Un mantello nero

parte V

 

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Era rimasto alzato tutta la notte, avrebbe voluto altre spiegazioni, tutte le spiegazioni, che rispondesse a tutti i suoi dubbi. Poche stanze più in là, dormiva suo padre. Suo padre.

Un estraneo, con i suoi stessi occhi. Un estraneo, con lo stesso modo di muovere le mani, di toccarsi i capelli. E tuttavia, pur sempre un estraneo. Perché era uscito dalla sua vita tanti anni prima.

E forse non vi era mai veramente entrato, fino a quel momento.

Suo padre aveva pianto quando gli aveva detto, semplicemente: "André, io sono tuo padre, spero che un giorno potrai perdonarmi".

 E lui era rimasto lì, immobile, incredulo, come se quelle parole non lo avessero colpito, come se non fossero state destinate a lui, come se lui fosse stato, semplicemente, come uno spettatore pagante di un'opera teatrale, di uno di quei melodrammi dove il povero ragazzo orfano e infelice ritrovava il padre, che era stato costretto ad abbandonarlo, ma che aveva pensato tutta la vita a lui. Ecco, proprio come in un melodramma. Uno spettacolo divertente da vedere, un modo piacevole di passare una serata, anche commovente.

Una di quelle storie che ti lascia dentro una sensazione di pace. Senza impegnarti troppo né la mente né il cuore.  Quel tanto che basta.

Giusto qualche lacrima, nascosta, nel buio della sala, quando il giovane attore che interpreta il ragazzo può finalmente abbracciare il padre, perduto e ritrovato. Una musica in crescendo, la massima intensità.

Poi le luci, di nuovo, e un sipario che si chiude lentamente, fatica quasi a chiudersi, alla fine della rappresentazione, e rose, lanciate sul palcoscenico, l'inchino degli attori, e il pubblico, felice e commosso che lascia la sala. Ma lui non era lì per assistervi, a quello spettacolo. Era lì per farne parte. Era il protagonista, non più inconsapevole. Era lui il ragazzo orfano. E alla fine della rappresentazione era rimasto lui, sul palco, da solo, André, con un sipario che si era chiuso troppo presto, con un padre che aveva ritrovato, ma non abbracciato, per timore, per imbarazzo, per pudore, per vergogna.

Perché non sapeva come fare. Non rimanevano che quelle rose, e una sala vuota, e una distanza enorme, tra lui e suo padre. E troppe domande, e paura, quasi la certezza, di essere deluso di nuovo da lui. Si chiese quando fosse stato deluso per la prima volta da lui, se mai fino a quel momento si erano incontrati. E capì che si era sentito deluso nel momento esatto in cui gli aveva detto proprio: sono tuo padre.

E tuttavia non riusciva a lasciare quella casa, anche se aveva le valigie già pronte, e un milione di motivazioni plausibili e lodevoli per andarsene. Non riusciva a rifiutare quello che quel padre subito gli aveva offerto, quel: sono anche un uomo ricco e posso darti tutto ciò che desideri, detto come se fosse una giusta contropartita all'essere suo padre. Il giusto prezzo per il suo abbandono.

Forse l'unico linguaggio che conosceva, per dire mi dispiace. Si chiese se suo padre sapesse cosa fosse l'amore. E la sua risposta fu ancora più triste e avvilente per lui. Suo padre era un uomo come tanti altri, e forse aveva amato e sofferto e pianto come qualsiasi altro uomo. Il punto era che quell'amore, se anche c'era stato, non era stato così forte da farlo rimanere con lui. Era suo figlio, in realtà, che non aveva amato.

Quel figlio era lui. Solamente allora André si rese conto di quanto aveva sofferto, in tutti quegli anni, dell'assenza di suo padre. Anche di quel padre. Quell'estraneo che aveva i suoi gesti.

Si chiese, con sgomento, se non fosse, in realtà, proprio come lui. Se prima o poi non avrebbe cominciato a corrompersi proprio come lui. Più di ogni altra notte della sua vita, André desiderò Oscar. Non il suo corpo, non il suo sesso. Aveva bisogno delle sue braccia, di sentirla respirare, accanto a sé, di toccarle i capelli, di rimanere in silenzio, semplicemente di poterla abbracciare, di confondersi in lei. Senza pensare ad altro, perché non ne aveva più la forza. Perché pensare fa paura, talvolta, in una notte troppo scura. Ma l'alba arrivò, e lui non se n'era andato, e lei non c'era mai stata, in quel letto, in quella stanza, tra le sue braccia.

Suo padre era ancora lì, invece, e gli offriva tutto ciò  che voleva. Tutto, tranne quello di cui aveva bisogno, in realtà. Rimase lì, allora. E indossò vestiti nuovi, per iniziare una nuova vita.

Nei giorni che seguirono, André si dimostrò, agli occhi del padre, un ottimo studente, e un ottimo apprendista. Aveva scoperto con molto piacere, che Jarjayes aveva consentito ad André, a sue spese, di fargli studiare la storia, la filosofia, le lettere, e che in seguito lo aveva inserito nell'accademia militare dove aveva completato la sua istruzione. Istruzione però inadatta al ruolo che André avrebbe da ora in avanti ricoperto. E André fu sommerso da libri di economia. I più recenti e audaci per l'epoca. E André dimostrava di apprezzarli, e letteralmente li divorava. Ritrovava in suo figlio, la sua stessa curiosità e intelligenza, ma non quella voglia di spaccare il mondo che lui invece aveva. Era suo figlio, comunque. Era lì con lui, finalmente.

Aveva però saputo, parlando con il figlio, anche se il loro continuava ad essere un dialogo difficile, anche la sua condizione di servitore in quella casa. André lo aveva visto, a quel punto, stringere rabbiosamente i pugni, e mormorare a mezza bocca qualcosa riferito alla mancata riconoscenza e alla vendetta che andava preparando contro di lui.

C'era una cosa che ancora non capiva, di quel figlio ritrovato. Perché un ragazzo con le sue doti e la sua cultura fosse rimasto in quella casa per tanto tempo. Quale fosse stato il motivo di quel sacrificio? Non era certamente un vigliacco, quel suo figlio. Non era uno stupido. Perché?.

Una sera, che André tardava a tornare, quel perché bussò alla sua porta. Vedendola, capì quanto in realtà suo figlio gli somigliasse. Quanto di lui ci fosse, veramente, in André.

 

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Aveva preso una serie di informazioni, prima di recarsi in quella casa. Aveva avuto molti ripensamenti prima di decidersi a cercare André. La nonna non le aveva fornito tutte le informazioni che avrebbe voluto. E la sua prima scoperta l'aveva fatta da sola, un giorno, semplicemente leggendo di soppiatto la lettera che il padre di André aveva mandato a Nanny. Un banchiere. Il padre di André era il proprietario della maggiore banca del paese. Un uomo ricco, potente. André aveva fatto, indubbiamente, un bell'affare andando via di casa. Il migliore che potesse fare. La risposta migliore alla insoddisfazione che lei aveva percepito in lui.

Quindi avrebbe dovuto essere felice, per lui. Ma c'era quella strana preoccupazione della nonna, per quel padre inaffidabile, e c'era un altro problema, ma cercava di pensare a quest'ultima cosa il meno possibile. André le aveva arrecato dolore, andando via di casa. L'aveva lasciata, dopo averle detto che l'amava. Avrebbe dovuto sentirsi sollevata. L'amore di André per lei non era più un problema.

 Quello che ad André non aveva detto, quella sera  era che lei, vigliacca, di quell'amore sapeva già. Lo sapeva. Ed era stata zitta. Aveva fatto finta di non saperlo, per tutto quel tempo.La conferma ai suoi sospetti era arrivata un pomeriggio, mentre guardava fuori, dalla finestra del loro saloncino. Sentirlo parlare di Fersen, sentirlo parlare del dolore di Fersen come se fosse anche il suo, e poi, quella frase, buttata lì, né per caso né per calcolo, solo per necessità. "C'è gente che ama una persona tutta una vita senza che questa se ne accorga". Allora ne era stata certa, André era innamorato di lei. Soffriva per lei. Non poteva avvicinarsi a lei. In nessun caso. Un amore impossibile, impensabile. Per questo lei aveva taciuto. Per non aggiungere dolore a dolore. Non riusciva a ricambiarlo e non poteva in realtà farlo. E se non poteva ricambiarlo tanto valeva lasciare che André rientrasse all'alba, con quei segni sul volto. Che si incontrasse con altre donne. Non poteva essere lei la sua donna. Non poteva. Doveva essere felice, almeno lui. Anche se lei ne soffriva, dentro. Anche se certe notti avrebbe voluto schiaffeggiarlo.

Qualche volta, dopo quella rivelazione, aveva provato a pensare a lui, a come sarebbe stato se lei… ma aveva cercato subito di rifuggire da quel pensiero, ne aveva quasi paura. Paura di sapere come sarebbe stato veramente se l'avesse lasciato fare. L'aveva visto, a Versailles, il modo in cui gli uomini seducevano le donne e viceversa. E anche il perché questo accadeva. E non le era piaciuto, affatto. Aveva cercato di ridere di quei pensieri, di dirsi, ironizzando su se stessa, che era solo una bigotta o una vecchia zitella inacidita. Ma non era riuscita a riderne.Era davvero così pericoloso, e squallido, il sesso? Era solo questione di una gonna sollevata a malapena e di gemiti indecenti? Lei non lo voleva vedere, un André così. Non lo voleva sentire sul suo corpo un André così. Non così, non lui, mai. Preferiva volergli bene per come lo aveva conosciuto fin da bambino, per il ragazzo intelligente, sensibile e perfino ironico che aveva conosciuto e amava, a modo suo. Quello era il suo André. E invece… invece c'erano le sensazioni che aveva provato, quando l'aveva abbracciata, pochi giorni prima, all'improvviso, e quel tono nella sua voce, che lei non aveva mai conosciuto in lui, e quelle mani che lei non immaginava potessero essere così calde, che potessero stringerla in quel modo. Quell'abbraccio che l'aveva spaventata, e lei che l'aveva implorato di lasciarla andare. Per paura di lui, di cosa sarebbe successo tra loro. Per paura di quella disperazione in lui, che in lui non conosceva, celata a malapena da quell'abbraccio. Quella era stata la prima cosa che l'aveva spaventata.

E quel ti amo, ripetuto sempre più forte, sempre più disperatamente, che le era entrato nel cuore, spaventandola e seducendola, allo stesso tempo, inevitabilmente. Per un istante, aveva pensato:  anche io ti amo. A quel pensiero si era quasi irrigidita. Allora aveva avuto ancora più paura, ma stavolta di se stessa. Di quello che lei avrebbe voluto da lui.

Ma lui, sentendo la sua paura aveva smesso già di abbracciarla, e le stava dicendo addio, senza lasciarle il tempo di capire cosa  le stava succedendo, perché aveva pensato nel fondo del suo cuore che lo amava anche lei, che cosa significava questo, cosa cambiava tra loro. Questo era successo. Di questo in realtà aveva paura.

Ciononostante, o forse proprio per questo non aveva più smesso di pensare a lui. Peggio, aveva cominciato a pensare fin troppo a lui da quando se n'era andato. Una notte insonne di troppo l'aveva spinta ad indagare. Una giornata ancora più triste delle altre l'aveva spinta a cercarlo. L'ultima notte si era scoperta a desiderare di rivederlo. Almeno questo. Per questo era arrivata lì, al portone della casa del padre di André. Ma l'uomo che l'aveva ricevuta non era André. Era proprio suo padre. Ed Oscar rimase stupita della somiglianza con André, e delusa, perché André in quella casa non c'era.

 

 

Continua...

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