Il viaggio degli inganni

parte undicesima

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Il lungo convoglio arrivò ad Orléans nel tardo pomeriggio. Ad accogliere l’imperatore e il suo seguito c’era una grande folla. André si affacciò stancamente dal finestrino della vettura. Non si accorse neanche dei petali di fiori che venivano lanciati al suo indirizzo, non si accorse dei sorrisi della gente, dell’ammirazione delle ragazze, anche la musica della banda del paese gli sembrò lontanissima. Sistemava il colletto della camicia, che gli sembrava sempre più duro e insopportabile. Sentiva, di tanto in tanto gli occhi bagnarsi, scacciava le lacrime che inevitabilmente scendevano sul suo viso. Non riusciva più a fingere di essere “l’imperatore austriaco”, non riusciva più a fingere dei modi, un linguaggio, una gestualità che non era la sua. Non riusciva più a fingere niente. Avrebbe voluto solamente trovarsi lontano da quel posto, da quelle grida, da tutta quella gente, da tutto quell’inganno, da tutta quella falsità. Avrebbe voluto trovarsi con lei, in un posto qualsiasi, lontano da tutto, da tutti, e guardarla, accarezzare il suo volto piano, scostarle delicatamente i capelli dalla fronte, prima di vederla addormentarsi, serena, felice.

Oscar, chiusa nella sua carrozza, ripensava agli ultimi avvenimenti. Pensava a suo padre, a quale reazione avrebbe avuto una volta letta la sua lettera, l’avrebbe compresa? Come poteva comprenderla se l’aveva sempre considerata un maschio?

Ma anche gli uomini hanno dei sentimenti, delle passioni,  a me no, a me è negato anche ciò che agli uomini è concesso, io non posso sbagliare… pensava.

Uno sbaglio, continuava a ripetersi nella mente, tutta la sua storia con André era uno sbaglio. Il suo stesso sentimento per André era uno sbaglio. Qualcosa di impossibile, improponibile, assurdo. Una cosa che non aveva futuro, che non poteva averne, che non doveva averne, che nessuno avrebbe compreso, perdonato, capito, protetto. Eppure, continuava a guardare, a osservare il suo “sbaglio” dal finestrino della sua carrozza, non riusciva a controllare i battiti del suo cuore quando guardandolo, ripensava all’ultima volta che aveva fatto l’amore con lui, al loro ultimo bacio.

Io non posso sbagliare...

Vennero alloggiati nella migliore locanda del paese, mancavano poche ore all’inizio della festa ufficiale per il loro arrivo.

Nelle cantine del castello del duca d’Orléans, nel frattempo, i sicari ripassavano la cartina del paese, la strategia da eseguire. Una giovane ragazza veniva truccata da cameriera del seguito dell’imperatore, mentre un uomo le faceva ripetere ad alta voce tutti i passi che doveva fare, ogni singola mossa. Un uomo che le nascondeva un pugnale tra la seta dell’abito, baciandola sulle labbra. Quel bacio sembrò un suggello di morte ad un altro uomo che nell’ombra osservava quella scena. L’amore di quella ragazza si trasformava nella morte di un’altra ragazza, nel suo dolore. Nell’ombra, l’uomo per un istante rivide il sorriso imbarazzato di lei, infreddolita, accanto ad una fontana.  Il ricordo di un vestito rosso, come il sangue che l’avrebbe macchiata di lì a poco. Tutto quello spiegamento di forze, per uccidere una sola persona. Una sola donna. Come se fosse il demonio, considerò l’uomo. Eppure, non poté fingere di non provare angoscia sapendo quello che sarebbe successo. Non poté fingere di non provare orrore per ciò che sarebbe successo. Non poté più fingere di non essersi innamorato di lei. Lo era. E avrebbe tentato di salvarla.

Nella locanda André si preparava alla festa. Scelse da solo gli abiti, dopo aver sperato che lei si affacciasse. Per ore. Non ti avrei detto niente, se tu fossi venuta, ma volevo almeno guardarti… Ma chi posso prendere in giro ora? Solo me stesso, forse. Se tu fossi entrata qui, ti avrei abbracciato stretta, non ti avrei lasciato andare. Non sopporto più questa situazione, questi vestiti, queste inutili cerimonie Dov’è? Dov’è il vero imperatore? Perché non arriva, perché non ci libera da questa assurda pagliacciata? Vorrei solamente poter essere libero di fuggire con te, non importa per quanto tempo. Su una cosa avevi ragione, amore mio, sono veramente un “imperatore da quattro soldi”…

Oscar, intanto, guardava il vestito da indossare per quella sera, adagiato sul suo letto. Ne accarezzò le trine, i merletti. Provò un brivido, e la assurda ma precisa sensazione che sarebbe stato l’ultimo vestito da sera che avrebbe indossato. L’ultimo vestito da donna che avrebbe indossato. All’iniziale sensazione di paura si mescolò una strana sensazione di sollievo. Quelle trine, quei merletti, avevano sedotto André. L’avevano fatto innamorare di lei, e lei, per tutto quel tempo, non gli aveva ancora detto quello che realmente provava per lui. L’aveva amato, riempito di attenzioni, senza mai dirgli quelle due parole che lo avrebbero reso felice. Irrimediabilmente felice. E irrimediabilmente legato a lei. Anzi no, quelle due parole avrebbero reso lei irrimediabilmente legata a lui. Neanche Marianne era riuscita in questo. Neanche Marianne era riuscita a dirgli che lo amava. Nemmeno lei, che come un’amante studiata aveva compreso perfettamente come amarlo. Nemmeno lei era riuscita veramente a renderlo felice.

Entro pochi giorni sarebbe rientrata a casa. Niente più pizzi, niente più merletti… ma di quelli, in fondo, avrebbe fatto volentieri a meno. Niente più abbracci… niente più baci… niente più passione… niente di niente… forse, solo dolore, solo tormento. Forse la fine di tutto. E lei, se ne rese conto in quel momento, non aveva ancora la forza di poter affrontare tutto quello che poteva succedere. Aveva bisogno del suo sguardo, del suo sguardo felice, di vedere i suoi occhi quando gli avrebbe detto: Io ti amo.

Senza barriere, io ti amo.

Senza maschere, io ti amo.

Senza convenzioni, io ti amo.

Senza compromessi, io ti amo.

Senza incertezze, io ti amo.

Senza paure, io ti amo.

Senza più alcun pudore, io ti amo.

Un sottile tormento la assalì quasi, doveva dirglielo, quella sera stessa, e parlare con lui, trovare una soluzione con lui, qualunque fosse, qualunque rischio, qualunque dolore comportasse. Infilò rapidamente l’abito. Prima  che fosse troppo tardi. Doveva raggiungerlo.

Scese rapidamente le scale, tutti i componenti del seguito dell’imperatore avevano già raggiunto la grande piazza dove si stava svolgendo il banchetto in suo onore. Quando lei arrivò, vide il duca d’Orléans avvicinarsi ad André. All’improvviso, si rese conto che, seppure teoricamente, Orléans avrebbe potuto riconoscerla, così presa tra due fuochi, tra il desiderio di parlare ad André e il timore di essere riconosciuta e mandare in fumo l’intera missione, Oscar si sedette in un tavolo lontano da quello dell’imperatore.

Il duca si avvicinò ad André con modi tanto studiati quanto fasulli da gran cerimoniere. Si inchinò davanti a lui. André trattenne a stento un sorriso. Poi, però fu preso dalla rabbia. Doveva porgere la sua mano ad un uomo che più volte aveva attentato alla vita del sovrano, e cosa ancora più insostenibile, probabilmente avrebbe voluto anche la morte della sua compagna che quel sovrano proteggeva. Eppure se lo trovava lì, con il suo sguardo fintamente ammirato, con il suo sguardo fintamente ossequiente, con quegli occhi che trasmettevano, nonostante la finzione, tutta la sua profonda malvagità. E doveva porgergli la mano, necessariamente, per non compromettere la missione. Così gliela porse. E il banchetto poté avere inizio. André venne fatto accomodare tra la  giovane e graziosa cugina del duca e il duca stesso.

André mangiava svogliatamente, sempre più infastidito da quella commedia, dagli assurdi atti di omaggio del duca, dai tentativi palesi e tristi della cugina di sedurlo. E cercando lei, la sua compagna, con lo sguardo, non trovandola. Si rese conto di essere in ansia per lei, di volerla assolutamente vedere. Di volerla almeno vedere, sapere almeno con certezza che fosse lì, non lontano da lui. Che fosse con lui, in qualche modo.

Da un altro tavolo si alzò un giovane soldato che si avvicinò ad un militare ben più anziano di lui, appartato dietro ad una colonna.

“Generale Jarjayes, la situazione sembra tranquilla, quando ritenete opportuno intervenire?”

“Non ora, se la situazione rimane così, possiamo attendere la fine della festa per intervenire. Voi e gli altri signori rimanete ai vostri posti e controllate la situazione, con discrezione”.

Intanto il banchetto volgeva lentamente verso il suo termine naturale. La musica dolce, di arpe e violini, che lo aveva accompagnato lasciò il posto ad una più allegra, più cadenzata, adatta per il ballo. La giovane cugina del duca invitò l’imperatore a danzare con lei. André portò la dama al centro della piazza e subito si formarono molte altre coppie intorno a loro. Le note divennero quelle di un minuetto, intense, allegre. André danzava mentre le dame si alternavano accanto a lui, mentre lui sperava, sognava quasi, che ce ne fosse una sola accanto a lui, una donna che continuava a non vedere, l’unica che avrebbe voluto stringere a sé.

Oscar guardava da lontano il proprio compagno ballare.  E si rese conto di soffrire. Di essere gelosa di lui, di volergli parlare, subito, senza più attendere. Come se quella fosse l’ultima occasione. Un pensiero assurdo, irrazionale, ma fortissimo, come un presentimento. Ebbe paura, paura che fosse già troppo tardi, che fosse davvero l’ultima volta. Si unì allora alle persone che danzavano, cercando di raggiungere André.  Ad ogni passo, cercava di ripetersi nella mente il modo in cui glielo avrebbe detto, bastavano solo due parole, in fondo, ma le sembravano così difficili da dire,  perché così cariche di significato. Passato, presente e futuro si fondevano in due sole parole. Tutta la loro vita si fondeva in due parole. Dirle, il suo più grande atto di coraggio. La rinuncia a molte cose probabilmente. Un grande rischio, e la più grande delle emozioni.  E poi… e poi avrebbe visto nei suoi occhi, probabilmente, la felicità. Ogni passo, ogni cavaliere che cambiava, si avvicinava sempre di più a lui. Si accorse di stare tremando, si accorse che i suoi passi erano sempre più incerti. Terribilmente incerti. E lui era sempre più vicino. Cosa sarebbe stato di loro? Del loro amore? Pochi passi ancora. Pochi e allo stesso tempo molti, troppi. André la vide allora, e tentò di avvicinarsi a lei. Vicini, sempre più vicini.

André continuava a cercarla con gli occhi, a spingersi verso di lei, senza più nemmeno guardare in volto le dame che danzavano con lui. I suoi occhi erano tutti per lei, per quei capelli biondi che volteggiavano senza tregua, per quegli occhi azzurri, così belli… 

Sfiorarla, poterla almeno sfiorare. Dirle piano, ancora una volta: Oscar, io ti amo.

Dirglielo, dirglielo almeno una volta: André, io ti amo.

Erano di fronte l’uno all’altra, finalmente. André le prese le mani, cercando di incontrare il suo sguardo, lo sguardo di lei, improvvisamente basso, improvvisamente lontano.

“André… io…”

Ti amo, ti amo TI AMO!!!

Ma dalle sue labbra non riuscivano ad uscire quelle due maledette parole, rimasero nei suoi pensieri, inespresse, urlate. Ancora pochi istanti di timore, di paura assurda, e vennero di nuovo separati  dalla cugina del duca. Oscar si ritrovò di nuovo lontana da lui, sempre più lontana. Non riuscì a trattenere una lacrima. Non riuscì a non darsi della vigliacca, della meschina. Tentò di riavvicinarsi, ma non vi riuscì più.

Quando si rese conto che non sarebbe più riuscita ad avvicinarlo, si diede mille volte della stupida. Qualcosa, dentro di lei, le fece sentire che aveva perso qualcosa di importante, e che assurdamente, non lo avrebbe ritrovato. E nessun tentativo di razionalizzare la sua delusione sembrava consolarla.

Continuò a guardarlo da lontano, fino a che una voce la riscosse dai suoi pensieri dolorosi.

“Contessa, perdonatemi, ma abbiamo bisogno del vostro aiuto.”

Oscar si voltò, una lacrima scendeva ancora sul suo viso, per un istante non capì, persa nei suoi pensieri, quello che la giovane cameriera che aveva di fronte a sé sembrava dirle.

Cosa mi importa… cosa  può importarmi? E’ tutta una finzione… un’assurda finzione, tutto questo è assurdo, il mio vestito, tutta questa gente incipriata e imbellettata, il duca d’Orléans che si inchina di fronte ad André, questa musica, tutto, tutto tutto questo è una finzione! Io stessa sono una finzione. Io… io dovrei correre lì in mezzo, trascinarlo via… abbracciarlo e gridargli che lo amo, che non posso stare senza di lui, che è più caro per me di qualsiasi cosa al mondo, che non mi importa di nient’altro. Qualunque cosa succeda. Qualunque cosa succeda. E che non voglio rinunciare a lui. Mai, mai, mai.

E invece sto qui, a guardarlo da lontano… l’unico vero inganno in questa assurda storia è il mio inganno verso di lui, è il mio inganno verso me stessa. L’unica persona ingannata, alla fine, sono io stessa. Devo parlarti, devo…

“Perdonatemi… c’è bisogno di voi… nell’alloggio dell’Imperatore c’è un problema.”

Oscar si voltò con il volto teso e irato verso la giovane cameriera.

“E va bene, andiamo!”, disse, con un’aria decisamente seccata.

André vide da lontano Oscar allontanarsi velocemente con la giovane cameriera. Una cameriera che gli sembrò di non aver mai visto prima. Improvvisamente, inspiegabilmente, fu preso da una strana inquietudine.

Oscar intanto camminava velocemente verso la locanda, seguendo la ragazza, senza prestare attenzione alle sue parole. Ad un tratto però, si rese conto che la strada non era quella che aveva seguito all’andata. Mise la mano sull’elsa della spada corta che aveva nascosto nel suo vestito ed ebbe l’impressione che la giovane cameriera stesse cercando a sua volta qualcosa nel proprio vestito.

“Chi siete?” disse Oscar sguainando la spada. La cameriera afferrò un pugnale decisa a colpire Oscar, che parò senza difficoltà il colpo, disarmandola. In quel momento un forte dolore alla testa la fece cadere a terra. Immobilizzata, sentì, nonostante non riuscisse a mettere le loro immagini a fuoco nel proprio campo visivo, che più uomini la stavano trascinando via velocemente. Tentò di divincolarsi, ma senza alcun risultato.

Un giovane soldato vide la scena e corse velocemente da Girodel che alla notizia ebbe un sussulto.

Spaventato, si apprestava a dare ordini ai suoi, quando vide avvicinarsi il generale Jarjayes in persona.

“Cosa succede, maggiore Girodel?”

Stupito di trovarsi di fronte proprio il generale,  l’ultima persona che avrebbe voluto incontrare in quella circostanza angosciosa, Girodel cominciò a farfugliare:

“Un… problema… un grosso problema… un rapimento… una delle dame…”

“Maggiore Girodel, mi meraviglio di voi!”, disse con tono deciso Jarjayes. “Vista la vostra incapacità, prendo io in mano la situazione, voi rimanete qui con  i vostri uomini, avete ancora la vostra missione da compiere, ricordatevelo, penserò io con i miei uomini a ritrovarla.”

Jarjayes si allontanò velocemente con una pattuglia dei suoi.

Io… non gli ho detto… che è sua figlia… Oscar…  Signore aiutami, Signore del cielo aiutaci!!

Sul suo viso si dipinse la paura e i suoi occhi incontrarono quelli di André, che non aveva visto il generale, ma lo aveva udito mormorare il nome di lei. Si voltò e vide lo sguardo assurdamente trionfante del duca, seduto poco lontano. Fu allora che André capì quanto grave fosse la situazione.

Cercò di correre via, ma fu trattenuto dalla cugina del duca.

“Perdonatemi l’impudenza… ma dove andate, vostra maestà?”

André bruscamente si scostò. Tutti gli invitati si voltarono a guardare il giovane imperatore. La musica cessò, all’improvviso.

“Basta con questa inutile pagliacciata”, gridò André, “io non sono l’imperatore d’Austria! Io non sono nessuno!!!!”, e corse via, incurante delle reazioni di stupore, di confusione, incredulità e di sgomento degli invitati della festa.

Intanto due pattuglie del generale Jarjayes cercavano in direzioni diverse i rapitori della giovane dama. Si muovevano velocemente ma non senza difficoltà nel dedalo di strade della cittadina, perché ad ogni vicolo dovevano fendere la folla che era accorsa a vedere l’imperatore. Un ragazzo invece raggiungeva rapidamente la collina poco fuori il paese dove, nei piani del duca, era stato deciso di uccidere lei. I piani che aveva imparato a memoria… correva, correva Pierre, sperando che non fosse troppo tardi, che lei non fosse già li, che non fosse già morta.

E nel dedalo di strade correva anche André, recuperato un cavallo, cercandola disperatamente.

Intanto il gruppo di sicari era riuscito a trascinare la ragazza poco fuori dalla città. Oscar riprese i sensi quando con la schiena sbatté duramente contro un albero. Di fronte a sé, cinque uomini, armati di spada.

“Bene, madamigella, vedo che ci siamo svegliate, finalmente, ma tra poco dormirete di un sonno eterno!”, rideva sguaiatamente il capo dei suoi aguzzini. Poi riprese “E ‘incredibile, ma ci hanno detto che per uccidervi non bastava un uomo solo… e chi sarete mai… con tutte le vostre crinoline e merletti non fareste paura nemmeno ad un cane… siete bella… molto bella…. E sinceramente preferirei fare ben altro con una bella dama come voi… sotto tutti quei merletti non dovete essere niente male… Sì, preferirei fare altro con una come voi piuttosto che uccidervi… ma, si sa, gli ordini sono ordini…” Rideva. “Sapete tirare di spada, mi hanno detto… bene… fatemi vedere… bella dama… cosa sapete fare!!!”

Lanciò una spada ad Oscar, che, non credendo quasi alla sua insperata fortuna, la raccolse, impugnandola con forza.

“Avete commesso un errore, un grosso errore”, rise forte Oscar, “venderò molto cara la mia pelle! Fatevi avanti!!”

E Oscar cominciò a mirare fendenti su fendenti. Il capo, sorpreso dall’abilità della donna, si rese conto di aver commesso probabilmente un grosso errore, ma riprese immediatamente a combattere. Oscar colpì mortalmente uno dei cinque che cadde per terra esanime e si preparò a ricevere gli altri.

“Maledetta puttana!” urlò il capo dei sicari assalendola con tutta la sua forza. Ma Oscar fu più veloce di lui e lo colpì ad un fianco. Per il dolore l’uomo cadde per terra, la mano sulla ferita che perdeva velocemente sangue. “Uccidetela! Deve morire!” urlò, prima di perdere i sensi.

Un cavallo al galoppo arrivò verso la collina, Oscar continuava a parare fendenti quando lo vide arrivare. “André!!!”

Fu velocemente accanto a lei. Sguainò la sua spada. Accanto a lei. Per un istante, nonostante la situazione di pericolo, le venne quasi voglia di sorridere. Ora erano due contro due, perché il terzo sicario stava fuggendo,  probabilmente a cercare rinforzi. André e Oscar ripresero a combattere insieme, mentre i due sicari cominciavano ad indietreggiare, pur difendendosi ancora dagli attacchi. Intanto però la canna di una pistola risaliva lentamente verso il corsetto di Oscar, cercando di posizionarsi all’altezza del cuore, aspettando, in silenzio, un istante, un momento di incertezza di lei per poterla colpire. Un uomo, nascosto dal tronco di un albero non lontano, era pronto ad ucciderla. Un tiratore scelto. L’alternativa sicura per far sì che il piano andasse comunque in porto. Un solo colpo, da amministrare con saggezza, con sapienza, con crudeltà, nel primo momento di defaillance che lei avesse avuto. Era pronto a sparare ora, l’aveva saldamente nel mirino. Eccolo, il momento, Lei colpiva il suo ultimo assalitore mentre André combatteva ancora. Ora era ferma, Ancora un istante. Era pronta a morire, lei. Una pugnalata, una pugnalata alla schiena nel momento esatto in cui premette il grilletto. Una pugnalata mortale, ma tardiva. Pierre guardò disperato e senza fiato per la corsa quel proiettile partire lo stesso e vide lei, un istante dopo, accasciarsi al suolo.

 

 

Continua...

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