Un mantello sotto la neve

 

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Disclaimer: tutti i personaggi di questo racconto appartengono a R. Ikeda.

Buona lettura!

 

Cammino da solo in questa città fredda. Il suono dei miei passi è attutito dalla neve, che ricopre le strade. Le strade che io percorro in silenzio. Non per questo i miei passi sono meno pesanti.

Sono solo, come sempre sono stato, anche vivendo accanto a te tutta una vita.

Mia madre la ricordo appena, ma mi diceva sempre “André, ricorda che soli veniamo al mondo e soli ce ne andiamo”. E solo mi ha lasciato, un giorno come questo, un secolo fa.

E ora anche tu mi abbandoni, dopo che il tuo sorriso mi aveva già abbandonato tanto tempo fa.

Mi abbandonano le tue parole, che ora non sono nemmeno più astiose o rabbiose.

Semplicemente non mi parlano più. Mi abbandonano, come te.

Mi abbandona il tuo sguardo, che non incontra più il mio da un tempo infinito.

Tutto di te mi abbandona, mi lascia a me stesso. Al mio dolore, alla mia solitudine.

Eppure quando vidi il tuo sorriso per la prima volta ero convinto che io e te saremmo stati sempre insieme. Sorriso di bimba. Sorriso radioso. Un piccolo mantello rosso in mezzo alla neve.

Il tuo piccolo mantello. Quella neve che bagnava i nostri volti di bambini infreddoliti e, allo stesso tempo, incuriositi da quello strano spettacolo del cielo. Il sapore della neve quando ne misi un fiocco sulle tue labbra e un altro sulle mie. La mia prima neve l’ho vista con te, l’ho toccata con te.

Tenendoti per mano, in qualche momento, aiutandoti a rialzarti da terra quando nella neve cadesti. Un mantellino rosso pieno di neve. Due occhi azzurri, limpidi, fragili, delicati. I tuoi.

Questa neve che cade ora non ha lo stesso sapore, non ha lo stesso stupore, non ha il colore dei tuoi occhi, non ha il candore della tua pelle, non ha il colore delle tue gote arrossate. E’ solo fredda, dannatamente fredda, e silenziosa, paurosamente silenziosa.

Non ha il suono delle nostre risa, non ha il suono del nostro fiatone dopo una corsa.

Non ha niente di noi. Non ha niente di te.

Se io non fossi diventato adulto, se tu non fossi diventata adulta, questa neve sarebbe il nostro gioco e il nostro rifugio. Ma tu sei diventata una donna e io un uomo. E di te mi sono innamorato. Innamorato… probabilmente lo ero anche allora… di te, anche quando misi quel fiocco di neve sulle tue labbra. Sì, lo ero anche allora. Ma non esserne consapevole mi rendeva felice.

Eri lì, con me, e basta. Eri con me. Sorridevi con me, piangevi con me, vivevi con me.

Ma da quando ho capito di amarti sono stato solamente infelice. Da quando ho sentito di desiderarti sono stato infelice.

Ho conosciuto la gelosia, io che ti avevo tutta per me, e mi ha devastato, dentro.

Ho conosciuto la frustrazione del mio desiderio fisico, e mi ha spinto a farti del male, a rendere doloroso il contatto tra le nostre labbra che sognavo fosse il più dolce dei sapori e il più tenero dei contatti.

Ho conosciuto la paura di perderti, e io stesso ho fatto in modo che questo succedesse.

E ti ho persa.

Ho perso quel mantellino rosso sotto la neve. Ho perso quegli occhi azzurri. Ho perso le tue risa.

Ho perso tutto di te.

E mi è rimasta solo la neve, che mi avvolge più del mio mantello E avvolge anche il mio cuore. Vorrei che lo fermasse. Definitivamente. Ma sotto la neve, i semi riposano per germogliare a primavera, è il gelo solamente che può bruciarli, ucciderli. E’ solo il gelo dei tuoi occhi che brucia il mio cuore e lo uccide, giorno per giorno.

 

Belle parole quelle di Bernard, quelle che ho ascoltato oggi, le parole di un mondo più giusto, dove nessun uomo è inferiore ad un altro, dove io non sono diverso da te. Le parole di un mondo nuovo, di un mondo diverso, che fatico anche solo a immaginare pur desiderandolo con tutto me stesso. Niente classi, né privilegi, né superiorità. Ma che me ne faccio di un mondo perfetto, se non c’è posto per me nel tuo cuore, nei tuoi pensieri?. E non ce ne sarà in un mondo diverso. Perché non mi ami. Perché non puoi e non vuoi amarmi. E non soltanto perché non sono nobile, ma soprattutto perché per te non sono un uomo.

Sono un fratello, e tu eri una sorella per me. Sono un amico, e tu eri la mia migliore amica, la mia sola amica. Ma non sono un uomo per te, e tu invece sei l’unica donna che voglio. Anche se ne esistono milioni. Tu, l’unica.

Vorrei essere di nuovo bambino e non desiderarti più.

Bernard e Rosalie sono marito e moglie ora, la scoperta bella e triste allo stesso tempo di questo giorno di dicembre. Sono marito e moglie. Sono l’uno per l’altra. Sono loro, e saranno i loro figli, e la loro casa, e il loro letto e il caldo della stufa, e il brodo nel piatto, e saranno i loro corpi, e saranno la loro passione, saranno tutto. E noi non saremo niente. Niente. Io non posso nemmeno osare di pensarti così, non posso osare di desiderarti così.

Ecco perché a Rosalie ho detto che niente e nessuno è cambiato. Oscar non è cambiata, io nemmeno. Lei è chiusa nella sua uniforme, nelle sue regole, nelle sue convenzioni, nei suoi obblighi, nei voleri del padre, in quelli della Regina. E‘ chiusa nelle sue paure, nella gabbia delle sue stesse lacrime. E chiusa è la sua gioia, e il suo desiderio e il suo essere. Solo io conosco la sua vera bellezza, ma nemmeno io posso vederla, e non soltanto perché i miei occhi vedono sempre meno.

Io nemmeno sono cambiato, la amo ancora, se possibile di più. Non ho conosciuto il limite del mio amore per lei. Non ho mai visto il punto oltre il quale si comincia a smettere di amare una persona, per cominciare a dimenticarla. A questo punto credo che non lo vedrò mai. Sono solo più stanco, e più sconfitto, e disilluso, ma ancora tenacemente attaccato a te, Oscar.

Ai tuoi occhi, ai tuoi capelli, alle tue labbra, alle tue mani, al tuo corpo solo immaginato e intravisto tra la seta, ai tuoi pensieri, ai tuoi respiri, ad ognuno dei toni della tua voce, al tuo dormire rannicchiata, alla fierezza dei tuoi comandi, all’agilità dei tuoi movimenti. A tutto di te. Perché è dentro di me. E lo resterà anche quando non ti vedrò più. Anche quando non ci sarò più.

Ecco perché non posso seguire Bernard nel suo sogno, perché anche se a tratti potrebbe essere il mio sogno, di fatto il mio compito è un altro. A dispetto delle mie idee. A dispetto della mia salute. A dispetto della mia vita. Il mio compito è proteggere te. Da un mondo vecchio, da un mondo nuovo. Da chiunque voglia farti del male. E da me stesso, talvolta. Dal mio stesso desiderio, dalle mie stesse fantasie, dal mio stesso amore. Possono chiamarlo malattia, Bernard e Rosalie, mentre si abbracciano in un letto caldo, possono chiamarlo follia, o più semplicemente illusione, chimera. Ma è il mio compito, ed è la mia stessa vita, consacrata a quegli occhi azzurri e fragili sotto la neve, un secolo fa.

E continuo a camminare sotto la neve. Fa meno freddo ora, ora che mi sono abituato a questo freddo. E’ al freddo del nostro silenzio, Oscar, che non riesco ad abituarmi. Dove sei? Assurda la domanda, sono io che sono lontano da te ora. Non sono in casa, non sono in caserma, non sono dove sei tu.

La neve scende sulla Senna, tutto è bianco, tutto è luce, ma una luce che non riscalda. “André, ricorda che soli veniamo al mondo e soli ce ne andiamo”. E’ davvero così, mamma? Davvero la mia intera vita con lei è solo un’illusione?

Chiudo gli occhi, il mio cammino si interrompe, su questo ponte che fatico ad attraversare. Li riapro. C’è qualcuno, al di là del ponte. Non posso distinguerlo a questa distanza. Un lungo mantello rosso, solo questo intravedo. La neve scende più velocemente ora, e si alza il vento. Non mi muovo, mentre invece tutto quel rosso avanza verso di me. Il vento tira quasi via il cappuccio, scopre i capelli. Sono biondi, e lunghi e si riempiono di neve. Sono i suoi, sono quelli di Oscar. Come può essere qui? Come può avermi trovato, in questa neve, in questo freddo, nella prigione del mio cuore, nelle segrete dei miei pensieri? Eppure è lei, e viene verso di me. E’ lei. Qui, con me.

Ora vedo i suoi occhi e un debole sorriso sulle sue labbra. Oscar…

 

“André, per favore torniamo a casa…”

“Sì, ma cosa ci fai qui, io ti credevo in caserma”

“Ti ho seguito. Ho seguito ogni tuo passo, come tu hai seguito i miei tutta la vita. Ho seguito il filo dei tuoi pensieri, come tu hai seguito da lontano il filo dei miei tutta la vita. Andiamo a casa, per favore.”

Non è possibile. Tu non puoi essere qui ora. Sei un sogno e io sto abbracciando solo il mio sogno perfetto. Sei un’illusione, come il fiocco di neve che si posa sulla pelle e perde al contatto con il calore la sua forma unica e meravigliosa. Io sto solamente sognando. Sognando di te, amore mio.

Fu così che lo trovai, come addormentato, seduto, con il corpo infreddolito addossato ad una colonna del ponte. E lo abbracciai, lo avvolsi nel mio mantello rosso. E avvolsi me stessa nel suo mantello. Ho faticato non poco a fargli capire che ero io. Ho faticato non poco a capire che lo amo. Ho faticato non poco a fargli capire che lo amo. E l’ho portato via, sotto la neve. L’ho preso per mano.

Come un secolo fa, quando i suoi occhi verdi mi guardavano sotto la neve. Come un secolo fa, quando le sue mani di bimbo prendevano le mie. Come un secolo fa quando non eravamo né uomo né donna. Solo due bambini, una cosa sola. Come ora, davanti al fuoco del camino, mentre lui dorme avvolto nel mio vecchio mantello rosso.

 

 

Fine

mail to: f.camelio@libero.it

 

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