Presa di coscienza

Parte V: Il viaggio

Traduzione e adattamento:: Fiammetta

Hiromi mail to hoger@ubisoft.fr 

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Erano passati tre giorni da quando erano partiti. Il pomeriggio volgeva al termine e il sole era già meno luminoso. Considerando che non avevano necessità di mantenere una cadenza sostenuta, Oscar propose ad André di prendersi una giornata per far riposare i cavalli. Si trattava di un pretesto, ovviamente. I cavalli non erano poi così stanchi, ma lei lo era. André accettò. Per lui poco importava dove si fossero fermati. Era con Oscar…

Più tardi durante la serata arrivarono davanti ad un albergo dall’aspetto accogliente. Lasciarono i cavalli al palafreniere ed entrarono. Il proprietario si avvicinò subito a loro.

 

“Vorremmo due stanze, per favore”, disse Oscar togliendosi i guanti, “resteremo qui per questa notte e per la successiva”.

“Molto bene signori”, rispose l’uomo accennando un inchino, “vi condurremo subito alle vostre stanze. Ma prima di tutto, potreste firmare il registro?”

“Certamente”.

 

Si diressero ad un tavolo su cui era stato messo un grande libro. Oscar prese una penna e scrisse i loro nomi. André, distrattamente, gettò uno sguardo e scoprì che Oscar non stava firmando con il suo nome, de Jarjayes, ma con quello di lui, Grandier. Avrebbe voluto delle spiegazioni, incrociò il suo sguardo con quello di lei, ma comprese che lei non ne avrebbe fatto parola davanti al proprietario. Oscar avrebbe atteso che loro due fossero stati soli nella sua camera, per fornirgli una spiegazione.

 

“Non sarebbe stato saggio da parte mia utilizzare il mio nome. Il nome -de Jarjayes- non sarebbe stato il più raccomandabile qui, lontano dalla corte. L’ho immaginato quando mi sono trovata di fronte al registro… Perdonami, André, d’aver scelto il tuo nome, ma è stato il primo a venirmi  in mente”.

“Oh, non è grave, Oscar. hai ragione”.

La ragazza sorrise.

“Non ho fame stasera. Credo che andrò subito a dormire, se non ti dispiace… sono stremata!”

“Molto bene. Ma io vado ugualmente a cercare qualcosa da mangiare per te. Non è ragionevole mangiare così poco, Oscar”

Oscar sollevò il volto, come sorpresa.

“Ma io mangio…”

“No, tu non mangi abbastanza. Non sono mica cieco…“

Oscar aggrottò le sopracciglia.

“Ti prego, fai uno sforzo, altrimenti correrai il rischio di ammalarti”, proseguì André. “Se sei troppo affaticata per scendere nella sala da pranzo, non è poi così grave, ma in questo caso, permettimi di andare a cercarti qualcosa da mangiare”.

Esitò, era così stanca che la sola idea di mandar giù qualsiasi cosa le dava la nausea. Ma non voleva, più di ogni cosa, preoccuparlo.

«E sia. Ti aspetto. Grazie, André».

E André uscì.

Le spalle di Oscar sembrarono come afflosciarsi. Il viso, estremamente stanco. Si tolse il mantello e lo gettò su una sedia. Poi tolse gli stivali e si sdraiò con difficoltà sul letto. Il viaggio rischiava di essere più difficile di quanto immaginasse. Era già stanca, molto stanca. Fino a quando avrebbe potuto portare con sé André? Doveva riuscire a conservare le sue forze, perché, una volta arrivati, lei avrebbe dovuto ancora fare una cosa. E quella cosa sarebbe stata più dolorosa che il viaggio stesso…

 

Quando André tornò, la ritrovò addormentata. Posò il suo piatto sul tavolino e si sedette sul letto, vicino a lei. La guardò. Aveva i tratti del volto tirati, sembrava prostrata.

E’ strano, considerò, Oscar ha fatto in passato viaggi ben più lunghi e più difficili di questo senza il minimo problema… La sua decisione di lasciare tutto deve preoccuparla molto. Non ha il dovere di assumersi tutte le responsabilità… non è così facile cambiare la propria vita. Esitò per un po’ prima di risolversi a svegliarla. Se lei non avesse mangiato, avrebbe finito per sentirsi ancora più debole. Così la scosse dolcemente, affinché aprisse gli occhi.

“Oh André, perdonami, mi ero addormentata”, mormorò lei alzandosi lentamente.

“Non è grave… Tieni, ecco della zuppa”.

Docile, lei prese il piatto caldo che lui le tendeva e comiciò a bere la zuppa. I primi sorsi furono molto difficili, ma poi le tornò l’appetito e la finì velocemente.

“Ecco! Preferisco decisamente vederti così!”, esclamò André, sorridendo di fronte al suo rinnovato appetito.

Oscar rise dolcemente, sentendosi meno stanca. Forse la sua sensazione di fatica non era dovuta esclusivamente alla sua malattia.

Più riprenderò le forze, e più avrò ancora giorni da vivere. E più avrò ancora giorni da vivere e più potrò passare tempo con lui, disse a se stessa voltandosi verso l’uomo al centro dei suoi pensieri.

E del tempo con lui, era tutto quello che chiedeva.

«Grazie, André…»

André alzò la testa.

“Di cosa?”

“… di prenderti cura di me… ancora…”

“Oh, ma non è niente, Oscar”

“Al contrario”, insistette lei sorridendo.

André, il cuore che batteva più velocemente, restò un lungo momento ad osservarla. Sembrò come ipnotizzato da quel sorriso. Comprendendo infine che il suo sguardo si era fatto troppo insistente, si sentì arrossare le gote. Si schiarì la voce e si girò verso il piatto.

“Allora, adesso abbiamo del pollo!”

Oscar sorrise felice. Appariva così a suo agio, lei, che ad André sembrava potesse leggergli dentro, come fosse trasparente. E, allora, com’era possibile che non s’accorgesse di quello che provava per lei? Era così evidente…

Oscar prese di nuovo il piatto che André le porgeva.

“Ma tu non mangi?”, domandò lei allora.

“Oh, beh… mangerò più tardi, nella mia camera…” 

«Dai André, non fare tanti complimenti. Non siamo più a Versailles. Non sono più il tuo padrone, ma questo, non lo sono più già da tantissimo tempo… Ti prego, mangia con me”.

Leggermente imbarazzato, si alzò a prendere il suo piatto, che aveva messo da parte, e si risedette accanto a Oscar.

“Buon appetito!» disse la ragazza soddisfatta prima di addentare felice la sua coscia di pollo. 

Oscar continuò a dormire per quasi tutta la mattinata finché non fu svegliata di soprassalto dalle grida e dalle urla di gioia che provenivano dalla sala da pranzo. Qualche secondo dopo, sentì bussare qualcuno alla porta della sua stanza con tre, discreti, colpi. Era André. Si alzò e si vestì velocemente con una vestaglia prima di aprire.

André era lì, ad aspettarla. Il suo sguardo era eccitato e teso allo stesso tempo. L’eco delle voci dabbasso raddoppiò in intensità.

«Cosa? Cosa succede?”, domandò lei improvvisamente sconvolta dallo spavento.

“Il popolo ha preso la Bastiglia, Oscar!”

Scossa dalla notizia, la ragazza rimase di sasso.

“La rivoluzione, alla fine”, disse lei sottovoce.

“Sì… E’ successo ieri. Ci sono uomini che in questo momento stanno attraversando la Francia per farlo sapere a tutti. Ed è stato uno di loro che ce l’ha riferito, mentre cambiava i cavalli prima di ripartire subito per…”

Oscar guardò André. Le sembrò che lui non sapesse quale fosse l’atteggiamento migliore da tenere in quella circostanza. Sembrava fortemente voler dimostrare la sua gioia, ma allo stesso tempo  il suo atteggiamento mostrava il timore di ferire lei, perché comprendeva che una rivoluzione avrebbe comportato per Oscar la rinuncia definitiva a tutti i suoi privilegi.

E come se lei potesse leggere tra i suoi pensieri, la ragazza mise una mano sulla spalla dell’amico.

“Non preoccuparti, André. Sono molto felice di quello che sta succedendo. Partendo, ho deciso di abbandonare il mio cognome e il mio titolo nobiliare. Non rimpiango nulla. Oggi dunque è un giorno di festa. Tu puoi scendere per raggiungere gli altri se tu vuoi. Arriverò tra qualche istante”.

André sorrise.

«Grazie, Oscar…» 

 

Il pranzo si svolse in un clima di allegria. La presa della Bastiglia fu festeggiata nel modo dovuto in tutta la campagna circostante. André e Oscar parteciparono a quella gioia con tutto il cuore.

Ma presto Oscar si sentì affaticata da tutta quella confusione. Finirono per allontanarsi per camminare all’aria aperta.

Il sole era al suo zenith ma un vento più fresco faceva muovere le foglie degli alberi.

Il silenzio, la tranquillità. Erano lontani da tutto. Niente più doveri, niente più ordini da eseguire, niente più contrasti, né obblighi. Erano, finalmente, liberi.

Oscar, continuando a camminare, alzò la testa e chiuse gli occhi per sentire sul suo viso i raggi salutari del sole.

“Ahhhh… André….“ Sospirò semplicemente.

André si voltò verso di lei e sentì il cuore stringersi. Non aveva mai visto il suo viso più sereno di così. Era in pace… forse questa pace interiore le avrebbe consentito di interessarsi di nuovo ad un uomo?… Di nuovo… Pensava ancora a Fersen? Soffriva ancora, fantasticando di lui? Da tanto tempo non ne parlava più. Ma lei, in fondo, parlava sempre così poco…

“Che cos’hai, André?”, domandò Oscar all’improvviso. “Mi sembri così distante…”

“No, tutto bene!”, disse ridendo, “perdonami… ero a Versailles…”

“Pensi alla nonna? Non preoccuparti per lei. Lei è più forte di noi due messi assieme!”

Poi con un gesto istintivo, impulsivo, Oscar prese la mano di André nella sua.

“Ti prego André, non pensiamo al passato… non oggi! E’ così bello, non roviniamo questa meravigliosa giornata parlando delle nostre paure.”

Che idiota!, si disse André. Con i suoi timori, stava finendo per rovinare uno dei momenti più belli mai passati con lei in tanti anni. Evidentemente lei era particolarmente di buon umore. Ed era così raro vederla ridere così! Non era mai successo che camminassero mano nella mano. Aveva atteso così tanto un momento come questo, che gli sembrò fosse passata un’eternità nell’attesa.

André sorrise e strinse la mano di Oscar più forte, nella sua.

“Dimmi”, domandò allora André, “non mi hai ancora detto dove andremo”.

Lei rise.

“Non ne ho la più pallida idea!”

 

Si voltò verso di lei, sorpreso.

“Non ci hai pensato?”

“No, ha importanza?”

Decisamente, non la riconosceva più. Gli nascondeva qualcosa?

“Ti ricordi quando eravamo bambini, André? continuò Oscar euforica, Noi sognavamo di partire all’avventura!  Di prendere solo poche cose nostre e partire, andare lontano da palazzo Jarjayes,  immaginavamo di partire verso mondi lontanissimi. Beh, eccoci qua! Quel giorno è arrivato davvero!”

André sorrise. No, davvero non la riconosceva più… ma amava questa nuova Oscar… l’amava forse anche più di quanto l’avesse amata prima, se fosse stato realmente possibile. Vederla cosi raggiante, così piena di vita…

Sospirò.

Aveva avuto paura per lei. Negli ultimi tempi l’aveva vista così delusa, così preoccupata. Il suo timore di vederla dibattersi in un dilemma che avrebbe potuto costarle la vita, lo aveva a sua volta tormentato, più volte. Ed ecco che tutti i suoi timori si erano dissolti come per magia.

Lei era lì, viva, pronta a mordere la vita con tutta se stessa. E lui era lì, il testimone. Certamente non sapeva ancora per quanto tempo ancora avrebbe potuto continuare a vederla ma sentiva che il riposo di quei giorni gli aveva fatto un gran bene, e che avrebbe avuto forse la possibilità di ritardare quell’evento.

Perso nei suoi pensieri, quasi non si accorse che Oscar, improvvisamente, aveva lasciato la sua mano e si era messa a correre. Sorpreso, non reagì che dopo alcuni istanti e cominciò a inseguirla. Ma lei lo aveva quasi seminato, nascosta dai tanti alberi della foresta dove era entrata correndo.  

“Oscar! Oscar, dove sei?” la chiamò.

Ma non percepì nulla, tranne il rumore del vento tra i rami

“Oscar non puoi fare così!” esclamò, sentendo che il panico gli afferrava il cuore.

Oscar correva, correva come se fosse stato il diavolo ad inseguirla. Fuggiva dal male che le lacerava i polmoni.

“No, non adesso! Non davanti a lui!”

Il respiro all’improvviso troppo corto, cadde a terra, e si mise a tossire, e tossire, ancora di più. Sentì il sangue uscirle dalle labbra, lo vide macchiare i fiori sul terreno intorno a lei. I suoi polmoni la facevano soffrire atrocemente. Si sentì come non potesse controllarli[1]... Ma, a poco a poco, i colpi di tosse si fecero meno forti e più distanziati. Oscar, in attesa che l’attacco terminasse, fissava quei fiori di una bianchezza quasi angelica macchiati dal suo sangue. Si sentì come loro, come sporcata da un male contro cui non poteva fare nulla. Macchiata per sempre da una delle cose più indegne della vita.  

Un grido allora la fece riscuotere. André la chiamava. E nella sua voce c’era tutto il suo spavento.

Mio Dio! Fa’ che non mi veda così…

Stringendo i denti, Oscar si alzò trascinandosi verso un piccolo ruscello che scorreva dolcemente qualche metro più in là. Sentì André arrivarle vicino, allora mise il volto e le mani nell’acqua fresca. Si pulì energicamente e riemerse scrollando la testa.

«Ahhhh! E’ meraviglioso, André! Dovresti provarlo!” esclamò, la voce leggermente spezzata.

Poi, d’un tratto, si alzò e guardò in viso il ragazzo. Lui la guardava a sua volta, furioso.

“Perché l’hai fatto? Sono morto dallo spavento!”

“Oh, suvvia, André! Cosa volevi che mi succedesse?”

Ma, vedendo che questo non lo calmava affatto, Oscar provò a toccarlo sulla spalla.

“Vieni! Sediamoci sotto quest’albero, sono stanca!”

“Non dovevi farlo, Oscar. Ho creduto di non poterti più ritrovare.”

La ragazza comprese allora il vero significato di quelle parole. Aveva avuto paura di non poterla ritrovare. Certamente… non vedeva quasi più nulla. E solo il caso gli aveva permesso di ritrovarla. Lei lo aveva abbandonato, quasi cieco, in mezzo al nulla. Mio Dio.

«Perdonami, André. Non volevo farti preoccupare…” 

Davanti al volto sinceramente rattristato di Oscar, la collera del ragazzo svanì velocemente come era venuta. E si sentì ridicolo di essersi comportato in quel modo… come avrebbe potuto lei indovinare quali fossero i suoi reali timori? Imbarazzato, si grattò la testa e sorrise.

“Non fa niente…”

Allora, insieme, si sedettero sotto l’albero e restarono un lungo momento in silenzio, entrambi persi nei rispettivi pensieri. Oscar sentì lo sguardo di André indugiare su di lei, e finì per voltarsi verso di lui.

“Mhhh?”

Evidentemente, André doveva chiederle qualcosa ma non osava farlo.

“Non so se ho il diritto di farti questa domanda…”

Oscar strabuzzò gli occhi. Non sapeva troppo bene se realmente spingerlo a farlo. Ma la curiosità era troppo forte.

“Allora?”

André esitò ancora qualche istante, ma desiderava  troppo saperlo…

“Ebbene… tu mi hai dato ad intendere di voler cambiare vita… pensi di continuare a farti passare per un uomo?”

Oscar arrossì.

“Sì, perché, infatti, ti sarai sicuramente accorta che tutti alla taverna ti avevano evidentemente scambiato per un uomo…” rincarò André sorridendo di fronte all’imbarazzo della ragazza.

Offesa. Per la prima volta nella sua vita, si era sentita offesa che l’avessero scambiata per un uomo. Poco importava che l’albergatore o i suoi clienti si fossero sbagliati. Quello che non era stato sopportabile a suo avviso erano state le parole di André: “Tutti alla taverna ti avevano evidentemente scambiata per un uomo”, “evidentemente”… Oscar sapeva che André l’amava e  questo nonostante i suoi modi e il suo aspetto così androgino.[2] Tuttavia lei aveva sperato che lui non fosse come gli altri. Si scoprì ad immaginare che lui la vedesse come una donna.

Terribilmente offesa, accigliata, disse:

“Io non posso con un solo gesto cancellare l’educazione che ho ricevuto. Ho passato anni a comportarmi da uomo, a marciare come un uomo, a parlare come un uomo… Tutto questo fa parte integrante di me. Non sarei in grado di trasformarmi da un giorno all’altro in una donna se è questo che tu mi stai domandando!”

“Io non ti chiedo in nessun caso di fare questo”, disse lui ridendo, “Ho l’impressione di aver toccato un punto sensibile!”

Oscar arrossì ancora di più. Con un gesto brusco si alzò, scrollò i pantaloni dalla terra con cui si erano sporcati e cominciò ad allontanarsi con passo deciso. André la raggiunse, sentendo il suo cuore più leggero. Aveva detto che non sarebbe riuscita da un giorno all’altro a trasformarsi in una donna… questo voleva comunque dire che l’aveva pensato, che ne aveva l’intenzione. E se questa era la sua intenzione, poteva essere che lei sperasse un giorno di poter vivere una vita come una donna…. Sposarsi, avere figli…

André si sentì molto felice… la speranza rinasceva nel suo cuore.

 

 

Continua

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Traduzione: Fiammetta Mail to f.camelio@libero.it

 

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[1] Letterale “sentì come un terremoto.”

[2] Nell’originale il termine era mascolino