Il viaggio degli inganni

parte sesta

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Chiudeva gli ultimi bottoni della giacca, André, mentre dalla finestra, guardava le case di Nevers illuminate dalla prima luce del mattino. Per la prima volta nella sua vita aveva paura di incontrare Oscar, di parlarle, di guardarla anche solo negli occhi. L’aveva baciata, l’aveva sfiorata non solo con le mani, con le labbra, ma anche con le parole, e cosa che lo rendeva ancora più timoroso, l’aveva sfiorata con i suoi sentimenti per lei, con il suo amore per lei.

 

“Sei bellissima”. Ti ho detto due parole, semplici, che ho sentito, che anche tu hai sentito, chissà quante volte nei corridoi di Versailles, consueto, e in definitiva banale, rituale di corteggiamento di un uomo nei confronti di una donna, durante un ballo, accanto al gioco d’acqua di una fontana, davanti alla porta di una camera da letto. Due parole dette, sussurrate, sospirate.

Una richiesta di assenso.

Eppure per me non sono state affatto un rituale e neppure un modo per corteggiarti. Due parole, con un significato apparentemente chiaro, cristallino. Un apprezzamento, un semplice complimento… e invece no, perché per me quelle due parole volevano dire un infinità di cose. Volevano dire: io ti guardo, ti ammiro da lontano, scopro ogni giorno quanto tu stia diventando più bella, o forse meglio scopro ogni giorno quanto tu sia sempre stata bella, scopro ogni giorno quanto tu sia importante per me perché… io ti amo, ti amo da sempre e amo tutto di te, perché sei tutto per me, sei sempre stata tutto per me. Sei sempre stata in ogni mio pensiero, in ogni mio sogno, in ogni mia aspirazione, in ogni mio desiderio, perché io ti desidero, e non desidero solamente il tuo corpo. Desidero essere importante per te come tu lo sei per me, desidero essere io nei tuoi pensieri, nei tuoi sogni, nei  tuoi desideri. Sono geloso di te, profondamente e visceralmente geloso di te. Sono geloso dei tuoi occhi, dei tuoi capelli, del tuo viso, del tuo sorriso, di ogni parte del tuo corpo e di ogni tuo pensiero, impazzisco se sorridi ad un altro, impazzisco se il tuo volto arrossisce per un altro. Io non voglio vedere nessun altro accanto a te. Eppure ti ho detto solamente “sei bellissima” ed ora ho paura di incontrarti, come se tutto questo mondo di emozioni fosse arrivato a te attraverso le mie parole, più ancora che dal tocco delle mie labbra, dal tremare della mia mano mentre toccava, stringeva, la tua. Oscar.

Come posso affrontarti ora? Come posso stare vicino a te senza pensare di abbracciarti, toccarti, stringerti? Come posso guardarti, senza pensare al mio desiderio di te? Come posso parlarti, senza poter urlare a te, a tuo padre, al mondo, che ti amo e che quello che ci divide è solo una convenzione assurda?

Ma tu, Oscar, puoi amarmi? Puoi provare le stesse cose che io provo per te? Le convenzioni, la tua educazione, il mondo che ti circonda, tutto mi dice che non puoi amarmi, e cosa che mi fa ancora più soffrire, persino il tuo sguardo incerto e imbarazzato verso quell’ufficiale, mi dice che non puoi innamorarti di me.

Eppure, le tue labbra, il cambiamento del tuo respiro, l’improvviso calore della tua mano racchiusa nella mia… non l’ho sognato, era reale. Era emozione? Era sorpresa, certamente, ma era anche qualcosa d’altro? Era amore? Oscar dimmelo, dimmi che hai sentito il mio stesso calore, dimmi che hai sentito il tuo cuore battere a mille, dimmi che mi hai pensato, sognato, come io ho fatto di te stanotte, dimmi che non riesci a pensare a nient’altro che a questo, che non ti ricordi più nemmeno come si abbottona una camicia, come io non riuscivo più a ricordarlo stamani.

Oscar, ti prego, dimmi che era amore. Io ora non posso dirti nulla, perché mi manca il coraggio. Continuerò a guardarti, a pensare che sei bellissima, a sentire che ti amo, sperando, sognando, che tu senta lo stesso per me.

 

E André continuò a guardarla, quel mattino, quando lei non poteva accorgersene, continuò a sognarla. Continuò a sperare.

Non si parlarono. Si evitarono in tutti i modi possibili. Come se il silenzio fosse stato stabilito da un patto segreto e non revocabile. Oscar salì sulla sua carrozza velocemente, senza nemmeno guardare la carrozza di André, senza cercarlo con lo sguardo, cercando anche solo di non pensare a lui. Inutilmente, perché anche lei, di nascosto, cercava di guardare André.

Anche lei continuò a sognarlo. Anche lei, ma di questo non si rese conto coscientemente, continuò a sperare.

 

Il gruppo di carrozze avanzava lento nei pressi di un argine, la sentinella lo intravide arrivare. “Ci siamo”, pensò.

 

Il lungo ponte di legno che stavano per attraversare era di antica fattura, ma diede ad Oscar, che lo osservava dalla carrozza dei servitori, un impressione di fragilità. Le sembrò di sentire già lo scricchiolio del legno sotto le ruote della sua carrozza, eppure la carrozza non era ancora sul ponte. Tremò lei stessa, come immaginava avrebbe tremato il ponte entro pochi minuti. Girodel era già stato sul ponte ed era tornato tranquillo. Ma lei non si sentiva tranquilla. Non del tutto, almeno. Si strinse dentro una coperta calda, in una mattinata fredda, il sole già alto non sembrava riscaldarla abbastanza. “Pochi minuti”, si disse, “pochi minuti e sarà tutto finito”

 

“Pochi minuti, pochi minuti e sarà tutto finito” disse nascosto tra i cespugli il duca di Orléans, mentre la prima carrozza, quella dei servitori dell’imperatore, iniziava a percorrere lentamente il ponte.

 

Un cenno, un gesto della mano, quattro ombre si mossero, come uscite improvvisamente dal buio, dall’inferno, e che velocissime a quell’inferno ritornarono. Piccole luci, come fiammelle, che mossero velocemente nell’oscurità.

Uno sguardo distratto, pochi istanti per capire, per immaginare lei morire, pochi secondi, forse meno di un minuto per spalancare una portiera, correre all’impazzata per salvarla o morire con lei, per lei, urlare a tutti di fuggire via… perché il ponte esplode… spalancare un’altra portiera, afferrare un braccio, urlare “VIENI VIA!!!!”, e trascinarla via di corsa, mentre tutti corrono, quasi li calpestano. Una coperta vola lentamente giù dal ponte. Un rumore più forte del terrore all’improvviso porta il silenzio. Un ponte che crolla, una carrozza, ormai vuota che precipita. La gente corre ancora, si calpesta ancora. Ma due persone, due persone solamente si sono fermate. Un uomo e una donna. Abbracciati. Stretti. Soli. Nella folla. Nella follia. André stringeva a sé Oscar, la sua Oscar che non smetteva di stringerlo a sua volta.

La voce di Girodel li separò, inevitabilmente, inutilmente, qualche minuto dopo.

“State bene?”

“Sì” una risposta all’unisono. L’ultimo gesto insieme. Prima di separarsi.

 

Il viaggio verso Bourges sarebbe stato più lungo, senza più il passaggio sul ponte e con una carrozza in meno. Oscar salì sulla carrozza di André, con altri servitori. Necessità. Non ci furono più altre parole, tra loro, ma sguardi. Non quelli di quando erano bambini. Non quelli di quando erano poco più che ragazzi. Quel giorno si scambiarono altri sguardi, da adulti, di paura, di timore per la sorte dell’altro, di voglia di abbracciarsi, toccarsi, dirsi tutto e non dirsi niente. Gli sguardi che in tutta la loro vita non si erano mai scambiati, che André aveva desiderato, che Oscar, improvvisamente desiderava. Gli sguardi di due innamorati.

 

Bourges, una serata e un intera giornata domani  a disposizione. Liberi. Ma liberi di fare cosa? Di essere cosa? Mi guardo allo specchio e vedo una me stessa che non conoscevo, e non immaginavo. Mi guardo allo specchio e non sembro io. Non sembra il mio viso, non sembra il mio corpo, non sembrano, soprattutto, i miei pensieri e no riesco a comprendere quest’ansia strana che mi prende pensando che, tra poco, prenderò parte ad un ballo.

Paradosso, meraviglia. Io sono stata a tanti balli, a tante feste… e non mi sono mai sentita così…

Ho impiegato un’ora a scegliere il vestito, e ne ho solo cinque. Ho messo un’attenzione nel truccarmi che non avevo mai messo, anzi, a dire la verità, fino a pochi giorni fa non mi ero mai truccata. Ora… perdo tempo… faccio mille prove… questo corsetto che mi soffocava fino a ieri ora mi sembra quasi che non ci sia. Sono prigioniera dello stesso mezzo con il quale ho sedotto. Sono prigioniera dello stesso mezzo con il quale sono stata sedotta. Mi domando se mi inviterà a ballare, io, il colonnello de Jarjayes, che fino a pochi giorni fa avrei riso di una cosa simile. I balli non mi interessavano, il mio aspetto fisico non mi interessava e ora…

Ora mi domando, quasi con timore, se ricorderò come si balla un minuetto… mi guardo allo specchio e vedo una donna che non conosco, e non so cosa vuole, davvero non lo so. Mi fa paura, in certi momenti, quella donna, mi fa paura il modo in cui le batte il cuore. Mi fa paura il modo in cui pensa, desidera, ama. Ma lui è il mio amico, è uno che mi conosce da sempre, che sa tutto di me. Conosce le marachelle che facevo da bambina, gli atti di bontà e quelli di pura crudeltà, come quelli che tutti i bambini prima o poi fanno. Conosce tutte le mie debolezze. Con lui ho giocato, riso, pianto, urlato. Conosce la mia gioia e il mio dolore.

E’ questo l’uomo con cui vuoi ballare stasera? Si! Dico a te, a te che sei riflessa nello specchio e che perdi tutto questo tempo, mentre i musicisti cominciano il loro repertorio. E lui? E’ per lui che ti senti così assurdamente felice? E’ lui che non smettevi di abbracciare, solo questo pomeriggio, fino a infilargli le unghie nella pelle, fino a scomparire tra le sue braccia? E’ lui che ti fa sentire così? Se davvero è lui… corri… prima che io ti fermi… prima che ti tolga i fermagli d’argento tra i capelli, prima che ti tolga questo vestito di seta, prima che ti tolga questo trucco dal viso. Corri, prima che ti impedisca di pensare, che ti impedisca di sognare, che ti impedisca di immaginare una vita che non c’è, e che non ci sarà, che ti impedisca di desiderare. In fondo, ti ha solo detto “sei bellissima”. Vuoi davvero scoprire che non c’è nient’altro dietro queste parole? Che è stato solo uno strano momento, una vicinanza eccessiva tra due buoni amici, che lui forse non… voleva… non pensava… Vuoi davvero scoprire questo?

Oscar chiuse gli occhi, ma quando li riaprì, la strana donna vestita di seta blu era ancora lì. Riflessa nello specchio. Decisa. Allora Oscar la lasciò andare.

 

Un salone enorme, tanta gente, ma lui era lì, e sorrise quando la vide. Il suo sorriso, il suo bel sorriso. Non si era mai accorta di come fosse importante per lei vedere quel sorriso ogni giorno. E sorrideva a lei, a lei soltanto, lo sentiva. Il minuetto. Un momento di indecisione, ma lui fu subito accanto a lei.

 

“Io… non ricordo bene… i passi…”

Un sorriso, tenero, complice, “Nemmeno io.”

 

Le mani sfiorate poi subito separate, i passi cadenzati, fianco a fianco, senza pensare, poi allontanati, da un altro uomo, da un’altra donna. Cercarsi, con lo sguardo, con il movimento dei passi, con il tendere delle mani. Di nuovo vicini, di fronte l’uno all’altra. Un rossore, la voglia di non guardarsi, per poi cercarsi di nuovo dopo, quando di nuovo sono separati, e in mezzo a tanta gente, ancora, loro due soli. E così per minuti, forse ore. E fuggire all’improvviso, verso un angolo riparato dal salone. Fuggendo e sperando, allo stesso tempo che lui la raggiunga. L’ennesimo inganno, ma per lei sola.

E altri balli e altri sguardi. Cercarsi e non cercarsi, e trovarsi, all’improvviso, a salire le scale insieme. Lasciare che lui apra la porta. Sentirsi mancare per un attimo il respiro, quando lui la chiude. Che cosa succede? Che cosa succede ora? La risata di lui a spezzare la tensione, ma non l’incanto, non il turbamento.

 

“Dicevi che non ricordavi i passi ma Oscar tu…”

Oscar mise una mano sulla sua bocca, quasi a bloccargli il respiro.

“Non chiamarmi così…” Una preghiera. Quasi disperata.

“Io…”

“André ti prego non chiamarmi così, io stanotte sono solo Marianne.”

Un momento di silenzio, come se lui volesse studiare i pensieri di lei, e poi…

“Posso amare Marianne?”

Le labbra di lei incontrarono quelle di lui, e il bacio diventò sempre più profondo, più intenso, più caldo. E la bocca non poté più bastare. Niente poté più bastare. E il bacio perse i confini della bocca, per perdere progressivamente ogni confine possibile. Un corsetto slacciato, stoffa scesa lentamente verso il pavimento.

 

Quella notte Marianne seppe cosa era l’amore.

 

 

Continua...

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