Solo uno
parte 5
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Nota della webmaster: questo racconto era presente sul sito di Alex, La leggenda di Versailles. Quando il sito, per una sofferta e dal mio punto di vista comprensibilissima, decisione di Alex ha chiuso, il racconto era rimasto senza finale, in particolare, senza uno dei finali. L'autrice si è rivolta al sito Little Corner per curare una nuova pubblicazione, con una nuova revisione del testo e noi siamo felici di accoglierla. Cogliamo anche l'occasione per un saluto affettuoso alla nostra Alex!
Nota della webmaster: a causa di impegni in questo update mi è stato impossibile procedere alla revisione dei testi delle ff, che pubblico, quindi, così come mi sono stati inviati. Me ne scuso con gli autori e con i lettori.
Era un giorno come tanti. Era uscita presto quella mattina, senza neanche fare colazione, senza neanche pensare alla colazione. Non aveva fame. Ma quel giorno si sentiva in forma. La febbre che l’aveva tormentata per tutta la notte era passata. La tosse si era temporaneamente calmata. Il solo splendeva in un cielo azzurro e senza nubi. L’aria era tiepida, senza un filo di vento. Tutto invitava alla pace. Ma lei non vi badava. Il sole non le risvegliava più alcuna emozione, nessun pensiero, se non quello che poteva uscire da quella casa, così come in una giornata di pioggia non poteva.
Aveva camminato a lungo, come sempre.
Non aveva visto niente, come sempre. Strade, ponti, piazze, tutto le sfilava davanti senza che lei ci badasse minimamente.
Per i suoi soldati, seguirla non era un’impresa difficile, semmai noiosa. Oscar non faceva mai nulla di particolare.
L’unica difficoltà che incontravano era riuscire a vincere la tentazione di correre ad aiutarla, a sostenerla, quando la vedevano tossire e accasciarsi al suolo senza forze. Non sapevano quale fosse il suo male, ma sapevano che qualche malattia insidiosa e sottile la stava portando via da loro, senza che loro potessero farci niente. Il dottore non aveva ancora espresso i suoi timori, limitandosi a raccomandare riposo assoluto, riposo che nessuno riusciva a farle rispettare. Nessuno era mai riuscito ad imporle una scelta, tranne suo padre, e lei ora, forte della promessa fatta ad Andrè, era decisa a non accettare più ordini o imposizioni, o qualsiasi altra cosa potesse farla deviare dalla strada della sua volontà.
Così usciva e camminava, e i suoi soldati la seguivano, e si preoccupavano.
In tutte le sue passeggiate, non le era mai capitato di incontrare delle pattuglie. Rimase così un po’ sorpresa quando si ritrovò di colpo in mezzo a dei soldati. Una mezza dozzina circa. Indossavano un’uniforme che lei aveva visto da quando era bambina e seguiva suo padre in mezzo ai suoi soldati. Erano, per lei, tutte facce sconosciute. Tutte, tranne una.
Il vecchio deLaFère l’aveva conosciuta fin da bambina. Era uno degli uomini di fiducia di suo padre e le era stato spesso citato come esempio. Era sempre stato nel reggimento di suo padre, e credeva che sempre vi sarebbe stato: era uno dei più fedeli collaboratori di suo padre. Per questo era sicura di ciò che sarebbe successo. Per questo era sicura che finalmente avrebbe ottenuto ciò che più voleva.
Non si era accorta di star camminando verso quei soldati, e i suoi uomini non li avevano notati. Erano quasi alla fine del loro turno, e si stavano preparando a dividersi perché uno guidasse i compagni verso il loro comandante.
DeLaFère(1), invece, si era accorto di lei, si era accorto che lei non li aveva notati e si stava dirigendo verso di loro, inconsapevole. Aveva avvertito gli altri. si erano distanziati, pronti a prenderla in mezzo. Con un gesto, aveva mandato uno ad avvertire il generale, qualche isolato più in là. Non era lontano, sarebbe arrivato in breve tempo. Forse, troppo breve.
Era avvenuto tutto in pochi istanti.
Oscar non si era accorta di nulla.
I suoi soldati non si erano accorti di nulla, se non quando era stato troppo tardi.
I soldati della Corona erano pronti. Oscar camminava verso di loro. Ormai era accerchiata, senza che loro dovessero fare alcunché. Fu tutto molto semplice. Nessun combattimento, nessun sguainare di spade, nessun ferito. Oscar si ritrovò davanti, improvvisamente, deLaFère che le sbarrava il cammino, col cappello in mano.
Gli altri si erano avvicinati in quattro passi, circondandola.
Oscar si fermò, guardando deLaFère. Sorrise. Si ricordava di tante volte…
Tante volte in cui l’aveva presa sulle ginocchia e le aveva portato qualche dolce, ben conoscendo la sua golosità.
Suo padre non ammetteva che lei fosse golosa. Lo considerava un vizio indegno di un soldato. Ma deLaFère continuava imperterrito a portarle dolci, rispondendo che un ufficiale deve essere un gentiluomo, consapevole e in grado di apprezzare i propri privilegi. Le sembrava di sentirlo nuovamente, mentre rispondeva a suo padre:
“DeJarjayes, voi state educando Oscar perché diventi un soldato degno della tradizione della vostra famiglia, ma non dimenticate che è anche un nobile. Un nobile deve saper apprezzare i privilegi propri della sua condizione, quei privilegi che lo differenziano da un popolano. Ebbene, tra questi privilegi rientrano anche i dolci.” Dopo questa tirata suo padre sorrideva e le permetteva di mangiare il dono, che lei divideva quasi sempre con Andrè… Andrè… una fitta di dolore le serrò il cuore, mentre il pensiero tornava a lui. Per un attimo il sorriso dal suo volto scomparve, lasciando intravedere, attraverso l’ennesima maschera che si era costruita, la desolazione che era in lei. Ma non fu che un attimo. Subito la consapevolezza della propria morte vicina, oh quanto vicina, le riaccese negli occhi la speranza e le fece rifiorire sul viso quel piccolo sorriso.
Ironia della sorte! Da bambina, aspettava con ansia le visite di deLaFère, sapendo che le avrebbe portato quel che desiderava. Ora, anche ora, lo sapeva, le stava portando in dono ciò che lei aspettava, e che le era stato negato.
Le portava un occasione per morire. Morire, e raggiungere Andrè.
Sorrise, guardandolo con la stessa luce di aspettativa con cui lo guardava da bambina. Quel sorriso, era il primo di vera felicità che le spuntava sulle labbra dalla morte di Andrè. DeLaFère vide quel sorriso, e ne rimase turbato. Non era logico, sulle labbra di un condannato a morte come lei. Non si intonava con la consapevolezza di esserlo che leggeva nei suoi occhi. Non poteva esserlo. No, non poteva, a meno che lei non volesse veramente… ma quell’eventualità era peggiore di qualsiasi altra.
Dovette deglutire più volte, prima di riuscire a parlare.
- Buongiorno, madamigella Oscar. Felice di rivedervi.
- Mai quanto me, deLaFère. Mai quanto me. – fu l’inquietante risposta.
- Spero siate in buona salute. – quei convenevoli erano più adatti a un ballo che a quella situazione. Il tono in cui erano pronunciati, si sarebbe adattato meglio ad un elegante salotto, a degli abiti eleganti, che a quella strada e quelle divise sporche, strappate.
- Non mi lamento, monsieur. Tuttavia, credo che starò meglio tra poco. – scherzava sulla propria morte, consapevole di farlo, decisa a farlo, contenta di farlo.
- Già, credo anch’io, Oscar. – allibito, non sapeva che rispondere. Possibile che…? – Ma giuro che mi dispiace. Non avrei mai pensato che sarebbe finita così. Sì, mi dispiace veramente.
- A me no, deLaFère. A me proprio no. - rispose Oscar, accentuando il suo sorriso. – Dov’è il generale?
- Vostro padre?
Ci fu un attimo di silenzio. Oscar lo guardava. Scosse la testa.
- Non è più mio padre, deLaFère. Ho rinunciato alla nostra parentela, quando ho rinunciato al mio nome per unirmi al popolo. – rispose lei, con un sorrisetto.
- Sta arrivando, sarà qui tra pochi minuti.
Lei annuì.
- Vi dispiace se intanto mi siedo?
- No, naturalmente. Sedetevi pure.
- Vi ringrazio, deLaFère. – si sedette, poggiando la schiena al muro. - Non pensate di starvi comportando un po’ troppo gentilmente con me? Io ve ne sono grata, ma voi rischiate un’accusa di tradimento. Io sono una traditrice, per l’esercito e per la monarchia. Sono sospettabili tutti coloro che hanno o hanno avuto rapporti con me. – deLaFère sorrise, ironico.
- Sospettato? l’ufficiale che vi ha catturato? Andiamo! E solo per avervi permesso di sedere? Ma quello è una garanzia per me! Un nemico seduto non scappa! Ma non temete, - continuò, senza lasciarle il tempo di rispondere – so fino a dove posso spingermi. Il mio affetto per voi è abbastanza perché vi parli gentilmente, ma non vi permetterò di fuggire. Starò bene attento a non darvene la minima possibilità.
Quelle parole avrebbero dovuto essere minacciose, almeno fredde. Avrebbero dovuto provocare in lei una qualche reazione di spavento, almeno di preoccupazione. E invece…
Oscar scoppiò in una risata. Alta, penetrante, acuta.
Scosse deLaFère, fino al midollo.
Scosse i soldati che l’avevano catturata, che credettero di star guardando una pazza.
Attirò l’attenzione dei suoi uomini, che stavano discutendo. Si interruppero. Si voltarono. Si accorsero della situazione con uno sguardo.
- Merde! – disse uno – questa non ci voleva! Presto, vai a chiamare gli altri!
Non ci furono obiezioni, discussioni inutili. L’altro partì come un razzo verso il loro campo. Più veloce che poteva, perché un minuto guadagnato poteva cambiare tutto. Rischiavano di perdere definitivamente il loro comandante. Comandante, e molto di più.
La risata finì bruscamente come era iniziata. Oscar si appoggiò all’indietro, sorridendo ironicamente.
- Non temete, conte. Non ho alcuna intenzione di fuggire. Non ho proprio la minima intenzione di far qualcosa per evitare la mia sorte. – ripeté lentamente, mentre il suo sorriso si distendeva.
I suoi catturatori erano sbalorditi.
Il suo soldato, all’angolo della via, era rimasto di sasso.
Oscar non voleva fuggire… quindi…voleva… morire…
Non riusciva a capacitarsene. Possibile che la sua disperazione l’avesse portata a tal punto? Possibile che nessuno, nessuno se ne fosse accorto?
Quelle parole avevano colpito deLaFère al cuore. Voleva bene ad Oscar. Per lui era ancora la bambina che frugava nelle sue tasche alla ricerca delle caramelle. Ora, lo sguardo tranquillo e il sorriso ( soddisfatto? realizzato? aveva la luce di chi vede la felicità che l’aspetta appena si sarà liberato del suo involucro di carne) con cui aveva accompagnato quelle parole, gli avevano fatto sorgere mille pensieri e mille emozioni, ma i predominanti erano la costernazione… e una domanda, “Perché vuole questo? Cosa le è successo?”
Non ebbe il tempo di arrovellarsi alla ricerca di una risposta. Proprio in quel momento arrivò il generale, condotto dal soldato che aveva mandato a chiamarlo. Il suo viso era scuro e indecifrabile. Covava una grande emozione dentro di sé, ma non dava ad intendere quale fosse.
Oscar sorrise, al vederlo, e si alzò in piedi. Per qualche momento si fronteggiarono in silenzio, lui truce e cupo, le mani serrate, lei calma, quasi sorridente. Sentiva avvicinarsi sempre di più il momento della sua ricompensa.
Lui. Lui non vedeva il suo sguardo. Non vedeva il suo lieve sorriso. Non vedeva la sua divisa macchiata e rammendata. Vedeva solo che lei era lì, di nuovo. Aveva sperato che morisse, prima che fosse catturata. Aveva sperato che fuggisse, dopo che era stata catturata. Aveva sperato tante cose, prima e dopo, ma soprattutto aveva sperato di non trovarsi in quella situazione. Aveva sperato di non dover essere lui a colpirla, lei, quella figlia su cui aveva riposto tante speranze… quella figlia tanto odiata, quando le aveva infrante…eppure tanto, tanto amata, ancora, nonostante tutto, nelle profondità del suo cuore.
E poi, d’improvviso…
Oscar quasi non se ne accorse. Del resto, l’aveva messo in conto. Suo padre aveva usato quel gesto su di lei tante altre volte, nella sua giovinezza. Era la cosa più logica, che anche in quel caso reagisse in quel modo. E quel gesto, che tante volte aveva risvegliato in lei rabbia, ribellione, o semplicemente tristezza, ora le dette solo quella sicurezza che lei cercava.
Uno schiaffo. Veloce, deciso, improvviso. Come tutte le altre volte, l’aveva gettata a terra. Suo padre era vecchio, ma lei era malata… malata e quasi priva di forze.
- E adesso, cosa vorresti che facessi, sciagurata? – le chiese, la voce fredda, piatta, incolore. – Cosa ti aspetti che faccia?- le urlò in faccia.
Lei si rialzò a sedere, lentamente, sostenendosi con le braccia. Lo guardò in faccia e rispose, tranquilla, la stessa tranquillità che aveva avuto parlando con le dame di Versailles:
- Che mi uccidiate.
Calmo, lapidario, fulminante.
Il generale ci restò di sale.
Oscar si alzò del tutto. Ripeté, calma all’inizio, agitandosi man mano che parlava.
- Mi aspetto, e desidero, che voi mi uccidiate. Avanti, non credo che le vostre intenzioni siano così lontane dalle mie parole! Sono una traditrice, ho gettato il disonore sulla vostra famiglia. Devo morire, non c’è altra possibilità per riparare a questo. Uccidetemi, padre. Avanti, uccidetemi. Per una volta che vogliamo entrambi la stessa cosa… avanti, uccidetemi subito, nessuno vi biasimerà per questo, anzi, sarete lodato!
Lui l’aveva per le spalle, scotendola, scioccato, dimenticandosi cos’era diventata, cosa aveva fatto.
- Oscar! Cosa stai dicendo? Oscar? Oscar!
Lei continuava a parlare. L’aveva afferrato a sua volta per le spalle, implorandolo.
- Uccidetemi, padre, vi prego! Uccidetemi! Voglio morire, sono stufa di vivere! Vi prego, vi supplico!
Scoppiò in lacrime. Suo padre si fermò. La guardò un istante. Stentava a riconoscerla. La figlia ribelle e testarda, decisa e coraggiosa, la figlia che aveva sempre conosciuto, il figlio che aveva sempre avuto in lei…dov’era? Non riusciva a ritrovarla in quella creatura che lo supplicava di ucciderla. Era dimagrita, e chiaramente debole, questo si vedeva, ma c’era di più. Era distrutta, distrutta dentro. La abbracciò, incurante di tutto. Si guardò attorno, da sopra la sua testa dorata. Se Oscar era lì, allora avrebbe dovuto esserci anche…
- Dov’è Andrè? – le chiese.
- È morto – rispose lei tra le lacrime, e continuò a ripetere, come una cantilena pesante e ossessiva – morto, morto, morto, morto…-
- E… tu… vuoi…- esitava. Cominciava a capire. Forse. Lei gli rispose violentemente.
- Io voglio raggiungerlo! Non posso stare senza di lui!
- Oscar…
- Io voglio morire! Lo capite? Io voglio morire!
In quel momento, un urlo, un rumore di passi in corsa:
- Lasciala stare!
Oscar si staccò dal padre, stupita e indispettita. Quella voce… possibile?
Venne un altro urlo:
- All’attacco, soldati della guardia!
- Alain, perché è qui?- ebbe appena il tempo di mormorare. I suoi soldati irrompevano vociando nella strada, le armi in pugno, le baionette innestate.
Il generale smise di essere un padre, tornò ad essere un soldato, un generale. Nello spazio di un secondo…
…lanciò un’occhiata a sua figlia, che era tornata ad essere, per lui, un ufficiale disertore. Sul suo volto vide lo sgomento, lo stupore, il disappunto.
…lanciò un’occhiata ai soldati ribelli. Sui loro volti vide la devozione, la rabbia, la ferocia.
…lanciò un’occhiata ai suoi uomini. Pochi. Erano troppo pochi. E consci di questa inferiorità. Nei loro occhi vide la paura.
Diede un ordine, anche se non avrebbe voluto. Ma gli ordini erano di evitare gli scontri. E l’avrebbero evitato.
- Soldati! Fermi ai vostri posti! Non reagite!
Si rivolse ad Oscar.
- Sono i tuoi uomini?
Lei annuì.
- Allora fermali. Non vogliamo combattere.
Lei lo guardò un attimo. Alzò una mano. Alzò la voce.
- Soldati della guardia, fermatevi! Non c’è bisogno di combattere ancora.
Appena in tempo. Ormai avevano percorso quasi tutta la via(2). Si fermarono, le armi ancora in pugno, pronti a slanciarsi all’attacco.
Il generale si portò davanti a loro, le mani sui fianchi, le gambe divaricate.
- Ebbene, che cosa volete? Come giustifichereste questo attacco? Il re è in pace con l’Assemblea Nazionale. Non c’è giustificazione per questo attacco!
Gli rispose una voce, dal gruppo.
- Poche storie! Lascia il nostro comandante e vattene!
- È mio prigioniero! Non sarò tanto vigliacco da consegnarvelo così!
Due uomini si affiancarono ad Oscar incrociando i loro fucili davanti al suo petto, più per i soldati della Guardia che per lei.
Oscar…
Oscar guardava i suoi soldati, senza dire niente, senza fare niente.
Oscar guardava i suoi soldati, senza pensare a niente.
Oscar guardava i suoi soldati, ma non vedeva niente.
Sentiva la febbre salire, la febbre, sintomo di quella malattia che la stava portando via, che le toglieva la forza di pensare e di agire.
Sentì Alain che parlava, che rispondeva a suo padre. Il suo tono era quello che aveva usato anche con lei, all’inizio, quando ancora non la conosceva.
- Davvero, bello? Non sarai tanto vigliacco da consegnarci il nostro comandante. Perché permettere a qualcuno di vivere è un atto di vigliaccheria, giusto? Ma di sicuro saresti stato abbastanza vigliacco da uccidere tua figlia, non è vero?- terminò in un soffio.
Alain era avanzato, piazzandosi davanti al generale, le mani sui fianchi, le gambe divaricate.
Si fissarono negli occhi per alcuni, lunghi istanti, ognuno di loro lesse negli occhi dell’altro, nella mente dell’altro, nel cuore dell’altro.
Il generale vide negli occhi di Alain la devozione, la rabbia, la determinazione, e l’amore, sì, l’amore per sua figlia.
Alain vide negli occhi del generale il dolore, l’orgoglio, l’affetto, la determinazione.
- Allora? Vorresti forse negarlo? Non l’avresti forse uccisa, o consegnata alla corte marziale? Sì, sì che l’avresti fatto, lo sappiamo tutti e due. Ma, purtroppo per te, adesso siamo qui noi, e se vuoi tornartene alla tua accidenti di villa tutto intero, farai meglio a lasciarla subito e a non rompere con le tue stronzate sul coraggio e sulla vigliaccheria.
Aveva iniziato calmo, Alain, calmo quanto potevano permetterglielo la sua rabbia e il suo temperamento. Aveva cominciato calmo, ma non si era potuto trattenere, e man mano che parlava il suo tono di voce si era alzato, arrivando quasi ad urlare.
Si guardarono ancora, a lungo. Una lotta fra volontà. Una lotta tra sentimenti.
Fu il generale a cedere. Senza staccare gli occhi dagli occhi di Alain, diede un ordine.
- Soldati! Lasciate il prigioniero e ritiratevi.
Tutti respirarono, lasciarono andare l’aria che fino allora avevano trattenuto.
I soldati ubbidirono, dopo un attimo di esitazione. Si scostarono dal fianco di Oscar, lasciandola libera. Cominciarono ad indietreggiare, lentamente, senza voltarsi.
Il generale distolse lo sguardo da quello di Alain. Guardò dietro di sé. DeLaFère lo stava aspettando. Oscar era ancora immobile, lo sguardo appannato e perso nel vuoto, il volto che passava dal rosso più acceso al pallore più assoluto.
Diede un ultimo sguardo ad Alain. Lui, duro, impassibile, ricambiò.
Si volse, se ne andò, lentamente. DeLaFère lo seguì, con calma, senza mai voltarsi indietro. Nessuno dei due. E quella, fu l’ultima volta che Oscar vide suo padre.
I soldati ribelli aspettarono che fossero spariti dietro l’angolo, poi si precipitarono attorno ad Oscar, chiamandola, sommergendola di domande.
- Comandante! Comandante Oscar! State bene, comandante? Com’è successo, comandante? Comandante…comandante Oscar…comandante?
La febbre le annebbiava la mente, le ottundeva i sensi. Quelle voci le scivolavano addosso senza che lei le sentisse. La sua mente rifletteva su ciò che aveva sentito poco prima. Nella voce di Alain, filtrata dalla nebbia della febbre, aveva colto dei toni nuovi, che prima le erano rimasti celati. Dei toni che erano molto simili, troppo simili, a quelli di Andrè.
“Possibile- si chiese- possibile che Alain mi ami?”
ma questo pensiero non le dava alcuna gioia. Anzi, aumentava la sua pena, perché sapeva di non amarlo, e di non poterlo amare, perché sapeva che per questo avrebbe sofferto.
Si accorse che qualcuno la stava scotendo. Tornò alla realtà, ricacciando le lacrime che stavano per sgorgare.
Tentò di pensare, di ritrovare la ragione persa nella nebbia della febbre. Vide il volto di Alain davanti al suo. Erano le sue mani che le stringevano le spalle, le sue braccia che la scuotevano. Perché la toccava? Non voleva essere toccata, non voleva che altre mani ancora cancellassero dalla sua pelle il ricordo delle carezze di Andrè.
- Lasciami. – mormorò. Alain non capì. Si fermò, continuando a tenerla per le spalle.
- Cosa avete detto, comandante? – le chiese.
- Lasciami, ti ho detto di lasciarmi! Non mi toccare! – urlò, liberandosi della sua stretta con uno strattone. Vacillò. Venti e più mani si protesero per sorreggerla.
- Non mi toccate! – urlò, uscendo dal cerchio dei suoi uomini. Si appoggiò al muro, ansimante. I soldati le si avvicinarono, preoccupati.
- Comandante, che vi succede? – le chiesero.
- Non voglio essere toccata. Non voglio che nessuno mi tocchi! – rispose, la voce che si alzava e si abbassava, gli occhi brillanti di una scintilla sconosciuta.
Alle sue parole seguì un lungo silenzio. Tutti cercavano di capire cosa le stesse succedendo.
- Perché? Perché siete venuti? Perché non mi avete lasciata morire in pace? – poco più di un sussurro, la sua voce ruppe il silenzio, spezzando contemporaneamente in mille pezzi la mente dei suoi uomini. Poche parole, più devastanti di una scarica di cannoni.
- Co…comandante Oscar! Cosa state dicendo?- Alain. Stupito. Distrutto. Incapace di ragionare. Stese istintivamente le mani, per toccarla, forse per assicurarsi che non fosse un’allucinazione. Non fece in tempo. Oscar lo aggredì, violentemente, con le poche forze che le rimanevano.
- Non mi toccare! – si spinse ancora di più contro il muro. Passarono i secondi, nessuno fece nulla. Lei, sfinita, si appoggiava al muro, cercando di riprendere fiato. Loro interdetti, non osavano fare niente, temendo di provocare un altro scoppio.
Improvvisamente, fu lei a parlare.
- Comunque, è stato inutile. Ormai, sono condannata. Due, tre mesi, e niente più Oscar François!- scoppiò in una risata. Sadica, cattiva. Soddisfatta. Non aveva mai riso così. Mai, in tutta la sua vita.
- Spiegatevi, comandante! Cosa volete dire? Non vorrete…- una voce, dal gruppo. Paul? Marc? Jean luis? Uno di loro, certamente. Alain non voleva, non poteva pensarci. Non voleva riflettere su quel piccolo, inutile particolare. Ma la sua mente si aggrappava a quel futile ragionamento, fuggendo da quello che gli stava rivelando Oscar, ripetendolo ossessivamente, quasi volesse cancellare in tal modo quella situazione che la sua mente non voleva accettare.
Ma Oscar continuò a parlare, sempre con quel tono soddisfatto.
- No, oh no, non ho abbastanza coraggio per uccidermi. - rise, amaramente. – Ci ho tentato, ma non ce l’ho fatta. Poi, quando mi sono ritrovata in mezzo a quei soldati…credevo che Dio avesse finalmente avuto pietà di me. Ma siete arrivati voi… Beh, pazienza –scrollò le spalle- mi sarei risparmiata qualche mese di sofferenza…la febbre che sale, le forze che diminuiscono ogni giorno di più, la tosse che si fa sempre più forte, che fa sputare sempre più sangue, la costrizione a letto, il delirio, l’agonia… Ma non importa… lo sapevo, lo sapevo già, non mi importa. La tisi, porta alla morte, solo questo conta. - parlava con un tono strano, disincantato, terribilmente pratico, ma al contempo così sognante, il suo sguardo, così perso nel vuoto, e il suo lieve sorriso, mentre elencava gli orrori che l’aspettavano, così maledettamente felice…
Alain non poteva sopportarlo.
Per l’ennesima volta in poche settimane, sentiva il mondo crollare intorno a lui. Possibile che lei fosse arrivata a questo punto? Possibile che lui si fosse ingannato così? Che fosse stato così cieco? E perché quella reazione al loro tocco? Perché non voleva essere toccata? Cos’era quella luce nel suo sguardo?
Deglutì. Cercò di ragionare. Parlò, con calma. Senza minimamente accennare a toccarla.
- Venite comandante. Meglio non stare qui, torniamo al campo.
Oscar annuì. Si staccò dal muro, evitando accuratamente di toccarli.
- Sì, è vero, andiamo. – s’incamminò, precedendoli, ma dopo pochi passi fu costretta a fermarsi, scossa da un attacco di tosse che la fece piegare in due.
Loro restarono a guardare. Avrebbero voluto andare da lei, aiutarla a rialzarsi, ma lei non voleva essere toccata, non voleva essere aiutata. Alain le si avvicinò, cauto, non sapendo come sarebbe stata accolta la sua domanda.
- Comandante Oscar? Tutto bene? Ce la fate?
- Sì… sì Alain, non preoccuparti, va tutto bene. – rispose lei rialzandosi. Riprese a camminare, e loro ripresero a seguirla, mentre, lentamente, la verità cominciava a farsi strada in ognuno di loro. Verità sgradevole e fastidiosa, ma verità.
Verità che pesava come un macigno sul cuore di due uomini fermi lì, dietro l’angolo della strada, ad ascoltare quello che succedeva, a sentire dalla bocca di quella bambina ormai cresciuta quello che aveva sempre taciuto a tutti, e a capire ciò che lei non poteva dire, ma che si sentiva in tutte le sue parole. Soprattutto uno, il più vecchio, era distrutto da ciò che aveva sentito. La sua bambina in fin di vita, malata nel corpo e nell’anima. Quello che aveva sentito lo schiacciava col rimorso, per tutte le parole non dette, tutti i gesti non compiuti quando ancora c’era tempo. La verità lo aveva annientato. E in questo, era uguale ai soldati della Guardia. Un nobile, uguale a dei popolani.
Nei loro cuori, il dolore.
Nelle loro menti, il silenzio.
Nelle loro anime, la costernazione.
Nei loro occhi, un’immagine che non svaniva.
Nelle loro orecchie, l’eco di una parola non detta.
Pazza.
(1) Liberamente preso da I Tre Moschettieri di Dumas. So che secondo Dumas quella famiglia si estingueva, ma qualche parente, o qualcuno disposto a comprare quel titolo, ci sarà pur stato, no?
(2) Si sarà notato che è una strada alquanto lunga…
pubblicazione sul sito Little Corner del giugno 2004
Continua...
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