Il viaggio degli inganni

parte dodicesima

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André colpì il suo ultimo avversario, proprio nel momento in cui vide Oscar cadere a terra.

Fu subito vicino a lei. Oscar portò istintivamente una mano sulla ferita che perdeva vistosamente e irrimediabilmente sangue. Respirava a fatica, e, quando guardò la sua mano, si rese conto, con sgomento, che non le rimaneva molto da vivere. André cercò di tamponare la ferita con un fazzoletto, ma si rese anche lui immediatamente conto che la situazione era grave, gravissima.

Urlò, chiese aiuto, e per qualche minuto, a rispondere al suo disperato appello non c’era davvero nessuno. Oscar cominciava a sentire le forze venir meno, mentre da non troppo lontano proveniva un rumore forte, di cavalli al galoppo. André prese di nuovo in mano la spada, pronto ad affrontare altri assassini, a difenderla fino alla morte o a morire con lei, che respirava quasi a fatica.

Scorse da lontano il colore delle giubbe dei soldati e si rese conto che il loro intervento avrebbe potuto essere provvidenziale. Una speranza, in una situazione assolutamente disperata.

Lasciò cadere la spada e si chinò su di lei, le prese la mano. La strinse e rabbrividì rendendosi conto che la stretta di lei era quasi inesistente. Sempre più debole, come se stesse per morire. Lasciò allora la mano per prendere il viso di lei tra le sue mani. Fu allora che si accorse che gli occhi di lei erano pieni di paura. Paura di morire.

“Amore, resisti, ti prego, stanno arrivando, stanno arrivando, ti porteranno al sicuro, ti cureranno, resisti… non mi lasciare… ti prego…  non mi lasciare…”

Gli occhi di André erano pieni di lacrime e, guardandoli, Oscar pensò quasi con sollievo che, in fondo, era valsa la pena di aver vissuto quella vita, per quanto breve. Era stata intensa… e aveva conosciuto l’amore di un uomo. Un amore totale, tanto forte quanto disperato, in fondo. E per lei soltanto.

E, guardando gli occhi di André, si disse che forse poteva anche accettare di morire, se lui fosse rimasto accanto a lei fino al suo ultimo respiro. Sentì che le gambe cominciavano ad intorpidirsi, forse le restavano solo pochi minuti, pochi minuti per dirgli tutto. Doveva farlo.

“André…”

“No, non ti affaticare a parlare… conserva le forze… devi resistere! Eccoli, stanno arrivando!”

“André…”, Oscar abbozzò un debole sorriso, “te l’avevo detto che Marianne non sarebbe vissuta a lungo…”

“No!” gridò quasi André mentre i soldati della pattuglia arrivavano verso di loro, ormai vicinissimi. “Io non voglio che tu muoia! Non abbandonarmi, ti scongiuro! Accetterei qualsiasi cosa da te, qualunque persona tu voglia essere… Oscar, Marianne… che importanza può avere? Io ti amo, ti amo da impazzire. Accetterei qualunque cosa, anche non di vedere più Marianne, accetterei persino di non vederti mai più, ma non lasciarmi! Non morire, non lasciarmi ti prego!”

La strinse a sé disperatamente, non accorgendosi nemmeno che non erano più soli. Che c’era una moltitudine di gente intorno a loro. Che c’era un uomo vicino a loro. Non poteva accorgersi, André, dello shock sul volto di quell’uomo, che aveva improvvisamente riconosciuto in quella giovane vestita di bianco, la persona più importante della sua vita. Non poteva accorgersi, André, della disperazione di quell’uomo. L’unica persona importante della sua vita. Carne della sua carne, sangue del suo sangue. Lo stesso sangue che ora le macchiava le vesti, togliendole il respiro, la vita stessa.

Oscar alzò una mano, come ad accarezzare il volto di André, ma non lo trovò, perché tutto si faceva scuro e lontano. Le sue ultime forze, prima di lasciarsi andare, di non sentire più quel dolore insopportabile al petto, di non sentire più il suo sangue scorrere via dal suo corpo.

Prima di morire.

Un soffio, quasi: “Io ti amo, André.”

Chiuse gli occhi.

Quelle furono le ultime parole di Marianne.

 

André alzò gli occhi allora, come a cercare aiuto e vide il generale Jarjayes di fronte a lui che lo guardava con un sentimento di rabbia, di furia, di odio, forse. Qualcosa che non poteva definire ma che lo paralizzò.

Jarjayes disse soltanto, con una voce quasi innaturale per quanto era dura, tagliente: “Restituiscimela!”

André allora sollevò Oscar. Jarjayes, sia pure a fatica, la prese tra le sue braccia. Con spavento sentì il sangue di lei bagnargli i vestiti. I suoi uomini lo aiutarono a montare a cavallo con lei. André lo vide stringere a sé la figlia, e spronare il cavallo al galoppo. In pochi minuti l’intera pattuglia sparì dall’orizzonte.

 

La calma era tornata nella cittadina di Orléans. Tutti erano rientrati nelle proprie case. Solo nel piccolo ospedale, in una piccola stanza, un medico si affannava a cercare di fermare una grave emorragia. Fuori da quella stanza stava un uomo, in piedi, con il viso appoggiato al muro, come a coprirsi, come a coprire il suo dolore, la sua paura. Girodel si avvicinò a Jarjayes.

“Generale, come sta vostra figlia?”

Un attimo di silenzio, poi Girodel si rese conto che stava cercando di asciugare le lacrime. Si voltò. “Non lo so, il medico è ancora dentro con lei. Non si è pronunciato.”

“Capisco, io… io sono addolorato per quanto è successo… mi sento… responsabile… possiamo solamente aspettare cosa dirà il medico, ma non mi perdonerò mai quello che è successo ad Oscar. Abbiamo preso uno dei sicari. Era la loro spia all’interno del convoglio. Giuro su Dio che lo farò parlare a costo di ammazzarlo. Li prenderò tutti! Tutti!”

“Non sprecate il fiato, Girodel”, disse Jarjayes, quasi crollando sulla panca, ”non sprecate il fiato… quando si mandano tutti quegli uomini per uccidere una sola persona, bisogna essere folli, crudeli, e molto potenti.”

Il dottore uscì in quel momento dalla stanza. Jarjayes si alzò quasi di scatto.

“Generale, le condizioni di vostra figlia sono ancora gravissime. La ferita non sarebbe mortale, ma ha perso troppo sangue e solo ora sono riuscito a bloccare l’emorragia. Io… io non posso ancora dire se vivrà. Possiamo solamente sperare”, disse.

“Posso almeno vederla?”, disse Jarjayes.

“Sì, certo, potete stare con lei quanto volete, io torno tra non molto a controllarla.”

Jarjayes entrò nella stanza, come disorientato. La guardò, distesa sul letto. Gli apparve improvvisamente piccola, dentro quel letto. Le accarezzò piano il viso. Poi si sedette accanto a lei.

Girodel scese le scale che portavano all’uscita dell’ospedale. Fuori, ad attenderlo, c’era un altro uomo, ugualmente disperato, spaventato, disorientato.

“La situazione è grave, André, potrebbe non farcela”, disse Girodel.

André sbatté i pugni sul muro, poi nascose la testa tra le mani, senza accorgersi che le sue mani erano ferite. “E’ tutta colpa mia! E’ tutta colpa mia!” Non doveva succedere a lei, non doveva!”

“Stai calmo, stai calmo, André, non ti servirà a nulla fare così, non la salverà davvero. Possiamo sperare, e pregare, io, cercherò di parlare con il generale…”

“E’ inutile… non servirebbe… lui ha ragione… io sono l’unico responsabile di questa situazione… mi aveva messo al suo fianco per proteggerla e io… io l’ho condotta a questo… se lei non mi avesse seguito, se non avesse voluto proteggermi… io dovevo morire… non lei… non lei, capite? Come posso guardarlo in faccia, suo padre? Come posso? E’ tutta colpa mia, è tutta colpa mia”, disse, tra le lacrime, accasciandosi al suolo.

 

Le prime luci dell’alba colpirono gli occhi, stanchi e affaticati dal pianto, del vecchio generale. Aveva passato una notte intera a domandarsi cosa avesse sbagliato, ad accusare se stesso di aver sbagliato tutto con lei, ora che la vedeva così fragile, ora che vedeva sua figlia lottare tra la vita e la morte.

E’ tutta colpa mia, figlia mia, io, io non avrei mai pensato di vederti così. Ho sempre pensato, sperato di morire io per primo. A questo servono i figli, a non morire del tutto, mi sono sempre detto. E invece no, perché tu sei molto, tanto, troppo di più che una parte di me. Tu sei tutta la mia speranza, tutti i miei sogni, tutti i miei desideri, tutte le mie aspirazioni, sei la spavalderia che non ho più, sei la giovinezza che non ho più, sei la forza che non ho più, sei tutti i miei ideali, tutte le cose per cui ho lottato e creduto, sei la lealtà, e il coraggio che mi viene meno, ogni volta che ti guardo così fragile di fronte a me, così maledettamente bella e fragile in quel vestito bianco. Solo ora mi accorgo che sei bella. Solo ora mi accorgo quanto di tua madre c’è in te. Solo ora mi accorgo di quanto di me stesso c’è in te. Oscar, tu sei la vita stessa -quella vita che lentamente mi abbandona-, sei stata sempre la mia gioia e il mio sollievo, e sei stata sempre la mia paura, il mio timore inconfessato. Ora, ora che non posso fare niente per te, posso solo sfiorarti il viso, le mani. Ora che ho il terrore che tu non possa più guardarmi negli occhi, ora che ho il terrore che tu non possa più stringere la mia mano, ora so quanto ho sbagliato con te. Ora lo so, e non posso fare niente per aiutarti. Ma resterò con te, fino alla fine, e non permetterò più a nessuno di farti del male. Nemmeno a lui. Soprattutto a lui. Che cosa ti ha fatto? Non ne aveva il diritto. Non aveva il diritto nemmeno di sfiorarti, quel miserabile. L’ho raccolto, educato, addestrato. Doveva proteggerti. Doveva morire per te, se necessario. Ma non doveva nemmeno pensare di avere dei diritti su di te. Doveva proteggerti, e basta. Impedirti di fare sciocchezze, di fare cose che ti mettessero in pericolo. Paradosso assurdo, io che ti ho chiesto di votare l’intera tua vita al rischio, al pericolo, ti mettevo nelle sue mani perché rischi non ne corressi. Io che ti ho chiesto ogni giorno della tua vita di essere pronta a morire. Io che ti ho fatto giurare e spergiurare ogni giorno della tua vita di essere pronta a morire. E tu stai morendo per aver cercato di proteggere lui. Lui. Non aveva alcun diritto di chiederti questo. Non aveva nessun diritto. Non aveva il diritto di farti innamorare di lui. Il vero pericolo. Tu non puoi, non devi amarlo. Non ne ha il diritto. Io… io impedirò che ti possa fare altro male. 

 

Il dottore fece uscire il generale per cambiare la fasciatura intrisa di sangue. Girodel lo aveva intanto raggiunto nuovamente.

“Ebbene, Girodel, questo mi dite, ma non mi sorprende per nulla. De La Priore, o comunque si chiamasse l’uomo che avete arrestato e che avete trovato ucciso nella sua cella poco fa, era solo una scomoda pedina. Scomoda e inutile, adesso che era nelle nostre mani. Persino pericolosa. Così l’hanno eliminata. Girodel, perdonatemi la franchezza, ma a questo punto non mi importa più di niente e di nessuno. Tranne…”

“… certamente… tranne che di vostra figlia… ecco… forse… dovreste permettere… anche a…”

“Girodel! Come osate! Come osa! Dov’è? E’ ancora qui, quel miserabile?”

“Generale, è… un uomo… è un uomo disperato come voi… vi assicuro… che soffre…”

“Soffre? Non ha neanche idea di cosa sia la sofferenza, quell’uomo. E’ mia figlia, quella che sta morendo! E’ mia figlia!”

“Generale, voi avete ogni ragione del mondo per avercela con lui, ma una cosa non potete negare, io… io l’ho vista, vostra figlia, io l’ho vista… innamorata di lui…”

“Zitto! State zitto! Tacete!”

“No, questo lo dovete ascoltare, nemmeno io lo credevo possibile ma lei, lui… si amano, generale,  loro si amano… io ho visto vostra figlia pronta a qualsiasi cosa pur di difenderlo, il suo amore, ad affrontare lo scandalo, il disonore, anche il vostro disprezzo, generale… io… l’ho vista … felice con lui… sì, io l’ho vista felice con lui…”

“Non una parola di più, Girodel!”

“Vi prego, lasciate… lasciate almeno che possa salutarla… che possa dirle addio… vi prego… fatelo per lei…”    

“Ha già fatto fin troppo per lei!” urlò Jarjayes, richiamando fuori dalla stanza il medico che intimò ai due uomini di calmarsi e di fare silenzio.

Un flebile lamento squarciò l’improvviso silenzio, tanto flebile quanto dolorosamente rumoroso. Il generale si slanciò verso il capezzale della figlia, le toccò la fronte sudata e bollente.

“Dottore! Fate qualcosa!” Il dottore si avvicinò velocemente al capezzale della ragazza mentre l’infermiera spingeva fuori dalla stanza il generale. Uscendo, prima che fosse chiusa la porta della stanza alle sue spalle, udì chiaramente sua figlia lamentarsi, udì sua figlia chiamare qualcuno nel lamento, udì sua figlia chiamarlo per nome. Sua figlia nel dolore, nella paura, non cercava suo padre. Cercava André.

Epilogo

Quando tre ore dopo la febbre si abbassò, riportando la ragazza ad uno stato pressoché vegetativo e restituendo nuovamente un’apparente tranquillità al volto di lei, André si apprestava ad avvicinarsi alla sua stanza, accompagnato da Girodel. Jarjayes lo guardò. La rabbia sul viso, solo lievemente scalfita dalla stanchezza e dal dolore. André abbassò gli occhi. Non poté sostenere il suo sguardo. Eppure, per un istante, Jarjayes era rimasto quasi stupito, sorpreso, di trovare il suo stesso dolore riflesso negli occhi del ragazzo. Forse, Oscar era veramente importante per lui. Scacciò quel pensiero, e si limitò a dire: “Solo pochi minuti, e non ti azzardare a toccarla.”

André entrò nella stanza, e si sedette accanto a lei. Non riuscì ad impedire che le lacrime scendessero sul suo viso guardandola, così pallida, così apparentemente serena. Non riuscì ad impedirsi di spostarle una ciocca di capelli che le copriva parzialmente una palpebra, non riuscì a impedirsi di accarezzarle dolcemente una guancia. Non riuscì ad impedirsi di sussurrare al suo orecchio, piano, parole d’amore, tristi, sincere, profonde. La porta era rimasta aperta e il generale Jarjayes si rese conto, guardando il dolore di André riflesso nei suoi gesti, di non essere il solo a soffrire per sua figlia.

Girodel gli si avvicinò: “Generale, c’è una pista… una possibilità, un sospetto…”

“Quale?”

“Il… possibile mandante… potrebbe essere… ma non ci sono prove… è difficile dimostrarlo…”

“Parlate!”

“Potrebbe essere… il duca d’Orléans!”

Jarjayes strinse forte i pugni, non faceva i conti soltanto la sua rabbia ora, ma anche con la sua frustrazione. La frustrazione di un uomo che vedeva soffrire la propria figlia per mano di chi, troppo potente, mai avrebbe potuto essere accusato. Qualcuno che non avrebbe mai potuto essere giudicato. Da nessuno. E lui, non avrebbe potuto fare nulla. Nulla. Alzò gli occhi e vide la stessa frustrazione e la stessa rabbia in André, che a quel nome era scattato in piedi, poi aveva cominciato a guardarsi la mano, quella stessa mano che la sera prima aveva stretto quella del duca. La mano dell’uomo che aveva tentato di uccidere Oscar e che probabilmente, pensò André, era stato il mandante di tutti gli altri tentativi di uccidere lui. Ebbe vergogna di se stesso, per avere stretto quella mano.

Tornò mestamente al capezzale di Oscar, sedendosi di nuovo accanto a lei.

 

Un ora dopo Jarjayes si avvicinò ad André, ancora assorto nei suoi pensieri, la mano posata su quella della figlia.

André lo guardò, pronto ad alzarsi, pronto a subire qualsiasi patimento da parte di quell’uomo.

“Voglio sapere una sola cosa… almeno, è stata felice con te?”

André chiuse gli occhi e rivide lo sguardo di lei, felice, pieno di luce. Il suo sguardo dopo l’amore.

“Sì”, disse André, “io sono sicuro di sì.”

Jarjayes toccò con la mano destra la spalla di André. Poi prese un’altra sedia, e si sedette accanto a lui. Accanto alla figlia. Rimasero così per ore, senza dirsi niente, persi nelle rispettive preghiere, nei rispettivi pensieri, nelle rispettive colpe, nei rispettivi pentimenti e nei loro ricordi, pieni di lei, di lei soltanto.

Senza dirsi niente.

Due uomini soli nello stesso dolore, nello stesso timore, nella stessa paura.

Jarjayes si alzò, all’improvviso. André lo seguì con lo sguardo.

“André?”

“Sì, generale?”

“Se… se Oscar… se Oscar dovesse sopravvivere… tu dovrai allontanarti da lei. Per sempre”

“Sì”, rispose mestamente ma dignitosamente André.

Oscar in quel momento sembrò lamentarsi flebilmente, nuovamente, si mosse, si scoprì, seppure di poco. André le fu accanto, accarezzandole il volto, piano, rimboccandole leggermente le coperte.

Jarjayes li guardò, senza poter impedire quell’ennesimo contatto tra loro, quell’ennesimo atto d’amore di André verso Oscar.

Cosa sto facendo?, pensò il generale, non è ancora morta e io la sto uccidendo di nuovo? Oscar… Se solo tu potessi dirmi se sto sbagliando… se forse… per te…

 

Il mattino dopo il medico notò i primi segnali di miglioramento nella sua paziente, che stava recuperando, seppure lentamente, colorito e pulsazioni. Da un momento all’altro avrebbe potuto anche aprire gli occhi. Il recupero sarebbe stato probabilmente lungo, ma possibile. Ora molto più di prima. Comunicò la notizia ai due uomini, e ne vide la gioia, attraverso le loro espressioni improvvisamente più distese, più serene. Ognuno ringraziò nel proprio cuore il proprio personale dio.

André si rivolse al generale: “Posso restare con lei almeno finché non aprirà gli occhi? E poi sparirò.” Jarjayes rimase colpito dalla dignità di quella richiesta.

“Accordato. E poi sparirai dalla vita di mia figlia”

Si accorse solo allora, con molto più stupore, di quante volte, in quelle ore, in quei giorni, l’avesse chiamata figlia. Figlia, invece di figlio, come l’aveva chiamata sempre fino a quando non aveva rischiato di perderla. Di perdere sua figlia.

 

Qualche ora dopo, André si accorse che Oscar stava riprendendo conoscenza.

“Si sta svegliando! Si sta svegliando!”

Oscar aprì gli occhi, debolmente. Per qualche istante non riuscì a mettere a fuoco compiutamente un’immagine. Poi vi riuscì, e vide suo padre, accanto a lei.

“P… padre”, articolò con difficoltà.

“Non ti sforzare”, disse Jarjayes, “sei ancora molto debole.”

Oscar si voltò debolmente a cercare un volto, in quella confusione che ancora la circondava e sembrava sovrastarla. André si avvicinò a lei. E Oscar lo vide, accennando un debole sorriso.

André guardò allora il generale, quasi in una supplica. E Jarjayes si allontanò dalla stanza, lasciandoli soli.

“André… cosa? … cosa? … mio padre…”

“Ssst… stai tranquilla… non succede niente… tuo padre era preoccupato per te, come me… ma ora che stai meglio… vedrai che tutto… tutto si sistemerà…”

Oscar si portò una mano sul volto, era ancora molto confusa. Il medico entrò allora nella stanza.

“Bene! Molto bene. Ora però deve assolutamente riposare!”

“Hai sentito il dottore, a quanto pare devi dormire ancora un po’, come se tu non avessi dormito già abbastanza!” fece André fingendo un tono allegro, per tranquillizzare lei. “E io? Io quando dormirò? Fortunata te, che puoi poltrire ancora!”, le disse, ridendo.

Oscar sorrise, allora, preparandosi a riaddormentarsi. André si avvicinò, e le baciò dolcemente le labbra. Poi si allontanò quasi di corsa da lei, perché non potesse vedere le lacrime che sentiva inevitabilmente scendere dai suoi occhi. Si allontanò, mentre Oscar chiudeva gli occhi. Si allontanò piangendo, in silenzio, evitando il padre di lei, rimasto solo, sulla soglia della camera, a guardarla dormire. In silenzio.

Quando, dopo qualche ora, Oscar si risvegliò, si rese conto che André era stranamente assente. Né il medico, né l’infermiera erano in grado di dare una spiegazione coerente di quanto stava accadendo.

Chiese spiegazioni a Girodel, quando questi le si avvicinò per la prima volta a darle un saluto.

Le bastarono poche parole incerte, intimidite del giovane per capire, dolorosamente, quello che era successo. Si voltò dalla parte opposta, dando le spalle a Girodel. Le uscirono, sommesse, prima parole di rabbia verso André, poi solo parole di dolore, che Jarjayes, rientrato nella stanza all’improvviso, ascoltò in silenzio.

Ci vollero ancora due giorni prima che Jarjayes trovasse la forza per parlare con la figlia. Quella figlia che appariva tranquilla, ma che dentro di sé, ormai lui ne era certo, provava un profondo dolore e una grande tristezza per quella separazione forzata.

Jarjayes si avvicinò al letto.

“Oscar, non sono mai stato bravo a fare discorsi, e non ho intenzione di farteli nemmeno ora.”

“Volete sapere perché mi avete trovato qui?” rispose lei.

“No, voglio solo sapere… se lo ami anche tu.”

Oscar rimase qualche istante in silenzio. Poi lo guardò intensamente negli occhi.

“Sì.”

“Ho capito”, disse Jarjayes.

“Padre?” articolò Oscar.

“Ho capito, non ci sono altre cose da dire” disse lui, con tono estremamente serio, senza concedere possibilità di replica. “Sto ripartendo per Versailles, ho dato ordini a Girodel e ai suoi uomini di riportarti a casa quando starai meglio. Ci vedremo lì.”

Fece per allontanarsi, ma quando fu lontano qualche passo dalla stanza di lei ebbe un ripensamento e rientrò. La vide, allora, ancora debole, tentare di alzarsi, tentare di appoggiarsi ad un muro per non cadere. Muovere i suoi primi incerti passi. Come quando era ancora piccolissima. Inciampare, come allora. Oscar si accorse allora con stupore che il padre l’aveva afferrata affinché non cadesse. E in modo quasi incerto, impacciato, l’abbracciava.

La stava abbracciando. Oscar allora appoggiò la testa sul petto del padre, mentre lui, in silenzio, continuava a tenerla nel suo abbraccio. Lei  sorrise di gioia quando si accorse che poteva sentire il suo cuore, il cuore di suo padre battere.

Fu solo la voce di Girodel ad interrompere quel loro momento insieme. Jarjayes aiutò la figlia a sedersi accanto alla finestra… Poi si allontanò seguito da Girodel.

Uscito dalla palazzina, scambiò poche significative parole con Girodel, la cui espressione sul volto tradì una rinnovata serenità dopo averle ascoltate. Le stesse parole che Victor ripeté poi ad un’altra persona, che al colmo della sua felicità, ancora incredulo per la notizia, era pronto a salire, non appena il generale se ne fosse andato, quelle stesse scale che qualche giorno prima era convinto non avrebbe salito più.

Jarjayes montò a cavallo, lanciando un’ultima occhiata in direzione della finestra della stanza della figlia.

Oscar… giurami… giurami che non ti perderò comunque.

E sul volto di lei alla finestra, che lo guardava, si sovrappose, nei pensieri del generale, la sua voce infantile, di bimba, di bimba che cercava di sembrare solenne, e sicura di sé. La voce di sua figlia.

Lo giuro, padre, lo giuro…

Jarjayes si allontanò lentamente. All’improvviso si voltò e vide André che stava per entrare nella palazzina. Lo guardò, con sguardo serio, dignitoso, quasi superbo. Lo guardò, per poi voltarsi, e riprendere il suo cammino senza accennare minimamente ad un segno di saluto verso di lui.

Ma quello fu, in verità, proprio l’ultimo, inutile, inganno di questa storia.

 

 

Fine

mail to: f.camelio@libero.it

 

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