Un mantello nero

parte III

 

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André cercò di guardarsi intorno, impedito nel suo tentativo dall’oscurità. Ebbe paura. Non aveva armi, non avrebbe avuto scampo se chi era entrato lì dentro avesse avuto intenzione di ucciderlo.

Poteva essere lei, alle sue spalle. Poteva essere suo padre, allertato da lei su quanto era successo poco prima. O un estraneo. Un ladro, un  brigante. In tutti e tre i casi era in pericolo. E l’unica cosa che scorgeva dal quasi totale buio in cui si trovava e che avrebbe potuto afferrare era un semplice frustino per cavalli, attaccato alla parete di fronte a lui. Troppo poco. Dunque era finita.

Rimase in silenzio, cercando disperatamente di pensare a cosa fare. Anche l’altra persona, nel buio,  fece altrettanto, ma altre erano le sue paure e i suoi timori. Poi, André sentì il rumore di un fiammifero quando si accende, e si accorse che una lampada ad olio veniva accesa. Si voltò, portandosi istintivamente la mano a proteggere gli occhi dalla luce improvvisa. L’altro alzò la lampada per poter vedere meglio il volto di André. André vide così un uomo alto, con i capelli brizzolati, il volto solcato dalle rughe. Doveva essere stato un uomo molto attraente, in gioventù, lo era ancora, per alcuni versi. Ben vestito, seppure in abiti molto scuri. Non esattamente l’aria del brigante. Ma era un estraneo, nella sua casa, di notte. Non gli vide armi addosso. Poteva affrontarlo dunque, da pari a pari.

“Chi siete?” disse André con tono duro.

“Tu sei André, non è vero?” chiese l’uomo, con ansia, come se conoscesse già la risposta e attendesse solo una conferma.

“Sì, sono io, voi chi siete?” rispose André, stupito dall’affermazione dell’uomo.

“Stavi andando via da questo posto, André?” disse lui, osservando le valigie cadute a terra.

“Cosa faccio io non sono affari che vi riguardino. Vi ho fatto una domanda, vi conviene rispondere!”, rispose André.

“Non dovresti andare via, in nessun caso, da qui. E’, come dire, un tuo diritto, rimanere qui”. L’uomo infilò rapidamente una mano in una tasca della giacca. André temette che potesse estrarre una pistola, o un pugnale. Ma l’uomo tirò fuori velocemente una busta chiusa. E la lanciò verso André. André raccolse la busta, con un’aria sorpresa, sul viso.

“Alcune spiegazioni sono lì, altre preferisco dartele io stesso, ma non stanotte, e non qui, André. Per stanotte è più che sufficiente, almeno per me.”

L’uomo si apprestò ad uscire dalle scuderie, lasciando la lanterna a terra. André, confuso, cercò di aprire la busta, pochi minuti dopo sentì un cavallo allontanarsi velocemente dalla tenuta dei Jarjayes. Uscì all’aperto, con la busta tra le mani. “Come può uscire da qui?” si chiese. Ma non sentì né urla né grida dal cancello. Corse a vedere, ma quando arrivò trovò solamente il vecchio guardiano addormentato, e il cancello aperto. Gli rimaneva solo la busta, e una domanda insistente nella tua testa.

 

Oscar buttò all’indietro la testa, sul cuscino. Ora che era nella sua camera, nel suo letto, avrebbe anche potuto piangere, avrebbe potuto anche addormentarsi. Si convinse che almeno una delle due, sarebbe stata una soluzione ragionevole. Ma non vi riuscì, né di piangere, né di addormentarsi. Ad ogni tentativo le sembrava ancora di sentire la stretta di André. Il dolore, la paura. Le sembrava di sentirne la voce ripetergli “ti amo”. Le sembrava di sentire, di nuovo, le sue labbra. Cosa gli era preso? Si chiese. Era impazzito? Aveva perso la testa? Era assurdo. Così assurdo… e così dolorosamente reale. Fu allora che Oscar smise di crederlo folle, e cominciò a credere a quello che le aveva detto. André innamorato di lei, e disperato per lei. Incredibile. Si chiese, di nuovo, se avesse avuto un qualsiasi senso, quella situazione. Innamorato di lei? Perché? Non erano sempre stati una cosa diversa, loro? Più ci pensava, più non riusciva a darsi una spiegazione coerente. C’erano state altre donne, lei lo sapeva. Per un istante pensò che forse, lei era solo una tra le tante, forse quella più irraggiungibile, un trofeo da aggiungere alla collezione, e che André fosse solo un libertino. Ma c’era quella stretta, dolorosa, disperata, e quella voce, e quel tremare nella voce, e c’era quel calore che lei aveva sentito… No, quello l’aveva sentito lei, inspiegabilmente. E non se lo spiegava, come non si spiegava il comportamento di André. André voleva sedurla? Plausibile. Ma lei perché non aveva schivato un bacio sulle sue labbra, indesiderato, e proprio da lui? Aveva chiuso gli occhi. Invece. Aspettando. Lasciandosi quasi travolgere, per un po’. Lei non lo voleva, proprio come la stretta, eppure… No, non era plausibile, né il comportamento di lui né il suo. Voleva spiegazioni, e non voleva chiederle a se stessa. Sentiva che era come… pericoloso, il farlo. Meglio chiederlo a lui. Avere spiegazioni, magari infuriarsi, e scoprirlo veramente libertino. Scese di corsa le scale, per raggiungerlo, furiosa, senza accorgersi che continuava ad accarezzare, con una mano, le sue labbra. Cominciò a cercarlo, nel salone, in cucina. Poi, però, si lanciò di nuovo per le scale, alla volta della camera di lui. E ricordò che aveva detto che se n’andava. Come aveva fatto a non pensarci più? Quel bacio, quel maledetto bacio… E lei, come imbambolata da quel bacio, e da quella stretta, e dalla voglia di fuggire lei stessa, e di chiudersi nella sua stanza, e di piangere e di dormire, e di non pensare… lo aveva lasciato andare. E lui andava via. E lui voleva andar via. Stupida, stupida, si ripeteva mentre correva verso la stanza di lui, e spalancava la porta. Un letto vuoto, nemmeno disfatto. L’armadio aperto, vuoto. Ma forse… nelle scuderie, dove può andare lui senza un cavallo?, si disse, ricominciando a correre, dandosi di nuovo della stupida, perché tempo per andare via veramente gliel’aveva dato. Inciampò, non cadde per miracolo, o perché non c’era tempo anche per quello. Non ce n’era più, lo sentiva. Arrivò alle scuderie. Vide una luce, all’interno. Un momento, per tirare il fiato, per fermarsi, per togliere, quasi senza accorgersene, una lacrima dagli occhi. Anche di questa, gli avrebbe chiesto spiegazioni. Di tutto, avrebbe chiesto qualsiasi cosa. E lui non sarebbe andato via, e sarebbe arrivata l’alba, a forza di parlare, perché stavolta lei avrebbe parlato, e tanto, e di qualsiasi cosa. Si sarebbe arrabbiata, gli avrebbe detto chiaramente che sapeva delle sue donne … E l’alba sarebbe arrivata, e lui sarebbe stato ancora lì. La luce del giorno avrebbe spazzato via i fantasmi. E la sua paura. Ma bisognava aspettarla, la luce, come facevano insieme, da piccoli. Ecco, anche questa era una notte da passare insieme, non troppo lontani. Ad attendere la luce. Stanotte, molto più che allora, molto più di quando erano bambini. Perché ora i fantasmi c’erano veramente… Strinse i pugni, assunse un'espressione seria sul viso. La mano le tremò, leggermente, quando abbassò la maniglia per entrare.

Aprì la porta e vide una lampada, a terra, e di fronte a lei, non c’era più il cavallo di André. Cadde in ginocchio, di fronte a quella lampada. La luce non arrivava ancora, e lui non era più lì con lei.

 

Vagava nella notte, André, confuso. Il mondo gli sembrava assurdo ora. Niente aveva senso. Gli alberi, le case al suo passaggio, quel silenzio irreale. Quelle righe, poche, assurde, gli avevano cambiato la vita. Non ci credeva, e voleva disperatamente crederci, allo stesso tempo. Anche la luna gli sembrò fuori luogo, nel cielo freddo di  quella notte, ancora più del viso di quell’uomo, dei suoi lineamenti. Tutto era fuori luogo, fuori posto. Lui soprattutto, lo era. L’unica cosa vera, di quella notte, l’unica che aveva un senso, l’unica che aveva ancora un senso, erano le labbra di lei. Finalmente sfiorate, toccate, dalle sue. Aveva freddo, André, nel suo apparente vagare senza meta. Aveva molto freddo.  Non aveva che quel ricordo, ed un biglietto con un indirizzo.

 

Il giorno arrivò, e Oscar finì per addormentarsi. Non ebbe modo di dormire a lungo, perché la nonna, sconvolta, era entrata nella sua camera. Oscar aprì gli occhi, subito subissata da domande su André. Cercava di mettere a fuoco la camera, gli oggetti, cercava di capire cosa le stesse dicendo Nanny, evidentemente. Poi comprese. E si ricordò dov’era, cosa era successo. E che André non c’era più. E solo allora pianse, anche se in silenzio, come se anche il dolore non dovesse fare rumore, mentre la nonna la guardava sbalordita.

“E’ andato via, è andato via per causa mia”.

“Avete litigato? André è stato scorretto in qualche modo con  te? Se lo prendo gli torco il collo, a quel mascalzone!”, disse la nonna, ancora lontana dal comprendere cosa fosse successo tra loro, ma rassicurata dal fatto che non era successo quello che invece aveva temuto, quando aveva visto la camera vuota di lui.

“Nonna”, si riprese Oscar, “non posso spiegarti, è… una cosa assurda…”

Allora Nanny cominciò nuovamente a riconsiderare i suoi dubbi. Forse, quel cavallo che aveva sentito nitrire, nella notte, apparteneva  a qualcun altro. Forse a lui. E forse era il caso di parlarne, almeno a lei. Forse lei avrebbe capito. Ed era il caso che sapesse. Per troppi anni aveva custodito il segreto. Era troppo vecchia, per continuare a custodirlo da sola.

“Oscar, c’è una cosa che dovresti sapere….”

 

 

Continua...

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