A Strange Story
parte I
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Era stato la prima volta che aveva preso la parola ad una
delle riunioni che si tenevano nella chiesetta di St Jacques. Era salito sul
pulpito, senza emozione, perché sapeva cosa voleva dire e come dirlo. Si era
visto di fronte una piccola folla di contadini, di piccoli professionisti, di
ecclesiastici appartenenti al basso clero, e perfino qualche nobile, mescolato
alla “gente del popolo”.
Sapeva cosa voleva dire. Voleva incitare questa massa
senza un’unica identità, ad allearsi nella lotta contro una monarchia che la
vessava, contro una aristocrazia che la sfruttava e contro un clero che la
reprimeva. Una lotta decisa, con tutte le armi a disposizione. Era necessario
distruggere prima di ricostruire, altrimenti, con il ricorso ad una riforma,
senza rivoluzione, il morbo che impediva la nascita di un paese nuovo, in cui
tutti avessero pari dignità, si sarebbe indebolito, ma non estinto, pronto a
riprendere il sopravvento quando la massa, unita ma non uniforme, si fosse
disgregata a causa delle diverse spinte esercitate dalle sue molteplici anime.
Arringava la folla con la sua voce limpida, i ragionamenti
dalla logica stringente, il bel volto teso nello sforzo di spiegare la necessità
di una decisione drastica, quando scorse, in fondo alla navata centrale,
addossate alla porta, due figure che attrassero subito la sua attenzione: un
uomo bruno, alto, atletico, con una giacca marrone, con accanto un ragazzo
esile, con i capelli biondi nascosti da un cappello a tesa larga.
Per un momento perse il filo del discorso, ma subito si
riprese. Robespierre, in prima fila, gli lanciò uno sguardo sorpreso, ma lui
sorrise, quel suo sorriso che stava cominciando a somigliare ad un ghigno, e
concluse.
La gente lo applaudì. Nessuno aveva più voglia di mezze
misure, e lui aveva parlato chiaramente, non come Maximilien, fomentatore
moderato, pronto a tenere sulla corda il suo popolo per utilizzarlo solo nel
momento a lui più opportuno.
I due, là in fondo, non avevano applaudito. Anzi, si
erano diretti subito verso l’uscita. Sentì un brivido lungo la schiena, poi
gli rimase solo un senso di insoddisfazione.
Dopo la riunione, si ritrovarono come al solito a casa di
Robespierre. C’erano anche Bernard e Jean.
“Il duca di Orleans ci permette una copertura, per ora.
Ma è un uomo di cui non mi fido…” stava dicendo Bernard.
“Lo abbandoneremo quando non ci sarà più utile” lo
rassicurò Robespierre.
“Comunque, per il Cavaliere Nero non poteva esistere
base migliore” aggiunse Jean.
“Sarà, ma a me non piace. Mi piace fare del bene, ma
non dovere qualcosa ad un nobile” riprese Bernard pensieroso.
“St Just, non dici niente?” gli chiese Robespierre.
“Sapete tutti benissimo cosa farei ai nobili, a tutti i
nobili. Non ne esistono di buoni, sono degli oppressori…”
“Non prenderci per la folla che si assiepava stasera
nella chiesa” rise Bernard.
“Dobbiamo guidare il popolo, portarlo a prendere
coscienza di quello che sta succedendo in tutta la Francia, coinvolgerlo in un
discorso più ampio….” Spiegò Robespierre.
“Parole, Maximilien. Sai quanto me che ci vuole una
grande sollevazione popolare, che molto sangue sarà necessario per cambiare le
cose”.
Nessuno gli rispose. Quelle parole rimasero sospese tra
tutti loro come una eventualità temuta, ma considerata inevitabile.
“Bernard… cosa è successo? Sei sconvolto!” esclamò
Jean Nilois.
Era passato un mese dalla loro ultima riunione. Bernard
era piombato nell'appartamento di Robespierre in uno stato di evidente
confusione.
“Ho teso un agguato al finto Cavaliere Nero…” mormorò,
ansimante.
“E allora? Eri andato per questo! Cosa ti succede
ora…” gli disse St Just.
“Ho duellato con lui… l’ho colpito al volto,
all’occhio…” aggiunse portandosi le mani al viso, gemendo.
“E allora?” chiese Robespierre “Sei riuscito a
scappare… Chi era questo finto Cavaliere Nero?”
“Non so il suo nome…. No, un momento… André! Così
lo ha chiamato quella donna…”
“Bernard! Calmati. Racconta con calma, non abbiamo
capito nulla! Siediti” gli ingiunse Robespierre “Comincia dal principio”.
“Ho duellato con lui. Era molto abile, ma era come se
non mi volesse colpire….. badava a difendersi… era come se volesse farmi
capire che comprendeva, apprezzava quello che facevo come Cavaliere Nero, ma che
era suo dovere fermarmi”.
“E allora perché ha cercato di provocarti, imitando il
tuo travestimento?”
“Per via di quella donna. Oscar
François de Jarjayes. Il comandante della Guardia Reale. Abbiamo
cominciato a batterci ed è sbucata fuori lei… erano d’accordo. Volevano
catturarmi… lei soprattutto. Io l’ho ferito… vedo ancora il sangue tra le
sue dita… sono scappato” terminò ansimante.
“Oscar François de Jarjayes…. ” ripeté
Robespierre pensieroso “il padre, il generale Jarjayes, si occupa degli
approvvigionamenti di armi per l’esercito….”
“A cosa stai pensando, Maximilien” gli chiese St Just,
riconoscendo quel bagliore nei suoi occhi.
“Mah, forse è un progetto folle….”
Il comandante della Guardia Reale era prigioniero in una
delle segrete di Palais Royal, la residenza del duca di Orleans. L’avevano
attratta con un tranello, ed ora potevano chiedere un riscatto in fucili al
padre. Certamente lui avrebbe pagato per avere indietro la bella figlia.
Riguardò ancora per un istante attraverso lo
spioncino…. doveva essere lei….
“A cosa stai pensando, St Just?” gli chiese Bernard.
“Sai, ho già visto questa donna, anche se pensavo fosse
un ragazzo. E’ stato qualche settimana fa, alla riunione nella chiesa di St
Jacques” rispose.
“Il colonnello de Jarjayes? Non è possibile..”
“Sì, era con un uomo… un giovane alto, con i capelli
scuri” aggiunse.
Il volto di Bernard si rabbuiò: “Doveva essere il suo
attendente… André”.
“André? L’uomo che hai ferito?” chiese lui,
fissandolo negli occhi.
“Sì, credo proprio di sì” gli rispose Bernard,
allontanandosi.
St Just si riavvicinò allo spioncino. Un uomo e una
donna… sempre insieme, lei nobile, lui no… insieme in una chiesa in cui si
tenevano riunioni politiche… ma era questo che lo disturbava? Perché
rifiutava la conclusione più ovvia? Erano un uomo e una donna, una bella donna
ed un uomo affascinante: cosa c’era di più facile?
Quello sciocco di Bernard se l’era fatta sfuggire…
anzi, si era anche fatto catturare. Andasse al diavolo il Cavaliere Nero, ma i
fucili erano necessari per la lotta. Lui l’aveva sempre detto che Bernard era
un idiota, ma Maximilien pensava sempre di avere la vista più lunga di tutti!
Guardò fuori dalla finestra: stava cominciando a
nevicare. La strada fino alla chiesa di St Jacques era lunga: rabbrividì al
pensiero dello stato in cui sarebbe tornato a casa.
Nella chiesa, come sempre, si era radunata una piccola
folla. In piedi, accanto a Robespierre, guardava quelle persone che avevano
sfidato una tormenta di neve per parlare e sentir parlare della nuova Francia.
Erano trascorsi due mesi dall’ultima volta, uno dall’ultima apparizione del
Cavaliere Nero. St Just girò ancora una volta lo sguardo verso la porta di
ingresso. All’inizio aveva dovuto guardarlo due volte per riconoscere in quel
volto, sul cui lato sinistro ricadeva scomposta la capigliatura scura, il
giovane che aveva notato tempo prima.
André… così aveva detto Bernard.
Finita la riunione, si avviò frettolosamente verso
l’uscita, ma quell’uomo era già andato via. L’attendente di un
colonnello! Doveva entrare nella lotta, doveva dedicarsi alla causa… questi
nobili dovevano essere lasciati soli.
St Just si infilò il cappotto ed uscì sul sagrato.
Improvvisamente lo rivide, appoggiato alla staccionata a cui era legato un
cavallo nero, la mano a tenersi la fronte, gli occhi chiusi.
Gli si avvicinò:
“Tutto a posto?” gli chiese gentilmente.
“Sì… tutto a posto. Un po’ di mal di testa… forse
questo freddo” disse André, sorridendo.
Allontanando la mano dal volto, scoprì leggermente la
ferita sull’occhio. St Just la guardò, ma non chiese nulla. Sarebbe stato un
buon pretesto per continuare a parlare, ma questo era troppo anche per lui…
“Mi sembri un po’ a terra. Perché non vieni a bere
con noi?” gli chiese, invece.
“Con voi?”
“Sì, con Robespierre, Jean e me. Potremmo scambiare
qualche idea, oppure bere e basta” gli rispose.
“Veramente dovrei tornare a casa…” André pensò a
cosa lo avrebbe atteso a Palazzo Jarjayes, quindi aggiunse “ma se è per bere
e basta, accetto”.
St Just gli sorrise: “Andiamo, allora”.
Robespierre non era andato… molto meglio così.
Cominciava a non sopportarlo più. Jean e André avevano bevuto fino a
stordirsi. Lui no… era voluto rimanere sobrio: voleva studiare quest’uomo
così particolare, quest’ uomo che, pur appartenendo al ceto popolare,
riusciva a non fermarsi agli interessi di classe.
Sentendolo parlare, si era reso conto della profondità
dei suoi ragionamenti, della calma con cui sapeva esporre le sue riflessioni e
sostenere le sue idee…. Aveva ciò che a lui mancava: l’amore per il
prossimo, il desiderio di un mondo migliore per tutti. In lui l’odio non
trovava spazio, mentre l’amore, soprattutto per i più deboli, lo rendeva
intransigente verso il ricorso alla violenza.
Ora André era così ubriaco, che aveva bisogno del suo
aiuto per camminare. Lasciato il cavallo in una stalla vicina, St Just aveva
deciso di ospitare il nuovo conoscente, per quella notte, visto il suo stato.
Entrarono nel suo piccolo appartamento. Salire le scale
era stato faticoso: André sembrava precipitato in uno stato di completa apatia,
ma finalmente ora poteva lasciarlo scivolare sul letto.
Nel camino ormai non c’era che brace quasi spenta: prese
qualche ciocco dal cesto e lo buttò, insieme al carbone, sulle ceneri calde. Si
sfilò il cappotto. Faceva freddo. Continuò a rimestare nel focolare, finché
il fuoco non si ravvivò. André dormiva un sonno agitato. Scuoteva la testa,
mormorava parole inintelligibili. St Just si sedette sulla sponda del letto.
Doveva avere la febbre, pensò. Gli passò la mano sulla fronte: scottava. Pian
piano, dolcemente, gli sfilò la pesante giacca marrone. Lo avrebbe coperto con
le coperte. Probabilmente il mattino dopo sarebbe stato meglio. Di nuovo gli
accostò la mano alla fronte, prima il palmo e poi il dorso.
“Oscar…” mormorò André.
Lui continuò a massaggiargli la fronte.
“Oscar.. vieni qui..” ripeté André, con voce più
decisa. Quindi gli afferrò la mano e la tenne tra le sue. St Just rimase per un
momento paralizzato dalla sua emozione, incapace di ritrarsi… poi, mentre la
mano di André gli risaliva verso la spalla, lui avvicinò, un po’ tremante,
il suo viso a quello dell’amico e lo baciò.
Sapeva che André non era cosciente, che non avrebbe
capito, che non lo avrebbe perdonato… ma quel desiderio che aveva provato la
prima volta che lo aveva visto, dal pulpito della chiesa di St Jacques, lo
dominava e gli impediva di pensare. Sentì le braccia di André stringersi
intorno alle proprie spalle:
“Oscar… è una vita che ti amo… possibile che tu ora
abbia capito?” balbettava l’altro, con voce impastata da sonno e alcool.
Doveva fermarsi… non era così che doveva succedere.. ma
le sue dita già gli stavano febbrilmente sbottonando la camicia. Cominciò a
baciargli il collo, le spalle, il petto… e poi più giù... fino a trovare
l’impedimento dei suoi pantaloni. André ansimava, sotto i suoi baci, mentre
lui era in preda ad una forte eccitazione che non riusciva a reprimere.
Si spogliò rapidamente e si sdraiò anche lui sul letto,
trascinandosi dietro le coperte. Il respiro di André si andava regolarizzando,
il suo, invece, continuava ad essere affannoso: riprese ad accarezzargli il
petto, con la sua mano bianca e affusolata. Di nuovo André reagì alle sue
carezze. La mano scese più giù.. gli sbottonò i pantaloni, ma neanche ora si
fermò.
Sentiva André fremere… riprese a baciarlo, ma questa
volta i suoi baci non trovarono barriere…
Continua...
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