La difesa
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Nota dell’autrice e disclaimer: A chiudere questa immaginaria trilogia nata da “Davanti al mare” di Sonia, proseguita con “Processo ad una intenzione” ecco quest’ultimo racconto. La risposta, immaginaria, di Oscar.
Devo ringraziare, in questa occasione, in modo particolare Laura e Francesca per avermi incoraggiato a scrivere anche questo brano e per avermi aiutato a pensare con le loro considerazioni e stimoli ad una possibile chiave di lettura dei sentimenti di Oscar.
Come sempre, i personaggi non mi appartengono. Appartengono a R. Ikeda e alla TMS. Buona lettura.
Casa.
Il posto dove sono nata, tanti anni fa. Dove sono sempre vissuta. Le mie cose, le mie abitudini, le persone che amo. Eppure, questa volta, non avevo nessuna voglia di tornare a casa. Così ho rallentato l’andatura del mio cavallo, non appena ho intravisto da lontano, il cancello che delimita la proprietà di mio padre. E sono entrata, alla fine. E’ casa mia, in fondo. Tutto è come prima. E come avrebbe potuto essere altrimenti, sono stata fuori solo pochi giorni… che mi sono sembrati mesi. Pensare stanca, e io non ho fatto altro che pensare.
Tutto è come prima: le persone, le cose, la luce del sole che penetra lentamente nella mia stanza, all’alba. Tutto immutato. Apparentemente.
Perché lui non c’è. Non c’è più. Se n’è andato, forse.
No, non è questo che ti avevo chiesto, André.
Non c’è stato bisogno di chiedere dove fossi. Tua nonna mi ha detto: “Non lo vediamo da giorni. E’ successo qualcosa, Oscar?”. Sembrava come una di quelle cartomanti che dispongono le loro carte e studiano invece il tuo respiro, il movimento dei tuoi occhi, l’ansia della tua voce, e solo allora, fingendo chissà quale sortilegio, chissà quale magia, ti dicono quello che tu vuoi sentire, che desideri con tutta l’anima di poter sentire. Amore, fortuna, denaro.
Ma nelle mie carte non c’era quello che volevo, quello che desideravo. Tu non c’eri più, nelle carte mescolate per me. Andato via, scomparso, semplicemente.
No, non è questo che volevo da te, André.
Nessuna risposta, da parte mia, allo sguardo sottilmente indagatore di tua nonna.
Sono salita nella tua stanza. L’armadio era vuoto. Te ne sei andato.
Credevo di trovare il sollievo di stare da sola, mettendo una distanza, fisica, mentale, tra me e te.
Ho trovato la tristezza della solitudine, invece, ora che sei lontano da me.
Cattiva abitudine, la mia, di pensarmi sempre con te. Di continuare a pensarmi con te, anche se non ci sei. Sì, un’abitudine, un vizio che devo togliermi, assolutamente. Io non posso più permettermelo, ora che so quello che tu provi per me. Imparare a vivere senza l’aiuto di nessuno, questo ti chiedevo, questo chiedevo a me stessa. E invece, ora, devo imparare a vivere senza di te. E’ questo il prezzo che devo pagare, per diventare quella che voglio essere.
No, non è questo che desideravo, André.
Circondata dai miei familiari, dai miei servitori. Quindi, sola.
Mi fa compagnia solo la mia coscienza. Ma è una compagnia scomoda, che si siede al mio fianco all’improvviso, ruba il cibo dal mio piatto, beve dal mio bicchiere, mi guarda negli occhi, anche se io non voglio, anche se distolgo lo sguardo da lei. E non mi lascia andare. Anche se sono stanca. Anche se vorrei solamente dormire. Non è una madre, non è un padre. Non è un amico. Non posso corromperla, lei, versandole un altro bicchiere. Non posso distrarla raccontandole una storia.
Continua, instancabile, a farmi domande, a cui non so più come rispondere. Finisce per suggerirmi anche le risposte.
Cosa avrei dovuto fare con te, André?
Dovrei provare rabbia verso di te, ma non ne provo.
Dovrei avere paura di te, ma non ho timore di te.
Il ricordo della tua improvvisa follia si sbiadisce velocemente. Perché ero folle anch’io quella sera.
Posso dimenticare la nostra follia. Sì, posso. Non posso dimenticare le tue parole, dopo. Perché quella era la tua vera follia, Il tuo amore per me è follia, André. E il pensiero di saperti accanto a me, per anni, innamorato di me, ora non mi fa dormire la notte.
Il pensiero di sapere che tu soffrivi al mio fianco, mentre io trattenevo a stento le lacrime pensando a Fersen, mi fa soffrire ora. Cosa pensavi, quando cenavamo in tre in questa casa? Cosa pensavi, quando gli sorridevo?. Cosa pensavi quando mi sono messa un abito per danzare con lui?
Ora li rivedo, i tuoi occhi, quella sera, meravigliati, affascinati, sopresi. Erano innamorati, e io non lo sapevo. Un’altra colpa. Da aggiungere al mio elenco: femmina, ribelle, incapace di farmi promuovere generale, capace persino di proteggere un delinquente, innamorata per anni dell’uomo sbagliato. E ora, la mia nuova colpa: l’incapacità di comprendere te. Forse, la mia colpa più grave.
“… e per quello che è successo l’altra sera non ce l’ho con te…”
E’ vero, André, non ce l’ho con te. Non più, adesso. Ma in realtà, non ce l’ho avuta con te dal momento esatto in cui ho sentito la tua sofferenza. Il dolore delle tue parole. Il tuo amore per me, come rassegnato, come inevitabile ma ancora, profondamente, doloroso.
Non ce l’ho con te. Ce l’ho con me. Per non aver capito, per non averlo impedito, per aver scambiato la tua fedeltà per senso del dovere, per aver scambiato la tua passione per impulsività, per aver scambiato, questa la mia colpa più grave, il tuo amore per semplice affetto. Ed ecco che la vera colpevole divento io. Senza attenuanti. Senza possibilità di assoluzione. Un delitto reiterato per anni, ai tuoi danni, giorno dopo giorno. Per anni, probabilmente.
Io non mi sono mai accorta di te. E ora sono giorni che mi faccio domande, che cerco di ricordarmi disperatamente, se qualcosa, del tuo modo di guardarmi, di parlarmi avrebbe dovuto mettermi sull’avviso.
Ora mi chiedo cosa tu provassi quando incrociavi la tua spada con la mia, quando rimanevamo coinvolti in qualche rissa, sempre per colpa mia, a dire la verità. La mia sciocca prova per dimostrare di essere come un uomo.
Lo so ora, una sera mi portasti in braccio, malconcia, dopo l’ennesima rissa[i]. Credevo di sognare. Solo una mia colpevole fantasia, ho pensato per anni riconsiderando quella strana serata. E invece il contatto con le tue labbra, quella sera, era vero. Quello era il vero sapore delle tue labbra. Quelle parole tenere, comprensive, le hai pronunciate veramente. Le mie lacrime di commozione erano vere. Mi hai baciato quella notte, credendomi inconsapevole, incosciente. Puoi baciare con molta dolcezza, André. E sei entrato direttamente nei miei sogni. Sarebbe bastato aprire gli occhi, in quel momento, per affrontare la verità. Non l’ho fatto. L’egoista che sono ti ha concesso di baciare le mie labbra. L’egoista che sono si è concessa solamente di considerarlo un sogno. Una curiosità appagata, forse. Mi dispiace, André. Non lo meritavi. Questa è la verità.
Ed ora è come se, all’improvviso, tu diventassi un uomo, di fronte ai miei occhi. E non sei più mio fratello. E ora, è come se non sapessi nulla di te, e allo stesso tempo, io so tutto di te.
Ora mi domando se hai mai guardato me come un uomo guarda il corpo di una donna. Era così che mi guardavi, André[ii]? Mi pare di sentirlo, ora, il tuo sguardo, indugiare sulla curva dei miei seni, che nascondevo nell’uniforme, a Versailles, ma che non nascondevo sotto le mie camicie, nella mia casa. Dove mi credevo al sicuro. Non lo ero. Ora lo sento, il tuo sguardo. Mi fa paura.
Ora mi chiedo cosa tu immaginassi, nelle tue fantasie. Com’è fare l’amore con me, André?
Io non posso ancora crederci. Immagino che tu apra quella porta, e che mi dica di allenarti con te, e scendendo le scale, di corsa, senza nemmeno voltarti a chiamarmi, tu mi dica ridendo: “Ah, stavo scherzando l’altra sera, chi mai si innamorerebbe di te? Dovrebbe passare per la lama della tua spada… Io certamente no”. Ma la porta rimane chiusa. E io rimango con mille domande, e nessuna risposta, da parte tua.
“… comunque preferisco dimenticare…”
Sì, preferisco dimenticare. Dimenticare che sei innamorato di me… che mi… ami… come è difficile, assurdo solo il pensarlo. Voglio dimenticare il mio affetto per te, la solitudine della tua assenza. Voglio dimenticare di averti voluto bene, voglio dimenticare quanto ti voglio bene. Sì, preferisco farlo. Non ho altra scelta. Non ho altra prospettiva. Io devo sopravvivere.
La mia coscienza è ancora qui, non sono riuscita a stordirla, le mie fantasie non l’hanno distratta minimamente, non ci crede, lei, alle mie fantasie. Non ci crede, lei, al mio voler attribuire ad André pensieri, fantasie, morbosità che non conosco di lui. Che invento, per svilirlo ai miei occhi. Per non pensare a quello che ho provato, dentro, quando lui mi ha detto che mi ama. Per non pensare a lui, come invece faccio da giorni, come non avevo fatto mai, prima.
Cosa
sarà di lui, ora?
Perché me lo domandi? E’ un uomo, saprà cavarsela. No, è un uomo, ma ferito. Nel corpo, nell’animo. Ho paura, per lui.
Cosa
ne sarà di te, ora?
Io saprò cavarmela. Devo farlo. Anche se non ho più il suo sguardo a sorreggermi. A difendermi.
Ricorda
cosa avrebbe potuto farti!
Che cosa? Che cosa avrebbe potuto farmi? Violentarmi? Veramente? Lo avrebbe veramente fatto?
No, io sento, io so. Lui… non l’avrebbe fatto, veramente. Era lacerato, dentro. Io l’ho ferito, senza volere. Ho strappato io la sua camicia, ho distrutto io le sue difese, un pezzetto alla volta, senza fretta, ogni volta che gli ho parlato di Fersen, e ancora di più, ogni volta in cui non gli ho parlato di lui attraverso le mie parole, ma attraverso i miei occhi, attraverso il mio respiro, i gesti inconsapevoli. E ogni volta che l’ho invitato in questa casa. Perché non me l’hai mai detto, André, perché? Io so cosa significa sapere che la persona che ami ama un’altra persona. Io lo so. Tu avresti dovuto dirmelo[iii].
Ma tu non lo ami, perciò…
E allora? E allora devo smettere forse di preoccuparmi per lui?. Cancellare, in un solo momento, tutta una vita insieme a lui? Non ci riesco. Ho bisogno di sapere che sei stato parte della mia vita. Ho bisogno di sapere che stai bene, che starai bene, lontano da me. Ho bisogno di sapere che starò bene… senza di te…
Ho bisogno di sapere che il tuo amore per me non è solo un problema di sesso.
Ecco, è notte tarda, e non ho fatto altro che pensare a te, ogni istante, come è da giorni, da quando
è successo.
Lo difendi, perfino?
Perché non dovrei? Lui mi ha difesa, tante volte, lui era qui per difendermi. Ha giurato che lo avrebbe fatto, che mi avrebbe difeso, da tutto e da tutti. Un impegno assurdo, per un ragazzo. Ma che assunse con gioia. Incosciente.
E l’ha mantenuto, finché poteva. Mi ha salvato la vita. Mi ha protetto, mi ha consolato. Si è preso i miei pugni, ha scolato bicchiere dopo bicchiere per farmi piacere. Ha acceso il camino, ogni volta che avevo freddo. Ha sdrammatizzato, con i suoi sorrisi, ogni mia paura, ha placato la mia rabbia e il mio furore. Ogni volta che ha potuto. Fino a sacrificarsi per me, non per obbligo, non per dovere. Per amore.
Tanto da sacrificare un occhio per me, per la mia incoscienza, per la mia incapacità. Io non riesco nemmeno a pensarci.
Come potrei non difenderlo? Lui mi ha protetto da tutti, perfino da me stessa.
E mi ha protetto, alla fine, persino da se stesso, persino dal suo stesso desiderio[iv].
Io, io sola sono colpevole. Sì, dovevo nascere uomo, perché se fossi nata veramente uomo, nessuno avrebbe sofferto per me. Né mio padre, né mia madre, né tu, né io. Ma da domani sarò un uomo. Sarà la mia nuova vita, sarà la tua nuova vita. Sarò quello che avrei sempre dovuto essere. Senza di te.
“Perché ti sei arruolato nei soldati della Guardia? Ho detto che non avevo più bisogno di te!”
“Non cercare inutili spiegazioni, Oscar, mi sono semplicemente arruolato. Se vuoi sapere la verità ho un amico tra i soldati della Guardia, mi sono arruolato tramite lui. Comunque, qualunque cosa tu possa pensare, io sono l’unica persona in grado di proteggerti, Oscar. Sempre ai vostri ordini mio comandante!”
“André, io….Fai come ti pare!”
Sì, fai come ti pare, André. Forse hai davvero ragione tu.
Stupido, testardo, cocciuto, tenace, superbo, egoista, incosciente, André.
E’ vero, tu solo puoi proteggermi, hai ragione. Ma, lo stesso, riuscirò a non appoggiarmi a te.
A camminare con le mie gambe. Riuscirò a dimostrare il mio valore. Ma tu proteggimi, come hai sempre fatto. Io, da ora in avanti, ti tratterò come un uomo, lo prometto. L’unica promessa che posso farti, in questo momento.
Ho bisogno di trovare me stessa, ora. Ho bisogno di credere in me stessa, ora. Ma ho ancora bisogno di te, André.
Stupida, testarda, cocciuta, tenace, superba, egoista, incosciente, Oscar.
Come te. Con te.
Sì, fai come ti pare, André.
Fine
Fine
mail to: f.camelio@libero.it
[i] Mi riferisco ad una scena piuttosto nota del manga (ripresa anche nel Takarazuka, ma non nell’anime, curiosamente), in cui un André tenero, ruba un bacio ad una Oscar apparentemente svenuta ma “stranamente” in lacrime dopo questo avvicinamento di André.
[ii] Questo ragionamento nasce da una serie di scambi epistolari recenti tra me e Francesca. Riflettevo su cosa significa per Oscar rendersi conto all’improvviso che André non è più fratello=asessuato, ma si trasforma, ai suoi occhi in un uomo a tutti gli effetti.
[iii] Una considerazione nata rileggendo quanto nell’originale
giapponese dice la narratrice nell’episodio 29 a proposito dei pensieri di
Oscar durante il suo breve soggiorno in Normandia: “Oscar
sentiva/rifletteva sul fatto che esistono molti tipi d'amore: L'amore tra
due persone che si amano reciprocamente, l'amore che si può desiderare da
qualcuno sinceramente (con tutto il cuore).Un amore non richiesto da
qualcuno che non ci si aspetta. Un amore che non si è stati in grado di
riconoscere/capire anche stando (sempre) insieme: l'amore di André per lei.
Era stato lo stesso tipo d'amore che lei aveva provato per Fersen. E lei
sapeva bene, perciò, quanto fosse doloroso per André, ma..."Perciò
dovrò evitare di vederti/incontrarti, André", pensò Oscar. "Mi
dispiace, André...", pensò Oscar.”
[iv] Apporto nato da un recente scambio epistolare con Laura. Grazie a lei per avermi aiutato a chiarirmi le idee rispetto ai possibili sentimenti di André e Oscar rispetto ai cambiamenti che l’incidente della “camicetta” comporta nel modo di considerare il loro rapporto.