebbe essere l'artefice del proprio destino, poiché la felicità non è fare ciò che si vuole, ma volere sempre ciò che si fa."

"Perché pensate che io non voglia ciò che faccio? Anzi, chi vi dà il diritto di pensarlo?" disse Oscar sforzandosi di mantenere la calma, cosa che invece a Casanova riusciva bene.

"E' un'ipotesi legittima. Nella vostra posizione, non potete fare ciò che fa una donna, ma non potete nemmeno fare tutto ciò che fa un uomo. Quando vi capiterà di innamorarvi, capirete. Se sarà di un uomo, quella divisa potrebbe essere un grande ostacolo, per tutto ciò che si porta dietro. Se vi innamorerete di una donna, beh, ci sono dei limiti oggettivi nel legittimare una simile reazione, no?"

Oscar non resisteva. Sguainò la spada e la puntò alla gola di Casanova.

"Ne ho abbastanza delle vostre scemenze. Speravo foste capace di fare un discorso serio, e invece mi sbagliavo."

Casanova scostò leggermente la spada col dorso della mano.

"Mi sembra che quella a tirare fuori la spada a tradimento siate stata voi, madamigella" disse maliziosamente il veneziano "io aborro la violenza, ma se la mettiamo così, vi sfido a duello, visto che le armi sembrano un argomento convincente."

Oscar sogghignò.

"Siete sicuro di potercela fare?"

"Ora siete voi che mi sottovalutate. Usiamo pure la spada, che so essere la vostra arma preferita; a voi il luogo e l'ora."

"E allora va bene, Casanova. Domani al tramonto… facciamo al rintocco delle sette, dietro a quella vecchia chiesetta che si vede arrivando qua da Parigi. Se vinco, dovrete arrendervi all'evidenza che sto bene così come sono, no?"

"E' giusto" assentì Casanova, e aggiunse, sogghignando a sua volta, "ma alziamo la posta. Se vincerete voi, giuro che non vi tormenterò più. Se vinco io, mi darete un bacio."

Oscar spalancò gli occhi, e Casanova precisò alzando le spalle:

"Avrei potuto chiedervi di peggio. Ma tanto, vincerete voi, vero? Guardate, quella credo sia la vostra carrozza, e quella lì è la mia. Ci vediamo domani" concluse, congedandosi con un accenno di inchino. Anche Oscar, meccanicamente, salì sulla propria carrozza.

"Forse ho fatto una sciocchezza", pensò. Ma ormai aveva preso un impegno. Doveva affrontare quella sfida, e doveva assolutamente vincerla, per il suo onore.

Oscar arrivò al luogo dell'appuntamento agguerrita, carica, ripetendosi che non poteva permettersi di perdere. Trovò Casanova da solo, seduto su un muretto ad aspettarla. Stava osservando il sole che calava ad ovest, e non la guardò nemmeno quando cominciò a raccontare:

"Sapete perché ho dei nemici qui in Francia? Anni fa una strana nobildonna, la contessa D'Urfè, mi prese sotto la sua protezione. Era fissata con l'occultismo, con l'alchimia, ed era fissata anche col voler essere un maschio. Così mi chiese di aiutarla, di trovarle un rito per cambiare sesso. Non è assurdo? Non è grottesco? All'inizio tentai di farla desistere, ma lei era davvero convinta. Così decisi che meritava di essere truffata. Le dissi che avrei dovuto metterla incinta - e lei, a quasi sessant'anni, ci aveva creduto!- e sarebbe morta partorendo un maschio. In quel frangente, la sua anima sarebbe trasmigrata nel corpo del bambino. Naturalmente nulla di tutto ciò accadde, e io scappai in Inghilterra con i soldi.

"E con ciò?" disse spazientita Oscar.

"Niente, mi era venuto in mente. Ora che ci penso, non siete un caso così singolare. Però siete ancora giovane e potete salvarvi da simili ridicolaggini" disse Casanova inarcando le sopracciglia. Saltò giù dal muretto e soggiunse:

"Non avete portato testimoni, vedo."

"Nemmeno voi."

"Ah, non avete paura di niente e di nessuno, vero, madamigella Oscar?" sorrise il veneziano, levandosi la giacca e restando in panciotto e camicia. Il duello era pronto a cominciare. Era ciò a cui Casanova aveva mirato fin da quel pomeriggio in cui stava tornando a casa dopo il pranzo da Nani. Aveva capito che per avere qualche possibilità con Oscar, doveva essere lui a invadere il suo territorio: e lì sconfiggerla. Sagacemente, era riuscito ad intuire quali sarebbero state le reazioni della ragazza e, senza darlo a vedere, l'aveva spinta con le spalle al muro. Certo, sapeva della straordinaria abilità di Oscar nella scherma, ma sapeva anche che la carta migliore da giocare era farla partire in vantaggio.

Oscar, dal canto suo, si concentrò il più possibile sul duello. Vide Casanova sguainare la spada e mettersi in guardia: la sua posizione era corretta. Oscar disse:

"Al primo rintocco del campanile, cominceremo a batterci."

Casanova annuì. Era serio, aveva assunto un'espressione molto fredda, così come Oscar che continuava a studiarlo. Era molto alto, e quindi anche più instabile di lei. Oscar non aveva idea di quale fosse l'abilità del suo avversario, quindi non poté che individuare quell'unico punto debole, doveva puntare sul dinamismo per costringerlo ad essere veloce e a sbilanciarsi.

Per un attimo, uno stormo di cornacchie che attraversò il cielo la distrasse. Fece appena in tempo a riconcentrarsi quando la campana suonò.

Fulminea, Oscar tentò subito un affondo, ma Casanova lo schivò con prontezza. Cominciarono a battersi concitatamente. Il veneziano teneva testa alla ragazza, si difendeva, creava diversioni, impedendole di trovare uno spiraglio dove colpire. Lui non attaccava mai direttamente. D'altronde una frazione del suo cervello era occupata a contemplare la danza guerresca di Oscar, qualcosa che lo incantava e alimentava il suo desiderio; e a dover lottare così tanto, sentì di tornare alla sua giovinezza, quando ancora non era Casanova ma un ragazzo che stava scoprendo la vita. Si distrasse, subì l'attacco di Oscar, e indietreggiando inciampò su un sasso, cadendo di schiena. Oscar sentì di aver vinto; la sua tattica aveva funzionato. Di nuovo puntò la spada alla gola di Casanova.

"Vi arrendete?"

"Mai" rispose lui, e fece lo sgambetto ad Oscar, che finì a terra a sua volta; si alzarono contemporaneamente.

"Siete stato scorretto!" disse Oscar furibonda davanti al sorriso sardonico dell'uomo.

"In amore e in guerra tutto è concesso, e questo abbraccia entrambe le categorie."

"Amore? E' discutibile" rispose Oscar attaccandolo di sorpresa, ma di nuovo Casanova intercettò la stoccata.

Le forze contrapposte fecero volare via la spada di Oscar, che dopo un paio di volteggi nella luce aranciata del tramonto atterrò nascondendosi nell'erba.

Oscar rimase per alcuni lunghi attimi ad osservare incredula il punto in cui la spada era caduta, diversi metri più in là. Fu la voce di Casanova a richiamarla alla realtà.

"Credo di avere vinto."

Lo guardò. Era in piedi, con le mani appoggiate sull'elsa e un'espressione abbastanza neutra, appena interrogativa.

Oscar balbettò:

"S-sì… avete… avete vinto."

"Non avevate mai perso con nessuno, vero?" chiese Casanova. Oscar annuì tornando a fissare la spada troppo lontana, e il veneziano quasi si scusò:

"Non fate così. Io ho dalla mia anni di duelli contro mariti cornuti, di ogni rango e qualità. Spero vi farà piacere sapere che siete stata il mio miglior avversario."

Oscar tornò a guardare l'uomo, sempre senza dire nulla. Al che Casanova le indicò il muretto dove si era seduto e disse:

"Mi fareste la cortesia di salire lì, per favore?"

Accompagnò Oscar e la aiutò a sedersi sollevandola per la vita - pensò che era leggerissima - in modo che i loro volti si trovassero alla medesima altezza.

Casanova ebbe un attimo di esitazione. Oscar aveva gli occhi spalancati, la sentiva tesa e rigida come una corda sul punto di spezzarsi. Ma si disse anche che, siccome avrebbe tenuto fede al patto in caso di sconfitta, doveva fare altrettanto in caso di vittoria, o tutto avrebbe perduto il suo senso. Se l'era guadagnato.

"E' solo un bacio, è bello ed è innocuo" disse Casanova scostando i capelli di Oscar con una carezza delicata; bastò che chinasse appena la testa per raggiungere le sue labbra. Non resistette alla tentazione di dischiuderle e rubare quella prima, teorica verginità. Lo fece in modo gentile più che sensuale, con le mani che toccavano i capelli e appena le spalle di Oscar. Ma sentì presto un sapore salato.

Indietreggiò leggermente e vide il volto di Oscar invaso da lacrime prima silenziose, e che poi si tradussero in singhiozzi. Oscar provò di nuovo quella sensazione orribile, quella vergogna della perdita dell'onore, dell'orgoglio ferito. La sconfitta si era rivelata devastante, quell'uomo aveva vinto su tutta la linea.

L'aveva umiliata.

Eppure gli crollò addosso, piangendo, ora, come non faceva dai tempi dell'infanzia, da quando anche Orthense si era sposata e André doveva ancora arrivare e aveva sentito di essere sola e che qualcosa di importante era perduto.

Casanova, forse per la prima ed ultima volta nella sua vita, dubitò delle proprie azioni. Da una parte sentiva di essere nel giusto, e che bisognava impedire ad Oscar di vivere l'inganno in cui si trovava invischiata. Però capì anche di aver sbagliato i tempi, non era quello il momento di demolire certezze, per quanto fosse conscio che un uomo cresce soprattutto a suon di disillusioni.

"Sssht. Non piangete per queste sciocchezze. Perdonatemi. Solo ora mi rendo conto di avervi davvero mancato di rispetto, per presunzione. Non posso pretendere di entrare nella vostra vita e cambiarla. Volevo solo insegnarvi ciò che so. Sono figlio di commedianti, non ho niente di mio, e la necessità mi ha portato spesso a vivere da personaggio. Ma sono sempre rimasto me stesso, mi capite? Per quanto io possa essere spontaneamente teatrale, non ho mai lasciato che il personaggio rubasse il mio posto. Non bisogna farsi sopraffare dal ruolo che ci assegna il destino. Adattarvisi, magari sì, giocarci, dominarlo, ma non farsi dominare, perché in quel momento arriva l'infelicità. Seguite la vostra inclinazione, la vostra vera inclinazione, Oscar! Raccontate pure menzogne a tutto il mondo, ma non a voi stessa."

Oscar esaurì il suo pianto sulla spalla dell'uomo, che le sussurrò:

"Quando vorrete me ne andrò, odio l'idea di farvi versare altre lacrime. Troppe lacrime rovinano ogni bellezza."

Oscar alzò la testa e lo vide voltarsi, recuperare giacca e spada, quasi salire a cavallo per poi tornare indietro e sollevarla di nuovo per farla scendere dal muretto.

"Vi auguro di volere sempre ciò che farete nella vita" le sorrise, e poi partì davvero, di buon trotto.

Rinfrescati dalla brezza della sera, uscirono l'uno dalla vita dell'altro, ma rimasero, talvolta nascosti, nei rispettivi ricordi.

Dux. Notte.

Casanova schioccò la lingua diverse volte, aveva queste maniere, questi rumori propri dei vecchi che lo disgustavano di se stesso.

Oscar François, Oscar François. Non poteva dire di averla amata, non di averla amata come quell'Henriette che era stata l'unica, forse, a capirlo davvero. Ma nella memoria le dedicava il medesimo rispetto, ogni tanto provava ad immaginarla adulta e si chiedeva cosa stesse facendo, se amasse qualcuno, se ridesse di più.

Lui non rideva davvero da molto tempo, veniva deriso, vecchio e impotente, sentiva che il suo mondo stava morendo e che per lui non c'era il tempo e nemmeno il modo di possedere il futuro. La sua unica proprietà era il suo passato che riviveva, brillante festoso positivo, nei fogli manoscritti che invadevano il suo studio. Allora si lasciava andare alla dolcezza degli anni d'oro ricchi di avventure e disavventure, delle risate e dei profumi delle donne, le donne, le donne. Mancava solo Oscar in quell'elenco affettuoso, e non sapeva di preciso nemmeno lui perché.

Odio l'idea di farvi versare altre lacrime, forse era per tenere fede, per una volta, a una promessa tra le tante buttate al vento.

La sua bocca si curvò in una specie di sorriso. Pensò che valeva la pena di essere soddisfatti per una cosa del genere.

 

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Ritorni lo straniero alla sua patria propizia

la memoria

(Manuel Vazquez Montalban, Ciudad)

 

 

Fine

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