Una farsa inutile

parte sesta

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Parte sesta

Epilogo

Talvolta sono le circostanze e non la volontà a decidere della tua vita. A farti fare scelte che coscientemente, razionalmente non faresti. Così è stato per me. Così è stato per noi. La prima volta che ho fatto l’amore con André è stato così. Quando non pensavo che succedesse. Ma non per questo è stato meno… bello. Io non so come si definiscono certe cose. E forse non andrebbero mai definite, ma tenute segrete. Come segreti sono i nostri incontri, da una quindicina di giorni a questa parte. Segreti, fugaci, a volte quasi rabbiosi, ma incredibilmente intensi. Rubati ai pochi momenti in cui possiamo restare soli. Ricavati con sotterfugi incredibili, sempre più incredibili e rischiosi. Così ci amiamo io e lui. Mi concedo a lui, mi concedo lui, e il suo corpo, ogni volta che posso. Perché ogni momento è prezioso. Perché un giorno non mi vedrà più. Sarà diverso fare l’amore allora?

Ci amiamo. All’improvviso. Senza che ci sia nemmeno il tempo di pensare, di dirsi che non sta bene quello che facciamo, quello che sentiamo, senza nemmeno quasi il tempo di dirci che ci desideriamo. Chiusi a chiave nell’armeria, o nel mio ufficio, persino nelle cucine vuote, una notte. Ovunque ci sia un momento, un istante da concedere all’amore. Questo amore che sento, così disperato. Una parte di me non riesce a credere ancora che l’uomo che amo perderà la vista, quella stessa parte di me si domanda come sarà la nostra vita quando questo succederà. Nostra, perché è la nostra vita ormai. Lo è sempre stata ed ora lo è ancora di più.

Stordisco quella parte di me che si fa domande, che si tormenta, con le sue carezze, con il sesso. Sono stordita dai tuoi baci, André, dalle tue carezze, dal tuo corpo, come quando sei entrato nel mio ufficio una sera e pochi minuti dopo ero già sdraiata sulla scrivania, semisvestita, il tuo corpo sul mio, senza spostare nemmeno le carte che la ingombravano. I miei occhi rivolti alla porta, nel timore che qualcuno bussasse. Nel silenzio, solo con i nostri respiri, affinché nessuno ci sentisse. Nonostante tutto, riesci ad essere tenero con me, nei momenti in cui ne ho la necessità. Ma è tutto così veloce, e frettoloso, e non riesco neanche a dirti che ti amo, che già viene suonata l’adunata e non c’è altro che i nostri vestiti rimessi a posto in fretta, un tuo bacio frettoloso, mentre corri già via, il tuo sorriso, un istante prima di riaprire la porta, e scomparire, nei corridoi bui di questa caserma. Non sapevo cosa fosse l’amore - e ora lo so. Non sapevo cosa fosse la passione - e ora mi divora. Ogni giorno, ogni istante, tra l’odore della tua pelle, la stretta delle tue braccia, il sapore delle tue labbra, pensando già a quale incredibile sotterfugio mi consentirà di nuovo di incontrarti. Ancora.

E la prima volta che è successo, ho avuto la precisa sensazione che in realtà fosse scritto da tempo. Che facesse parte di un copione già scritto, che tutto, tu, le altre persone, gli oggetti perfino, e il buio della notte, si comportassero come era previsto da tempo, come se avessero fatto mille prove prima di andare in scena. Protagonisti e comprimari di una scena già scritta che io ero la sola ad ignorare, come quegli attori che vengono mandati sulla scena con un copione in mano all’ultimo momento a sostituire l’attore famoso infortunatosi. Senza avere il tempo di pensare, di fare propria la parte. Improvvisando, come ho improvvisato io, tra le tue braccia.

Erano passati tre giorni da quando eravamo stati assaliti dalla folla a Saint Antoine, e da quando avevo capito, dolorosamente, nel terrore di perderti, di amarti, André. Avevi già chiesto di tornare in caserma e, a malincuore, te l’avevo concesso. A malincuore, perché non ero riuscita a parlare con te, e in certi momenti non riesco ancora a farlo. Così, la sera prima di tornare in caserma, pensavo, nella mia stanza, a quello che sentivo e che non riuscivo a dirti. Sono uscita, per prendere aria, per dare respiro anche ai miei pensieri. E ti ho trovato lì, sulla scala, a contare di nuovo quei maledetti gradini, a memorizzare un mondo che non vedrai più. Dolore, sentivo dolore, e rabbia nel cuore. Tanta da non poterti vedere così, da non poterti nemmeno immaginare così. E allora sono corsa giù per le scale, cercando di fuggire da te, dai tuoi occhi spenti, finché non ho perso l’equilibrio, e due braccia mi hanno afferrato. Forti. Le tue. La circostanza.

Mi sono voltata, chiusa nel cerchio improvvisato delle tue braccia.

“Ma, ma tu, come… come hai fatto?”

“Posso ancora vederti, Oscar, e finché potrò farlo cercherò di proteggerti.”

Il cerchio delle sue braccia si stava sciogliendo, ma io stavolta non volevo che accadesse. Così bloccai con le mie le sue braccia che mi stavano lasciando. Il suo sguardo, sorpreso.

“Perdonami”, gli ho detto, avvicinando le mie labbra alle sue, sfiorandogliele. Una battuta improvvisata, una battuta che non conoscevo. Una prova, forse.

Ancora un istante, di stupore forse, da parte sua prima di ricambiare quel bacio improvvisato. Prima che sentissi, finalmente, quella sensazione così intensa di tenerezza e di calore che avevo immaginato di provare con lui, solo con lui. Che avevo sognato di provare con lui, anche quando era Girodel invece, a tentare di baciarmi.

“Perdonami, André”, gli ho ripetuto, accarezzandogli i capelli, “è tutta colpa mia, se tu ti trovi in queste condizioni, se stai perdendo la vista è solo colpa mia. Del mio egoismo, della mia incapacità. Della mia incapacità a proteggerti, della mia incapacità di comprenderti, della mia incapacità di esserti vicina… e di amarti.”

Un istante di silenzio, di incredulità da parte sua. Consegnavo le armi. Mi arrendevo alla mia colpa, e ai miei sentimenti. E a lui.

“E’ la tua colpa che mi ha baciato poco fa? O eri tu?”

“Non capisco…”

“Nessuno ha veramente colpa per quello che è successo. Né io, né te potevamo immaginare, la prima volta che ho indossato il costume da cavaliere nero, quello che sarebbe successo in seguito. Era un gioco, sì, sembrava quasi un gioco. Era divertente, persino. Poi le cose sono andate come sono andate. Oscar, io non ho colpe da attribuirti. Davvero. Non sentirti responsabile. Non lo sei. E comunque, come allora, sono sollevato che non sia stata tu ad essere ferita allora, che non sia tu, adesso, a stare perdendo la vista.”

Proprio come allora, come in quell’alba triste, dopo la notte in cui era stato ferito da Bernard. Mi ha detto le stesse parole di allora. Si preoccupava per me, in quel letto, ferito, sofferente, aveva parole di consolazione per me, quando avrei dovuto essere io a consolarlo, quel mattino triste, io a lenire la sua sofferenza, io ad abbracciarlo, io a prendere la sua mano nelle mie mani. E non l’ho fatto. Lo amavo anche allora? Se davvero lo amavo anche allora… che razza di persona sono? Il mio senso di colpa, a quelle parole, le stesse di tanto tempo prima, le stesse, nonostante la sofferenza che avevo continuato ad infliggergli anche dopo quel periodo doloroso della sua vita, è diventato insostenibile. Come il mio sentimento per lui. Come il mio amore per lui. Qualcosa che non potevo più tenere solo per me stessa.

Avevo le lacrime agli occhi, e il mio copione, ormai, era illeggibile, completamente illeggibile. Non avevo più battute da dire, né scuse, né ragionamenti. Mi rimaneva solo un gesto. Lo feci.

E lo abbracciai, lo baciai con tutte mie forze. Lui mi stringeva a sé, sempre più forte. Ed era sempre più caldo, ed incredibilmente avvolgente. Sentivo il mio volto avvampare e il mio respiro modificarsi, mentre il nostro bacio diventava più profondo. Improvvisato, ma non per questo meno intenso. Scomparvi quasi tra le sue braccia.

Ma quella rappresentazione, nel teatro improvvisato di quella scala, poteva essere pubblica, troppo pubblica. E così la rappresentazione si spostò nella sua camera, nel suo letto. La scenografia perfetta per la scena più importante, quella che tutti gli spettatori aspettano. Che anch'io aspettavo. E in quel momento non c’era più bisogno di copioni, di battute da recitare. Solo il mio amore. Solo il suo amore. Solo le mie emozioni, solo le sue emozioni. E i sospiri. Ma piano, perché nessuno ci sentisse. Per la prima volta. Non avevo mai visto il suo volto così felice, non avevo mai sentito quelle sensazioni venire dal mio corpo. Così forti e così intense che, a tratti, mi veniva voglia di fuggire, di mettervi un termine. Ma lo sguardo nei suoi occhi me lo impediva, come me lo impediva la volontà del mio corpo. Così ci siamo amati. Così ci amiamo.

 

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Mia, mia, ora lei è mia. Mi ama. Come io amo lei. Non avrei mai pensato, a mente fredda, che sarebbe mai successo. E invece ora è con me. Tutti i giorni, tutti i momenti. Sono i suoi occhi a dirmelo, ogni momento. E’ il suo corpo a dimostrarmelo, tutte le volte che facciamo l’amore. Di nascosto, è vero, ma non ha importanza perché sono con lei. Ho tentato tante volte di immaginare come potesse essere sentirsi amato, e ora lo so. Ed è incredibilmente bello e profondo. Più di quello che immaginavo. Talvolta è complicato, e rischioso, e vorrei avere più tempo per parlarti, per accarezzarti. Per dirti parole d’amore, per dirti quello che sento, non solo con il mio corpo. Quelle che posso solo mormorare, sottovoce, al tuo orecchio, quando facciamo l’amore. Sarà sempre così, amore mio? Manca poco alla prossima licenza e non ho mai sentito come adesso il bisogno di andare via con te. Lontano da tutto, da queste mura, dalla tua casa, dai miei problemi, dai tuoi problemi. Il buio, lentamente, continua ad avanzare, ma, a tratti, fa meno paura. Perché ci saranno le tue mani a sostenermi, perché ci saranno i tuoi occhi a guidarmi, a ricordarmi come è fatto il mondo. Me lo ripeto tutti i giorni, per farmi coraggio. E cerco la conferma nel tuo sguardo, nelle frasi dette a mezza bocca, negli appuntamenti decisi in segreto, all’ultimo momento. Sei sempre stata… un’ottima stratega… sai, amore mio. E faccio l’amore con te, colmando il mio e il tuo desiderio, cercandolo, nutrendolo. E pensare che, la prima volta che è successo, non sapevo molto realmente di sesso. Fantasie, certo, ideazioni della mia mente, qualcosa che forse avevo intravisto. Ma a fare l’amore si impara solo facendolo. Ad amare si impara solo amando. E sentendo di essere amati. E so che mi ami, anche se il tempo sfugge e talvolta non c’è nemmeno la possibilità che tu me lo dica, che io te lo dica. Ma lo sento. Lo so. Lo so da quella notte a Saint Antoine, lo so dal tuo abbraccio di allora. Non deve essere facile per te. Non sarà facile per te.

Vorrei essere diverso, vorrei non essere quello che sono. Vorrei essere il compagno da presentare a tuo padre, a tua madre. Ma non lo sono. E sono tremendamente illuso, forse, a pensare che tutto andrà bene, che tutto si risolverà, in un modo o nell’altro. Che questo amore lo potremo vivere alla luce del giorno. Che non ci saranno più sotterfugi, per quanto comunque tu sia incredibilmente bella, e sensuale, quando cerchi di ricomporre in fretta la tua uniforme, e nascondere in fretta ogni traccia del nostro incontro. Per quanto tu sia affascinante anche quando mi cacci via in fretta, o mi rubi all’improvviso un bacio o mi fai una carezza, un istante prima di aprire la porta, di rientrare nel mondo. Voglio pensare che potremo stare insieme, sempre. Vorrei portarti via, in un posto qualsiasi, e ricominciare con te. Ma non sarebbe giusto. E una decisione che tu sola puoi prendere. E’ già molto, in fondo, quello che ho.

Ma, nonostante tutto, la paura mi è ancora compagna. A volte, quando la paura del buio mi prende, cerco te, il tuo corpo, quasi con rabbia. Ho bisogno di te, e non mi sembra mai abbastanza. Così continuo a prenderti, e a prenderti, per scacciare la paura. Per scacciare la morte attraverso la vita, per scacciare il buio con l’amore. Ed un’altra paura si fa strada talvolta, nei miei pensieri, quella di perderti. Che un giorno tu non voglia più fare l’amore con me, che tu non voglia più stare con me, che questo sortilegio finisca. Sarà mai così, amore mio? No, non voglio pensarci ora, non voglio e non devo. Ho un altro appuntamento. Stasera, dopo le sei. Nel tuo ufficio. Nel tuo letto. Nel tuo cuore. Niente altro conta.

 

 

Padre,

quella che faccio oggi è la cosa più difficile del mondo,

non è stato facile prendere la decisione che ho preso, non sarà facile mantenerla,

in certi momenti, forse, sarò tentata forse anche di pentirmene.

Perché l’amore non è solo felicità, non è solo gioia e appagamento.

Talvolta è una dura battaglia, anche per chi ha imparato a combattere fin da bambina.

Ma so, per certo, che non è quello che vorreste per me, e ve ne chiedo perdono.

Anche se so che una parte di voi un giorno riuscirà ad essere felice per me.

Vado via, non so ancora dove, non ho una località da raggiungere, ma ho uno scopo più importante da perseguire. Ho un amore da difendere, da coltivare, giorno dopo giorno.

Lo devo a me stessa, e a lui.

Amo un uomo che non rappresenta quello che voi volevate per me.

Amo André, il mio compagno, da sempre e per sempre.

L’unica persona, oltre a voi, padre, in grado di leggere nel mio cuore, e di consolare le mie ferite.

E di amare una donna… particolare… come sono io.

Grazie per tutto ciò che avete fatto per me, per noi.

Di avermi concesso una vita incredibilmente migliore di quella concessa alle altre donne.

Di avermi amato, a modo vostro.

Ora vado per la mia strada, se necessario anche a commettere degli errori. A provare e a sbagliare, se necessario, ma con la certezza di aver vissuto, pienamente, la mia vita. Di aver percorso il mio cammino. Ovunque questo porti.

Vi amerò sempre, padre.

Oscar

 

Così ho lasciato la mia casa, e il mio mondo. E non sono pentita di averlo fatto, nemmeno oggi, nemmeno dopo tanto tempo. Ci sono stati momenti difficili. Momenti in cui avrei voluto perfino fuggire. Ma non l’ho fatto. E non lo farò mai. Ho ritrovato, ogni volta, nelle parole, nello sguardo di André, tra le sue braccia, la forza di andare avanti e la gioia di stare con lui. Ogni giorno, ogni momento. Perché la mia vita non era più lì. A Versailles. E forse, nemmeno più nella mia casa. Era ed è racchiusa, tutta intera, nello sguardo di André, da quel pomeriggio in cui fu pestato a sangue, tanto tempo fa.

Ed è anche nel mio ventre, ora, nei movimenti lievi che nostro figlio compie, mentre prendono forma il suo corpo e il suo cuore.

La mia vita, ora, non è più una farsa di cui solo l'autore conosce il finale. Ora è la mia vita, quella che ho scelto, consapevolmente. Che scelgo ogni giorno. Che scegliamo insieme. Non ne conosco ancora il finale, ma non ha importanza. Non ha nessuna importanza.

 

 

Fine

mail to: f.camelio@libero.it

 

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