A Strange Story
parte V
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“Buongiorno,
Oscar. Scusami per il ritardo, ma non sono riuscito a svegliarmi, stamattina”,
disse André, appena giunto, trafelato, a Versailles, dove Oscar era già di
servizio da un’ora. “Girodel mi ha detto che mi volevi vedere.”
“Sì,
André. Devi dirti una cosa importante” rispose Oscar, cercando di scorgere
sul viso di lui segni rivelatori di come avesse passato la notte. “Dobbiamo
fare da scorta per il trasferimento della famiglia reale a Meudon. Staremo fuori
per dieci giorni. Ho voluto comunicartelo subito, in modo che tu potessi
organizzarti” terminò, continuando a scrutarlo.
André
impallidì. Dieci giorni… come avrebbe fatto? Aveva dato la sua parola…
doveva riuscire a far capire a St Just quali erano i suoi doveri.
Come
era bella Oscar quella mattina! Eppure aveva un’aria stanca, come se avesse
dormito poco.
Era
facile perdersi nei suoi occhi azzurri come laghi di montagna… come sarebbe
stato bello poter cancellare tutto l’inverno appena trascorso, e poter
affrontare il risveglio primaverile di nuovo al suo fianco, puri e pieni di
speranze come erano da bambini! Eppure… anche se i segni sul suo corpo
andavano sbiadendosi, quello che era successo non poteva che costruire una
barriera definitiva tra lui e Oscar.
Ripensò
alla sera in cui lei era andata a ringraziarlo, a come l’aveva sentita
vicina… Come dirle cosa gli era successo? Come farle capire che non aveva mai
avuto possibilità di scelta?
Oscar
lo guardava: perché… perché non era più l’André di prima? Perché aveva
sempre quell’aria sofferente? Dieci giorni! Forse in quei dieci giorni sarebbe
riuscita a capire cosa gli stesse succedendo, forse sarebbe riuscita a fargli
capire come era cambiata, come erano mutati i propri sentimenti. Non poteva
essere tutto perso, proprio ora che aveva finalmente compreso dove era nascosta
quella felicità che pensava le sarebbe rimasta preclusa per sempre.
Il
giorno successivo, nel tardo pomeriggio, André si recò a Parigi.
Giunto
di fronte all’abitazione di St Just, provò a bussare. Doveva avvertirlo del
viaggio che avrebbe fatto con Oscar. Sperava che l’altro capisse, che
assumesse un atteggiamento ragionevole: il comportamento della loro ultima notte
lo faceva sperare….
Non
rispose nessuno. Scese i gradini e tornò sulla strada, indeciso sul da farsi.
Improvvisamente vide sopraggiungere Marie Darras, la giovane che aveva
conosciuto la mattina precedente.
“Buonasera
Marie” le disse avvicinandosi.
La
ragazza sembrò stupita di rivederlo, ma rispose gentilmente al suo saluto.
“Sto
cercando St Just, non è in casa. Sapete dirmi a che ora rientra, di solito?”
Continuò lui.
Lei
arrossì, evidentemente una cosa che le accadeva spesso.
“Non
so… non credo che abbia orari molto regolari. A volte trascorre in casa tutto
il pomeriggio, spesso lo vedo uscire la sera e poi tornare alle prime luci
dell’alba, quando esco per lavorare.”
“Sentite,
Marie, ho bisogno di un grande favore. Dovete dirgli che…” a questo punto fu
lui ad arrossire “Beh… no, gli scriverò un biglietto. Potrete farglielo
avere? E’ una cosa importante” le chiese, abbassando lo sguardo.
“Lo
farò molto volentieri, signore. Dovrei comunque vederlo, stasera o domani sera.
Sapete, è lui che mi ha insegnato a leggere e a scrivere e ora, ogni tanto, mi
presta dei libri e quando li ho terminati discutiamo le mie opinioni…”
sorrise raccontandolo.
André
si stupì. Dalle parole di Marie, St Just sembrava una persona molto diversa da
quella che aveva conosciuto lui. Sembrava una persona buona… generosa: perché
non era stato così anche con lui? Di cosa aveva voluto punirlo?
“Oh…
signore… eccolo! Sta tornando proprio ora: potrete parlargli direttamente!”
André
si voltò di scatto. St Just era a pochi metri da lui, come sbucato dal nulla.
“Buonasera
Marie, come stai? André… non mi aspettavo di vederti, stasera” disse quando
li raggiunse, un sorriso dolce a Marie, uno sguardo preoccupato ad André.
“Io
devo tornare a casa… ci vedremo, più tardi?” chiese la ragazza.
“André,
rimani qui stanotte?” Gli si rivolse St Just.
“No,
no! Devo tornare a Versailles…” Oddio, come poteva metterlo in una
situazione tanto imbarazzante?
“Allora,
Marie, possiamo vederci tra un paio d’ore, appena dopo cena. Va bene?”
Gli
occhi di lei si illuminarono.
“Certo!
Allora verrò più tardi… Buonasera signore. Buonasera…” e scappò via,
volando più che camminando.
St Just voltò le spalle ad André e salì i gradini che portavano al suo portone. Entrarono tutti e due in silenzio.
St Just buttò il proprio mantello su una sedia, poi appoggiò la schiena al davanzale della finestra, aspettando che André cominciasse a parlare.
Aveva capito sin dal primo istante che lo aveva visto…. no, non dal primo. Il primo istante gli aveva portato solo un inaspettato tuffo al cuore, qualcosa di molto simile ad una illusione… ma già il secondo sguardo gli aveva fatto capire che non avrebbe ricevuto notizie positive.
“Devo partire per servizio. Starò lontano da Parigi per
dieci giorni” disse André tutto di un fiato.
Aveva deciso che la cosa migliore era arrivare
immediatamente al nocciolo della questione.
“Mi sembra che avessimo un patto…” replicò St Just
senza guardarlo, ma portando gli occhi sulla cenere che riempiva il camino
spento.
“Lo so, per questo sono venuto ad avvertirti. Sai che ho
sempre rispettato i patti, credo di avertelo dimostrato… questa è una
questione di servizio.”
“Servizio?! Già, tu sei un servo dei nobili!” replicò
l’altro, sprezzante.
“Non mi interessa quello che pensi. Ti ho detto ciò che
dovevo” rispose André, la voce affilata come una lama.
“Già, non ti interessa. Sei troppo preso dal degradarti
facendo da valletto a quella stupida donna che gioca a fare il soldato!”
André gli si scagliò contro: lo prese per le spalle e lo
sbatté contro il muro. Sotto le mani, delicate ma forti, sentì il corpo
fragile di St Just.
“Non ti permetto di insultarla… smettila!”
St Just gli pose le mani sui polsi. La presa di André si
allentò e l’altro poté allontanargli le braccia. Rimasero così, gli occhi
di uno in quelli dell’altro, ma due sguardi completamente diversi.
“Vattene André. Vai a compiere il tuo ‘servizio’,
lotta per una causa che non è la tua. Ma fra dieci giorni ti voglio qui” gli
sussurrò con voce ferma, quasi un sibilo.
All’alba di un freddo mattino di inizio marzo, i
cancelli di Versailles si aprirono per lasciar passare il lungo corteo di
carrozze e la numerosa scorta a cavallo necessari per lo spostamento della
Famiglia reale nella residenza di Meudon.
Oscar cavalcava a fianco della vettura in cui viaggiavano
la Regina, Madame Royale, il Delfino di Francia e il piccolo Duca di Normandia.
Era un servizio che svolgeva con piacere. Aveva voglia di allontanarsi da
Parigi, di uscire dalla routine del suo lavoro, ma, soprattutto, aveva deciso di
cercare di avere un chiarimento con André. Era chiaro che lui era cambiato, ma,
nonostante questo, nei suoi occhi riusciva ancora a scorgere, talvolta, la
scintilla di un tempo. Ripensò a tanti episodi della loro vita insieme. Era mai
possibile che ora fossero così lontani?
Aveva dieci giorni. André era sempre stato un libro
aperto per lei… sarebbe riuscita a sapere cosa gli era successo!
Lui era lì, accanto a lei. Aveva un aspetto rilassato,
sembrava contento di quell’incarico. Si voltò a guardarla, ma Oscar riportò
immediatamente lo sguardo diritto davanti a sé. Anche lui la conosceva troppo
bene, lei lo sapeva, ma era ancora presto: temeva che i sentimenti che aveva
appena scoperto fossero troppo evidenti, e invece non voleva rischiare di essere
troppo precipitosa.
Quella sera, terminato il proprio turno di guardia nei
giardini del castello, André non se la sentì di andare subito a dormire.
La notte era così bella, il cielo così terso, che
sembrava un sacrilegio non fermarsi ad ammirare le stelle luminose che
spiccavano nell’aria limpida di quell’inizio di primavera. Camminando tra i
viali del parco, soffermandosi ad ascoltare gli echi dei giochi d’acqua delle
tante fontane, il cuore di André si alleggerì.
Non riusciva a pensare ad altro che alla bellezza ed alla
dolcezza della natura. Sapeva che presto non avrebbe più potuto godere appieno
di simili spettacoli. I numerosi ed insopportabili mal di testa che lo
tormentavano come delle morse inesorabili non gli lasciavano illusioni. Si
sedette su un sedile di pietra. Chiuse gli occhi. Non sarebbe passato molto
tempo e tutta la sua vita sarebbe stata solo buio. Un improvviso terrore lo portò
a riaprirli, sbarrarli, quasi a respingere, finché possibile, una simile
prospettiva.
Il vento del nord continuava a soffiare tra gli alberi,
contribuendo a mantenere il cielo sgombro dalle nuvole.
Nella luce della luna, André scorse una figura muoversi
nel roseto, a pochi metri dal suo sedile.
L’ombra si avvicinò, senza scorgerlo. André non tardò
a distinguere in quella sagoma elegante i tratti noti del suo colonnello. Oscar
fece ancora qualche passo nella sua direzione, poi si appoggiò al basamento di
una statua di Luigi XIV a cavallo. Era piccola, sotto l’ombra imponente del Re
Sole.
Lui rimase immobile, nel suo angolo: Oscar sembrava
pensierosa, triste. André sobbalzò sentendola singhiozzare. Oscar, la sua
Oscar, si era lasciata andare ad un pianto sommesso… lacerante nella sua
disperazione.
“André… André! Dove sei? Cosa
ti succede! Perché… perché… ora che io….” La sentì mormorare tra le
lacrime. I singhiozzi le impedirono di proseguire. La testa rovesciata
all’indietro, gli occhi a quel cielo limpido e freddo… ma solo lo stormire
delle foglie rispose a quelle parole.
André si sentì gli occhi bruciare. Si alzò, come per
avvicinarsi, invece rimase immobile a guardarla, poi, attento a non farsi
scorgere, sparì tra la folta vegetazione.
Il viso di Oscar era ancora rigato di lacrime quando riuscì
a raggiungere un sedile per riposarsi. Fino a poco tempo prima le sarebbe
sembrato inconcepibile questo stato di continuo tormento, oppure provare
sentimenti così forti per un uomo. L’indipendente Colonnello de Jarjayes
aveva lasciato il posto ad una persona nuova, ad una donna.
Riprese in mano il fazzoletto che aveva appoggiato sul
sedile di pietra, accanto a sé. Nel fare questo le sue dita urtarono
qualcos’altro di morbido, una stoffa diversa. Stupita prese in mano questo
oggetto, inaspettatamente dimenticato. Era un guanto. Un guanto da uomo, ma
qualcosa di indefinibile nel tessuto e qualcosa di più concreto nel bottone che
serviva per chiuderlo le provocò un tuffo al cuore.
Quante volte aveva visto la sua vecchia Nanny applicare
quei bottoni così particolari sui guanti del nipote! Quante volte aveva sentito
André rimproverarla per prendersi tanto disturbo per una simile inezia, come se
un bottone fosse diverso da un altro.
Quindi André era stato lì!
Oscar si asciugò il viso. Stette ancora un momento seduta, poi, con passo
deciso, si incamminò verso gli alloggi della guarnigione.
Nello stesso istante, a Parigi, in una buia soffitta, tre
uomini stavano discutendo un nuovo piano per modificare il destino della
Francia.
“Probabilmente in questo modo riusciremo a dare un colpo
mortale alla politica del primo ministro, smascherando quelli che sono episodi
di corruzione ingiustificabili” stava dicendo Jean Nilois.
“Tutti sanno che la Polignac ha utilizzato i favori
della Regina per arricchire tutta la sua famiglia, non credo che questo possa
scandalizzare più di tanto i cittadini. Nessuno è all’oscuro delle pratiche
della corte di Versailles. Credo che questo non basti” rispose Maximilien
Robespierre.
“Sì, è vero, però la documentazione che abbiamo
raccolto….” Insistette Jean.
“Non è sufficiente. Almeno si potesse dimostrare
qualcosa di eclatante!”
“So a cosa ti riferisci, Maximilien, parli della
confisca della farina decisa da Calonne per ‘consiglio’ del clan dei
Polignac? Questo danneggerebbe i Polignac, non la famiglia Reale!” Replicò
Jean.
“Certamente, ma chi ha reso così potenti i Polignac se
non la nostra ‘amata’ Regina? E cosa può colpire di più il popolo, in un
momento di carestia come questo, se non sapere che la Corte esaurisce le già
povere scorte del Paese per prepararsi ad una speculazione?”
“Va bene, ma cosa vuoi fare? Hai già un piano?”
“Dobbiamo riuscire ad impadronirci di una lettera
inviata da Calonne alla contessa di Polignac in cui sono racchiusi i termini
dell’accordo, e in cui si sottolinea il beneplacito del Re, grazie
all’intervento dell’Austriaca” rispose lentamente Robespierre.
“Ma come fai a sapere dell’esistenza di una lettera
simile?” chiese Jean sorpreso.
“Tutti sanno quanto sia idiota il Conte di Polignac”
intervenne per la prima volta Louis St Just. “E’ un beota e, nei momenti di
maggiore abbandono, cioè dopo un lauto pranzo innaffiato da buon vino di
Borgogna, ha il buon gusto di lasciarsi andare a confidenze sulle imprese della
moglie… E noi abbiamo i nostri agenti.”
“Ma è affidabile? E come possiamo fare ad impossessarci
della lettera… tutti sanno quanto è difficile introdursi nelle sale di
Versailles, e soprattutto in quelle della contessa” insistette Jean, piuttosto
preoccupato.
“Non ti agitare, non sarà un tuo problema” gli replicò
St Just gelidamente.
“Già, non sarà un tuo problema. Io e Louis ne abbiamo
già parlato. E’ pericoloso, è vero, ma pensiamo di farcela, non è vero
Louis?”
St Just non rispose, riempì il suo bicchiere con il vino
rosso e lo vuotò di un fiato.
“Speriamo che abbiate ragione…..” sussurrò Jean.
Jean era andato via. Robespierre e St Just erano rimasti a
terminare insieme la bottiglia di vino.
Robespierre osservava i riflessi rossi nel proprio
bicchiere contro la luce del fuoco. Ad un certo punto, senza distogliere lo
sguardo, disse: “Louis, a Jean abbiamo descritto la situazione come un po’
più semplice di quanto realmente sia” si fermò per bere un sorso del suo
vino. Poi riportò tutta la propria attenzione sull’amico: “Tu sai che non
sarà facile, anzi che ci sono ottime probabilità che….” si interruppe per
studiare quel volto impassibile. “Insomma, sai che è pericoloso, che le
stanze sono ben sorvegliate. E’ un piano quasi disperato. Certo, se dovessimo
riuscire…. Però non capisco perché vuoi rischiare tanto… della tua vita
non ti importa proprio niente?” La freddezza di St Just lo metteva a disagio,
gli impediva di esprimersi con le parole giuste, ma doveva cercare di capire,
non voleva doversi rimproverare, poi.
St Just non distolse lo sguardo dal fuoco. Sembrava quasi
non aver udito. Ma poi si scosse e disse: “Maximilien, ci conosciamo da tanto
tempo. Ho bisogno che tu comprenda perché io sono l’unica persona che può e
deve compiere una missione simile. Sono arrivato ad un punto tale che la mia
vita non vale più niente. Ho a portata di mano la felicità ma non posso
afferrarla… Non mi rimane niente: a questo punto posso permettermi di fare
cose che gli altri non osano neanche pensare, posso servire ‘la causa’”,
sorrise con malinconica ironia nel dirlo,“con una impresa che, se dovesse
riuscire, ci porterebbe diritti alla Rivoluzione.”
Robespierre rimase muto. Non era mai stato così vicino al
suo amico, non aveva mai nemmeno sospettato le sue sofferenze: “Louis, la
felicità non è mai inafferrabile. Devi aver fede.” Si stupì lui stesso nel
sentirsi parlare di fede, ma le parole gli erano uscite spontanee.
“Preferirei che mi augurassi buona fortuna” gli replicò
l’altro sorridendo.
Oscar dovette vincere la tentazione di andare da André ed
avere subito quel chiarimento che ora si trovava costretta ad affrontare. Fino
ad una mezz’ora prima, tutto dipendeva da lei, dal coraggio dei suoi
sentimenti… ma ora, ora che sapeva che André aveva udito le sue parole, un
confronto diventava inevitabile. Come far finta che non fosse successo nulla?
Ovviamente non poteva affrontarlo adesso, con tutti i
soldati nella camerata, certo era impensabile convocarlo a quell’ora nel
proprio ufficio: pur nel tumulto di quella situazione incredibile, Oscar era
sempre consapevole del proprio ruolo di Comandante della Guardia reale.
Ma come superare quella notte? Come dormire sapendo che
tutte le sue scelte le si stavano rivoltando contro, facendo crollare il bel
mondo ordinato che suo padre era riuscito a costruire per lei ed in cui lei si
era più che volentieri rifugiata?
E infatti quella fu una notte lunga. André aveva udito…
cosa significava il fatto che non si fosse avvicinato? Non l’amava! Certo, non
aveva voluto umiliarla, si era allontanato perché non poteva fare altro. I suoi
sentimenti erano per un’altra persona: altrimenti perché tutte quelle notti a
Parigi?
Ma forse il guanto lo aveva dimenticato prima, e non aveva
assistito al suo sfogo. Per qualche momento si illuse, ma poi riemerse
l’amarezza. André aveva finito il proprio turno di guardia non più di venti
minuti prima che lei andasse nel Parco. Sicuramente era lì!
E se invece si fosse allontanato vedendola arrivare, prima
che lei avesse modo di scoprirsi? Conoscendo André, era possibile… No, e non
per colpa sua. Lei era riuscita ad avere un vero tempismo da militare. Per come
era messo il sedile, doveva essere apparsa ed aver dato spettacolo praticamente
contemporaneamente…
Tornando mille e mille volte su questi ragionamenti arrivò
quasi all’alba, solo allora riuscì a farsi vincere da un sonno agitato e
privo di sogni.
La mattina successiva cominciò con una convocazione da
parte della regina Maria Antonietta. Era molto tempo che Oscar non aveva che
sporadici e brevi incontri con Sua Maestà. Proprio quel giorno, il giorno che
Oscar più voleva dedicare alla risoluzione dei propri problemi personali, si
rivelò quello in cui dovette dar prova di tutta la propria professionalità. La
Regina, felice come di rado era stata negli ultimi mesi, le comunicò di aver
deciso di mostrare ad una delle sue migliori amiche, la principessa di Lamballe,
le meraviglie di quella campagna francese, e che avrebbe desiderato che Oscar le
accompagnasse e vegliasse su di loro durante queste pellegrinazioni.
Inizialmente parlò di un’unica giornata, ma,
conquistata dall’entusiasmo della giovane principessa italiana, Maria
Antonietta allargò sempre di più l’area delle loro escursioni. Tutto questo
comportò, per il colonnello de Jarjayes, l’impossibilità di passare anche
una sola ora al giorno con i propri soldati. Il comando dovette passare al conte
Girodel, e ad Oscar non rimase altra scelta che aspettare, anche se non troppo
pazientemente, il momento di una conversazione privata con André.
André accolse la notizia dell’incarico di Oscar quasi
con un senso di sollievo. C’erano stati giorni, nemmeno troppo lontani, in cui
una separazione del genere lo avrebbe infastidito e rattristato. Ma tutto stava
cambiando. Quella che era stata la sua vita, una vita ordinata, anche se piena
di imprevisti e di sofferenze silenziose, gli stava scivolando tra le dita.
Ripensò alle parole che aveva udito nel parco: Oscar gli
voleva bene, o, perlomeno, stava cominciando a comprendere di poter provare per
lui i sentimenti di una donna, ma questo lo riempiva solo di tristezza e
malinconia. Per lunghi anni aveva sperato di udire quelle parole, fino a pochi
mesi prima queste avrebbero significato la felicità completa… Adesso erano
solo motivo di inutili rimpianti: a cosa servivano ora che qualsiasi sogno
romantico era fuori discussione, se non a far soffrire due persone invece che
una?
Una cosa che gli lasciava una leggera inquietudine, però, era il fatto che una simile rivelazione lo aveva colpito, ma non con quella intensità che si sarebbe aspettato. Perché? Non poté fare a meno di chiedersi. Forse perché alcuni comportamenti di Oscar, durante il rapimento del padre, non gli avevano fatto giungere queste parole come completamente inaspettate? Oppure la situazione che stavano vivendo era tale da non permettere neanche l’ipotesi che queste potessero bastare per dimenticare tutto il resto e costituire la romantica conclusione del sogno di una vita? Oppure c’era qualcos’altro?
In quella sua vita completamente rivoluzionata, era
arrivato il momento di capire cosa dovesse fare… troppo a lungo si era
lasciato trascinare dagli eventi. Forse era ancora tutto in gioco, forse poteva
ancora arrivare alla felicità, possibile che per lui non ci fossero che
rimpianti e sofferenze?
Non voleva guardare troppo avanti, ma provava un
sentimento di speranza di cui neanche lui riusciva a capire la causa. Quando si
fermava a pensarci, non poteva che concludere che esso fosse assolutamente
ingiustificato. Sapeva cosa lo avrebbe atteso una volta tornato a Parigi, ma il
cambiamento portato dalla primavera agli alberi spogli, morti durante l’intero
inverno, ed ora irriconoscibili sotto la profusione di nuove gemme, lo portava a
sperare che anche la propria situazione potesse non essere definitiva. Tornato a
Parigi, doveva parlare con St Just. Forse non era ancora troppo tardi per
tornare indietro: anche in quell’individuo, che tanto lo aveva umiliato, aveva
scoperto delle buone qualità, e André era convinto che quando una persona
manifestava doti di generosità ed altruismo, allora voleva dire che queste
sarebbero arrivate a prevalere sui comportamenti che invece le contrastavano.
Passò una settimana prima che Oscar potesse di nuovo
avvicinarsi ai suoi uomini. Quei giorni passati in solitudine, perché fare da
scorta alla Regina significava avere molto tempo per se stessi, le avevano
consentito di riflettere sul modo in cui affrontare l’incontro con André. Ma
nonostante questo, quando, allo scadere del settimo giorno, in una sera limpida
e luminosa, ebbe finalmente l’occasione per parlargli, tutto quello che aveva
preparato servì a poco.
André stava dando da mangiare al suo cavallo quando Oscar
rientrò dalla lunga giornata di caccia con il Re. Era stanca. Il Re si mostrava
sempre infaticabile quando si trattava di cavalcare dietro ai suoi cani. Oscar
se ne stupiva sempre. Era impensabile, vedendo il sovrano a Corte, che potesse
dimostrare tanta vitalità e resistenza. Così ora lei non si sentiva bene.
Erano stati giorni duri. Era insoddisfatta, preoccupata. Aveva voglia di un
bagno caldo, di una cioccolata di Nanny, di… ebbene sì, di un abbraccio di
André, di poter piangere sulla sua spalla, di essere consolata… E invece…
Solo una volta scesa da cavallo, si accorse della presenza
di lui. Rimase sorpresa, imbarazzata. Non era mai stata imbarazzata con André,
era sempre stato il suo confidente, il suo migliore amico, e invece si sentì
avvampare, come una ‘donna’ qualsiasi. Probabilmente, se lui non avesse
cominciato a parlare, lei se ne sarebbe andata senza dire niente.
“Ciao Oscar, hai un’aria distrutta. Come è andata la
caccia?” le chiese lui, con lo stesso tono che avrebbe usato con un semplice
conoscente.
Ad Oscar venne da piangere. La tensione accumulata in
tutti quei giorni si fece sentire proprio nel momento in cui, invece, aveva
bisogno di raccogliere tutte le proprie forze.
Le lacrime le scivolavano lungo il viso senza che lei
riuscisse a fare nulla per fermarle. André le si avvicinò, e, senza dirle
niente, la abbracciò. Oscar si ritrovò con il viso affondato nel suo mantello.
Pian piano riuscì a recuperare il controllo, ma, nonostante questo, non si
allontanò: finalmente era approdata in un porto sicuro, dopo tanti giorni in
cui si era sentita sola, dimenticata. Fu lui, però, a staccarsi. La guardò in
viso sorridendole, le passò il fazzoletto sulle guance, poi la guidò nel
parco, a quella stessa panchina che li aveva ospitati entrambi qualche sera
prima.
Stettero per alcuni minuti in silenzio. Era una bella
serata, Meudon li aveva accolti con un tempo sereno, stabile, che faceva
dimenticare i pochi giorni trascorsi dalle ultime spruzzate di neve.
Il grande parco sembrava un posto incantato, le fronde
degli alberi urtavano fra loro nel leggero vento primaverile mentre un delicato
profumo di magnolie e mimose riempiva l’aria di dolci promesse.
Seduti l'uno accanto all’altra, Oscar ed André
tentavano di riportare la stessa serenità che sentivano in quella natura,
all’interno delle proprie anime.
Per Oscar il dado era ormai tratto. Non poteva aspettare:
ancora pochi giorni, e sarebbero stati di nuovo a Parigi… Già, a Parigi! Che
sensazioni le portava il solo pensarci… quanto aveva sofferto negli ultimi
giorni passati a Versailles… non voleva vivere altri di quei momenti.
“André”, mormorò, cercando di nascondere il tremolio
della sua voce, “la prima sera che siamo arrivati qui, sei venuto a fare una
passeggiata nel parco, vero?”
André la guardò sorpreso, ma non rispose.
“Sai, anche io ero qui. Ero stanca, avevo bisogno di
pensare, di riflettere… André, non mi dici niente?”
Ancora silenzio.
“Va bene… non vuoi facilitarmi le cose. Ma non ha
importanza…” Le lacrime ripresero a sgorgare copiose, ma la voce assunse un
tono sempre più chiaro, sicuro. “Io so benissimo che tu hai udito le mie
parole di quella sera… André, io ho bisogno di te! Ne ho sempre avuto, ma
solo ora ho capito che i miei sentimenti per te vanno ben oltre la semplice
amicizia…”
“Oscar, io non…”
“Lasciami finire. Io so che in questi ultimi mesi ti è
successo qualcosa… Qualcosa che ha rivoluzionato la tua vita. Ti conosco
troppo bene, non puoi pensare che sia cieca di fronte ai tuoi cambiamenti. Non
voglio forzarti a nulla…” - qui la voce la tradì - “se c’è qualche
altra persona, io sono pronta ad augurarti ogni felicità…” fece un momento
di pausa. “Però, se c’è qualche problema che possiamo affrontare insieme,
ti prego… non mi escludere dalla tua vita!”
La situazione di André non era semplice. Vedere Oscar
soffrire, arrivare a pronunciare queste parole disperate, gli provocava un
dolore fortissimo, e a stento riusciva a resistere dall’aprirsi completamente,
dallo sfogare, con l’unica persona che avrebbe voluto che lo comprendesse,
tutti i tormenti che aveva vissuto da quella sventurata prima notte parigina. Ma
non poteva! Oscar non avrebbe sopportato, e forse… sì, forse non avrebbe
capito. Queste cose erano fuori dalla portata di una persona come lei, doveva
cercare di uscire da solo da quella situazione. Solo dopo, forse, avrebbe potuto
affrontarla, cercare di spiegarle…
“Oscar, è difficile per me dirti questo. E’ vero, ero
qui quella notte, ho sentito le tue parole… ma, Oscar, sono cambiate molte
cose che avrei considerato inalterabili, in questi ultimi mesi. Ho conosciuto
una persona… da allora, la mia vita è…”
“Ho capito, André, ho capito…” mormorò lei, un
sussurro spento, opaco.
André arrossì. Nel pronunciare quelle parole, sapeva
come Oscar le avrebbe interpretate, aveva giocato su quel fraintendimento, e
questo lo faceva vergognare.
Rimasero in silenzio. Il vento leggero si era rinforzato,
e le giovani foglie, appena spuntate e subito strappate, turbinavano intorno a
loro, quasi protestando per non poter giungere alla piena maturità.
“Vieni, torniamo al palazzo, si è fatto tardi.”
André alzò lo sguardo. Oscar aveva pronunciato quelle
parole sorridendogli dolcemente.
Le strinse una mano tra le proprie, lo sguardo che si
scambiarono fu più significativo di molte parole, era lo sguardo di due persone
che, nel momento di maggiore difficoltà della loro amicizia, si riscoprivano più
vicine che mai.
Due giorni dopo, il lungo convoglio riprese la via di Versailles.
Continua...
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