Un'amica inglese

parte I

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“Ascolta Oscar”, disse il generale Jarjayes.

“Sì, padre…” rispose la figlia minore, colonnello della Guardia Reale, sollevando gli occhi dal libro appoggiato sulle sue ginocchia.

“La prossima settimana arriverà lady de Winter, per una visita”.

Gli occhi di Oscar si illuminarono di gioia. Quanto tempo dall’ultima visita della sorella maggiore!

“Oscar, lady Isabelle condurrà con sé lady Gillygham, una sua cara amica. La ricordi? Rimarranno con noi per due settimane, forse tre.

So che tu sei abituata a vivere sola, ma tua sorella non viene spesso a trovarci da Londra… voglio che tu le accompagni a rendere omaggio alla regina, e… beh, voglio che tu sia la loro guida durante l’intera visita”, concluse, con tono che non prevedeva repliche.

“Ma padre… io sarei molto lieta di farlo, ma ho i miei doveri con il reggimento!”

“Oscar, tu hai davvero poca fiducia in Girodel! Credo proprio che tu possa prenderti qualche giorno di congedo senza problemi, il capitano è abbastanza abile per sostituirti per pochi giorni”, replicò il padre, infastidito.

“Sì, padre”, rispose Oscar, abbassando la testa.

 

La mattina dopo Oscar uscì molto presto dalla sua stanza. Si sentiva di malumore, e non certo a causa della visita della sorella. No, non era questo. Oscar era felice di rivedere Isabelle. Ricordava che, quando era bambina, Isabelle, segretamente dal padre, era solita andarla a trovare, parlandole di tutto, finché… finché Lord de Winter non l’aveva portata via, in Inghilterra.

Oscar aveva dolci, anche se penosi, ricordi di sua sorella. Ma ora il problema non era Isabelle. Il problema era suo padre. La trattava come se fosse ancora una bambina. Lei sapeva che lui le voleva bene, e che era orgoglioso di lei, ma qualche volta egli agiva come se la figlia, di cui aveva fatto un soldato, non fosse in grado di decidere da sola, che avesse bisogno di essere guidata durante l’intera vita.

“Buon giorno, Oscar”, disse la Nanny. “Oggi ti sei alzata molto presto!” La governante stava sorridendo, ma, improvvisamente, i suoi occhi assunsero un’espressione preoccupata.

“Oscar, posso fare qualcosa per te?” chiese.

“Niente, grazie. Sto andando a fare una cavalcata. Ho bisogno di fare una lunga passeggiata”, rispose Oscar, senza sorridere.

“Ma André sta ancora dormendo! Vuoi che lo vada a svegliare?”

“No, non è necessario. Voglio andare sola”.

“Oscar, ma… Sembri così strana, questa mattina…”

Ma Oscar non sentì la sua anziana governante. Era diretta alle stalle, pronta a sellare il suo focoso cavallo bianco.

“André”, borbottò la Nanny, “perché non ti si trova mai quando sarebbe utile…”

 

Oscar stava cavalcando con tutte le sue energie. Non voleva pensare, quindi usava tutte le sue forze per arrivare ad uno sforzo fisico che la lasciasse esausta.

Dopo essersi spinta al galoppo per un lungo percorso attraverso i campi coperti di rugiada, si rese conto che il suo cavallo era stanco, quindi smontò: qualche volta, pensò tristemente, quando siamo presi dai nostri problemi non ci preoccupiamo delle creature che ci sono accanto…

Questo pensiero le provocò un brivido freddo lungo la schiena. Era davvero strano! Le sue parole non erano che un luogo comune sentito tante volte, eppure…

La campagna era molto bella in quei giorni di fine marzo. Tanta bellezza le faceva male. Non poté fare a meno di pensare a Fersen. Era ancora in America, nonostante la Guerra di Indipendenza fosse terminata qualche anno prima.

“Perché non torni?” Mormorò, tra le lacrime.

Oscar aveva sentito a Corte che alcuni soldati avevano riferito che Fersen era stato ferito durante la battaglia finale, e che aveva bisogno di cure esperte.

“Oh, Fersen,” sussurrò, “sopravvivi e torna, ritorna da me”.

I suoi occhi si colmarono di lacrime, ma… erano davvero solo per il conte svedese le sue lacrime?

 

Oscar era ancora triste quando tornò a casa. Stava entrando nell’atrio quando vide André, fermo ai piedi dello scalone, che la stava aspettando. Non poté evitare di passargli accanto. Alzò gli occhi, ancora colmi di lacrime. Gli occhi verdi di André erano fissi nei suoi, ma nessuno di loro disse niente. Quel silenzio era la prova evidente della distanza che il conte svedese aveva scavato tra loro.

 

I doveri giornalieri fecero sentire meglio Oscar. Stava lasciando i suoi soldati solo per pochi giorni, come suo padre aveva detto, ma era così attaccata al suo lavoro che soffriva anche per quella breve separazione. Il suo lavoro era ciò che le permetteva di resistere, di sopravvivere ai suoi sentimenti.

I giorni passarono rapidamente.

“Domani Isabelle tornerà a casa”, pensò Oscar, guardando fuori dalla finestra della sua camera. “Sono felice, ma… lei è la donna che potrei essere, se fossi stanca di essere un soldato…”

Questo era uno strano pensiero. Era un po’ di tempo che idee inopportune si affacciavano nella sua mente.

Ma ora doveva andare ad esercitarsi con le pistole, sicuramente André la stava aspettando, e lei aveva bisogno di distrarsi.

 

“Che giornata!”  pensò Oscar, gli occhi persi nel suo bicchiere di vino.

Che gioia rivedere Fersen! Quanto tempo dalla sua partenza per l’America. E ora… ora era di fronte a lei, con un bicchiere colmo di vino rosso tra le mani.

La serata era così calma, così limpida, davvero diversa dal suo cuore, ancora stravolto da quel pomeriggio.

Fersen aveva un viso stanco, malinconico forse. I suoi occhi erano gli occhi di un uomo senza speranza. Oscar non si illudeva. Sapeva quale altro viso oscurava i pensieri di Fersen. Sapeva che non era il proprio, ma, nonostante questo, non poteva trattenere la propria felicità. Forse… forse, stando lontano da Maria Antonietta, Fersen l’avrebbe guardata con occhi diversi…

“Sarò contenta di darvi ospitalità per il tempo che vorrete. Sapete che per me è un piacere godere della vostra compagnia”, disse, gli occhi ancora catturati dal bicchiere che dondolava tra le dita.

“Grazie, madamigella Oscar, accetto la vostra proposta.” Quindi Fersen sorrise: “Credo che voi siate il mio unico amico a Versailles. Tutti gli altri si saranno divertiti, durante la mia assenza, parlando di me e ….” Non poté continuare. Il solo nome era per lui una sofferenza.

“E’ stato tanto tempo fa. A Versailles le persone cambiano rapidamente. Credo che riconoscerete molte poche persone nei salotti della Corte”, mormorò lei lentamente.

“Sì, può essere così, ma… è molto probabile che, se andassi a Versailles, ogni nuovo ospite capirebbe in un istante perché il mio nome è così famoso”.

Rimasero in silenzio per qualche momento. Il fuoco nel camino si stava estinguendo, e anche le speranze di Oscar diventavano più flebili… Era passato molto tempo, ma i sentimenti di Fersen sembravano più forti che mai.

 

Il mattino successivo portò gli ospiti tanto attesi.

Una carrozza molto lussuosa, con lo stemma di un’aquila bianca con un serpente nel becco, attraversò la proprietà dei Jarjayes.

“Mia sorella! deve essere la sua carrozza!” Disse Oscar ad André, mentre, in piedi dietro ai vetri della finestra, beveva un tazza di tè.

André non rispose. Oscar parlava come se fosse sola. Da quando era arrivato Fersen, loro due erano distanti più che mai.

La carrozza si arrestò davanti all’antico portone.

“Oscar, vado ad aiutare la nonna a portare dentro i loro bagagli”, disse, guardandola in viso.

“Va bene”, gli rispose lei, senza distogliere gli occhi dallo sguardo triste dalla finestra. Non stava pensando alla sorella, in quel momento.

 

“Oh… cara Oscar! Come stai? Quanto tempo dal nostro ultimo incontro!” Isabelle, entrando nell’atrio, corse per abbracciare la sorella più giovane. “Sei cresciuta! Non eri che una bambina quando io partii per Londra.”

“E’ vero, Isabelle”, le rispose Oscar con un sorriso. “Sono passati tanti anni da quando hai lasciato la nostra casa”.

“Oh Oscar, posso presentarti lady Pamela Gillygham? E’ una mia cara amica, e… beh, io le ho raccontato così tante cose su di te, che ora è davvero curiosa di conoscere la mia piccola sorella!”

Oscar accennò un inchino:

“Sarò a disposizione di entrambe”.

“Madamigella Oscar, siete davvero gentile”, replicò lady Pamela con un sorriso affascinante.

Oscar studiò la sua nuova ospite. Lady Pamela doveva essere un poco più giovane di lei. Aveva capelli dai riflessi tizianeschi e occhi grigi. Indossava un elegante abito da viaggio e aveva un modo molto particolare di guardare le persone, da sotto in su.

“Oscar, dimmi”, disse Isabelle, prendendo una tazza di tè dal vassoio appoggiato sul tavolo, “chi è quel bel giovane che ho intravisto nell’atrio?”

“Beh..” Oscar era dubbiosa. Chi diavolo aveva visto sua sorella? “Era biondo o bruno?” Chiese con tono incerto.

“La nostra visita si preannuncia davvero eccitante”, rise Isabelle, rivolgendo uno sguardo alla sua amica inglese. “La casa di mio padre sembra essere piena di affascinanti gentiluomini!”

Oscar arrossì. Era imbarazzata e arrabbiata con sua sorella: perché doveva dire cose simili!?

“Beh, Oscar, aveva capelli scuri, luminosi occhi verdi e…”

“E’ André”, la interruppe Oscar bruscamente.

“André!? Il nostro piccolo André? Il nipote di Nanny?”

“Sì, è lui”.

“Oh Oscar, non posso dire altro che…”

“Che dalla tua ultima visita è passato davvero molto tempo!” Lady Pamela concluse per lei.

Oscar sapeva che la frase di lady Gillygham voleva essere un aiuto, un modo per uscire da un argomento trattato in maniera inadatta dalla sorella, ma… c’era stato un lampo di curiosità nei suoi occhi quando Isabelle aveva chiesto di André e… ad Oscar non era piaciuto.

Meraviglioso, pensò Oscar, per completare la scena Fersen stava entrando per la colazione! Durante 364 giorni non c’era stato nessuno che visitasse lei o il padre, e ora? Ora sembrava che l’intera corte si fosse trasferita a palazzo Jarjayes!

“Cara sorella, lady Gillygham, ho il piacere di presentarvi il conte Hans Axel di Fersen. Egli proviene dalla Svezia, ma ora è appena tornato dalle Americhe”.

“Avete combattuto accanto all’esercito inglese, contro i ribelli?”, chiese Isabelle, porgendogli la mano da baciare e ignorando che Fersen aveva dedicato se stesso a difendere la causa francese.

“No, Milady. Sono mortificato, ma io ero dalla parte dei ‘ribelli’”, replicò lui, sorridendo.

“Oh, ma ora è una cosa passata”, disse lady Pamela. “Parigi deve essere davvero bella in questo periodo dell’anno, non è vero?”

Ad Oscar sembrò che questa nobildonna inglese si facesse un dovere di evitare qualsiasi argomento spiacevole. Ma poi non poté trattenersi dal chiedersi quale potesse essere il suo atteggiamento riguardo ad argomenti che la coinvolgevano da vicino.

 

Quel pomeriggio trascorse con una visita a Parigi. Oscar dovette accompagnare le sue ospiti, ma non volle André con sé. Era totalmente inutile soffrire in due, aveva pensato.

Fersen rimase a casa con André. Oscar aveva sentito che avevano intenzione di esercitarsi con la spada. Rimpianse la necessità di accompagnare la sorella. Sarebbe stato molto più divertente rimanere con i suoi amici…

Quando tornò a Palazzo Jarjayes, anche André e Fersen stavano tornando da una cavalcata.

“Che meraviglioso cavallo”, disse Isabelle avvicinandosi alla cavalcatura di André. “Devi essere davvero un abile cavaliere. Sembra piuttosto focoso”.

“E’ il mio cavallo da così tanti anni che ormai mi si è molto affezionato, ora non potrei avere problemi con lui.”

“Sei troppo modesto. Non lo pensi anche tu, Pamela?”

Oscar si voltò, in modo da osservare la donna.

“Sì, io conosco i cavalli molto bene, e ho capito al primo sguardo che il vostro deve essere molto passionale, impetuoso…” rispose fissando André.

Oscar arrossì, prima per l’imbarazzo, poi per rabbia. Cosa stava dicendo quella… quella ‘donna’?

Lady Isabelle, invece, scoppiò in una allegra risata, mentre André si voltò per condurre il cavallo verso le spalle.

Fersen, ancora sul suo cavallo, stava osservando l’intera scena, per capire quale fosse la causa di tanta elettricità nell’aria.

 

 

Continua...

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