Un mantello nero
parte V
Warning!!! The author is aware and has agreed to this fanfic being posted on this site. So, before downloading this file, remember public use or posting it on other's sites is not allowed, least of all without permission! Just think of the hard work authors and webmasters do, and, please, for common courtesy and respect towards them, remember not to steal from them.
L'autore è consapevole ed ha acconsentito a che la propria fanfic fosse pubblicata su questo sito. Dunque, prima di scaricare questi file, ricordate che non è consentito né il loro uso pubblico, né pubblicarli su di un altro sito, tanto più senza permesso! Pensate al lavoro che gli autori ed i webmaster fanno e, quindi, per cortesia e rispetto verso di loro, non rubate.
Era rimasto alzato tutta la notte, avrebbe voluto
altre spiegazioni, tutte le spiegazioni, che rispondesse a tutti i suoi dubbi.
Poche stanze più in là, dormiva suo padre. Suo padre.
Un estraneo, con i suoi stessi occhi. Un estraneo,
con lo stesso modo di muovere le mani, di toccarsi i capelli. E tuttavia, pur
sempre un estraneo. Perché era uscito dalla sua vita tanti anni prima.
E forse non vi era mai veramente entrato, fino a quel
momento.
Suo padre aveva pianto quando gli aveva detto,
semplicemente: "André, io sono tuo padre, spero che un giorno potrai
perdonarmi".
E lui
era rimasto lì, immobile, incredulo, come se quelle parole non lo avessero
colpito, come se non fossero state destinate a lui, come se lui fosse stato,
semplicemente, come uno spettatore pagante di un'opera teatrale, di uno di quei
melodrammi dove il povero ragazzo orfano e infelice ritrovava il padre, che era
stato costretto ad abbandonarlo, ma che aveva pensato tutta la vita a lui. Ecco,
proprio come in un melodramma. Uno spettacolo divertente da vedere, un modo
piacevole di passare una serata, anche commovente.
Una di quelle storie che ti lascia dentro una
sensazione di pace. Senza impegnarti troppo né la mente né il cuore.
Quel tanto che basta.
Giusto qualche lacrima, nascosta, nel buio della
sala, quando il giovane attore che interpreta il ragazzo può finalmente
abbracciare il padre, perduto e ritrovato. Una musica in crescendo, la massima
intensità.
Poi le luci, di nuovo, e un sipario che si chiude
lentamente, fatica quasi a chiudersi, alla fine della rappresentazione, e rose,
lanciate sul palcoscenico, l'inchino degli attori, e il pubblico, felice e
commosso che lascia la sala. Ma lui non era lì per assistervi, a quello
spettacolo. Era lì per farne parte. Era il protagonista, non più
inconsapevole. Era lui il ragazzo orfano. E alla fine della rappresentazione era
rimasto lui, sul palco, da solo, André, con un sipario che si era chiuso troppo
presto, con un padre che aveva ritrovato, ma non abbracciato, per timore, per
imbarazzo, per pudore, per vergogna.
Perché non sapeva come fare. Non rimanevano che
quelle rose, e una sala vuota, e una distanza enorme, tra lui e suo padre. E
troppe domande, e paura, quasi la certezza, di essere deluso di nuovo da lui. Si
chiese quando fosse stato deluso per la prima volta da lui, se mai fino a quel
momento si erano incontrati. E capì che si era sentito deluso nel momento
esatto in cui gli aveva detto proprio: sono tuo padre.
E tuttavia non riusciva a lasciare quella casa, anche
se aveva le valigie già pronte, e un milione di motivazioni plausibili e
lodevoli per andarsene. Non riusciva a rifiutare quello che quel padre subito
gli aveva offerto, quel: sono anche un uomo ricco e posso darti tutto ciò
che desideri, detto come se fosse una giusta contropartita all'essere suo
padre. Il giusto prezzo per il suo abbandono.
Forse l'unico linguaggio che conosceva, per dire mi
dispiace. Si chiese se suo padre sapesse cosa fosse l'amore. E la sua risposta
fu ancora più triste e avvilente per lui. Suo padre era un uomo come tanti
altri, e forse aveva amato e sofferto e pianto come qualsiasi altro uomo. Il
punto era che quell'amore, se anche c'era stato, non era stato così forte da
farlo rimanere con lui. Era suo figlio, in realtà, che non aveva amato.
Quel figlio era lui. Solamente allora André si rese
conto di quanto aveva sofferto, in tutti quegli anni, dell'assenza di suo padre.
Anche di quel padre. Quell'estraneo che aveva i suoi gesti.
Si chiese, con sgomento, se non fosse, in realtà,
proprio come lui. Se prima o poi non avrebbe cominciato a corrompersi proprio
come lui. Più di ogni altra notte della sua vita, André desiderò Oscar. Non
il suo corpo, non il suo sesso. Aveva bisogno delle sue braccia, di sentirla
respirare, accanto a sé, di toccarle i capelli, di rimanere in silenzio,
semplicemente di poterla abbracciare, di confondersi in lei. Senza pensare ad
altro, perché non ne aveva più la forza. Perché pensare fa paura, talvolta,
in una notte troppo scura. Ma l'alba arrivò, e lui non se n'era andato, e lei
non c'era mai stata, in quel letto, in quella stanza, tra le sue braccia.
Suo padre era ancora lì, invece, e gli offriva tutto
ciò che voleva. Tutto, tranne
quello di cui aveva bisogno, in realtà. Rimase lì, allora. E indossò vestiti
nuovi, per iniziare una nuova vita.
Nei giorni che seguirono, André si dimostrò, agli
occhi del padre, un ottimo studente, e un ottimo apprendista. Aveva scoperto con
molto piacere, che Jarjayes aveva consentito ad André, a sue spese, di fargli
studiare la storia, la filosofia, le lettere, e che in seguito lo aveva inserito
nell'accademia militare dove aveva completato la sua istruzione. Istruzione però
inadatta al ruolo che André avrebbe da ora in avanti ricoperto. E André fu
sommerso da libri di economia. I più recenti e audaci per l'epoca. E André
dimostrava di apprezzarli, e letteralmente li divorava. Ritrovava in suo figlio,
la sua stessa curiosità e intelligenza, ma non quella voglia di spaccare il
mondo che lui invece aveva. Era suo figlio, comunque. Era lì con lui,
finalmente.
Aveva però saputo, parlando con il figlio, anche se
il loro continuava ad essere un dialogo difficile, anche la sua condizione di
servitore in quella casa. André lo aveva visto, a quel punto, stringere
rabbiosamente i pugni, e mormorare a mezza bocca qualcosa riferito alla mancata
riconoscenza e alla vendetta che andava preparando contro di lui.
C'era una cosa che ancora non capiva, di quel figlio
ritrovato. Perché un ragazzo con le sue doti e la sua cultura fosse rimasto in
quella casa per tanto tempo. Quale fosse stato il motivo di quel sacrificio? Non
era certamente un vigliacco, quel suo figlio. Non era uno stupido. Perché?.
Una sera, che André tardava a tornare, quel perché
bussò alla sua porta. Vedendola, capì quanto in realtà suo figlio gli
somigliasse. Quanto di lui ci fosse, veramente, in André.
****************************************************************************
Aveva preso una serie di informazioni, prima di
recarsi in quella casa. Aveva avuto molti ripensamenti prima di decidersi a
cercare André. La nonna non le aveva fornito tutte le informazioni che avrebbe
voluto. E la sua prima scoperta l'aveva fatta da sola, un giorno, semplicemente
leggendo di soppiatto la lettera che il padre di André aveva mandato a Nanny.
Un banchiere. Il padre di André era il proprietario della maggiore banca del
paese. Un uomo ricco, potente. André aveva fatto, indubbiamente, un bell'affare
andando via di casa. Il migliore che potesse fare. La risposta migliore alla
insoddisfazione che lei aveva percepito in lui.
Quindi avrebbe dovuto essere felice, per lui. Ma
c'era quella strana preoccupazione della nonna, per quel padre inaffidabile, e
c'era un altro problema, ma cercava di pensare a quest'ultima cosa il meno
possibile. André le aveva arrecato dolore, andando via di casa. L'aveva
lasciata, dopo averle detto che l'amava. Avrebbe dovuto sentirsi sollevata.
L'amore di André per lei non era più un problema.
Quello
che ad André non aveva detto, quella sera
era che lei, vigliacca, di quell'amore sapeva già. Lo sapeva. Ed era
stata zitta. Aveva fatto finta di non saperlo, per tutto quel tempo.La conferma
ai suoi sospetti era arrivata un pomeriggio, mentre guardava fuori, dalla
finestra del loro saloncino. Sentirlo parlare di Fersen, sentirlo parlare del
dolore di Fersen come se fosse anche il suo, e poi, quella frase, buttata lì, né
per caso né per calcolo, solo per necessità. "C'è gente che ama una
persona tutta una vita senza che questa se ne accorga". Allora ne era stata
certa, André era innamorato di lei. Soffriva per lei. Non poteva avvicinarsi a
lei. In nessun caso. Un amore impossibile, impensabile. Per questo lei aveva
taciuto. Per non aggiungere dolore a dolore. Non riusciva a ricambiarlo e non
poteva in realtà farlo. E se non poteva ricambiarlo tanto valeva lasciare che
André rientrasse all'alba, con quei segni sul volto. Che si incontrasse con
altre donne. Non poteva essere lei la sua donna. Non poteva. Doveva essere
felice, almeno lui. Anche se lei ne soffriva, dentro. Anche se certe notti
avrebbe voluto schiaffeggiarlo.
Qualche volta, dopo quella rivelazione, aveva provato
a pensare a lui, a come sarebbe stato se lei… ma aveva cercato subito di
rifuggire da quel pensiero, ne aveva quasi paura. Paura di sapere come sarebbe
stato veramente se l'avesse lasciato fare. L'aveva visto, a Versailles, il modo
in cui gli uomini seducevano le donne e viceversa. E anche il perché questo
accadeva. E non le era piaciuto, affatto. Aveva cercato di ridere di quei
pensieri, di dirsi, ironizzando su se stessa, che era solo una bigotta o una
vecchia zitella inacidita. Ma non era riuscita a riderne.Era davvero così
pericoloso, e squallido, il sesso? Era solo questione di una gonna sollevata a
malapena e di gemiti indecenti? Lei non lo voleva vedere, un André così. Non
lo voleva sentire sul suo corpo un André così. Non così, non lui, mai.
Preferiva volergli bene per come lo aveva conosciuto fin da bambino, per il
ragazzo intelligente, sensibile e perfino ironico che aveva conosciuto e amava,
a modo suo. Quello era il suo André. E invece… invece c'erano le sensazioni
che aveva provato, quando l'aveva abbracciata, pochi giorni prima,
all'improvviso, e quel tono nella sua voce, che lei non aveva mai conosciuto in
lui, e quelle mani che lei non immaginava potessero essere così calde, che
potessero stringerla in quel modo. Quell'abbraccio che l'aveva spaventata, e lei
che l'aveva implorato di lasciarla andare. Per paura di lui, di cosa sarebbe
successo tra loro. Per paura di quella disperazione in lui, che in lui non
conosceva, celata a malapena da quell'abbraccio. Quella era stata la prima cosa
che l'aveva spaventata.
E quel ti amo, ripetuto sempre più forte, sempre più
disperatamente, che le era entrato nel cuore, spaventandola e seducendola, allo
stesso tempo, inevitabilmente. Per un istante, aveva pensato:
anche io ti amo. A quel pensiero si era quasi irrigidita. Allora aveva
avuto ancora più paura, ma stavolta di se stessa. Di quello che lei avrebbe
voluto da lui.
Ma lui, sentendo la sua paura aveva smesso già di
abbracciarla, e le stava dicendo addio, senza lasciarle il tempo di capire cosa
le stava succedendo, perché aveva pensato nel fondo del suo cuore che lo
amava anche lei, che cosa significava questo, cosa cambiava tra loro. Questo era
successo. Di questo in realtà aveva paura.
Ciononostante, o forse proprio per questo non aveva più smesso di pensare a lui. Peggio, aveva cominciato a pensare fin troppo a lui da quando se n'era andato. Una notte insonne di troppo l'aveva spinta ad indagare. Una giornata ancora più triste delle altre l'aveva spinta a cercarlo. L'ultima notte si era scoperta a desiderare di rivederlo. Almeno questo. Per questo era arrivata lì, al portone della casa del padre di André. Ma l'uomo che l'aveva ricevuta non era André. Era proprio suo padre. Ed Oscar rimase stupita della somiglianza con André, e delusa, perché André in quella casa non c'era.
Continua...
mail to: f.camelio@libero.it