A Strange Story
parte IV
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La mattina seguente, André si svegliò molto presto.
Sentiva la fatica di un sonno agitato, sentiva un mal di testa che gli impediva
di pensare. Cercò di girarsi su un fianco, ma un peso sul petto gli ostacolava
ogni movimento.
Improvvisamente tutto quello che era successo il giorno
prima gli comparve davanti, nitido nella sua atroce crudezza. Lentamente abbassò
gli occhi: sulla sua spalla era appoggiata la testa bionda di St Just, mentre il
braccio di questi gli cingeva il torace.
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Sentì una inopportuna commozione: quell’abbraccio
fiducioso, quel viso disteso sembravano quelli di un bambino che abbia trovato
un porto sicuro. Quasi gli dispiaceva dover rompere quell’armonia…
Sono proprio uno stupido, pensò subito dopo, quest’uomo
ha ottenuto da me, con il ricatto, quello che il mio onore non avrebbe mai
potuto permettere… il suo volto d’angelo contrasta con il suo cuore nero
come l’inferno. Mi ha costretto ad andare contro la mia natura, approfittando
del mio amore per Oscar… non ha avuto la minima pietà di me!
Con un gesto brusco allontanò da sé la figura
addormentata e si avvicinò alla finestra. Ancora una volta i tetti di Parigi
coperti di neve facevano da sfondo alla sua disperazione, ancora una volta il
freddo intenso caratterizzò il suo risveglio negli inferi.
Si infilò la camicia, lasciandola aperta sul petto, e si
avvicinò al catino per lavarsi, quando, nello specchio appeso alla parete di
fronte, vide riflessa la sua immagine: diversi segni rossi gli macchiavano il
collo e il petto, mentre dei graffi si allungavano sulle spalle. Impallidì.
Queste erano le tracce visibili di quella notte che non avrebbe mai più potuto
considerare come un brutto sogno. Sulla sua pelle chiara, questi segni erano la
marchiatura a fuoco del suo disonore.
Si chiuse la camicia fino all’ultimo bottone, sperando
che almeno le persone a lui care non dovessero scoprire in quel modo quale
prezzo aveva accettato di pagare per la loro felicità.
“Te ne vai di già?” Disse la voce ancora mezzo
addormentata di St Just.
André non rispose. Si infilò il mantello scuro e si avviò
verso la porta. St Just si era alzato in piedi. André, per uscire, dovette
passargli accanto.
L’altro, al suo passaggio, gli afferrò la mano, che lui
subito chiuse in un pugno. A questo punto anche gli occhi di St Just si
indurirono:
“André, è inutile che ti ricordi il nostro
appuntamento tra una settimana, vero?”
André divincolò la mano ed uscì, sbattendosi la porta
dietro le spalle.
Era inutile che glielo ricordasse.
Arrivando a palazzo Jarjayes, André entrò dalla porta
posteriore, in modo da non farsi vedere dalla nonna o da Oscar e, quindi, non
dover dare spiegazioni.
Riuscì ad entrare nella sua stanza indisturbato. Non aprì
le imposte, ma si gettò vestito sul letto.
Sarebbe riuscito a sopravvivere a quella situazione? Non
era stato precipitoso quando aveva considerato quella l’unica via per liberare
il generale? Poi rivide il viso di Oscar… i suoi occhi quando aveva capito che
il padre sarebbe presto tornato a casa.
Girò il volto, affondandolo nel cuscino. Aveva bisogno di
stordirsi, di non pensare… non voleva più sentire tutte quelle parole nella
sua mente, temeva di diventare pazzo.
Presto avrebbe dovuto incontrare Oscar… era incredibile
che proprio ora che lei si stava avvicinando, che si dimostrava più dolce, lui
fosse così indegno del suo affetto.
Sentì bussare piano alla sua porta. Non aveva voglia di
vedere nessuno, di parlare con nessuno… ma doveva essere la nonna. Se lui non
avesse risposto lo avrebbe trovato strano, si sarebbe preoccupata e ne avrebbe
parlato con Oscar…
“Avanti” disse malvolentieri.
“Scusami André, se ti disturbo così presto” era
Oscar, che si faceva avanti timidamente.
“Oscar…. nessun disturbo! Entra…” disse André,
preso alla sprovvista.
Fece per alzarsi, ma lei lo fermò.
“Non alzarti André. Volevo parlarti, ti ruberò pochi
istanti”.
Si avvicinò e si sedette sul letto accanto a lui.
"André, io devo ringraziarti.... no, non
interrompermi" disse dolcemente, appoggiandogli l'indice sulle labbra, un
gesto non abituale per lei, che la fece arrossire subito dopo, "non so come
tu ci sia riuscito... ma hai fatto per me una cosa importantissima..."
"Oscar... io non... " la interruppe.
"André, non mentire. Ti conosco troppo bene. So che
è stato merito tuo." Gli prese una mano tra le sue. "Ti sono
debitrice e mai cosa mi sarà più gradita di ricambiare, se mai potrò, il
servizio che mi hai reso ieri".
André
si rese conto che niente sarebbe stato più facile di abbracciarla, in quel
momento. E poi lasciare andare quelle lacrime che gli chiedevano di uscire da
due giorni, affondando il viso nella sua spalla. Ma il timore di non riuscire a
nascondere i motivi del suo tormento lo frenò.
Le
strinse una mano e le sorrise:
"Anch'io
sono felice che tuo padre sia tornato sano e salvo, Oscar".
Oscar abbassò gli occhi. In quel momento sentiva il desiderio inaspettato di un abbraccio di André. Tanta era stata la tensione di quegli ultimi giorni, che le sembrava necessario potersi abbandonare con la testa Sulla spalla della persona che le era stata più vicina, come sempre, e a cui doveva la felicità delle ultime ore. Ma André non fece un gesto per avvicinarla a sé. Per quanto la sua voce gentile fosse quella di sempre, Oscar sentì di essere stata respinta, forse nella prima volta in cui aveva cercato di portare il rapporto con André oltre i canoni abituali dell'amicizia fraterna.
In realtà lei non realizzava ancora la propria maggiore apertura verso André, il passaggio ad un altro tipo di rapporto, ma sentiva comunque che l'atteggiamento di lui non corrispondeva al proprio e ci rimase male. Non fece niente per manifestare la sua delusione, ma qualcosa le offuscava la vista e, quindi, cercò di andarsene il prima possibile.
André non la trattenne, così come non trattenne due grosse lacrime che si impigliarono tra le sue ciglia mentre guardava, senza vederlo, il giardino di rose di Palazzo Jarjayes oltre il vetro della finestra.
Un
giorno dopo l'altro trascorse l'intera settimana. André osservava con sgomento
ogni tramonto del sole.
Ormai
stava diventando l'ombra di se stesso, dimagrito, distratto, assente.
Sotto gli occhi attenti di Oscar, egli subiva una trasformazione di cui neanche si rendeva conto. La sua vita gli appariva ormai un lungo travaglio in fondo al quale non scorgeva una luce. Le lunghe serate invernali erano occupate dalla ricerca di un oblio senza pensieri, nello stordimento dell'alcool.
Oscar lo osservava. Non riusciva a registrare proprio tutte le manifestazioni della disperazione di André, ma il cambiamento del suo stato le era evidente.
Lui, però, non parlava e lei non riusciva a capire come poterglisi avvicinare. Si sentiva tenuta a distanza, respinta da quello che era sempre stato il suo migliore amico.
La perdita delle attenzioni di André la colse impreparata. Era così abituata a contare non solo sui suoi servizi come attendente, ma soprattutto sulla sua amicizia, la sua comprensione, la sua guida silenziosa, il suo affetto.... che trovarsene improvvisamente priva la lasciò inizialmente disorientata. Passato questo primo momento egoistico, Oscar non tardò a capire che qualcosa di veramente grave stava tormentando il suo amico, qualcosa di cui lui non voleva metterla a parte, qualcosa che costituiva il primo spazio oscuro nel loro rapporto.
Una sera Oscar si accorse che André si stava avviando da solo, senza neanche avvertirla, verso le stalle, per poi uscire a gran velocità sul suo cavallo nero.
Attraverso i vetri della biblioteca, appannati dal contrasto tra il calore interno e la temperatura esterna, Oscar riuscì a scorgere sul suo viso una espressione che la spaventò. Non riusciva a capire cosa fosse, ma vedeva degli occhi febbricitanti e vacui allo stesso tempo, non i brillanti occhi verdi di André, che avevano sempre avuto la capacità di esprimere tutta la gioia di vivere che lo contraddistingueva.
Qualcosa le si fermò nel petto: André, il suo unico amico, ardeva di una emozione a lei sconosciuta, da cui lei era esclusa.
Lo aspettò in piedi. le ore passarono. Sempre più stancamente aggiungeva legna nel camino per cercare di alimentare un pallido fuoco che nel suo immaginario rappresentava la speranza di ritrovare André come era prima, allegro, ironico, sensato, e non più quel pallido fantasma di se stesso che la teneva lontana dalla propria vita.
Alle
quattro del mattino solo una morbida cenere bianca riempiva il focolare. Oscar
si alzò, fisicamente indolenzita, spiritualmente distrutta. André non era
tornato. Ricacciò indietro le lacrime. Per la prima volta nella sua vita sentì
nascere in sé una forza inaspettata, che la risollevò e la ritemprò proprio
nel momento di più acuta disperazione. André era importante per lei, anzi....
era tutto. Avrebbe combattuto contro chiunque per riaverlo indietro, anche
contro André stesso.
“La
vicina di casa mi ha preparato qualcosa per cena. Avrai fame, immagino”, gli
disse St Just, mentre lui, appena entrato, rimaneva in piedi vicino alla porta.
Sembrava indeciso sul tentare una fuga disperata e restava lì, irrigidito, con
il mantello bagnato di pioggia ancora addosso.
“Togliti
il cappotto. Sei tutto bagnato”, continuò l’altro, continuando ad
apparecchiare sul tavolo spostato davanti al camino.
André
si avvicinò. Il mantello gocciolava sul pavimento, i capelli grondanti gli
gelavano il viso. St Just gli porse un asciugamano…. ancora una volta, dovette
reprimere la propria ammirazione: anche nelle azioni più ordinarie, André
manifestava una sensualità inimmaginabile.
Si
sedettero al tavolo. André molto sulla difensiva, mentre St Just ogni tanto
faceva dei commenti sulle notizie che leggeva dal giornale, sicuramente
clandestino, che teneva appoggiato accanto a sé.
André
soffriva la tensione di quei momenti. Non riusciva a capire il perché di quella
pantomima. Il loro patto era chiaro, perché nascondere dietro una apparenza di
normalità quello che era un rapporto tutt’altro che normale?
Finita
la cena, a cui aveva partecipato come semplice spettatore, la sua tensione
aumentò. Sapeva cosa sarebbe successo. Sapeva che nulla avrebbe potuto impedire
il consumarsi di quell’insopportabile rito.
“Hai
ancora freddo?” Gli chiese St Just, cercando di mantenere un tono normale.
André
si voltò a guardarlo, gli occhi che gli bruciavano tanta era la voglia di
piangere, occhi che trafiggevano, tanta era la sofferenza che vi si leggeva.
St
Just gli sorrise, un sorriso dolce, malinconico.
“Dormi
sul divano. E’ più vicino al fuoco, riuscirai a scaldarti”.
André
pensò di non aver capito, ma l’altro si era già diretto verso il letto,
spogliandosi prima di infilarsi rapidamente sotto le coperte.
“Spengi
la candela, quando avrai fatto. Buonanotte” continuò quella stessa voce, una
voce nuova, ben diversa da quella che André aveva imparato a conoscere.
André
non rispose, rimase fermo, inebetito, ma leggero, come se dal suo cuore fosse
stato rimosso un macigno.
Era
stato difficile fare quello che aveva fatto. Sapere che André era lì, così
vicino, che non avrebbe potuto impedire i suoi baci, lo faceva stare male. Ma
quegli occhi, quegli occhi così tristi… non aveva potuto resistere! Voleva
averlo, voleva averlo tutto per sé, voleva che lui lo invocasse per nome come
quella prima notte aveva invocato quella stupida donna…
Si
girò nel letto, sperando di trovare una posizione più comoda. Sapeva che,
comunque, avrebbe dormito poco. Doveva trattenersi dal desiderio di venire meno
a tutte le proprie buone intenzioni. Doveva pensare a qualcos’altro, non a
quegli occhi che lo avevano colpito sin dal primo istante, non al suo corpo
scolpito come quello di una statua classica…
Si
girò sull’altro fianco. La neve copriva ancora Parigi, ma a lui sembrava che
in quella stanza ci fosse un caldo soffocante.
Chissà
se André stava dormendo? Probabilmente sì. Aveva un’aria stanca. Chissà
come trascorreva il resto della giornata… sempre insieme a quella Oscar!
Possibile
che non riuscisse proprio ad addormentarsi? Grazie agli ultimi bagliori del
fuoco nel camino, cercò di individuare la figura sul divano. Il tavolo gli
impediva la visuale. Proprio tutto contribuiva ad ostacolare i suoi intenti!
Si
rigirò ancora una volta e probabilmente non sarebbe stata l’ultima.
Quando
André si svegliò, il sole era già alto nel cielo. Tiratosi a sedere sul
divano, si accorse con sollievo di essere solo nella grande stanza. Chissà dove
era andato St Just!
Avvolgendosi
in una coperta, si avvicinò alla finestra. Era una bella giornata di fine
inverno. La neve cominciava a sciogliersi. Dai tetti delle case scivolava, ormai
acquosa, sulla strada.
Presto
Parigi si sarebbe riempita di rondini, presto le rose sarebbero tornate a
sbocciare, anche le rose bianche.
Si
avvicinò al catino e cominciò a lavarsi. I segni sul suo corpo si erano
attenuati, così come le occhiaie che contornavano i suoi occhi.
Si
era appena finito di vestire quando sentì bussare alla porta.
Non
sapeva se andare ad aprire oppure far finta di nulla. Non poteva essere St Just,
sarebbe entrato da solo.
Afferrò
con decisione la maniglia.
“Oh…
scusatemi! Cercavo il signor St Just… non c’è?” André si trovò di
fronte una giovane donna dall’aria imbarazzata. Non doveva avere più di
diciassette anni: aveva la carnagione chiara e capelli biondi, raccolti in due
trecce appuntate sulla nuca. Una bella ragazza dall’aria gentile e timida.
“Mi
dispiace. E’ uscito molto presto. Non so dove sia andato” le rispose,
sorridendole.
“Oh…”
mormorò lei. “Vedete… io gli avevo portato questo….” E sollevò un
cesto pieno di frutta e fiori. “Volevo darglielo e ringraziarlo… potreste
farlo voi per me? Lui è stato così gentile con noi…” e sorrise, mentre sul
suo viso si diffondeva un leggero rossore.
“Gli
lascerò un biglietto, non preoccupatevi” disse lui, sempre sorridendole.
“Mi potete dire il vostro nome?”
“Io…
io sono Marie… Marie Darras… abito nella casa di fronte… il signor St Just
ci ha aiutato tanto, sia me che la nonna, quando non avevamo soldi e lei aveva
bisogno di medicine… è un giovane davvero straordinario. Ora io lavoro presso
una famiglia… volevo ringraziarlo… me lo impedisce sempre!” Disse, quasi
in un sussurro, lo sguardo che le si illuminava, il rossore sempre più intenso.
“Lo
ama” non poté fare a meno di pensare André e questo lo fece diventare
triste.
Perché tutto doveva andare a rovescio sotto il cielo di Parigi?
Continua...
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