A Strange Story
parte X
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Ad
Oscar bruciavano ancora gli occhi, mentre spingeva il cavallo al galoppo sulla
via di Versailles. Quel pomeriggio aveva udienza dalla Regina per parlare del
processo.
Sapeva
che una volta al cospetto della sovrana sarebbe ridiventata il comandante della
Guardia reale, che quel momento di debolezza sarebbe rimasto nascosto a tutti,
ma intanto le lacrime le offuscavano lo sguardo.
“Colonnello
Jarjayes, per me è sempre un immenso piacere incontrarvi…”
La
regina Maria Antonietta era sempre dolce e bellissima. Oscar ancora una volta
maledisse quel destino che sembrava accanirsi per far cadere nelle trappole più
astute quella donna tanto buona quanto ingenua.
Cominciò
a raccontare cosa era successo quella mattina.
“Oscar…
so che c’era molta gente ad assistere…” la interruppe la Regina.
“Sì,
maestà.”
Lo
sguardo della sovrana si offuscò per un attimo.
“Oscar,
non temete, so già cosa si dice di me. Io… io vorrei tanto essere amata dal
mio popolo… ma sembra che ogni mio tentativo di avvicinarmi alla gente venga
frainteso… distorto…”
Era
uno spettacolo che le faceva sempre stringere il cuore vedere tristezza e
sconforto nello sguardo della Regina, ma non riusciva a trovare parole di
conforto… poteva solo rimanerle accanto, come aveva sempre fatto.
“Comandante…”
Maria Antonietta cercava di riconquistare il proprio contegno “Aiutatemi!
Suggeritemi.. cosa fareste voi al mio posto? Cosa… ‘cosa’ è giusto?! ”
“Maestà…”
cominciò il comandante della Guardia reale….
Il
giorno successivo la folla accorse ancora più numerosa. La previsione di Oscar
era stata corretta: era come se quel processo costituisse il simbolo di tutte le
prepotenze della nobiltà. Quella che ancora non era conosciuta come ‘lotta di
classe’ stava gettando le proprie basi.
L’accusa
chiamò il capitano de Poisson, l’uomo conosciuto dal popolo per essere il
braccio armato della famiglia Polignac.
Louis
Saint Just lo osservò entrare mantenendo la propria aria imperturbabile. Lassù,
esposto agli occhi di tutti, rimaneva silenzioso e indifeso, incurante e allo
stesso tempo teso.
Sapeva
che André era lì, dietro di lui. Lo aveva visto entrando, ma aveva sentito,
‘percepito’, la sua presenza ancora prima di varcare l’ingresso
dell’aula.
Il
capitano si avvicinò al banco dei testimoni con il solito incedere arrogante.
Un sorrisetto beffardo gli comparve sul volto mentre lanciava una lunga occhiata
alla gente assiepata nei banchi del pubblico. Voleva mostrare, evidenziare,
tutto il proprio disprezzo, il compatimento e la scarsa considerazione per
quella gente che sembrava non voler accettare coloro che detenevano il vero
potere a Versailles, e tutti lo capirono. Era una sfida aperta, dichiarata, e la
folla rispose con la stessa schiettezza, rivolgendogli un interminabile brusio
di disapprovazione.
Saint
Just dentro di sé scosse la testa: un’occasione sprecata! Quel pubblico
avrebbe potuto scuotere il capitano Poisson solo deridendolo. Il ridicolo era
l’unica cosa che quell’uomo temesse… ma come poteva della gente così
semplice capire certe sfumature della psicologia umana?
L’accusa
cominciò il proprio interrogatorio. Il Capitano rispondeva con tranquillità,
con sicurezza. Tutto sembrava filare liscio. Poisson aveva visto un’ombra
uscire dalle finestre degli appartamenti della contessa, aveva seguito l’uomo
in fuga, era riuscito a ferirlo ma poi questi era riuscito a dileguarsi tra i
vicoli di Parigi.
In
seguito a numerose missioni il prigioniero era poi stato trovato nella casa di
una complice mentre nella sua casa erano stati ritrovati i gioielli.
Sorrise
nel concludere il proprio racconto. Quell’uomo aveva rubato, avrebbe potuto
fare molto di peggio… chissà cosa aveva in mente…. E se loro non lo
avessero fermato in tempo? Magari gli avevano impedito di… di uccidere qualche
membro della famiglia reale!!!!
Questa
volta il brusio gli fu meno ostile: l’idea dei giovani reali con le gole
sgozzate aveva raffreddato anche gli animi più bollenti.
“E’
finita…” disse Bernard. Lanciò un’occhiata ad André. Il giovane rimaneva
immobile, lo sguardo pieno di rabbia e contemporaneamente di pena...
“La
folla è volubile, è facile impressionarla quando si sanno dire le cose giuste
al momento giusto…”
Toccava
a Robespierre. L’astuto avvocato si trovava in una situazione delicata: doveva
smontare le accuse, far capire che Saint Just era accusato di un furto che non
aveva commesso e che nascondeva misfatti altrui di ben altra portata. Doveva
riuscire a giocare bene le proprie carte.
“Capitano,
vi rivolgo i miei complimenti per la precisione con cui avete ricostruito i
fatti…”
De
Poisson rispose con un leggero inchino della testa.
“Però
vorrei ripercorrere ancora una volta con voi l’intera vicenda… cominciando
dalla famosa sera del furto.”
Il
capitano assunse un’aria annoiata.
“Vedete,
noi ieri abbiamo parlato con il gioielliere di corte, una persona molto onesta e
capace… Purtroppo non siamo riusciti a capire come mai rubare questi preziosi
gioielli senza rivenderli…”
“Avvocato,
non è solo la mia parola, tutti conoscevano quei gioielli e sapevano che erano
doni della nostra augusta regina…” gli rispose il capitano, sorridendo
ironicamente.
“Esattamente:
‘tutti’ lo sapevano! Mi sembra strano che qualcuno tenti di rubare gioielli
così noti, difficili, addirittura ‘impossibili’ da vendere… anche a
distanza di tempo!”
L’altro
si strinse nella spalle, come a significare che non era affar suo scavare nei
meandri della psiche umana.
“Inoltre
il signor Saint Just non ha precedenti per furto… questo non significa molto,
direte voi… ad un certo punto si dovrà pur cominciare… però è molto
conosciuto alle autorità reali per ‘attività sovversive’, così credo che
si chiamino… lo sapevate?”
Il
capitano continuò a fissarlo imperturbabile.
“Voi
ci avete dispensato molte verità oggi, capitano. Ci avete fatto capire che
potevano essere molti i motivi che potevano aver spinto l’ancora a tutti noi
ignoto ‘Ladro di Versailles’ all’interno della reggia… un furto, un
drammatico omicidio, sfidando innumerevoli guardie reali abili e pronte, o forse
un più probabile ed avventato… incontro galante! Non credete?”
Dalla
folla si alzò un mormorio divertito.
Poisson
si mosse sulla sedia. Questo interrogatorio stava cominciando ad infastidirlo.
“Oppure
avrebbe potuto agire per conto di una ‘Autorità’ importante quanto non
riconosciuta…” e con un gesto plateale Robespierre indicò la folla che si
accalcava dietro di loro. “Cosa c’è di più facile che un sovversivo
cercasse le carte” e l’avvocato si avvicinò al proprio tavolo prendendo in
mano un fascio di fogli “le… prove… di qualche trama ai danni del
Popolo…” e qui il mormorio aumentò di tono “e ai danni della Famiglia
Reale!”
Il
capitano arrossì. Sapeva che le carte erano compromettenti anche per la regina,
ma non sapeva esattamente su cosa avessero potuto mettere le mani quegli
straccioni… Jolande agiva su vari fronti… se ci fosse stato qualcosa che
avrebbe potuto condannarli senza coinvolgere la famiglia reale? Impallidì.
Poisson
sapeva che all’80% quel rozzo avvocato di provincia stava bluffando, che stava
cercando di ritorcere il gioco stesso dei Polignac, ergendosi a insolito
paladino dei Borboni… ma quelle carte che stringeva nelle mani e da cui non
riusciva a staccare gli occhi… e se quelle carte avessero avuto il potere di
far crollare l’influenza della contessa? Doveva riuscire a trovare una
soluzione!
Il
giudice richiamò il pubblico all’ordine, tutti gli occhi erano ora
sull’arrogante capitano.
“Io
so solo che sono scomparsi i gioielli, e che in quell’ora e in quel posto
abbiamo scoperto il signor Louis Saint Just.”
Robespierre
sorrise tra sé e sé: lo aveva in pugno!
“Ma
è proprio sicuro che si trattasse proprio dell’imputato? Era buio… e poi i
gioielli possono essere stati nascosti nella casa dell’imputato da qualcun
altro…” il sorriso gli illuminò il viso di una ferocia inaspettata, mentre
camminava davanti al testimone con i fogli stretti in mano.
“Forse…”
ma il capitano non ebbe il tempo di concludere. Un messo reale aveva fatto il
proprio ingresso nell’aula, avvicinandosi al giudice.
Ancora
una volta la folla fece sentire la propria voce. Proprio nel momento in cui le
cose si stavano mettendo male per l’odiato clan dei Polignac doveva giungere
un’interruzione!
Il
giudice di nuovo cercò di riportare il silenzio, poi cominciò a leggere il
messaggio che gli era stato recapitato.
Tutti
quanti, Oscar, André, Bernard, Robespierre, Poisson, osservavano attentamente
la reazione del giudice. L’unico ancora impassibile era colui intorno al quale
e per il quale si stava combattendo.
Come
tutti, Saint Just sapeva che l’esito di quel processo, almeno per quanto lo
riguardava, non sarebbe dipeso dalla discussione in aula ma dalle scelte di
Versailles, e sapeva bene di non potersi aspettare molto. Aveva accettato la
difesa di Robespierre perché gliela aveva imposta André e perché voleva che
questo martirio pubblico potesse avere l’effetto di sensibilizzare le masse
all’affermazione dei propri diritti.
Non
osservò il giudice, anzi… lo infastidiva che si fosse aggiunto questo nuovo
atto a quella già lunga tragicommedia. Non si accorse quindi dello sconcerto
che si dipinse sul viso del duro magistrato, della ferocia dello sguardo di
Poisson e della curiosità di Robespierre. A risvegliarlo dai propri pensieri
non furono neanche il colpo del martelletto e la voce del messo che dava inizio
alla lettura del messaggio del re… fu lo stupore delle reazioni…
Poche
parole, solo poche parole e poi il boato della gente, seguito dall’abbraccio
di Robespierre e dalla liberazione dei sui polsi dalle pesanti catene… era
libero… il processo veniva interrotto per un errore di persona nella
incriminazione.
Era
passato molto tempo da quel famoso processo. C’era molta gente che ancora lo
citava come uno degli eventi che avevano fatto cementare la gente del popolo, e
forse, ironicamente, come una delle ultime cose che erano riuscite a
riavvicinare il popolo alla famiglia reale.
Oscar
mise il cavallo al passo e chiuse gli occhi, ripensando a cosa era successo in
quei giorni ormai lontani…
Rivedeva
ancora vividamente la scena che era seguita alla liberazione di Saint Just…
l’unica scena per cui lei aveva seguito l’ultima udienza del processo: André
inizialmente era rimasto immobile. Sembrava che il frastuono di tutte le altre
persone non avesse il potere di scuoterlo, ma poi si era alzato. In mezzo a
tutta quella folla André e Saint Just sembravano soli. Era come se tutti gli
altri non fossero che comparse di cartone… dalla propria postazione Oscar
poteva osservare come i due procedessero direttamente uno verso l’altro,
incuranti di quello che accadeva loro intorno. Si fermarono a pochi centimetri
di distanza. Il viso di Saint Just era tirato e stanco, ma un sorriso che Oscar
non poteva immaginare che possedesse cominciò a disegnarsi sul suo volto. Si
fissarono, occhi negli occhi, per qualche istante, poi Saint Just buttò le
braccia al collo di André, affondando la testa nella sua spalla.
Oscar
si voltò e andò via: aveva visto abbastanza… aveva visto quello che
voleva…
Nel
ripensarci dopo tanto tempo sorrise: aveva sofferto tanto in quel periodo, come
mai prima, eppure mai aveva agito con maggior decisione per aiutare una persona!
Nei
giorni successivi vide poco André, ma circa una settimana dopo fu lui a
chiederle un incontro: aveva bisogno di parlarle.
Oscar
sapeva di non potersi attendere nulla di buono, ma accettò di vederlo a palazzo
Jarjayes, quella casa dove per tanto tempo avevano vissuto insieme.
André
era entrato timidamente… rivedere quelle stanze dopo quanto si erano detti
l’ultima volta era estremamente doloroso. Poi aveva visto Oscar seduta di
fronte al pianoforte, un bicchiere di vino poggiato sul tavolino accanto. Si era
fermato, appoggiandosi allo stipite della porta: gli sembrava di aver compiuto
un viaggio indietro nel tempo… Ma Oscar lo aveva sentito entrare e si era
fermata, girandosi appena in tempo per poter cogliere il suo sorriso triste.
“Ciao Oscar.”
“André…”
Si
sedettero davanti a una bottiglia di cognac. Ormai erano quasi estranei…
avevano difficoltà a parlare come se non avessero condiviso un’intera vita…
ma dovevano dirsi cose importanti, e il tempo era poco.
Ad
Oscar spuntò una lacrima al ricordo del dolore che aveva provato.
“Oscar,
domani lascerò Parigi…”
Uno scricchiolio… il bicchiere che teneva troppo stretto andò in frantumi ferendole le dita.
“Andremo
in Bretagna…”
Andremo…
andremo… andremo… andremo… Non udì altro, del resto c’era poco da aggiungere.
“Spero
che sarete felici…” l’aveva detto, ci era riuscita, non lo credeva
possibile neanche ora!
Guardò
la costa ormai vicina. Il viaggio era stato lungo ma finalmente era arrivata.
Sapeva
dove doveva andare, raggiunse quella piccola casa bianca con il tetto verde che
tante lettere le avevano descritto. Scese dal cavallo… bussò.
Dopo
pochi istanti le fu aperto.
Louis
Saint Just non era cambiato molto in quegli anni, solo il suo volto era più
disteso e aveva acquistato una espressione più dolce.
Oscar
sorrise nel vedere quale espressione di sorpresa si era dipinta nei suoi occhi.
“Oscar…”
si stupì egli stesso nel sentirsi pronunciare quel nome.
La
fece entrare. La casa era grande, ordinata, sebbene il tavolo al quale il
giovane stava lavorando fosse ingombro di fogli.
“Stavate
lavorando?” chiese Oscar.
“Sì,
il giornale esce domani…” si stupirono entrambi nel trovarsi a parlare di
futilità dopo tanto tempo. Poi Saint Just si riprese. Sapeva che Oscar non
aveva affrontato quel lungo viaggio per parlare del lavoro di un giornalista di
provincia…
“André
è ancora alla scuola. Le lezioni finiscono alle tre…”
La
scuola era un edificio allungato, forse un vecchio capannone per il fieno.
Oscar
lo raggiunse a piedi, perdendosi nell’osservare ogni particolare di quel
paesaggio che in quegli anni era stato solo di André.
Dopo
pochi minuti vide gruppi di bambini vocianti correre fuori dall’edificio. Lei
non si avvicinò, voleva vederlo prima di essere vista. Poco dopo un gruppo di
ragazzi più grandi uscì lentamente circondando la figura di un adulto. Le
ultime domande… le ultime spiegazioni…
Gli
occhi dei ragazzi erano rapiti dal loro insegnante: già un insegnante di
scuola… Oscar non ci aveva mai pensato prima, ma era proprio il lavoro adatto
ad André, lui sempre così dolce, così gentile…
E
poi rimase solo, chiuse la porta, si voltò e la vide…
Era
lì, trafelato, felice e… vicino! Oscar si sentì impazzire dalla gioia quando
lo vide correre per raggiungerla… e quel sorriso, il sorriso del suo André
era di nuovo solo per lei!
Quella
giornata passò in fretta, fra chiacchiere, sorrisi e improvvisi silenzi
riempiti da silenziosi ricordi…
“Non
posso rimanere che per poche ore, sto… devo tornare a Parigi… la situazione
può sfuggire di mano in qualsiasi momento…”
Tutti
erano ammutoliti… Parigi sembrava lontana anni luce e improvvisamente si
materializzava a pochi metri.
Oscar
era di nuovo a cavallo, la strada era lunga. Alzò lo sguardo verso la luna
piena che illuminava il suo cammino.
“Grazie
Oscar, so che senza di voi non sarei qui… e non posso neanche immaginare
quanto dolore vi sia costato” aveva mormorato Louis nel salutarla.
Lei
aveva tentato di negare, ma lui aveva scosso la testa: “André mi ha detto
tutto”.
Cosa
poteva avergli detto? Come faceva André a conoscere ogni sua azione, si chiese
ricordando quel lontano pomeriggio in cui aveva detto alla sua Regina ‘cosa’
era giusto. Ma era contenta… avevano capito… André aveva capito quanto
fosse grande il suo amore per lui…
L’aria
era fredda… Oscar tossì… guardò il fazzoletto tinto di rosso. Era vicina
alla fine, lo sapeva. Ma ora aveva realizzato il suo sogno, una nuova,
bellissima immagine di André si aggiungeva a tutte le altre… aveva sorriso, e
quel sorriso era stato solo suo!
The
End
Nota:
questo racconto, nato come ‘racconto breve’ termina dopo un anno esatto di
lavoro. Le prime righe sono infatti state ‘vergate’ il 18 gennaio 2001, su
un Intercity notturno della linea Genova-Roma.
E’
un racconto che ha subito innumerevoli interruzioni, volontarie e non, e che mi
ha fatto stare in ansia pensando che difficilmente sarebbe stato accolto con
simpatia, visto l’argomento.
Invece
ho ricevuto tanti incoraggiamenti (grazie, grazie e grazie a Laura, importunata
anche da telefonate estive riguardanti il finale…), che insieme a qualche
critica mi hanno fatto capire che le persone sono sempre più mature di quanto
ci aspettiamo.
Un
saluto affettuoso a tutti quelli che mi hanno seguito fin qui e…. alla
prossima storia!
Irene
Fine
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