Jean

 

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Parigi era piena di soldati.

La visita del Re di Svezia, Gustavo III, aveva provocato il trasferimento in città di molti battaglioni.

Era la seconda volta che il sovrano svedese visitava la Francia. La prima aveva viaggiato in incognito, secondo la moda lanciata dall’imperatore d’Austria, nella primavera del 1783. Erano i tempi gioiosi del teatro dell’Opera, dello scandalo ingenuo de ‘Le nozze di Figaro’… tempi lontani… erano trascorsi quattro anni, e la Francia era cambiata parecchio: le strade non erano più sicure, si temevano attentati, molti assalti erano stati portati contro le famiglie nobili… I soldati servivano per tutelare il sovrano, ma soprattutto per riportare ‘ordine’ nella città… era difficile, ormai, che le piazze e i ponti più importanti di Parigi non fossero presidiati da uomini armati, pronti ad intervenire allo scoppiare di un qualsiasi disordine.

Era sera, una serata piuttosto mite, visto ormai l’incalzare della primavera, ma che sorprendeva, dal momento che tutta la Francia emergeva da un inverno molto rigido, che si era protratto molto oltre il termine formale della stagione. André usciva in quel momento da una locanda. Il fastidio all’occhio era sempre più persistente, ormai poteva raramente dimenticare di avere un vero e proprio ‘problema’… di poter perdere la vista in breve tempo… e sempre più spesso si riduceva a trascorrere metà della nottata in qualche osteria malfamata. Solo l’oblio dell’alcool riusciva ad anestetizzare i suoi dolori, e non solo quelli fisici.

Non seppe neanche come avesse fatto a raggiungere il lungosenna. L’aria umida gli feriva i polmoni, ma aveva bisogno di respirare profondamente… gli girava la testa e non sarebbe riuscito a tornare a Palazzo Jarjayes in quelle condizioni, e poi… come affrontare Oscar? Aveva bisogno di schiarirsi la mente per continuare ad accettare passivamente la sua indifferenza.

Sentì in lontananza il suono di una fisarmonica. Gli aveva sempre smosso qualcosa nell’anima il suono di quello strumento: era la musica dei poveri, ben diversa da quella che poteva suonare un clavicembalo o un violino. Era una musica che sapeva di precarietà, di sofferenza, di vita.

Si appoggiò al muro e si lasciò scivolare a terra. Chiuse gli occhi. Presto il suo unico mondo sarebbe stato quello: tenebre ininterrotte.

La fisarmonica continuava il suo dolce motivo… André non poté non pensare ad Oscar… al suo viso teso di concentrazione nell’esecuzione di un passaggio difficile al clavicembalo, ai suoi occhi attenti a prevedere le mosse dell’avversario in un duello, al suo sorriso per il ritorno di un amico... C’erano stati momenti in cui aveva sperato di poter accendere in lei anche la dolcezza dovuta ad un sentimento ancora sconosciuto, l’amore, ma ora, nonostante André sapesse di essere l’unica persona in grado di renderla felice, aveva capito che questo non sarebbe rimasto che un sogno… lei era troppo dura, con sé e con gli altri, per permettersi la debolezza di innamorarsi. Certo, c’era stato Fersen… ma era stato davvero amore, oppure era stata solo un’infatuazione? Per parecchio tempo André era stato geloso, ma una sera, osservandoli insieme, si era reso conto di quello che neanche Oscar aveva capito: lei era sola, e aveva bisogno di qualcuno a cui appoggiarsi… e cosa c’era di più ovvio di rivolgersi al conte svedese, bello, nobile, gentile, lontano? Era la scelta più ovvia perché la più irraggiungibile...

Improvvisamente la musica cessò… André si riscosse dal proprio torpore: ormai era ora di tornare a casa. Non voleva far preoccupare la nonna. Già, la nonna: forse l’unica persona per la quale lui avesse mai contato qualcosa! Sapeva di non doversi lasciare andare a questo genere di pensieri… ma era più forte di lui. Aveva bisogno di piangersi un po’ addosso, ne aveva il diritto con tutto quello che stava passando… sorrise amaramente: stava dimostrando di non essere forte come pensava!

Vide una sagoma scura scendere verso l’argine. La figura era indistinta, non sembrava neanche umana, con un enorme bozzo sul torace… guardando più attentamente si accorse che era una donna che teneva qualcosa stretto tra le braccia. André si stupì, non era certo quella né l’ora né il luogo per portare un bambino!

La donna tossì… una tosse che parlava di tubercolosi… l’inverno era stato rigido, e si erano diffuse parecchie epidemie. Ancora tanti malati popolavano Parigi, e i poveri erano la maggior parte di loro, senza medicine, senza speranze. André si alzò, era davvero tardi, doveva tornare. La mattina dopo doveva essere a Versailles, come sempre. Lanciò un’ultima occhiata alla donna, poi si diresse verso le scale ripide che riportavano sulla strada. Non era giunto che a metà quando sentì un tonfo nell’acqua… Si girò e in un attimo fu di nuovo sull’argine. Una nuvola aveva oscurato la luna piena che fino a quel momento aveva reso visibili i flutti d’acqua… André chiamò, ma non ci fu risposta… improvvisamente sentì il pianto di un bambino… dovevano essere laggiù, a sinistra, quasi sotto al ponte… Non ci pensò due volte… si gettò nel fiume.

Nuotò vigorosamente… i singhiozzi del bambino lo guidavano in mezzo al liquido scuro… improvvisamente non udì più nulla. Gettò la testa sotto la superficie mossa… la corrente era forte, e lo allontanava dal punto da cui aveva sentito gli ultimi suoni, ma André non si diede per vinto: forzò la bracciata e si avvicinò al fondo. Improvvisamente sentì un ostacolo contro le braccia protese in avanti, riemerse con un fagotto tra le braccia: era il bambino, fortunatamente respirava ancora. Si avvicinò all’argine e lo depositò all’asciutto, poi si rituffò per cercare la madre. Dovette scendere molto nel fiume gelido, poi sentì contro le mani dei vestiti bagnati. Il corpo, appesantito dagli abiti intrisi d’acqua, era davvero pesante, inoltre sembrava incastrato in qualcosa… André tirava eppure non gli sembrava di fare progressi, inoltre i polmoni cominciavano a fargli male… ma tenne duro, e dopo innumerevoli sforzi riuscì a riemergere trascinandosi dietro la donna. Portò anche lei all’asciutto, cercò di capire se respirasse ancora… le fece un massaggio sul torace per costringerla ad espellere l’acqua… finalmente sentì un singhiozzo, ma il viso emaciato della donna non faceva presagire nulla di buono…

“Signora, siete in salvo… respirate…” André la voltò su un lato, sperando di aiutarla a liberare i polmoni dall’acqua…

La donna scosse debolmente la testa… poi bisbigliò qualcosa che il ragazzo non capì.

“Cosa avete detto? Non capisco!”

“Non… non ce la faccio… sono scivolata… Jean…”

“Non vi sforzate… chiamerò un medico…” André era disperato, come fare a lasciarla sola per cercare aiuto?

“Abbiate cura di mio figlio… Jean… sono malata… morirò comunque…”

“Signora, non lo dite… ce la farete…”

La donna scosse nuovamente la testa, ma non riuscì a profferire altro. Dopo qualche istante ancora di respiri affannosi, cadde il silenzio: la donna giaceva senza vita sul duro selciato del lungosenna.

André prese il bambino in braccio. Doveva correre a chiamare aiuto, e non poteva certo lasciarlo là, sull’argine del fiume. Fortunatamente trovò subito un gruppo di soldati a cavallo. Impiegò un po’ di tempo per far loro capire cosa fosse successo e la necessità di intervenire per rimuovere il corpo. Finalmente si decisero a seguirlo

Il bambino, intanto, era infreddolito, e si stringeva al petto del ragazzo in cerca di calore. Le braccia di André lo cingevano per paura che potesse perdere i sensi, dopo quella terribile avventura.

La madre era lì dove l’avevano lasciata. I soldati assicurarono che se ne sarebbero occupati loro, di fosse comuni ce ne erano tante quei giorni, a Parigi. E poi sembrava malata, era meglio non perdere tempo, con tutte quelle epidemie era necessario seppellirla subito… rivolsero un’occhiata indagatrice al povero André.

“Perché porta in giro un bambino così piccolo a quest’ora di notte?”

Solo in quel momento lui realizzò di dover lasciare andare quella creatura che stringeva tra le braccia, che probabilmente i soldati lo avrebbero portato in un orfanotrofio… non avendo più i genitori, la sua vita si sarebbe svolta in uno di quegli istituti di carità, insieme a tanti altri bambini abbandonati, sempre in cerca di cibo e di affetto… ma cosa aveva detto quel soldato?

“Insomma, è suo figlio, no? Lo porti via di qui, non è uno spettacolo per bambini!” rincarò l’altro.

Bastava poco, infinitamente poco, per salvare quella vita… Cosa gli aveva sussurrato quella donna? Aveva detto di prendersi cura del suo Jean… e lui lo avrebbe fatto!

“Sì… sto andando. Ora lo riporto a casa…”

Si allontanò da quella scena sotto lo sguardo di rimprovero dei due uomini. Tra le braccia teneva stretto quel corpicino infreddolito, sperando di aver fatto la scelta giusta.

 

Arrivarono a Palazzo Jarjayes al galoppo serrato. André sentiva il bambino tremare contro il proprio torace. Aveva paura che potesse essersi preso una polmonite… doveva asciugarlo e mettergli dei vestiti caldi al più presto… sperava che la nonna avesse ancora qualcosa di quando lui era piccolo… sì, doveva chiedere aiuto alla nonna, del resto non era lei che lo aveva allevato quando i genitori erano morti?

Entrò in casa, era tutto buio… certamente stavano tutti dormendo a quell’ora. Passando davanti alla biblioteca, si accorse però che il fuoco nel camino era ancora acceso. Infilò la testa… era Oscar, addormentata con un libro sulle ginocchia e il bicchiere di vino in equilibrio precario sul bracciolo della poltrona. Solo la necessità di pensare al bambino impedì ad André di entrare e di coprirla con una coperta… ma proprio in quel momento il bambino si svegliò, cominciando a piangere… Il ragazzo tentò di cullarlo per farlo smettere, ma ormai il guaio era fatto! Oscar si girò immediatamente verso di loro, per capire cosa stesse succedendo. Gli occhi assonnati, i capelli un po’ in disordine… André trattenne per un attimo il respiro.

“André, che succede? Che hai in mano?” il tono era asciutto, ma c’era anche una sfumatura di preoccupazione.

Il ragazzo le fece segno di abbassare la voce. Ci mancava solo che si svegliasse il generale…

Andarono insieme nella stanza di André. Era tanto tempo che Oscar non ci entrava. In realtà non era molto diversa dalla sua: il letto grande, vicino alla finestra, i mobili non troppo eleganti, ma pratici e robusti.

André posò il bambino sul letto. Doveva avere sei o sette anni, i capelli, ancora bagnati, avevano dei riflessi castano chiaro, e gli occhi erano di un caldo color nocciola. Si guardava intorno spaesato. Tremava.

Oscar sentì una strana e improvvisa stretta allo stomaco.

Si sedette sul letto e osservò il bambino.

“Dobbiamo fargli un bagno caldo… l’acqua era gelida, ed è rimasto con i vestiti bagnati addosso finora…”

“Anche tu sei tutto bagnato…” Oscar si rialzò. La nonna teneva sempre l’acqua sul fuoco, pronta per il bagno. Cominciò a riempire la vasca che stava nella stanza adiacente a quella di André.

“Spogliati e lavati per primo, dopo faremo il bagno al bambino” Oscar era stanca, e non era l’ora per falsi pudori. Uscì dalla stanza, lasciando un André interdetto e imbarazzato.

Il bambino si era addormentato… cosa lo legava ad André? Oscar scosse la testa. Perché non riusciva a vivere tranquilla per qualche settimana? Posò la mano sulla piccola fronte bianca: non sembrava avere la febbre, almeno questo…

Si buttò all’indietro, poggiando la testa sul letto. Aveva sonno, ed era stranamente triste. Si sentiva sola, aveva tanto bisogno che qualcuno si prendesse cura di lei, e invece era destinata ad essere il punto di appoggio per tutti gli altri… Chiuse gli occhi, era stanca, tanto stanca…

Quando André tornò, poco dopo, la trovò addormentata. Sorrise nel vederla finalmente rilassata… la coprì, l’aria era fredda, nonostante la primavera inoltrata.

Prese poi il bambino tra le braccia, lo portò nella stanza da bagno e lo lavò con sapone e acqua calda. Poi lo rivestì con i vestiti che Oscar aveva preso dalla propria stanza: erano comunque dei vestiti maschili, e sicuramente erano in migliore stato dei propri.

Il bambino era visibilmente spaesato. Si guardava intorno senza capire dove si trovasse… però sembrava aver fiducia in quel ragazzo alto che lo aveva portato in quella grande casa.

André gli sorrise:

“Ora potrai dormire, devi essere stanco. Domani parleremo un po’…”

“…mamma…”

“La mamma stasera non sarà qui con noi… ma mi ha detto di aver cura di te…” non sapeva se il bambino avesse capito, comunque si lasciò prendere in braccio e portare a letto.

André era un po’ commosso. Oscar e Jean erano entrambi addormentati nel suo letto. Li aveva coperti ed ora controllava i loro respiri regolari. Dopo un po’ vide che, nel sonno, il bambino si era avvicinato al fianco di Oscar, stringendole la mano con la propria. Lei si era girata verso di lui, abbracciandolo….

André si stese sul divano. Aveva bisogno di riposare. La serata era stata lunga!

Erano le prime luci dell’alba quando Oscar si svegliò. Si voltò stupita verso quella fonte di calore che le pesava sul fianco. Era quel bambino! Allora non era stato un sogno… e quella era la stanza di André. Doveva essersi addormentata la sera prima… ricordava di avere avuto tanto sonno…

E lui dov’era? Si tirò su sui gomiti. André era steso sul divano. Non poté trattenere un sorriso: aveva pensato a lei, al bambino, e poi aveva dormito senza neanche un coperta! Si alzò, era il suo turno di essere premurosa. Gli adagiò un coperta di lana addosso, ora sì che stava al caldo! Si stupì di non riuscire a distogliere lo sguardo da quel viso. Non controllò la propria mano mentre si accostava alla fronte di André e la accarezzava con un dito…

Perché era così agitata? Perché l’aveva tanto preoccupata vederlo con quel bambino?

André emise un profondo respiro.

“Sei già sveglia?”

Oscar si trovò nella sgradevole situazione di dover spiegare perché fosse seduta sul bordo del divano sul quale lui stava dormendo, ma decise di far finta di niente.

“André, dobbiamo parlare” gli disse freddamente, cercando di mascherare la propria confusione.

Il ragazzo si tirò a sedere, ritrovandosi accanto a lei.

“Che succede?”

“Chi è questo bambino?” gli chiese lei con tono inquisitorio.

André non rispose immediatamente, preso com’era dal cercare di capire il motivo di quel tono tanto duro. Ma lei non si diede per vinta.

“E’… è…” la voce le tremava. André si voltò a guardarla stupito. Come mai Oscar era così agitata?

“Insomma… è tuo figlio?” riuscì a chiedere lei, recuperando la propria freddezza.

Lui non poté trattenere un sorriso.

“No, Oscar. Mi è stato affidato dalla madre…” abbassò la voce “Era malata, sono scivolati nella Senna, ma per lei non c’è stato nulla da fare… Si chiama Jean…”

Seguì un momento di silenzio imbarazzato.

“Scusa, sarebbero comunque fatti tuoi… è solo che sembravi molto preoccupato…”

“Lo saresti stata anche tu. Non ha nessuno, la madre aveva la tisi… Non deve essere stata una vita facile per lui.”

Oscar lasciò andare un sospiro.

“Cosa hai intenzione di fare?”

“La madre me lo ha affidato…”

 “André… non puoi tenerlo.”

Il ragazzo balzò in piedi, ponendosi di fronte a lei:

“Perché? Tu non hai fatto lo stesso con Rosalie?” esclamò adirato.

Oscar era sempre più preoccupata, André stava prendendo troppo a cuore quel bambino… non si ricordava che il suo primo dovere era badare a lei? Possibile che a lei dovesse sempre essere tolto tutto?

“Rosalie non aveva sei anni, come pensi di prenderti cura di un bambino così piccolo? Ti dimentichi del tuo ruolo nella Guardia Reale?”

“Mi farò aiutare dalla nonna” rispose lui prontamente. “Oscar, lui non ha nessuno… vorresti davvero che finisse in un orfanotrofio? Grazie alla generosità di tuo padre, io sono riuscito a superare un.. un momento molto doloroso, mi è stata donata un’altra famiglia… come pensi che io possa non desiderare di fare altrettanto con un’altra persona?”

André non parlava mai del dolore che gli aveva causato la morte dei genitori. Per Oscar era sempre stato scontato che la vita del ragazzo fosse cominciata con il suo arrivo a Palazzo Jarjayes, e invece lui ricordava… ricordava eccome quel dolore terribile provato da piccolo. Abbassò gli occhi… si stavano mettendo in qualcosa di troppo grande per loro, e lei lo stava assecondando in questa pazzia!

“Va bene, ci occuperemo di questo bambino…”

“Jean” la corresse André.

Oscar sorrise... un bambino così piccolo… sarebbe riuscita a fargli da… da… MADRE???? Doveva aver assunto una espressione molto strana, perché André la stava guardando incuriosito…

“Ti aiuterò, André, ma non pensare che io gli faccia da… da mamma… questo non puoi chiedermelo!”

“Non ti preoccupare, non avevo la minima intenzione di farlo… non ne saresti capace…” si divertiva troppo a provocarla, ora che aveva assistito alla sua capitolazione.

Oscar saltò su, colpita nell’orgoglio… come si permetteva di trattarla con quel tono di sufficienza!

“Non ne sarei capace? Mi stai sfidando? Rimarrai esterrefatto dalle mie capacità!” e, troppo arrabbiata per proseguire la discussione, uscì dalla stanza sbattendo la porta.

André sorrise, l’inizio non era promettente, visto che aveva svegliato il bambino e se ne era andata!

Si avvicinò al piccolo Jean e gli accarezzò la schiena per farlo riaddormentare:

“Ti è capitata una strana famiglia, piccolo, ma vedrai che ti troverai bene…”

 

“Colonnello de Jarjayes, dovrete organizzare dei turni supplementari. Il Re di Svezia ha deciso di visitare la città senza scorta personale…” il comandante in capo, generale Bouille, l’aveva convocata per le ultime raccomandazioni.

“Ho già pronto l’elenco con i nuovi turni, e un itinerario per il sovrano” rispose prontamente.

Il generale fece un sorriso amaro:

“Temo che la vostra premura riguardo all’itinerario sia vana. Il Re Gustavo è abituato a fare di testa propria… comunque si porterà come guida il Conte di Fersen, e questo non fa che rendere più difficile il nostro compito, visto come è considerato quell’individuo dal popolo parigino”

Oscar non fece commenti, del resto non le erano richiesti. Certamente, però, il generale aveva ragione: la presenza di Fersen rendeva tutto più difficile…

Tornata nel proprio ufficio, convocò Girodel.

“I nostri turni di guardia hanno subito delle modifiche per la presenza del Re di Svezia. Scegliete due uomini per la scorta a Parigi, dobbiamo essere pronti ad ogni evenienza. Ci saremo anche io e André.”

Girodel si inchinò e uscì.

Oscar si rilassò sulla sedia. Ci mancava la visita del Re di Svezia! Odiava dover fare da balia a questi regnanti entusiasti che si illudevano di voler vedere la Parigi ‘vera’, provocando invece un insopportabile scompiglio nella già precaria situazione di controllo della città e finendo, tra l’altro, per fare la classica visita da turisti.

Portò lo sguardo sulla piazza d’armi. André non c’era, era rimasto a casa, quella mattina, per parlare con il bambino e prepararlo a quella che sarebbe stata la sua vita futura.

Chissà come stavano andando le cose! Ma non avrebbe atteso molto per saperlo, aveva detto ad André di passare nel suo ufficio non appena fosse arrivato alla Reggia.

Tornò a pensare ai turni di guardia… non aveva davvero voglia di dover penare dietro al Re di Svezia! Scosse la testa e si versò una tazza di tea. Non era quello… era che non aveva più voglia di vedere il Conte di Fersen… era stata una stupida, aveva pensato di essere innamorata di quel damerino, senza capire che i propri sentimenti avevano già un padrone… e si era resa ridicola. Le veniva una rabbia che con difficoltà riusciva a contenere quando pensava a quello stupido ballo in cui si era presentata vestita come quelle dame che aveva sempre odiato… E per chi si era così umiliata? Per una persona che non valeva il mignolo di… di…

Chiuse gli occhi e ripensò a quella stessa mattina, quando non si era controllata, e aveva passato la mano sulla fronte di André… La situazione era sempre più difficile… André la considerava sicuramente la propria migliore amica, ma Oscar dubitava che lui potesse provare per lei più di questo. Certo, aveva perso un occhio per lei, ma questa era una cosa che André avrebbe fatto senza pensarci per qualsiasi persona egli avesse deciso di considerare un vero amico. E così, per non illudersi, aveva deciso di mostrarsi sempre più fredda, sempre più ‘algida regina delle nevi ’….

Ed ora quel bambino. Come avrebbe influenzato le loro vite? Era preoccupata per l’atteggiamento che André aveva tenuto il giorno prima… e un po’ si sentiva in colpa per essere gelosa di un bambino… Ma il problema era reale: lei sapeva che André si sarebbe fatto una missione di rendere il piccolo Jean felice, e quindi tutto il suo tempo, tutte le sue energie sarebbero stati spesi per raggiungere questo scopo. Scoppiò a ridere: aveva ragione lui, il suo spirito materno doveva essere nascosto sotto strati e strati invalicabili di egoismo…

Sentì bussare alla porta. Sapeva già che era lui.

“Allora, come è andata?” gli chiese dopo avergli allungato una tazza di tea.

La faccia di André faceva già intuire quale potesse essere la risposta.

“Insomma…”

Dopo un istante di silenzio, Oscar arrischiò una domanda più esplicita:

“Ma gli hai raccontato la verità? Tutto?”

L’altro scosse il capo.

“No, ho usato la solita tattica del lungo viaggio verso una terra meravigliosa…” era triste, si vedeva “…eppure sapevo che non avrebbe funzionato… provato sulla mia pelle!”

Oscar gli si avvicinò, gli si sedette accanto e gli prese la mano tra le proprie.

André si voltò a guardarla sorpreso… era anche un po’ arrossito… ma Oscar, stupendo anche se stessa, non si tirò indietro.

“Era l’unica cosa che tu potessi fare. E’ troppo piccolo per affrontare la verità.”

“Non lo so. Teme di essere stato abbandonato… ha bisogno della madre. Con me si sente spaesato…” lei non gli aveva lasciato la mano… sembrava di essere tornati indietro nel tempo, di aver riconquistato quella familiarità persa tanto tempo prima.

“Ti aiuterò… stasera cercherò di parlarci io…” Oscar soffriva nel vederlo così abbattuto, aveva tanta voglia di vederlo ridere! Provò a scherzare:

“Sicuramente non riuscirò a fare peggio di te…”

C’era l’aveva fatta… André aveva accennato un sorriso. 

Nuovi colpi contro la porta… chi diavolo era così inopportuno, pensò Oscar.

“Comandante… siamo pronti per la rivista” sempre lui, il ‘nei secoli efficiente’ Girodel…

“Va bene, capitano, arrivo” le dispiaceva lasciare quella situazione di intimità, ma non poteva fare altrimenti:

“Andiamo, il dovere ci aspetta, vedrai che stasera risolveremo tutto…”

Si alzarono con le mani ancora intrecciate, poi Oscar si ritrasse per prendere la sciabola.

“Domani faremo un giro turistico di Parigi” buttò là mentre scendevano le scale.

“Re Gustavo?” lo sguardo di André si era incupito.

“Già… fra una settimana, però, si trasferiranno tutti a Londra…”

“Mai troppo presto!” mormorò André a mezza bocca.

“Cosa?” Oscar non aveva capito.

“Niente, non ho parlato” rispose lui, imperturbabile mentre si infilava i guanti.

 

Quella sera riuscirono a tornare a casa abbastanza presto. Furono stupiti del silenzio che accolse il loro arrivo. La nonna non gli si fece incontro e il bambino non si vedeva. Entrambi ricordavano bene quanto fossero scatenati quando erano piccoli, era strano che questo bambino non si sentisse per niente.

Salirono direttamente nella stanza di André. Furono fermati sulla soglia da Nanny, che fece loro segno di far piano…

“Si è appena addormentato… Oh, Oscar… è un bambino così solitario… è stato sempre da solo… è così triste…”

Oscar annuì, poi entrò nella stanza seguita da André.

Il piccolo Jean era sepolto dalle coperte che la nonna aveva aggiunto per tenerlo più caldo. Oscar gli andò vicino per vedere se stesse davvero dormendo… sorrise scotendo la testa: anche lei da piccola teneva gli occhi chiusi per convincere Nanny di essere profondamente addormentata. Si rialzò e raggiunse gli altri due.

“Rimango un po’ con lui… potete andare. André, ti chiamo dopo. Vai in biblioteca”

André annuì. Faticò un po’ a trascinare via la nonna, ma finalmente riuscì a chiudersi la porta dietro le spalle.

“Jean…”sussurrò Oscar.

Vide il bambino stringere gli occhi ancora più stretti.

“Se non hai voglia di parlare, non fa niente. Possiamo farlo un’altra volta. Volevo solamente che tu potessi conoscermi…” fece per alzarsi dal bordo del letto su cui si era seduta, ma una manina le afferrò il polso.

“Dove è la mamma… perché è partita lasciandomi solo…”

“La tua mamma non voleva lasciarti solo…” Oscar cercò di parlare dolcemente.

“… e allora?”

“La mamma ha preso molto freddo quando è caduta nel fiume. Aveva bisogno di curarsi. E’ andata in un posto dove si sta molto bene, ma in cui possono andare solo le persone che hanno bisogno di guarire… non ha proprio potuto portarti con sé…”

Il bambino scoppiò a piangere, abbracciandola.

“Anche il papà era partito… non è più tornato…”

Era più difficile di quanto non avesse previsto… davvero era meglio continuare a mentire?

“La mamma ti ha affidato ad André, il ragazzo che ti ha portato qui…”

“Lui ci ha tirato su dal fiume”

“Lo so. André è una persona molto buona… lui ed io ci prenderemo cura di te…”

“Fino al ritorno della mamma?”

“La mamma potrebbe non tornare per molto tempo…”

Il bambino annuì, ma non poté trattenere le lacrime… aveva capito. Si strinse forte contro il fianco di Oscar e lei lo abbracciò.

“Rimarrò con voi?”

“Sì, rimarrai con noi…” continuò a cullarlo finché non cadde addormentato, stavolta veramente. Poi raggiunse André in biblioteca.

“Sta dormendo”

“Prima era sveglio, vero?” le chiese lui, aggiungendo un ciocco nel camino.

“Sì…”

Rimasero in silenzio a guardare le fiamme. Oscar si sedette sul bracciolo della poltrona di André.

“Ce la faremo?”

“Certo” rispose lui, stringendole la mano.

“Ho dovuto dirgli la verità… o meglio, l’ho quasi detta. Ha capito da solo… E’ stato terribile.”

Una lacrima le scese lungo la guancia, andando a cadere sulla mano di André.

Il ragazzo non riuscì a pensare, agì d’istinto. L’attirò a sé, stringendola tra le braccia. Lei non si ritirò, anzi restituì l’abbraccio, affondando il viso bagnato nella sua camicia.

“André… sono tanto stanca….”

“Shhhh, ci sono io con te, non ti devi preoccupare… Jean è fortunato ad avere una vice-mamma come te!” le sussurrò sorridendo.

Anche Oscar sorrise tra le lacrime:

“Bella famiglia abbiamo formato!”

André le posò un bacio sulla guancia, vicino all’orecchio, ma lei si scostò.

“E’ tardi, dobbiamo andare a dormire. Domani abbiamo la gita a Parigi…”

André annuì imbarazzato. Era stato precipitoso. Pensava di aver imparato ad aspettare, e invece…, ma quella parola, ‘famiglia’, gli aveva fatto perdere la testa.

 

Oscar si chiuse nella propria stanza. Era stata davvero una sciocca… davvero aveva creduto che quel bacio innocente potesse significare qualcosa? Era vero che André non l’aveva mai fatto, ma sicuramente era rimasto colpito dalle sue lacrime ed era stato istintivo mostrarsi più affettuoso del solito… Si passò le dita sulla guancia… Possibile che reagisse come una di quelle dame svenevoli che la infastidivano tanto a Versailles? Però non poté trattenere un sorriso… forse stavano diventando davvero una famiglia! Aveva temuto inutilmente nel pensare che il piccolo Jean potesse essere un ostacolo tra loro, anzi… a dir la verità si vergognava di aver potuto formulare una simile cattiveria… quel bambino era così spaesato e bisognoso di affetto… vice-mamma aveva detto André… chissà se ci sarebbe riuscita! Magari non proprio una mamma convenzionale, ma qualcosa di più di quello che era stata per Rosalie poteva pensare di riuscire a diventarlo.

Decise di andare a dormire… ma il pensiero di quello che era successo in quella lunga giornata non riuscì a farle prendere sonno per un bel po’ di tempo.

“Madamigella Oscar… Oscar… è ora di alzarti!” Nanny era entrata nella stanza e aveva aperto le tende. La luce del mattino le ferì gli occhi: aveva ancora sonno, aveva vegliato a lungo e adesso sarebbe rimasta volentieri a crogiolarsi nel letto, e invece…

Si vestì in fretta e scese in cucina per la colazione. Quando arrivò, vide seduti al tavolo sia André che il piccolo Jean. La nonna si era superata, aveva preparato un bellissimo dolce di mele, probabilmente per stuzzicare lo scarso appetito del bambino, e lui le stava rendendo onore.

“Ciao Oscar, fai colazione con noi?” le chiese André.

In genere Oscar prendeva una tazza di tea e spariva in biblioteca, ma il quadro era così intimo che decise di rimanere.

“Buongiorno Jean…” disse dolcemente.

“ ’giorno, Oscar…” rispose il bambino, emettendo una quantità di briciole.

“Me la consigli, questa torta?” continuò lei seriamente.

Lui annuì, poi aggiunse:

“Perché hai un nome da uomo?”

André cercò di reprimere una risata, rischiando di strangolarsi con il tea. Oscar gli lanciò un’occhiata omicida.

“E’ una storia lunga… te ne parlerò, un giorno di questi…”

Il bambino lasciò correre, prendendosi una mela e attaccandosi al braccio di André.

“… poi mi porterai a cavallo?” gli chiese tirandolo per la manica, ma non riuscì a nascondere uno sguardo triste. Si vedeva che tentava di scacciare il proprio dolore cercando delle distrazioni.

André lo prese in braccio e se lo fece sedere sulle ginocchia.

“Certo che ti porterò a cavallo, e poi ti insegnerò ad andarci…” il bambino lo abbracciò e affondò il viso nella sua spalla.

 

“Ti si sta affezionando molto” gli disse Oscar mentre si dirigevano verso Versailles.

“E’ solo… mi sembra di tornare indietro nel tempo… e non è neanche la stessa cosa… io avevo te.”

Oscar sorrise amaramente:

“Dovevo essere insopportabile… sai che bella compagnia…”

“Sei stata la mia ancora di salvezza, Oscar… lo sei sempre stata…”

Lei si voltò a guardarlo, i battiti del cuore notevolmente accelerati, ma lui teneva lo sguardo fermo davanti a sé. Cercò di calmarsi.

“Sai André, non ho voglia di fare questa visita… non ho neanche voglia di vedere Fersen… mi ricorda un periodo della mia vita che vorrei cancellare…”

André strinse i pugni. Certo che non voleva vederlo, le provocava dolore rivedere l’uomo di cui era innamorata, non era che esacerbare una ferita mai guarita…

“Sono stata una sciocca… sai? Io pensavo… pensavo…”

“Lo so, Oscar. Se non ci fosse stata Maria Antonietta…” ma Oscar lo interruppe bruscamente:

“Non hai capito, André. Io sono stata una sciocca perché ho pensato di essere… innamorata di lui! E invece non era che una sciocca infatuazione.”

André annuì, se lei voleva che lui credesse questo…

Oscar invece si stava arrabbiando:

“Non sto cercando una giustificazione per tutelare il mio amor proprio, André, e vorrei che non fossi proprio tu a pensare questo. Io non l’ho mai amato… pensavo di amarlo, ma non era così!” aveva fermato il cavallo e parlava con le lacrime agli occhi… perché… perché lui non voleva crederle?

 Finalmente André capì che lei stava parlando sinceramente. Annuì e le sorrise. Anche lei riuscì a sorridere, tra le lacrime che le riempivano gli occhi. Forzarono l’andatura e, per la prima volta dopo tanto tempo, fecero una gara per raggiungere Versailles.

 

La giornata fu lunga e noiosa. Il Re Gustavo, come molti regnanti, notò Oscar, era una persona poco interessante, e Fersen era inaspettatamente ossequioso con il proprio sovrano. Aveva anche cercato di avvicinarla per parlare dei vecchi tempi… ci mancava solo che ricominciasse a parlare della dama del ballo! Oscar si scoprì insofferente verso la maschera tragica del bel conte svedese… nel mezzo di una rimembranza malinconica dell’ultima visita alla Regina le era venuto, inopportunamente, molto inopportunamente, da sorridere, pensando a come spiegare a Jean il proprio nome maschile… Oddio, cosa le stava succedendo?

Ma anche quella giornata finì, e, dopo aver ricevuto gli omaggi del sovrano, ambigui, tra l’altro, per chi conoscesse le preferenze di Re Gustavo, e i più graditi ringraziamenti da parte del generale Bouille, Oscar e André poterono tornare a casa.

 

“Siete tornati, finalmente!” urlò il bambino vedendoli entrare nel grande ingresso.

“Non ne ha voluto sapere di andare a dormire… voleva aspettarvi…” cercò di giustificarsi la nonna.

“Non ti preoccupare, Nanny. Jean… come è andata la giornata?” disse Oscar, sollevandolo tra le braccia.

“Nanny mi ha permesso di andare a vedere i cavalli…”

“Ti sono piaciuti?”

“Tanto… André mi insegnerà a cavalcare, vero?”

Oscar sorrise, rivolgendo un’occhiata soddisfatta all’amico:

“Certo, te lo ha promesso…”

Cenarono tutti insieme, e, per la prima volta dopo tanto tempo, André non sentì la necessità di affogare le proprie preoccupazioni nel vino mediocre di una taverna parigina.

Si spostarono tutti e tre nella biblioteca. Lì, davanti al fuoco, il piccolo Jean, seduto sulle ginocchia di André, ripose la domanda sullo strano nome di Oscar:

“… e poi, perché ti vesti come un uomo? La mia mamma… la mamma aveva dei bellissimi vestiti lunghi…”

Oscar non si sentiva certamente aiutata dal sorriso divertito di André, ma cercò comunque di rispondere tranquillamente:

“Sai, Jean, io vado spesso a cavallo, mi alleno con la spada, ci sono molti uomini a cui io devo dare degli ordini, le gonne mi sarebbero di ingombro… e per quel che riguarda il nome… non ti piace Oscar? A mio padre piaceva molto, così ha deciso di mettermelo anche se era un po’ insolito per una donna…”

Il bambino non sembrava molto convinto di questa spiegazione, mentre André scuoteva la testa ridacchiando. Certo, sapeva anche lei di non aver trovato proprio una spiegazione accettabile, ma come spiegare che il padre era stanco di figlie femmine e aveva bisogno di qualcuno che continuasse la tradizione militare della famiglia Jarjayes?

André, per salvare la situazione, cominciò a raccontare una bellissima storia di draghi e cavalieri. Il bambino sembrava stregato e anche Oscar, sebbene facesse finta di ascoltare con noncuranza, era presa e stupita dalla fantasia e dalla vivacità del racconto.

Jean cominciava a risentire delle emozioni della giornata. Gli occhi pian piano andarono chiudendoglisi. André abbassò la voce, accompagnandolo nel sonno. Poi si voltò verso Oscar e le fece cenno di voler portare il bambino a dormire. Lo sollevò tra le braccia e si avviò. Oscar lo seguì con l’intento di aiutarlo a farlo riaddormentare nel caso in cui il bambino si fosse risvegliato, ma non fu necessario. Lo misero nel letto e lo coprirono bene. Era strano, era come se non riuscissero a staccarsi da quella scena. Il sonno di quel bambino comunicava forza e pace. C’era voluta una forza straordinaria, infatti, per affrontare un’esperienza così drammatica come la perdita della mamma, ma il suo viso disteso, il sonno tranquillo comunicavano, in quella casa in cui per tanto tempo non erano regnati che confronti e sfide, tra padre e figlia, tra Oscar e André, un senso di calma, di tranquillità, quasi a far capire che il vero coraggio, la vera forza, non stavano nell’ottenimento di una promozione o nella sconfitta di un avversario.

“Andiamo, ormai sta dormendo” quello di André fu poco più di un sussurro, ma servì a far risvegliare Oscar da una specie di stato di trans.

“André, io… io credo che ce la faremo…”

Il ragazzo sorrise, Oscar stava cambiando. Non pensava che l’arrivo del bambino potesse ottenere un effetto così rapido e sconvolgente sulla sua vita, e invece…

Tornarono in biblioteca.

Rimasero in silenzio per parecchi minuti… fu Oscar a cominciare a parlare.

“André, ho deciso…” si interruppe, non era facile quello che voleva dire.

Lui la guardò attento.

“… ho deciso di lasciare la Guardia Reale…”

“Cosa? Perché…” era sbigottito.

“Sono stanca… non ce la faccio più. Non pensare che sia una decisione improvvisa… cioè, forse senza Jean avrei impiegato di più per raggiungerla, però era tempo che ci pensavo…”

“Ma… e la tua carriera? Tuo padre…”

“Tutte le mie scelte sono state allineate ai desideri di mio padre… per una volta, prima che sia troppo tardi, voglio scegliere seguendo i miei desideri… spero che non sia troppo tardi” la voce era ferma, bassa, convinta.

“E cosa vuoi fare?” André temeva la risposta che poteva ricevere. Non credeva che lei fosse ancora innamorata di Fersen, aveva capito quello che gli aveva detto quella stessa mattina, ma comunque temeva di non poter più far parte della sua vita.

“Voglio andare in Normandia, e lì ricominciare la mia vita da capo… e poi c’è Jean…”

“Vuoi… vuoi portare Jean in Normandia?” lo avrebbero lasciato solo? La luce sprigionata dalle fiamme del camino sembrò improvvisamente troppo forte, fastidiosa…

“Sì…” alzò lo sguardo verso di lui. Il viso le si era arrossato, e gli occhi erano brillanti… quante volte André l’aveva vista così prima di affrontare una prova importante!

“Lo porterò se tu sei d’accordo… se tu verrai con me… con noi… Non penserai che possa privarlo di un padre appena acquisito, vero?” sorrise imbarazzata, ma l’aveva detto, c’era riuscita.

André la guardò stupito. Cosa voleva dire? Cosa significavano quelle parole?

“Tuo padre non lo permetterà, penserà che tra noi…” temeva di fraintendere le sue parole, e invece aveva bisogno di sapere con certezza cosa queste significassero.

“Sì, lo penserà, e poi lo accetterà… ma tu te la senti André… te la senti di costruire una vera… ‘famiglia’?”

Allora non aveva capito male… e non stava sognando! La strinse tra le proprie braccia… poi, preso da un improvviso terrore, allontanò il viso dal suo…

“Lo dici solo per il bambino?”

Oscar, ormai completamente abbandonata tra le braccia di lui, divenne di nuovo paonazza, poi gli sussurrò:

“Lo dico per Jean… ma tu mi conosci… sono un’egoista…”

André sorrise, rassicurato più dall’espressione del volto di lei che dalle parole scherzose, e finalmente realizzò quello che era il sogno di una vita…

 

“m-ma… Oscar… lui ti sta baciando!!!”

Oscar e André si voltarono di scatto verso la porta. Nel vano, avvolto in una lunga camicia da notte bianca, c’era il piccolo Jean. Evidentemente l’abbandono tra le braccia di Morfeo non era durato a lungo…

“André, cosa le fai?” continuò il bambino, imperterrito di fronte all’imbarazzo dipinto sui volti dei due adulti.

André gli sorrise:

“Oscar ed io ci vogliamo bene” come era bello il suono di quelle parole!

“Anche io le voglio bene, però non la bacio così…” Jean era un po’ perplesso…

André rideva, mentre Oscar era arrossita e nascondeva il viso nella sua spalla.

“Noi ci vogliamo bene in un altro modo, come un papà e una mamma…”

“Ma... non mi manderete via per questo, vero?” ora sì che era spaventato.

André lo accolse sulle proprie ginocchia, ora piuttosto sotto sforzo, visto che ospitavano l’intera famigliola….

“Certo che no, però andremo via da qui, andremo verso il mare…”

“Io non ho mai visto il mare…” lo interruppe Jean “Ci porteremo anche i cavalli?” aggiunse, terrorizzato all’idea di separarsi dai due bestioni.

“Certo, andremo tutti insieme”

“E voi sarete come dei nuovi mamma e papà?”

André abbassò lo sguardo sugli occhi innamorati di Oscar, ed entrambi annuirono sorridendo.

“Sì, Jean, da oggi in poi saremo una vera famiglia…” sussurrò Oscar dolcemente.

Il bambino, finalmente soddisfatto e rassicurato, li abbracciò entrambi, incuneandosi tra di loro.

“Per questa volta passi…” mormorò André, fintamente imbronciato.

Oscar lo guardò sorridendo, e, sporgendosi sopra la testa del bambino, gli posò un bacio sulla tempia:

“Mi sembra che qui ce ne siano due di bambini, non uno…” gli sussurrò.

André allungò il braccio per accarezzarle i capelli:

“Purché i ruoli all’interno della famiglia siano ben chiari…”

 

 

Fine

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