Il fiume e le rose
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Alain aspettava fuori della caserma, guardandosi le scarpe, non sapendo bene come ammazzare il tempo. Era una giornata fredda e limpida, il vento del nord gli sferzava il viso, gelandolo quasi, ma non se ne preoccupava.
Povera Diane. Non la biasimerei se non venisse
nemmeno, col freddo che fa.
Stava
quasi per ritornare dentro, col suo fagotto della biancheria sporca, quando sentì
una voce familiare chiamarlo.
"Alain!"
Diane
arrivò di corsa, trattenendo appena lo scialle di lana grigia che le copriva le
spalle.
"Alain, scusa se sono arrivata solo adesso… Ma ho trovato per strada la zia Omphale. Non la smetteva più di parlare! E mi chiedeva quando mi sposo, quando ti sposi tu, e…"
"Lascia
stare", rise Alain lasciando cadere il pacco della biancheria e
abbracciando la sorella. Il corpo esile della ragazza sembrò sparire tra le sue
braccia, e lui si beò di quella sensazione - ancora una volta, come sempre, la
copriva, la proteggeva. Era quello che aveva voluto fare fin da quando l'aveva
vista nascere. Era sempre stata una bambina magra, un po' più piccola della
media. Crescendo, era diventata più slanciata, più donna, ma manteneva sempre
quel non so che di fragile. Le cose
fragili sono le più preziose, pensava Alain, e così aveva deciso di
preservarla da ogni male.
"Dammi
la biancheria", disse Diane sciogliendo l'abbraccio, "così sabato
prossimo sei vestito di nuovo. Guarda, ti ho portato le camicie dell'altra
volta. La mamma mi ha anche dato questi fazzoletti, dice che con questo tempo ti
prenderai di sicuro un raffreddore."
"La
mamma si preoccupa troppo per me, zucchina. Così grande e grosso, quando mai mi
sono ammalato? Tu piuttosto…"
"Ti
sei ammalato l'altr'anno, me lo ricordo benissimo", si imbronciò Diane.
"Avevi la febbre ma insistevi a dire che stavi bene, così durante il turno
di guardia sei caduto come una pera cotta! La mamma ti manda i fazzoletti perché
ti conosce benissimo, altroché!"
"Che
croce vivere con due donne!" rise Alain prendendo le camicie pulite.
"Ma adesso ti conviene tornare a casa, tira un vento micidiale, qui."
Diane
sorrise, indietreggiando di qualche passo.
"Allora
ci vediamo, Alain." Sembrò indugiare, e Alain allora aggiunse:
"Che
mi dici del tuo fidanzato?"
Il
sorriso di Diane si allargò ancora di più, e la ragazza assunse un'espressione
raggiante.
"Mi
ha regalato un mazzo di fiori, ieri. Oh, Alain, è così gentile!" Diane
fece qualche passo di nuovo verso il fratello. "Ma non è per i regali, è
per… è per come mi parla, e poi… io non credo che mi farà mai niente di
male."
"Sai
che se ci prova gli spezzo le gambe, no?" rise Alain.
Aveva
sempre protetto Diane perché era così bella e fragile, e perché non voleva
che si ripetesse ciò che aveva visto troppe volte da piccolo. Non voleva che
facesse la fine di sua madre.
Fratello
e sorella si salutarono di nuovo e, come ogni volta che vedeva Diane andarsene,
Alain si trovò a provare un misto di tenerezza e apprensione. Rise per
scacciare quel sentimento, e rientrò in caserma.
André
lanciò ad Alain uno sguardo interrogativo. Fortunatamente, quella notte il
vento si era quietato e il turno di guardia non sembrava così duro. Ma l'amico
era insolitamente taciturno. Si limitava a tirare fuori di tanto in tanto la
solita bottiglietta di cattivo liquore dalla tasca, fare un sorso e rimetterla
via.
"Alain."
"Eh…"
"Sputa
il rospo."
Alain
si voltò a guardare André che lo scrutava, inquisitivo. Ogni tanto aveva un
modo di osservare le persone tale da far credere di riuscire a leggere nel
pensiero. André era un totale fallimento se si trattava di mentire, ma era
altrettanto vero che era difficile mentire a lui. Alain sospirò.
"Dopo
quella balla ridicola per cui saresti stato figlio di un falegname, André, non
mi hai più detto nulla della tua famiglia."
"Ti
interessa? Non me l'hai mai chiesto."
"Adesso
mi interessa."
"I
miei sono morti quando ero piccolo e sono cresciuto con mia nonna e, beh, con
Oscar."
Alain
fece un mugugno di assenso. Fece un altro sorso, e disse:
"Lo
sai, no, che Diane si sposa. Si sposa e io ho paura. Perché… perché so che
finché sarò io a prendermi cura di lei, non le potrà accadere nulla di
male… ma chi mi assicura che chi verrà dopo di me…" Alain fece un
gesto stizzito, e sputò per terra, nervoso. Continuò. "Ho paura e per
questo mi incazzo con me stesso. Non dovrei, vero?"
André
gli mise una mano sulla spalla.
"Dai,
ricominciamo la ronda, Alain. Sono sicuro che Diane troverà una brava
persona… dopotutto è sempre tua sorella, che si sposi oppure no. Non la
perderai…"
Alain si sforzò di sorridere, riprendendo a camminare.
"Cazzo,
André, eri tu quello depresso, mi pareva!"
"Meglio
così, no?" gli sorrise André di rimando. "Un depresso per volta è
più che sufficiente."
"Già,
già…"
L'atmosfera
sembrò farsi più distesa e i due camminarono in silenzio ancora per un po',
finché Alain ricominciò a parlare all'improvviso, in tono neutro.
"Sai,
André, la vera ragione della mia paura non è proprio questa. Hai visto mia
madre, no? Sembra una vecchia. Però non lo è, non per l'età. E' la vita di
merda che ha fatto che ora la fa apparire decrepita. Anch'io ho perso mio padre,
André, ma purtroppo ero abbastanza grande da rendermi conto di come si
comportava, e lo era anche Diane. Hai idea di cosa voglia dire vedere tua madre
venire picchiata dalla mattina alla sera da un bestione con più alcol che
sangue in corpo? E non poter fare NIENTE? Diane si nascondeva sotto al letto
quando lo sentivamo tornare a casa. Ne aveva una paura tremenda. Quel lurido…
e il peggio è… che non è morto. Se ne è semplicemente andato. Una
liberazione, capiamoci, ma l'idea che un giorno potrei rivedere il suo brutto
muso è insopportabile. Per questo ho paura che Diane si sposi. Scommetto che
anche mio padre sembrava una brava persona quando mia madre l'ha
conosciuto." Calciò un coccio di vetro abbandonato per terra, e sputò di
nuovo. "Va sempre così."
André
all'improvviso sentì una gran pena per l'amico. Pensò che la sua
preoccupazione era più che legittima.
"Io…
Alain, che brutta storia. Uno non immaginerebbe che ti porti dentro un peso del
genere."
Alain
tornò a sorridere.
"Scemo!
L'hai detto tu, no? Uno solo, di depresso, basta e avanza, qui. Lascia che ti
regali una delle Grandi Verità di Alain de Soisson: la vita è già una merda
da sola, quindi non vale la pena di prenderla male. Buttala sul ridere. Che
almeno sia cacca divertente."
Ecco il solito Alain,
pensò André, e rise con l'amico, felice di averlo in qualche modo aiutato a
sfogarsi.
Era
quasi una visione, la sua Diane in abito bianco. Se l'era cucito da sola, anche
il pizzo degli orli era opera sua. Aveva gli occhi un po' stanchi, ma Alain non
l'aveva mai vista così felice - così raggiante.
"Ti
piace, Alain?" rise, facendo una piroetta.
"Se
non fossi mia sorella, Dianuccia, ti sposerei io, guarda un po'."
"Cretino!"
Diane
gli saltò al collo e gli riempì il viso di baci. Sì, era felice. Alain era
quasi commosso. Aveva conosciuto il fidanzato di Diane. Era un ragazzo smilzo,
forse un po' incolore. Un nobile decaduto, per la precisione. La cosa
importante, però, era che sembrava innocuo. Per
questo le piace, pensava Alain, non
farebbe del male a una mosca nemmeno con molto impegno. Jerome - questo il
suo nome- parlava poco e guardava Alain solo di sfuggita, intimorito dalla mole
del futuro cognato. Alain aveva riso, e a sentire la sua risata Diane aveva
avvertito come un nodo sciogliersi dentro di lei. Voleva che Jerome piacesse ad
Alain. Non voleva che suo fratello rimanesse deluso. Lui dopo le aveva detto:
“Davvero quest'uomo non ti farà mai del male, zucchina.” Si era tenuto per
sé il resto della frase - perché è una
mezza sega, non perché sia migliore degli altri- ma non avrebbe tollerato
nessun ostacolo alla felicità di Diane.
Una
volta, fuori a bere, un commilitone ubriaco aveva detto ad Alain:
"Sai,
anche oggi mi sono sparato una sega pensando a tua sorella" e Alain calmo,
a bassa voce, aveva risposto:
"Dovresti
imparare a tacere, ogni tanto" e gli aveva assestato un pugno, preciso, in
piena faccia; e mentre il naso del soldato pisciava sangue come una fontana,
aveva aggiunto:
"Tu
ti spari le seghe pensando a mia sorella, ma io ogni giorno mi chiavo quella
vacca di tua madre, razza di stronzo."
Da
allora, fu ben chiaro per tutti che a Diane de Soisson si doveva portare
rispetto.
Era
quasi una visione, la sua Diane in abito bianco. Forse lo sapeva, e lo aveva
usato per darsi una morte decorosa. Quando Alain aprì la porta della sua
stanza, per un lungo attimo non capì. Aveva visto delle persone morte, com'era
normale. Aveva visto degli impiccati, con la faccia livida per il soffocamento.
Diane - o era solo nella sua mente? - aveva invece mantenuto tutta la sua
bellezza.
Si
diresse verso di lei, sciolse il cappio, la distese sul letto, e solo allora
sentì la madre piangere nell'altra stanza. Dunque sapeva già, e forse sapeva
anche il perché. Ma Alain aveva perso ogni forza, rimase inginocchiato a
fissare il corpo della sorella senza vederlo. Non era in grado di chiedere nulla
a sua madre, tantomeno di consolarla. Pregò vanamente di riuscire a piangere
anche lui, ma non gli restò che affrontare una disperazione muta, che lo
schiacciava, lo annientava in un insostenibile senso di vuoto.
Poco
dopo la visita di Oscar e André, morì anche la madre di Alain. Era sempre
seduta sulla sua sedia; e un giorno non se ne era più mossa. Alain non seppe
definire da quanto tempo fosse morta quando se ne accorse. Viveva come in
trance, respirando l'odore dolciastro della morte che permeava la casa.
Provò
a dire “mamma”, ma giorni di silenziosa clausura gli avevano seccato la
gola, ucciso ogni parola. Non beveva, non mangiava. Di nuovo si sforzò di
emettere un suono, e lo stomaco si contrasse in uno spasmo doloroso che lo piegò
in due; stramazzò a terra, svenuto.
Passarono
forse un giorno o due da lì a quando il genero della vicina sfondò la porta
urlando che non era possibile vivere con quella puzza, che erano dei maiali; e
ammutolì di fronte allo spettacolo macabro di una ragazza in abito da sposa
ormai in stato di decomposizione, e di una vecchia e di un uomo entrambi
immobili, inanimati. Solo guardandolo molto bene si rese conto che l'uomo era
ancora vivo, e dovette guardarlo ancora meglio per capire che si trattava di
Alain.
Pallido,
scavato, con la barba lunga, sembrava molto più vecchio della sua età.
C'era
stato il funerale, c'era stata la sepoltura. Alain non voleva tornare a casa.
Non c'era più nulla lì se non la presenza ingombrante della morte; e Parigi di
notte, sotto la pioggia, era ostile, fatta di porte chiuse, di finestre
sbarrate. La Senna era nera. Tutto era nero, sarebbe stato facile mettere un
piede in fallo e cadere dentro - dormire finalmente, da quanto tempo non dormi,
Alain de Soisson? Fece il gesto meccanico di mettere una mano in tasca, e fu
stupito di trovarvi la bottiglietta del liquore, mezza piena.
Bevve
un sorso e si sentì bruciare le viscere, bevve ancora e ancora fino a finirla e
il suo cervello cambiò registro. Barcollò all'indietro e si accasciò contro
un muro, sedendosi per terra e guardò verso l'alto, guardò la prospettiva
della pioggia che cadeva.
Diane
era morta. Di chi si sarebbe preso cura, adesso? A chi avrebbe raccontato
sciocchezze solo per vederla ridere - sciocchezze miste a segreti che non
avrebbe confidato a nessun altro? Ho
fallito, pensò Alain, ho fallito
perché nessuno poteva farti più male di quell'infame, Diane, e per questo è
morta anche la mamma, e io non sono servito a nulla, non l'ho impedito in nessun
modo.
Tutto
si frantumò e finalmente Alain scoppiò in lacrime, uno sfogo benedetto che lo
pervase di un calore dimenticato, una diversa qualità di tristezza che stava a
indicare il momento di risalire la china. Aveva un posto dove tornare, e ci
sarebbe andato.
"Cristo",
ringhiò tra i denti, alzandosi in piedi e preparandosi ad attraversare la città.
André passò ad Alain una camicia asciutta, aspettando che fosse l'amico a cominciare a parlare. Infatti, Alain disse:
"Non
mi hai risposto, prima. Ti ho chiesto se pensi sempre al tuo solito
problema."
"Pensavo
al tuo problema, invece. Anche i sassi
sanno quanto ci tenevi a Diane. Dopo che Oscar ed io siamo venuti a casa tua,
non abbiamo più avuto tue notizie… Temevamo…"
"Che
l'avessi fatta finita? Dillo pure, André. Niente paura. Ci ho pensato un sacco
di volte, ci ho pensato fino a poche ore fa. E' stata una vitaccia, ma porca
troia, non la farò andare peggio di quello che è. Ho qualcun altro a cui farò
mangiare i denti se me lo trovo davanti, oltre a mio padre."
"Riposati,
Alain. Lasciati dire che sei uno straccio."
Alain
guardò André sogghignando.
"Razza di vecchia suocera. Non ho intenzione di stare a poltrire con tutti i casini che si preparano in città. Il soldato Soisson tornerà utile alla Guardia cittadina."
André
si strinse nelle spalle senza dire nulla e spense la lampada. Restavano gli
ultimi scampoli di notte per dormire, e Alain dormì un sonno opaco e
silenzioso, senza mai svegliarsi fino al tramonto.
Bestemmiò.
"Nessuno
mi ha svegliato."
"Nessuno
ne ha avuto cuore, vecchio", gli disse un soldato dandogli una pacca sulla
spalla.
Alain
si stropicciò gli occhi e vide André in piedi, appoggiato al muro. Ne incrociò
lo sguardo, e l'amico gli fece un cenno.
Alain
lo seguì fino all'ufficio del comandante. Oscar si alzò dalla scrivania con
malcelata trepidazione.
"Stai
bene, Alain?"
"Ho
avuto giorni migliori, comandante."
Oscar
sospirò.
"Hai
passato un periodo orribile. Se vuoi posso darti ancora qualche giorno di
licenza, è in mio potere farlo."
Alain
scosse la testa.
"Se
passerò altri giorni a non far nulla, impazzirò. Preferirei riprendere il mio
lavoro…"
"Sta
a te decidere. Se te la senti… va bene. Ma va' a cena con gli altri. Sei la
metà di quello che eri."
"Agli
ordini", disse ironico Alain facendo il saluto, e avviandosi verso la mensa
André gli disse, piatto:
"Visto?
Te l'ho detto che si era preoccupata per te."
Per
un attimo, Alain trasalì. Possibile che
abbia capito… no, no, non è così.
"Sei
geloso di questo relitto, André?" rise ."Ti sottovaluti. Guardati,
che bel ragazzo sei. Non sarò certo io a rubarti la donna."
André
sorrise nervosamente.
***
Il
sole picchiava forte e gli unici rumori erano quelli della zappa di Alain che
affondava nella terra e del Mediterraneo poco lontano, che lambiva quietamente
la spiaggia.
Alain
si fermò. Aveva quasi finito e in ogni modo faceva troppo caldo per continuare
a lavorare. Il sudore correva in grandi gocce sulla sua schiena abbronzata,
seguendo il profilo dei muscoli e delle cicatrici. Abbandonò la zappa nel mezzo
del campo e si diresse verso casa. Claire era sulla porta ad aspettarlo - i
riccioli bruni che erano sfuggiti alla crocchia ondeggiavano al vento marino.
Viveva con lui da circa un anno, da poco dopo il giorno in cui Rosalie e Bernard
erano venuti a fargli visita.
Alain
e Claire non erano sposati e questo aveva creato un certo scandalo in paese. I
genitori della ragazza a malapena le parlavano; ma d'altro canto Alain era molto
benvoluto, per cui molti la presero come una stravaganza tra le tante che erano
piovute loro addosso dall'inizio della Rivoluzione.
Claire
rientrò in silenzio poco prima che lui varcasse la soglia e gli versò un
bicchiere di acqua fresca. Mentre beveva gli chiese:
"Hai
finito il lavoro?"
"Manca
poco. Un'ora o due oggi pomeriggio e poi posso cominciare l'altro campo."
Claire
annuì e lo abbracciò. Era molto più alto di lei e sentiva, sul suo petto, il
sapore salato del sudore misto alla salsedine che il vento di mare gli
attaccava, tendendogli la pelle, asciugandola. La ragazza si abbandonò contro
l'uomo, ad occhi chiusi, al che Alain disse:
"Ieri
sono stato in paese."
"Lo
so."
"Ho
visto Jerome."
"Chi?"
"Jerome,
alla locanda del turco", disse Alain senza sciogliere l'abbraccio.
Sentiva
Claire respirargli addosso. Le aveva raccontato di Diane. Una delle cose che gli
piacevano della sua compagna era che non si stancava mai di ascoltarlo.
"Jerome.
L'uomo che ha ucciso tua sorella. Sei sicuro che sia lui?"
"Ha
una faccia talmente insulsa che, per assurdo, è impossibile dimenticarsela. E'
proprio lui."
"E
cosa farai?"
Alain
si ritrasse e Claire sgranò i grandi occhi scuri.
Osservò
il suo uomo tamburellare le dita sul tavolo, nervoso.
"Qualcosa."
Lasciò
che Claire si godesse fino alla fine la sua pennichella, riversa seminuda nel
letto impregnato di sudore. Lui si infilò una camicia, si mise il cappello e le
scarpe.
Uscì.
In
una manciata di minuti si trovò in paese. Il sole picchiava ancora troppo perché
qualcuno si azzardasse ad uscire. Oltrepassò la chiesa ed entrò nella locanda
del turco, un musulmano di mezza età che si era fermato nel sud della Francia
una ventina d'anni prima. Vestiva all'occidentale e portava il turbante, aveva
una moglie araba e una francese, e tre figlie. Gli erano morte le due nate dalla
moglie francese, che per questo vestiva sempre in lutto. I maligni dicevano che
fosse stata l'altra moglie ad avvelenare le bambine, per restare la favorita.
Quelli più razionali invece imputavano la morte prematura all'epidemia di
febbre petecchiale di quell'anno.
Quando
Alain entrò nell'atrio in penombra della locanda, il turco che tutti
conoscevano come Said stava prendendo nota delle spese del giorno. Si interruppe
per salutare il nuovo arrivato.
"Buongiorno,
Alain. La tua signora ti ha mandato fuori di casa?"
"No,
anche perché la casa è mia. Vorrei fare due parole con te, Said. Mi sei sempre
stato simpatico, non foss'altro perché il prete non rivolge la parola a nessuno
dei due."
"La
volontà di Allah è imperscrutabile", sogghignò Said, facendo balenare i
denti bianchissimi da sotto i baffi appena ingrigiti. Alain sogghignò a sua
volta.
"Dimmi
ciò che sai del tuo ultimo ospite, Jerome ex barone di Mont-Du-Lac."
"Come
lo conosci?"
"Parigi."
"Aaah…
Capisco. E' qui con la moglie. O meglio, la moglie è qui con lui. Se lo
trascina dietro come…"
"…
un fantoccio" si sovrappose Alain, una piega disgustata gli storceva la
bocca.
Il
turco lo guardò, interrogativo.
"Stavo
per dirlo. Beh, comunque, hanno voluto la camera migliore. Pagamento anticipato,
naturalmente. Ne escono solo per i pasti e per le funzioni in chiesa, almeno,
così hanno fatto finora."
"Per
quanto tempo staranno qui?"
"Ogni
giorno pagano per il seguente. E' così da quasi una settimana."
Said
osservò dipingersi sul volto di Alain un'espressione enigmatica - cosa diavolo
stava macchinando?
"Preparati
a rivedere presto la mia faccia, Said."
La
sera, per ora di cena, Alain era di nuovo là. Da un tavolo in disparte
osservava i coniugi di Mont-Du-Lac sorseggiando una birra. Said seguiva a
puntino le regole del Corano ma era scaltro abbastanza da non imporle ai suoi
clienti. Alcol e ogni ben di Dio erano sempre disponibili alla sua tavola.
Jerome
non poteva che invecchiare così. Prevedibile e banale anche in questo. Alain
pensò "invecchiare", ma sapeva che Jerome aveva la sua età. Solo che
lui non si sentiva vecchio, né pensava di sembrarlo. Per l'ennesima volta nella
sua vita, stava ricominciando. Aveva una casa, un lavoro. Aveva Claire e forse
anche un marmocchio in arrivo. Doveva trattenersi per non ridere da solo, a
guardare Jerome e il suo doppio mento. Jerome e la donna per cui aveva lasciato
Diane - DIANE! Aveva lasciato Diane per quella ricca beghina. Ops,
ex ricca. Dieci a uno che dopo la Rivoluzione di grana gliene è rimasta poca.
Lo capiva dai vestiti eleganti ma lisi, dai nodi nella parrucca di Jerome.
Osservò la coppia finire di mangiare. Osservò la moglie di Jerome tornare in
camera e lui ordinare altro vino, vino economico. Come
sei penoso, Jerome di Mont-Du-Lac, pensò Alain alzandosi per andare a
sedersi al tavolo di quello che avrebbe dovuto essere suo cognato.
"Ci
conosciamo?" chiese flebile Jerome.
"Forse
sì, barone."
"Non
vale più dire 'barone'. Sapete cos'è successo negli ultimi anni…"
"No,
abitavo sulla luna", rispose Alain, sarcastico. Ordinò vino per sé. Vino
migliore. Ne versò a Jerome.
"Sei
qui in vacanza, Jerome?"
Jerome
lo sbirciò bevendo, mentre pensava a una risposta, indeciso se essergli grato
per il vino o se stupirsi per la confidenza con cui quel bestione abbronzato gli
si rivolgeva.
"Scusatemi
se mi ripeto… ma… ma… come fate a conoscermi? Qual è il vostro
nome?"
"Alain de Soisson."
Nessuna
reazione evidente da parte di Jerome.
"Sono
il fratello di Diane de Soisson, la ragazza…"
"Ah,
Diane…"
"…
la ragazza che hai ucciso."
Jerome
fissò Alain con uno sguardo bovino. Poteva essere stato accettabile, da
ragazzo, ma ora il suo aspetto tendeva allo sgradevole. Flaccido. Un po' sporco.
Per niente sveglio.
"Cosa?"
"La
ragazza", ripeté Alain protendendosi verso di lui, "che hai ucciso.
Diane si è suicidata per la vergogna quando l'hai lasciata il giorno prima del
matrimonio. Non lo sapevi? O te l'eri dimenticato e basta?"
"…"
Jerome
sembrava annaspare alla ricerca della risposta che potesse procurargli il minor
danno possibile. E ci pensi, anche!?
Pensò Alain esasperato da tanta pochezza. Finalmente Jerome fiatò un “mi
dispiace” che sapeva di vino e cattiva digestione. Alain si risistemò sulla
sedia ma continuava a fare paura.
Lo
sapeva. Per questo si mise a giocherellare con un coltello. La paura di Jerome
era così tangibile che se ne sentiva quasi l'odore.
"'Mi
dispiace' mi sembra un po' poco, mio bel Jerome. Anzi, è decisamente poco."
Jerome
si irrigidì. Alain era serio.
"Vieni
a farti un giretto fuori."
A
Jerome pareva che le gambe fossero piene di piombo, come negli incubi peggiori.
Muoversi stava diventando un'impresa. Alain si protese di nuovo verso di lui.
"Ho
detto vieni a farti un giretto. Sei
sordo, barone, o devo fartelo capire a suon di botte?"
Lentamente,
Jerome si alzò e si trascinò fuori dalla locanda, al seguito di Alain. Il sole
era tramontato da un pezzo e non c'era più nessuno in giro.
Dopotutto,
era un piccolo paese.
Alain
aveva ancora il coltello in mano, se lo rigirava tra le dita con una destrezza
che tradiva una lunga esperienza, persino Jerome se ne accorse - d'altronde,
Alain voleva che se ne accorgesse.
C'era
un cortile buio, dietro alla locanda. Alain vi condusse Jerome. Le
luci accese nel locale li sfioravano appena, facendo balenare la lama del
coltello e lo sguardo freddo e duro che Alain aveva indossato per l'occasione. E
la sua voce suonò ancora più fredda e ancora più dura quando disse:
"Cosa
pensi di meritare per quello che hai fatto, sgorbio? Sai dirmelo? Ti chiedo
un'opinione."
"…"
Jerome
tentò di deglutire, ma si trovò con la gola secca e i denti serrati. Stavolta
però Alain sembrò non curarsi del suo silenzio, e proseguì dicendo:
"Se
al mio posto non ci fossi io ma il mio amico Said, il tuo attuale padrone di
casa, forse saresti ancora vivo. Ma è altrettanto probabile che ti mancherebbe
qualche parte del corpo. Lui ci tiene alle sue figlie, sai. Quando gli ho
raccontato la tua brutta storia ha detto che lui non avrebbe tollerato un simile
disonore per una delle sue bambine. Forse ti avrebbe tagliato un mignolo",
-Alain fece scorrere la lama sulla mano di Jerome,- "forse tutta la mano,
di netto dal polso. L'hai vista la mannaia con cui taglia la carne? Quei bei
quarti di bue. O ti avrebbe tagliato un braccio, se gli girava male. E se fosse
stato ancora più incazzato, magari non saresti stato il padre dei suoi
nipotini, ma neppure dei nipotini di nessun altro, mi capisci, Jerome? O vuoi la
traduzione?"
Jerome
tremava visibilmente quando Alain fece scorrere la lama lungo il suo basso
ventre. Il metallo sulla stoffa produsse un rumore sinistro.
"Vedo
che hai capito. Adesso c'è un'altra cosa che devi capire. Io non sono Said. Non
sono turco. Sono di Parigi e a Parigi non si usa tagliare le mani o l'uccello ai
bastardi come te per punirli. Non siamo così raffinati da conoscere queste
mezze misure, dovresti saperlo, sei di Parigi anche tu. A Parigi o meriti di
vivere, o meriti di morire. E ti assicuro", disse Alain praticamente in
bocca a Jerome, "che sono molto più incazzato di quanto non sarebbe Said
al posto mio."
Gli
occhi di Jerome erano spalancati e tondi come la luna sulle loro teste. Nessun
suono, solo
-plic-
-plic-
e
una macchia scura che si allargava a vista d'occhio sui pantaloni di Jerome.
Alain fece un passo indietro e sogghignò.
"Scommetto
che sono i tuoi unici pantaloni, vero Jerome? Non vorrei essere in te quando
dirai a tua moglie che ti toccherà girare puzzando di piscio."
Diede
una piccola spinta a Jerome e l'uomo cadde per terra, stravolto, balbettando:
"…
non mi uccidete?…"
Alain
rise, sprezzante.
"Scherzi?
Meriti di vivere. Meriti di vivere la tua vita di merda, altroché. Ti auguro di
campare cent'anni, e spero che siano uno peggiore dell'altro."
Si
allontanò, lasciandosi alle spalle uno Jerome stranito e puzzolente.
Quell'immagine lo riempiva di un piacere incomparabile.
La
mattina dopo, passò a salutare Said, che lo informò che i signori di
Mont-du-Lac erano partiti.
"Non
mi avrai mica fatto perdere un cliente, Alain?" Rise il turco, e Alain rise
a sua volta.
"Ti
ho fatto un favore, Said, credimi. Almeno se non vuoi che la tua camera migliore
puzzi come una stalla."
Said
finì di ridere con lui, e aggiunse:
"Ti
ho mai detto qual è un proverbio tipico del mio paese? 'Se ti siedi in riva al
fiume ad aspettare, prima o poi passerà il cadavere del tuo nemico'. Hai fatto
bene, Alain. Quell'uomo è finito."
"Però,
Said, questo detto non l'avevo mai sentito. Personalmente ne seguo sempre un
altro: 'Se son rose fioriranno, se è merda puzzerà'. E Jerome puzzava come
nessun altro."
"Bravo,
bravo", rise di nuovo il turco, di gusto. "Se avessi avuto un figlio
maschio, lo avrei voluto saggio come te."
"E'
strano. Sei la prima persona a dirmi che sono saggio. Sarà per via della
faccia, ma nessuno mi prende sul serio."
Said
strizzò gli occhi neri.
“Forse
è meglio così”, gli disse.
Alain ci pensò, si strinse nelle spalle e gli diede ragione.
Fine
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