Il desiderio

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Tra le molte stravaganze che ornano questa Corte, la più sorprendente è questo giovane comandante della Guardia reale, Oscar François de Jarjayes, il cui nome, anche a uno straniero come me, parla della migliore nobiltà di Francia; ebbene, si tratta di una dama, di una giovinetta per meglio dire; forse le sono maggiore appena di un anno o due. Da quando ho fatto tale bizzarra scoperta, e non per avere riconosciuto questa sorta di inaudito travestimento, ma su rivelazione di una cortigiana, non smetto di guardarla e di pensarvi a ogni occasione. E mi dico che una così originale presenza si deve forse alla grande affezione che in questo paese si nutre ancora oggi per la leggenda di Jeanne D’Arc, e che il fiore quasi miracoloso dell’onore virile incrociato con sembianze tanto dolci, sarebbe forse il vanto di una corte italiana, dove si ha l’abitudine alle stravaganze, ma di certo chiamerebbe lo scandalo da noi, in Svezia.

Il favore della futura regina, di cui godo dall’inizio della mia visita, mi ha dato naturalmente l’agio di essere presentato a questa dama così particolare; pure, le circostanze della nostra conoscenza e anche l’amicizia che, mi sembra, va oramai legandoci, rimangono estranee ai sentimenti più profondi che la vicinanza, e anche soltanto la visione di lei ispirano nella regione più ombrosa del mio cuore. E alle volte, di notte, essa si trova ad abitare alcuni dei miei sogni, tra tutti i più fraudolenti quando vi ripenso alla luce del sole, ma i più vividi e tenaci quando un uomo giace dormendo lontano da testimoni. Lo ammetto, senza neanche sorridere: questa dama pallida e bionda, già forse in età da matrimonio, ma bendata nei tagli di una divisa a cui tutti, nel nostro mondo, devono rispetto, questa dama eccita in me desideri foschi e senza nome, imparentati forse alla follia che si scorge talvolta nell’amore. Di tutto questo è dunque conveniente far parola soltanto qui, nelle pagine di un diario, che alcun altro lettore avranno se non me stesso.

Ciò che mi accade non è irragionevole: l’esperienza insegna precocemente agli uomini quanta brama susciti un frutto che brilla tra il fogliame e di cui non si conosce il sapore; ecco, Oscar François ha la stessa indifferenza di un simile frutto, che si lascia crescere dai raggi solari e dalla rugiada, nutrito dal ramo che lo sovrasta, ma il cui destino rimane tuttavia misterioso. Non sappiamo se esso cadrà troppo maturo, rotolando nell’erba, se sarà colto dalla mano dell’uomo, o beccato da un uccello avido in cerca di semi; nessuno conosce il suo destino, e il frutto non se ne interessa, né dà segno che sia premonizione. Allo stesso modo questa dama con la spada al fianco sembra ignorare la propria sorte, anzi mostra di volerla ignorare, come se l’avvenire non esistesse. Ma l’età trascorre, ogni cosa si trasforma e qualcosa accade sempre; non è la legge della nostra natura?

È quasi irriverente l’agitazione che mi prende al cospetto di Oscar François: mi sento smanioso e inaccontentato come un bambino alla vigilia di Natale, che non può indovinare quale gioco riceverà in dono, eppure sa che avrà di certo qualcosa, che l’indomani arriverà infallibilmente; e quanto essa si mostra imperturbabile, cortese e misurata nelle nostre conversazioni, come un perfetto gentiluomo di cui è onorevole avere la confidenza, tanto in cuor mio risento il desiderio violento e spazientito di scuoterla. Perché non è un gentiluomo! E non lo sarà mai. L’erede dei Jarjayes è una giovane dama, di una bellezza vittoriosa quanto sacrificata con rigore. E non spetta a noi, a lei e a me, parlare di musica davanti al fuoco, perché noi non saremo mai amici, come non lo sono mai un uomo e una donna dello stesso rango. E lei non può non sapere tutto questo! Qualcosa succederà, succede sempre. Ogni serata trascorsa a discutere cordialmente guardando il fuoco non è che un punto di questa certa attesa. So che qualcosa deve succedere, e non sapere che cosa veramente accadrà insinua nelle vene di un uomo un desiderio di forma perfida e tagliente.

Ho riconosciuto questo desiderio non soltanto in me: non già in lei, che, come ho detto, sembra impassibile a ogni contraddizione del proprio stato, ma in coloro che qua e là incrociano il suo passo severo. C’è per esempio il suo attendente, quel Grandier: un uomo davvero onesto e anche affabile, direi, che le è vicino dall’infanzia; e pare infatti che siano cresciuti insieme. Quando mi trovo in presenza di entrambi non posso fare a meno di interrogarmi sulla indiscrezione di un simile incarico; come è distorta, infatti, l’idea di far accompagnare una giovinetta così bella da un ragazzo tanto piacevole! Ieri sera rientrando da palazzo Jarjayes cercavo, non senza una impropria curiosità, di figurarmi quanta attrazione debba sprigionare tale prossimità. In realtà molte volte già ho potuto misurare il mio sospetto, frugando negli sguardi dell’attendente, giovane in apparenza schivo e devoto; nei suoi occhi, di un verde singolare a seducente, mi è parso proprio di incontrare lo stesso desiderio che trovo in me, e anzi ancora più estenuato, senza dubbio indolenzito dall’esperienza di tanti anni.

Davvero non so come egli riesca, giorno dopo giorno, ancora ad obbedire a questa sua signora impenetrabile, assentendo con voce limpida, ritirandosi e riapparendo da una porta laterale con ciò che occorre, spesso dedicandole un sorriso che, io credo, commuoverebbe qualunque altra donna. Comprendo tuttavia che egli non possa risolversi ad abbandonarla, cercando altrove un incarico più semplice e magari una vita più franca: perché Oscar François è una donna splendida, indimenticabile. Alta e sottile, gli abiti militari ne rivelano la grazia più di quanto delle altre dame è permesso vedere; i bottoni d’oro, la spada, gli stivali lucidi sembrano leggeri, senza peso, avvinti a un corpo così flessuoso. Gli occhi sono di un azzurro profondo e mutevole, i capelli devono essere morbidi, profumati… A volte ho il privilegio di essere ricevuto con familiarità a palazzo Jarjayes; Oscar François mi accoglie in un piccolo salotto elegante, indossa una semplice camicia bianca, stretta in vita da una fascia scura; la guardo, cercando di ascoltarla; guardo il fremito invisibile del suo collo bianco; un desiderio estatico intorpidisce le mie risposte, la guardo come guarda un uomo le grazie della sposa il giorno delle nozze, con l’ansia di esserne il padrone. Lo sguardo di André Grandier invece è meno scoperto: il suo desiderio deve essere più integro, e si capisce che non si spegne quando è lontano da lei; penso che doveva essere così l’amore sacro di Ippolito per Diana.

Io invece lontano da Oscar ho un rifugio pregiato; in questa corte in cui mille segreti e altri mille si rincorrono tra le fontane del parco, nell’infilata dei saloni, degli specchi, da qualche mese sono io stesso, in carne e ossa, un segreto: quello della futura regina. Marie Antoinette ha infatti preso ad amarmi, a viziarmi, ha fatto di me il suo favorito e il suo amante. Con un umorismo capriccioso e ancora infantile, mi delizia, mi tira i capelli, mi chiama “figlio” e “fratello”, “tesoro” e “re”. Il suo abbandono è generoso, spiritoso; quando parla la sua attenzione si incrina un po’ su ogni parola, come se non resistesse a farsi sviare da qualcos’altro; a volte è un po’ pragmatica, gioca a essere saggia, rimanendo del tutto affascinante; e non si può dormire, io non posso dormire vicino a una donna di tale lignaggio, quando essa ha per unico gioiello il suo sguardo violetto e appassionante.

Ma i rifugi forse non servono mai a niente, e anche la futura regina sembra amare Oscar, o certamente almeno qualcosa di lei. Anche nei suoi occhi, pur così abituati a concedersi a me, ho scoperto la piccola passione sconveniente per il giovane comandante, li ho visti, in udienze che sono quasi giornaliere, seguirne il passo riverente, cercarne i contorni, fino a indovinare, o solo immaginare un fianco, il seno. È arrivata a parlarmene, la futura regina: col pretesto di lodarne la bravura, la lealtà, indugiava sul racconto del loro primo incontro, quando l’aveva creduta un ragazzo, un giovane principe della sua stessa età. E parlando soffocava un riso sconcertato nella voce, si toccava i riccioli sulla fronte, si copriva la bocca con la mano; si nascondeva d’un tratto nel mio abbraccio, troppo bella anche lei per resistere alla bellezza dell’altra.

Forse in realtà nessuno resiste: stiamo tutti qua, ad aspettare il momento buono per turbarla, questa damina mascherata da ufficiale, come i bambini, in un giorno d’estate senza vento, che muovono l’acqua con le mani e alzano spruzzi, perché il piccolo lago è troppo calmo, è immobile, tutti gli alberi vi si riflettono troppo perfettamente e non si vede più il fondo. Ma cosa dobbiamo fare con te, Oscar François? Avrà un premio o un prezzo la pazienza di André Grandier? Come si replica alla benevolenza spassionata di una regina? Cosa si deve a un padre senza primogenito? A madri e nutrici col cuore spezzato? Tutti, i Girodel, i Rastignac, gli Imberty, tutti si impazientano: forse nessuno vuole amarla, forse a nessuno verrebbe neanche in mente da dove si comincia per amarla, ma ognuno vuole essere quello, quello che glielo dirà. Che glielo farà, questo amore: aprirle con fretta la giacca serrata della divisa, cercare la pelle, sotto la camicia, sotto i pantaloni; intanto baciare i capelli, i lati del viso, le lacrime, le labbra; premere sul seno, con le mani; tenere le ginocchia, forzare; entrarle dentro, tenere i fianchi; tenere un braccio vicino alla spalla, morderla vicino alla spalla… Come sei bella. Come sei perfetta. Rimani, stai così. Ti amo. Sei fatta per questo, tesoro, sorella.

 

Grazia, 10-7-2004, pubblicazione sul sito Little Corner del luglio 2004

 

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