Solo uno

parte 7

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 Nota della webmaster: questo racconto era presente sul sito di Alex, La leggenda di Versailles. Quando il sito, per una sofferta e dal mio punto di vista comprensibilissima, decisione di Alex ha chiuso, il racconto era rimasto senza finale, in particolare, senza uno dei finali. L'autrice si è rivolta al sito Little Corner per curare una nuova pubblicazione, con una nuova revisione del testo e noi siamo felici di accoglierla. Cogliamo anche l'occasione per un saluto affettuoso alla nostra Alex!

 

Era stato in una giornata di sole. Oscar e Fabrice stavano passeggiando, senza una meta precisa, in silenzio. Contrariamente al solito, era stata Oscar a spezzarlo.

- Fabrice? – lo aveva chiamato. – Senti, c’è una cosa di te che non mi hai mai detto, e sono curiosa di saperlo.-

- Cosa, madama Oscar?-

- Ecco, tu mi dicesti che la tua famiglia è morta, e che non avevi altri parenti. Con chi vivi ora? Possibile che, chiunque sia, ti lascino libero di girovagare tutto il giorno, tutti i giorni, per di più con una persona sconosciuta?-

Fabrice, una volta tanto, non aveva risposto. Aveva abbassato il capo, pensieroso. Era come se stesse valutando i pro e i contro del rispondere alla domanda.

- Io sono un apprendista – le aveva risposto, rialzando la testa di scatto – ma mi hanno detto che sono troppo debole per iniziare veramente l’apprendistato, così sono libero di andare e venire come voglio. La mia signora dice che così mi rafforzerò. Se volete, posso farvela conoscere. È qui vicino.-

Stavolta toccò ad Oscar abbassare il capo e pensare, indecisa. D’altronde… perché no?

- Va bene Fabrice. Portami a conoscere la tua signora.-

Un sorriso, come se stesse aspettando solo quello.

- Venite madame.-

Per un momento, sembrò che volesse prenderla per mano, ma lei la ritrasse, istintivamente. Non voleva assolutamente essere toccata, da nessuno. Lui allora aveva sorriso, si era voltato, conducendola attraverso la spiaggia, sopra la scogliera… la casa era lì, raccolta, quasi nascosta. Un poco discosta dalla spiaggia, si ergeva silenziosa e solitaria, quasi addormentata. Attorno ad essa gravitava un senso di calma e tranquillità che niente sembrava in grado di spezzare, alcuna forza né umana né naturale.

Mentre si avvicinavano, Fabrice rallentò il passo, che fino allora avevano mantenuto sostenuto, fin quasi a fermarsi. Restarono davanti alla porta per un tempo che, più tardi, Oscar non avrebbe saputo dire a quanto ammontasse. Rimasero fermi davanti alla porta finché questa non si aprì, lasciando uscire la misteriosa proprietaria dell’edificio.

Aveva gli occhi e i capelli castani. Era alta, e magra. Non poteva avere più di vent’anni, eppure… nei suoi occhi… c’era un qualcosa di antico.

Si guardarono. Per un istante, il tempo parve cristallizzarsi. Nei grandi occhi castani dell’altra, ad Oscar sembrò di vedere un’altra verità. Vide… vide… vide…

… vide una vita senza tempo, un’esperienza senza limiti, un’emozione senza età. Tutto questo vide, finché lei non chiuse gli occhi, interrompendo quel momento.

- Buongiorno Fabrice. Vedo che hai portato un’ospite. – disse. E, rivolgendosi a lei – benvenuta Oscar. Ti aspettavamo. Vieni, entra. -

Si spostò di lato, invitandola ad entrare. Senza neanche sapere cosa stava facendo, Oscar salì i tre gradini dell’ingresso, oltrepassò la soglia, entrò nella casa. La giovane la precedeva, elegante figura in rosso, quasi irreale.

Quella, fu la prima volta. Ad essa ne seguirono altre, molte altre. In quella casa, Oscar passava ore stranissime, discorrendo, chiedendo, rispondendo, discorrendo…

 

… - Qual è il tuo nome?-

- Uno qualsiasi.-

- Come, uno qualsiasi?-

- Sì. Chiamami come preferisci.-

- Ma… io… non saprei…-

Era scoppiata a ridere.

- Se proprio tieni a che io ti dia un nome con cui chiamarmi… beh, puoi chiamarmi Sabina, se vuoi.-

- Sabina… è il tuo nome?-

- No. Se non ti piace, puoi chiamarmi in un altro modo.-

- No, credo che ti chiamerò così, per ora.-

 

… - Dimmi di Alain.-

- Alain?-

- Sì. Lui ti ama, vero?-

La tazza di tea in mano, Oscar giocherellava col cucchiaino, fingendo di non aver sentito.

- Oscar?-

- Sì… credo di sì. – un sussurro, appena percettibile. Ma che arrivò comunque alle orecchie della giovane.

 

… - Mi dirai mai il tuo vero nome?-

- Perché? Non ti piace Sabina? Nel caso, puoi chiamarmi Tiziana.-

- È il tuo nome?-

- No. –divertita, lo disse.

 

… - Ne sei sicura?-

- Di che cosa?-

- Che morendo lo ritroverai.-

- Gli sarò comunque più vicina di ora.-

- Lo credi?-

- Perché non dovrebbe essere così?-

- Il vostro, è un Dio terribile, punitivo, quasi vendicativo. Sei sicura che non ti attenda di peggio? Si può essere vicinissimi eppure lontanissimi, ed è una delle torture più grandi.-

- Mi aspetta una sorte peggiore dopo la morte?-

Non rispose, ma rimase a fissarla, sorridendo.

- Credi che sia in grado di dirtelo?-

Silenzio. Poi…

- Sì. Da te, mi aspetto di tutto.-

Rise, Sabina/Tiziana. Ma non rispose. Disse solo…

- Non morirai Oscar, non è ancora il momento.-

 

… - Non ti confondi mai?-

- Mm? Riguardo a cosa?-

- Il nome. Se tutti ti chiamano con un nome diverso, ne nasce una babele, no?-

- No. Sabina, Valentina, Simona, Tiziana, Tania, Marina, Denise…sono solo nomi, parole, aria. Ciò che veramente conta, è il pensiero, la volontà di chiamare me e nessun altro. È quella che io percepisco.-

Per qualche secondo nessuna delle due parlò, limitandosi a bere la propria cioccolata. Poi…

- Perché vuoi morire Oscar?- Oscar ne fu stupita, non si aspettava un quesito del genere. Neanche, o forse soprattutto, dopo quello che aveva vissuto in quella casa. Le stranezze, la consapevolezza, la comprensione quasi totale, a momenti la preveggenza.

- Perché dovrei vivere? – ribaltò allora la domanda.

L’altra scosse le spalle.

- Per te, per i tuoi amici, per la Francia, per lo spettacolo della natura… C’è sempre un motivo per vivere.-

- Avevo… un solo motivo per vivere. Quel motivo era André. senza di lui… non vale la pena di vivere.

- Solo un motivo. -  ripeté Sabina, pensierosa, lo sguardo fisso. – Solo un motivo.-

- Sì, solo uno.-

 

… - Vesti sempre di rosso?-

- Sì, quasi sempre.-

- Come mai?-

- Mi piace. Inoltre, in alcuni paesi, quelle come me vestono sempre di rosso, per indicare cosa sono.-

- Cioè?-

- Pericolose. Pericolose da toccare, come la fiamma. Ma in grado, a volte, di fare cose che possono sembrare miracoli. – E chinandosi fin quasi a sfiorarla, le disse – Non perdere mai la speranza, Oscar, anche quando sembra che tutto vada storto. Non perderla mai, perché hai avuto la tua dose di dolore, e ora è giusto che possa trovare la felicità.

- Come posso trovare la felicità senza André?-

E lei, raddrizzandosi:

- Chi ti ha detto che devi essere felice senza André?-

- Ma André è morto.-

- Ma allora non mi ascolti! – fu l’unica, sibillina, sorridente risposta…

 

In tutti quei giorni, in cui andò in quella casa, in cui discusse con quella ragazza, Oscar non si accorse mai della presenza di un’altra persona. Dietro una porta socchiusa, quasi di fronte a lei, assisteva a tutti quegli incontri, dapprima limitandosi ad ascoltare, causa le bende che fasciavano i suoi occhi, poi beandosi della vista di lei, trattenuto entro il limitare della porta solo da una promessa, e dalla presenza (perché nessuna promessa, nessun impegno poteva avere valore se impedivano che potesse starle accanto) dalla presenza di un’altra donna, che lo tratteneva dal precipitarsi dentro e abbracciarla, abbracciarla per non lasciarla mai più.

 

Di tutto questo, Alain e Rosalie non sapevano niente. Avevano solo notato che, da qualche tempo, Oscar sembrava stare meglio, essere più forte, meno sofferente e febbricitante. Non avevano sospetto di nulla. Gli sarebbe stato rivelato tutto insieme. Questo e anche altre cose ignote anche ad Oscar. Sarebbero state svelate nel giorno che pareva dovesse essere il peggiore di tutta la loro vita, e che invece avrebbe segnato l’inizio di una nuova vita.

 

parte 7b

 

 

Di tanto in tanto, Oscar si svegliava convinta di essere una brava cuoca. Si alzava all’alba e iniziava a cucinare qualsiasi cosa le capitasse sottomano, sconvolgendo l’ordine che Rosalie tentava di mantenere in cucina.

La prima volta che era successo, Alain e Rosalie erano stati svegliati dall’odore di bruciato, ed erano corsi giù, temendo che stesse andando a fuoco la casa. Invece avevano trovato lei, in cucina, indaffarata tra pentole e fornelli, con un grembiule annodato sopra i pantaloni e i barattoli di spezie aperti tutt’intorno a lei. Erano rimasti a bocca aperta per qualche secondo, prima che Rosalie corresse a togliere una pentola dal fuoco, per evitare che si rovinasse completamente. Si era voltata per esaminare anche le altre, ma Oscar l’aveva aggredita.

- Maledizione, Rosalie, cosa diavolo stai facendo?-

- Ma… monsieur Oscar… sta bruciando tutto…-

- Ma cosa stai dicendo? – aveva iniziato a urlare lei – Sta cuocendo, capisci? Cuocendo, non bruciando! È uno stracotto, gli stracotti cuociono a lungo. Cuociono, capito? Cuociono, non bruciano! Credi forse che io non sappia riconoscere quando una pietanza sta bruciando? Allora? Avanti, parla! Parla!-

Quel giorno, Rosalie ringraziò mille volte di aver avuto modo di frequentare Versailles, e di aver imparato le sue regole di comportamento. Non avrebbe mai superato quel momento, altrimenti.

- No, no monsieur, non penso questo. Scusatemi, ho agito d’impulso, e ho sbagliato. Non volevo offendervi. – fece una pausa, per osservare il volto ancora corrucciato di Oscar. Buttò – Volete che lo rimetta sul fuoco, Monsieur?-

- No, lascia stare. Ormai è rovinato. – rispose lei, ancora sdegnata, ma un po’ rabbonita dalla risposta di Rosalie.

Alain, intanto, si era affrettato a spalancare tutte le finestre, sperando di riuscire a contrastare la diffusione di quella puzza. Ora osservava perplesso le due donne, Rosalie timida e timorosa, rattrappita in se stessa e ansiosa di calmarla, e Oscar, eretta e fiera, corrucciata e silenziosa, incurante degli altri.

Era capitato molte altre volte di vederla così, dopo, in mezzo ai fornelli, indaffarata e soddisfatta di quello che preparava, e ogni volta lo stesso odore svegliava i suoi coinquilini, che aprivano le finestre e la lasciavano fare, anche se consumava le loro già scarse provviste per qualcosa che nessuno di loro mangiava. Una volta giudicato il tutto pronto, infatti, lei lo versava in un piatto e lo portava fuori, lontano, lungo la spiaggia. Lo poggiava per terra, e lasciava che acqua e sabbia riempissero il piatto. Si sedeva per terra, e guardava quel cibo già immangiabile farsi una poltiglia informe, parlava da sola, rivolgendosi al mare chiamandolo André, e chiedergli se era buono il cibo che gli aveva preparato, e rispondendo che sì, era sicura che gli piaceva, gli era sempre piaciuto quello che gli cucinava lei, quando decidevano di fuggire per qualche giorno, e sparivano da casa insieme… e continuava così per ore, finché non si faceva notte, e a volte anche dopo, restando a parlare al buio, confondendo la realtà con i suoi desideri. Tutto questo durava alcuni giorni, poi, senza alcun motivo apparente, tornava alla “normalità”, riprendeva le sue passeggiate solitarie e i suoi mutismi, le sue riflessioni personali e le sue reazioni esagerate a ogni tentativo di toccarla. Loro non avevano mai osato parlarle delle sue avventure culinarie, che d’altronde lei mostrava di non ricordare, e si limitavano a sopportare le sue sempre più numerose stranezze, cercando di mantenere un’apparenza di equilibrio nella loro vita. Evitavano di doverla contrariare, o turbare in qualsiasi modo, ma facevano in modo da avvolgerla quasi nella bambagia, così come era sempre stata. E lei continuava a passeggiare da sola, a svegliarsi all’alba per cucinare, a evitare qualsiasi tipo di tocco.

A volte si rinchiudeva in camera sua, e rifiutava di uscire per qualsiasi motivo. Potevano sentirla, allora, piangere e lamentarsi, e quelle erano le occasioni in cui più temevano per lei, perché la sentivano imprecare contro se stessa, dichiararsi indegna di vivere, accusarsi della morte di André.

Ciò non era così nuovo come essi pensavano, erano pensieri che covava dal quel giorno, erano gli stessi pensieri che i suoi soldati avevano intuito e che li avevano fatti decidere a seguirla sempre. Ma allora erano solo supposizioni, mentre adesso erano fatti, certezze, che  li spaventavano perché non lasciavano spazio a speranze, e che avevano rafforzato in Alain l’abitudine a seguirla. Solo che adesso non aveva nessuno con cui dividere l’incombenza, e non era l’unica occupazione cui dovesse dedicarsi.

Era stato una coincidenza fortunata che si fosse trovato nei paraggi, nell’episodio con Marc.

 

Una sola cosa non cambiava mai, pur con tutti i suoi mutamenti d’umore: il suo rifiuto di mangiare. Avevano tentato di convincerla, ma tutti i loro stratagemmi non avevano sortito alcun effetto. Da principio, Oscar si era limitata a un abbozzo di sorriso, l’espressione più allegra che fosse ormai possibile tirarle fuori, e una scrollata di spalle. Quando loro avevano insistito, si era dimostrata prima perplessa, poi sempre più seccata, finché non aveva iniziato a disertare i pasti, senza che loro potessero appigliarsi ad alcunché per farla tornare sulla sua decisione. Lei non dava motivazioni, non rispondeva alle loro domande, ai loro discorsi, rimanendo muta e composta come una statua, e loro temevano, insistendo e andando più in profondità, di turbarla e scatenare un’altra delle sue reazioni. Ed era una cosa che avevano deciso di evitare.

E restavano così, impotenti di fronte alla sua pazzia, incapaci di capirla, timorosi di sapere da che lato prenderla. Avrebbero dovuto imparare in poche settimane ciò che André aveva imparato in una vita, avrebbero dovuto rischiare, sbagliare, e imparare dall’errore, e di  nuovo rischiare, con costanza. Ma il tempo era volato via, senza lasciar scampo e speranza, se n’era andato portandosi sempre più via la salute di Oscar, prendendola senza battaglia, come un dono di commiato.

Oscar voleva andarsene assieme al tempo, e loro non potevano impedirlo. E questo li spaventava.

pubblicazione sul sito Little Corner del settembre 2004

Continua...

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