Dieci giorni
parte I
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Note:
come
sempre i personaggi non sono miei ma di R.. Ikeda.
Devo
ringraziare innanzitutto Laura, che con il suo incoraggiamento e i suoi consigli
preziosissimi mi ha aiutato e sostenuto durante la realizzazione di questa
fiction! Grazie Laura!
E
poi devo ringraziare tutti coloro che mi hanno scritto in riferimento a “In
Vece del Padre”. E’ dal loro incoraggiamento e dai loro feedback
che è nata l’idea per quest’altra storia.
Fonti
di ispirazione per questo scritto sono state sicuramente Rape di Laura, le
fiction in lingua francese di Miranda e Alix e altre cose che ho letto.
Mi
ha molto colpito il film della regista Jane Champion “Holy Smoke” che ha
ispirato almeno un paio delle situazioni raccontate nella storia e una vecchia
canzone di un chitarrista francese Alex Bauer dal titolo “Cargo de Nuit” che
mi sembrava caratterizzasse in qualche modo anche certi aspetti di un personaggio.
Grazie
ancora a tutti e buona lettura.
1.
Prima che si svegli
Oscar
guardava lo sconosciuto che dormiva nel letto. Si erano rifugiati un quel
piccolo albergo solo poche ore prima. Lo guardava dormire, i tratti del viso
distesi. Sembrava sereno finalmente, dopo tutto quello che era successo tra loro
nel giro di pochi maledetti giorni.
Lei
invece non poteva dormire, proprio non ci riusciva. Aveva tentato di rilassarsi,
ma vicino a lui proprio non poteva riuscire ad addormentarsi.
Lo
guardava e pensava: “No, non posso più restare qui, devo andare via ora,
prima che si svegli, prima che il suo sguardo incroci il mio di nuovo, prima che
possa dirmi qualunque cosa, prima che tutto ricominci daccapo. Devo andare
ancora più lontano, più lontano ancora, e subito!.”
Si
avvicinò al letto, gli rimboccò le coperte, con lentezza e attenzione, per non
svegliarlo.
Andò
verso la porta. Si voltò e gli diede un ultimo sguardo. Aveva davvero
l’impressione di vedere in quel letto un essere completamente sconosciuto.
Uscì
dalla stanza e raggiunse il vecchio portiere dell’albergo. Tirò fuori dal
portamonete dei soldi.
“Ma madame, volete andare via senza il vostro amico?”
“Si,
e per favore non ditegli che sono andata via stanotte. Questi sono i soldi per
la stanza e questo è per il dottore. La prego di accertarsi che domani mattina
torni a vedere il mio amico. Io vado. Grazie per l’ospitalità, non
avrei saputo dove altro andare stanotte.”
“Ma
madame, siete sicura di stare bene voi? Credo dovreste riposare anche voi”
“No,
vi ringrazio per l’interessamento, sto bene, devo davvero andare via, e
subito”.
“Allora
buonanotte madame!”
Oscar
uscì dall’albergo nel cuore della notte, le luci dell’alba erano ancora
molto lontane. C’era nebbia quella notte. Si incamminò nel buio e nella
nebbia.
Un paio d’ore dopo cominciò a vedere i primi tenui raggi di sole rischiarare il suo cammino. Dalla nebbia vide uscire lentamente la sagoma di una carrozza. Quando le fù abbastanza vicino la fece fermare. Oscar vi salì.
2.
In Normandia
Tutto
era cominciato dieci giorni prima. Oscar aveva deciso di passare qualche giorno
in Normandia prima di assumere il comando delle guardie francesi.
Il suo
nuovo incarico. Aveva detto addio a Hans. Aveva detto addio al conte di Fersen
di cui era stata innamorata per tanto, troppo tempo. Aveva detto addio a Maria
Antonietta. Aveva detto addio alla Regina di Francia, di cui Hans era
innamorato, dopo tanti anni di servizio fedele al suo fianco, dopo tanti anni di
amicizia, vera e sincera verso quella donna. Non poteva più restare a
Versailles ora. La sua sofferenza nel saperli insieme a Versailles non le era più
sopportabile. Fuggire era l’unica soluzione. Ma fuggire dove? Per quanto
potesse allontanarsi dalla reggia i suoi pensieri di donna innamorata
l’avrebbero raggiunta comunque e dovunque.
I suoi
pensieri di donna innamorata appunto, i suoi pensieri di donna.
Erano
quei pensieri che in qualche modo, disperatamente, doveva riuscire a cancellare.
Voleva tornare quella che era prima di innamorarsi, quella che era prima di
indossare quel maledetto abito da ballo, prima di quella sera in cui aveva
ballato con lui, in cui aveva accarezzato per un attimo l’illusione che a
vederla così lui si sarebbe innamorato di lei, ma era tutto inutile, né il
vestito, né il trucco, né i capelli acconciati in modo “più femminile”
avevano sedotto l’uomo che amava con tutta se stessa. Per lui, lei rimaneva
“il suo migliore amico” e quanto le avevano fatto male quelle parole.
Aveva
pensato che l’unico modo per dimenticare questo dolore fosse tornare
totalmente ad un ruolo maschile, voleva tornare ad essere la bambina spensierata
che si credeva un maschietto e viveva senza problemi se non quelli di non essere
abbastanza abile con la spada. Doveva tornare a pensare e a comportarsi come un
uomo se voleva dimenticare.
Per
questo motivo un incarico nelle guardie francesi, un incarico tra i soldati che
erano arruolati tra il popolo le sembrava un’ottima soluzione. Lontano da
Versailles, un posto dove poter dimostrare a se stessa e al mondo che lei era
forte, coraggiosa, non aveva bisogno di nessuno, che lei era..un vero uomo.
“Devo cavarmela da sola, totalmente da sola stavolta, niente più debolezze, niente più richieste di aiuto, se muoio o vivo deve essere una cosa di cui io sola ho la completa responsabilità.”
Già, perché lei non aveva mai passato un solo giorno della sua vita, dovendo realmente cavarsela da sola. Era nata nobile e ricca, e non aveva mai dovuto pensare ai soldi. Era rimasta nella casa del padre mentre le sorelle si erano sposate presto e, una dopo l’altra, se ne erano andate via di casa.
E non aveva mai passato un solo giorno della sua vita senza che qualcuno la proteggesse da qualunque pericolo.
Quel qualcuno l’aveva protetta da tutto e da tutti. In tante occasioni aveva rischiato la vita con lei e per lei, e se quel qualcuno non le fosse stato accanto forse sarebbe perita. L’aveva salvata tante volte, e gli era profondamente grata. Gli voleva molto bene in verità, davvero molto bene.
Era stato più di un amico per lei.
Lei non lo aveva mai considerato come un servitore, non lo aveva mai visto con gli occhi carichi di disprezzo con cui gli altri nobili guardavano le persone che non erano al loro livello. Suo padre le aveva insegnato a non farlo e lui aveva meritato ogni gesto d’affetto che lei gli aveva rivolto quando erano bambini. Realmente lo aveva considerato per anni un fratello, uguale a lei.
Ma ora saperlo sempre al suo fianco gli pesava terribilmente. Gli pesava sapere che in un certo modo era dipendente da lui, che forse senza di lui non avrebbe saputo come cavarsela. Doveva allontanarsi anche da lui se voleva dimostrare a se stessa di essere in grado di cavarsela da sola.
Anche da lui.
Aveva pensato che lui l’avrebbe capita, che quella era l’occasione anche per lui di iniziare una sua vita, una sua vita indipendente. Meritava più di quello che aveva sicuramente. Oppure sicuramente era lei che non lo voleva più accanto in quel modo. Strano, ma aveva considerato le due cose equivalenti. L’avrebbe capita, pensava, e invece…
E invece lui le aveva detto quella frase assurda, “una rosa rimane sempre una rosa…”.
Poteva non rispondergli, o sdrammatizzare con una battuta, poteva semplicemente voltargli le spalle e andarsene. Poteva non iniziare quel gioco perverso. Sarebbe stato meglio. Per entrambi. Ma in quel momento Oscar aveva sentito qualcosa di sordo ma fortissimo dentro di sé venirle su, come se le venisse dallo stomaco. Era la sua rabbia, la sua frustrazione perché lui le stava dicendo in faccia una verità scomoda che lei proprio non era in grado di accettare.
“Vorresti dire che una donna resta una donna in ogni caso?. Questo vuoi dire? Rispondimi, mi devi rispondere André??“.
Gli urlò in faccia tutta la sua rabbia, che si confondeva con il dolore, ma lui non gli rispondeva, non gli diceva più nulla e il suo viso aveva assunto un‘espressione fastidiosamente assente, fastidiosamente assente..così innaturale in lui..
Lo schiaffeggiò. lo prese per il collo della camicia. Si sarebbe aspettata uno schiaffo anche lei, si sarebbe aspettata in risposta uno dei suoi pugni nello stomaco. Uno di quei pugni che da ragazzi si erano scambiati in più di un occasione. Un bel pugno, una bella scazzottata.
Una cosa tra ragazzi.
Una cosa tra uomini.
Una cosa tra pari.
E invece, all’improvviso lui le afferrava i pugni con una forza che non aveva mai usato prima con lei, nemmeno quando si prendevano a cazzotti, o forse era diverso, lei non capiva. Una forza che lei nemmeno immaginava lui potesse avere.
“Così mi fai male André!”
Lui le allargava le braccia, impedendole qualsiasi movimento.
La rabbia di lei aveva in un istante lasciato il posto allo stupore. Il suo sguardo assente su di lei, nei suoi occhi increduli e poi le labbra di lui sulle sue. Un sapore strano. Un caldo improvviso che le veniva dal corpo, incontrollabile. Ma lo stupore di lei aveva ora lasciato il posto alla paura. Cosa voleva fare di lei??. La spingeva velocemente verso il letto, troppo velocemente e ogni suo tentativo di opporgli resistenza, di divincolarsi da lui era inutile. Era in completa balia di lui. Si ritrovò sul letto. Le sue labbra nuovamente sulle sue, il corpo di lui sul suo, il corpo di lui così pesante, lei non lo aveva mai sentito così pesante, così insopportabile. Per un istante lui staccò le labbra da quelle di lei, preparandosi a fare chissà che cosa. Chissà che cosa…
“Lasciami André o chiamo aiuto!!”
Un istante brevissimo di silenzio, poi sentì che qualcosa le veniva via come se le fosse stato portato via dalla pelle, dalla sua stessa carne. Era un pezzo della sua camicia. Un brivido di freddo. Vuole violentarmi??. Ora era in piedi di fronte a lei: lo sguardo completamente folle, le pupille dilatate, in una mano il pezzo di camicia.
Non sarebbe potuta più sfuggirgli, lo sentiva chiaramente, ma soprattutto un’altra emozione le prendeva il cuore, ed era più dolorosa delle altre, molto più dolorosa. Si sentiva umiliata. Lui l’aveva umiliata. Era bastato così poco perché lei fosse in balia completa di un uomo. Così poco.
Così poco.
“Bene, e adesso? Cosa vorresti farmi André? Che cosa vuoi provare?”
Lo guardava. Come in attesa….di una decisione di lui.. che lui decidesse cosa fare di lei.
Lei che non riusciva a urlare, non riusciva a muoversi da li anche se non lo sentiva più addosso, non riusciva a fare nulla, non riusciva più, nemmeno a pensare. Piangeva, solo questo le riusciva.
E invece le lacrime che uscivano dagli occhi di lui e il suo tono di voce le annunciavano che il gioco perverso in cui era finita cambiava ancora forma.
“Ti prego perdonami Oscar. Giuro su Dio che non ti farò mai più una cosa come questa.”
Oscar ora sentiva sulla sua pelle nuda salire il tepore del lenzuolo. André la stava ricoprendo. E si allontanava da lei.
“Una rosa non potrà mai essere un lillà. Oscar ascolta: non potrai mai cancellare di essere nata donna. Per vent’anni ho vissuto con te, ed ho provato dell’affetto per te, solo per te. Io ti amo Oscar. Credo…di averti sempre amata”.
André usciva dalla stanza. Finalmente. Ma le parole di André erano rimaste come appese nella stanza. Lui se ne era andato, ma le parole erano rimaste li. E si ripetevano nella mente di Oscar. Sentiva il suo corpo ancora immobile ma riusciva a piangere.
Passò un tempo che le sembrò infinito prima che sentisse il suo corpo rispondere ai suoi ordini.
Si alzò. Si tolse i vestiti. Si infilò la camicia da notte. Guardò la porta. Avrebbe dovuto chiuderla a chiave. Eppure sentiva che il pericolo era finito qui, che il gioco perverso in cui era finita era terminato. E doveva esserlo per sempre. Qualunque fossero “i sentimenti” di André per lei.
Doveva andare via da li. Il più presto possibile. E i dieci giorni che la separavano dal momento in cui sarebbe iniziato il suo nuovo incarico erano veramente troppi da passare tra quelle mura. Soprattutto ora.
In Normandia. Partire per la Normandia la mattina stessa. Fu l’unico pensiero che le consentì di addormentarsi quella notte.
3.
La partenza
La mattina dopo, all’alba Oscar si preparò a partire. Aveva sognato molte cose quella notte, ma cercava di scacciarle dalla sua mente.
Prima di partire doveva andare a Versailles. Un messo della regina doveva comunicarle il suo nuovo incarico. Il pensiero la tranquillizzava. Solo pochi giorni e tra lei e il suo nuovo incarico. Era comunque meglio partire. Sapeva che avrebbe dovuto comunque avvertire qualcuno della sua partenza. Aveva preparato solo poche cose da portare con se. Avvertì la nonna di André della sua partenza. Stranamente, la vecchia governante non le disse niente, non le chiese perché stesse partendo all’improvviso. Forse sapeva qualcosa? Oscar cercò di scacciare questo pensiero dalla mente. No, non poteva sapere quello che era successo la sera prima tra lei e André. Non sarebbe stata così calma e tranquilla. Anche se lei non era sua figlia, Oscar sapeva che la vecchia governante le voleva bene come se lo fosse stata, che lei aveva voluto molto bene a quella strana bambina vestita da maschietto.
Lei c’era tutte le volte che Oscar si era sbucciata un ginocchio, tutte le volte in cui suo padre l’aveva rimproverata o punita. Lei c’era. Sua madre era a Versailles, invece. Per un momento Oscar pensò che avrebbe potuto parlare con lei di quanto accaduto la sera prima, ma sentiva di non poterlo fare. Era anziana e Oscar ebbe paura che un fatto del genere le avrebbe fatto male al suo cuore. E dopotutto..André è il nipote. No, sarebbe stato un dolore troppo forte per lei.
Oscar salì le scale per raggiungere la stanza della madre. Bussò. Dalla stanza nessuna risposta. “Sarà già a Versailles, come sempre..lei non c’è”.
Si voltò. Di fronte a lei la porta della stanza del padre. “No, meglio non dirglielo. Avrà saputo certamente della mia decisione di lasciare la guardia reale, vorrà spiegazioni, e io non me la sento di dargliene ora.”
Scese le scale velocemente, andò verso le scuderie e sperò di non vedere André nelle vicinanze. A Versailles doveva andare da sola. Il cavallo di André era lì. Caricò il suo bagaglio sul suo cavallo e lo portò fuori dalle scuderie. Intravide André da lontano avvicinarsi alle scuderie. Montò a cavallo velocemente. “André! Io vado a fare una cavalcata. Da sola!” e partì al galoppo.
Era andato tutto liscio a Versailles. Un messo della Regina l’aveva ricevuta in una stanza attigua agli appartamenti della Regina. La Regina a quell’ora del mattino dormiva ancora. Il suo nuovo incarico non era in marina, come aveva immaginato, ma nell’esercito. Avrebbe dovuto comandare i soldati della guardia. Si prospettava un incarico niente affatto facile. Ma Oscar ne era felice.
Anche il commiato con i soldati era stato tutto sommato semplice. Aveva assistito ad una parata in suo onore. Poi si era congedata velocemente anche dai suoi uomini. Primo tra tutti Girodel.
Aveva chiesto che il suo incarico passasse a lui. Era giusto. Lo aveva meritato.
Il commiato non era stato difficile né particolarmente triste. Ormai tutto quello non faceva più parte dei suoi pensieri. Aveva una nuova prospettiva a cui pensare, ora.
Era tranquilla. Ora poteva partire. Ma, mentre attraversava il porticato che la separava dal cortile dove aveva lasciato il suo cavallo intravide qualcuno che proprio sperava non fosse lì.
Invece era proprio lì.
André l’aveva raggiunta.
“E ora? Che faccio?” pensava mentre avanzava a passi decisi verso la luce, e verso di lui.
“Al diavolo! Non devo rendere conto a lui di quello che faccio della mia vita. Gli dirò che me ne vado. E basta!”.
Ma ogni passo che faceva diventava più difficile da fare, anche se il suo volto ostentava serietà e rigore: se lo rivedeva di fronte, con il suo sguardo folle, con il dolore fisico della sua stretta, con il suo fiato addosso, con le sue labbra a violare le sue, con la mano di lui a violare i suoi vestiti, a violare il suo corpo.
Ora lo aveva di fronte.
Senza neanche guardarlo in volto Oscar salì a cavallo, dandogli le spalle.
“André?”
“Si?”
“In attesa di assumere il nuovo incarico vado nella villa di famiglia in Normandia. D’ora in avanti non dovrai più occuparti di me”
“Bene”
“E per quello che è accaduto l’altra sera non ce l’ho con te. Comunque preferisco dimenticare”
Oscar partì al galoppo.
Ci vollero quasi tre giorni di cammino per arrivare alla villa di famiglia in Normandia a Cherbourg. Era primavera ormai, e passò il tempo osservando i primi segni che la bella stagione era arrivata. I prati erano pieni di fiori e gli alberi da frutto cominciavano a spogliarsi dei fiori per lasciare posto ai frutti che seppure ancora verdi, cominciavano a prendere forma.
Il viaggio era stato stancante. La sera si fermava in piccole pensioni che trovava lungo il percorso. La sera prima di arrivare a Cherbourg, dalla finestra della pensione dove alloggiava per la notte si vedeva il mare. La luna piena splendeva e il suo riflesso inondava l’acqua di luce bianca. Si sentiva molto serena ora. “Questa vacanza non potrà farmi altro che bene” pensò.
4.
Sola con i miei pensieri
Era mezzogiorno passato quando Oscar arrivò alla residenza di famiglia a Cherbourg. La casa veniva aperta solo per l’estate. Per cui Oscar non avrebbe trovato servitori ad attenderla. Nessuno che l’avrebbe servita, che avrebbe provveduto ad ogni suo desiderio, che le avrebbe preparato la cena, che le avrebbe preparato il letto, che avrebbe riscaldato la casa per il suo ritorno o preparato la sua cioccolata prima di andare a dormire.
“Poco male”, pensò, “così sarò libera di organizzare la mia giornata come voglio”.
In paese comprò delle provviste per far fronte a quei giorni. Forse aveva comprato troppa roba.
Non era abituata a pensare a queste cose.
Dopo mangiato andò al mare. Non faceva ancora abbastanza caldo e infilò il suo mantello. Al mare c’era vento anche se il sole illuminava le onde e si rifletteva sulla sabbia. Oscar stette lì per ore
Aveva lasciato alle sue spalle molte cose. Si sentiva serena e tranquilla ora, ma a tratti triste. Si addormentò sulla spiaggia.
“Oscar!
Oscar! OSCAR!”
Si svegliò d’improvviso. Le era sembrato che qualcuno la chiamasse, che qualcuno urlasse il suo nome. Si guardò intorno. Non c’era nessuno. Sorrise e disse ad alta voce: “ Devo essere veramente esaurita, qui davvero non può esserci nessuno” Si alzò per passeggiare. Era finalmente sola con i suoi pensieri. Mentre passeggiava le venne all’improvviso in mente una cosa che era successa tanti anni prima, proprio lì nella residenza estiva dei Jarjayes.
Avrà avuto quindici o sedici anni al massimo. Una mattina aveva sentito bussare alla sua porta. Aveva infilato al volo il gilet e aveva preso la sua spada. Era sicuramente André che veniva a prenderla per andare ad allenarsi con la spada, come tutte le mattine.
Aprì la porta senza guardare. “eccomi! Sei in ritardo come al..”
Di fronte a lei non c’era André, ma sua madre.
“Buongiorno Oscar, ho chiesto ad André di venire più tardi stamattina a prenderti. Io..avrei desiderio di parlare con te.”
La madre di Oscar entrò nella stanza sotto lo sguardo stupito della figlia. Era molto tempo che la madre non entrava nella stanza di Oscar. L’ultima volta che era entrata nella sua stanza, ricordava Oscar, era stato per una febbre alta che aveva avuto l’inverno prima. Allora la madre le era stata accanto. Perché la cercava ora?
Madame Jarjayes si sedette su una sedia: “Oscar, mi rendo conto che forse non abbiamo avuto molte occasioni per parlare da sole, soprattutto da quando sei entrata nelle Guardie Reali, e me ne dispiace molto.”
Oscar rimase in piedi appoggiata alla parete vicino alla finestra aperta, c’era una brezza sottile che le arrivava alle spalle, le piaceva quella sensazione di fresco sulle spalle.
“Madre, non dovete dispiacervi, voi siete impegnata con la Principessa Maria Antonietta come lo sono io, e anche se non c’è la possibilità di parlare insieme per molto tempo, so che mi siete accanto e che mi volete bene”
“Si, Oscar, ma ci sono dei discorsi che io come madre devo farti, è importante che tu pensi a certe cose, che tu sia preparata. Vedi Oscar, tu sei mia figlia, ma sei diversa in un certo modo dalle altre mie figlie, e io non posso fare a meno di preoccuparmi per te, più che per le altre.”
“Ma Madre, Oscar sorrise, le braccia incrociate sul petto, mi sembra di avere dimostrato finora di essere in grado di difendermi bene. Mio padre mi ha insegnato tutto quello che dovevo sapere sull’uso della spada e della pistola…”
“Oscar, non cercare di cambiare discorso. Non intendevo dire che non sai difenderti da un avversario con la spada o con la pistola. So bene con quanta disciplina e impegno tuo padre ti abbia preparato al tuo incarico. Lo so molto bene. Tuo padre ha fatto di te un ottimo spadaccino, indubbiamente, ma Oscar, tu sei una ragazza, ed una ragazza giovane e molto bella anche se non credo che tu te ne renda conto. Ci sono delle cose che possono farti male, molto male”
“Oh, Madre, se vi riferite alle dame di Versailles che parlottano quando passo io, non vi preoccupate, io non ci faccio caso, sono tutte un po’ pazze. Del resto, quando non si sa che fare per tutto il giorno il pettegolezzo diventa quasi un lavoro”
“Oscar, io non sto parlando dei pettegolezzi di quattro dame stupide, io sto cercando di dirti qualcosa di più importante. Per favore ascoltami. “
Oscar si sedette su una sedia di fronte alla madre. “Bene, madre, scusatemi per la mia impertinenza, vi ascolto”.
“Oscar, io ho difficoltà anche solo a parlarti di queste cose, ma è necessario, come dirtelo.? Oscar, tutte le ragazze prima o poi possono interessarsi ad un ragazzo, possono innamorarsi, desiderare di sposarsi e..”
“E non è questo il mio caso, Madre. Al momento ho cose molto più interessanti da fare che interessarmi ai ragazzi, e poi, Madre, con tutto il rispetto, ma li avete visti i ragazzi della mia età a Versailles ? Sono stupidi, tutti incipriati e imbellettati. O fanno i gradassi convinti di essere grandi spadaccini. Girodel l’ho battuto in pochi secondi, ed è tra quelli meno stupidi. No, Madre, l’amore, non è proprio cosa per me. Ho decisamente cose più interessanti da fare. Anzi vi dirò, sono proprio contenta di non essere una damina stupida e svenevole come le altre ragazze della mia età!”
“Oscar, adesso ti sembra una cosa stupida e ridicola, ma un giorno succederà che tu ti possa innamorare, perché, figlia mia, credimi, succederà, e potrebbe essere un grosso problema il tuo atteggiamento così maschile verso la vita, tu, tu non hai la minima idea di cosa possa significare soffrire per amore. Io vorrei solo che ti fossero risparmiate certe sofferenze. Solo questo vorrei.”
“Madre, io sono felice di essere così come sono. Potevo scegliere no? Ed ho scelto. E state tranquilla, non mi succederà niente di così grave come voi pensate.”
La madre di Oscar fece un grosso sospiro. Il suo sguardo era molto triste. Si alzò dalla sedia. Si avvicinò alla figlia e le accarezzò una guancia, con affetto, con tristezza.
“Oscar, ne riparleremo, dobbiamo riparlarne. E’ importante”
E invece non ne avevano più parlato, si erano viste sempre meno e avevano parlato ancora meno. “tu non hai la minima idea di cosa possa significare soffrire per amore », ora Oscar lo sapeva, lo sapeva bene, lo aveva provato sulla sua pelle, il dolore scivolava attraverso le lacrime sul suo viso, ma sembrava non avere mai fine.
L’amore aveva cambiato la sua vita, aveva cambiato la Oscar sfrontata e sicura di sé di tanti anni prima. Quando la madre era entrata nella sua stanza.
L’aveva trasformata in una donna fragile, gelosa, triste, piena di dolore.
Tutto quello che non avrebbe mai pensato di diventare. Tutto quello che non voleva diventare.
“Madre! Cosa dovrei fare ora!??” disse ad alta voce. Ma c’era solo il mare ad ascoltarla.
5.
Un'ombra nella notte
Oscar rientrò alla villa nel tardo pomeriggio. Bisognava pensare alla cena. Accendere il fuoco per la notte. Guardò le cose che aveva comprato. Accese il fuoco nel grande camino del soggiorno.
Decise di cucinarsi una bistecca sulla brace. Prese una bottiglia di vino. Cercò un libro da leggere nella libreria. Lo sguardo le cadde su due vecchi e consunti libri in un angolo della vecchia libreria.
Li prese. Sorrise. Erano i quaderni dove avevano studiato e fatto i compiti lei e André da bambini. Le copertine erano consumate, la sua più di quella di André. André era sempre stato più accorto di lei nel trattare le cose, anche gli oggetti. Lei si scocciava e ogni tanto, quando non era vista si allenava a centrare la parete con quel quaderno. André sorrideva, ma il suo quaderno non lo lanciava contro il muro. Chissà, forse era perché non era tanto usuale che un bambino della sua condizione sociale potesse studiare. Forse era per questo che lui ci teneva di più di lei a quel quaderno. Forse era per questo che lui ci teneva di più a studiare, a imparare le cose di quanto non ci tenesse lei.
L’immagine di André bambino intento a studiare sui libri, André che imparava a leggere, André che progettava con lei a cosa giocare dopo la lezione si confondeva nella mente con l’immagine di André adulto, con quell’André che negli ultimi tempi le sembrava così lontano, così distante, così chiuso nel suo silenzio. Aveva persino sospettato che André potesse essere il Cavaliere Nero. “Che idiota sono stata”, pensava, mentre la carne si faceva più scura sulla brace dentro il camino. Invece André aveva rischiato la sua vita per lei, travestendosi da Cavaliere Nero, rimanendo ferito e poi…rischiando ancora per lei..stavolta la vista, perdendo il suo occhio. Per lei.
Poi si era allontanato di nuovo. “O forse”, realizzò Oscar in quel momento, “ero io che mi ero allontanata da lui, con la mia mente e con il mio cuore, per seguire quel pensiero assurdo quanto in fondo sottilmente perverso che mi portava lontano da casa mia verso un uomo che non può amarmi” “E “, pensava, “io ho fatto veramente di tutto per non pensare a lui”.
E ora, ora che la sua illusione con Fersen era svanita definitivamente, scopriva che André era innamorato di lei. E lo scopriva in quel modo tanto improvviso quanto violento.
“Forse avremmo dovuto separarci tanto tempo fa. Mio padre non avrebbe dovuto legare la mia via alla tua. Avresti dovuto fare altre esperienze nella vita. Andare via dalla mia casa. Prima che succedesse. Prima che ti innamorassi di me. Io non posso amarti, André, io non posso ricambiare i tuoi sentimenti. Io non sono una donna da amare, André, te lo assicuro.”
Frattanto la bistecca si era irrimediabilmente bruciata.
“Per fortuna ne avevo comprata un’altra” pensò, poi disse a voce alta, ridendo di se stessa: “Come vedi André, io non sono proprio una donna da amare, non sono nemmeno capace di cucinare una bistecca senza bruciarla!!!”.
Il secondo tentativo riuscì meglio del primo e Oscar potette finalmente mangiare la tanto sospirata bistecca. Bevve del vino e cominciò a leggere un libro che parlava di viaggi verso mete lontane.
Ad un tratto, qualcosa la riscosse dall’appassionante lettura. Come una finestra che sbatte, rumore di vetri infranti. Si alzò di scatto, prese la pistola che si era portata con sé e una candela. Esplorò con cautela le stanze della casa. Scendendo in cucina vide una finestra spalancata, un gatto era entrato dalla finestra.
Per terra la bottiglia del latte in mille pezzi e il gatto che si leccava tutto il suo contenuto. “E addio cioccolata per stasera!” pensò Oscar che guardava il gatto soddisfatto dall’abbondante pasto scappare via dalla finestra.. Oscar chiuse la finestra e pulì ciò che restava della bottiglia.
Tornò al suo libro e si versò un altro bicchiere di vino e forse un altro ancora. Si addormentò, profondamente.
Un’ombra
scura entrò nella stanza. Un’ombra avvolta in un mantello scuro. L’ombra
scura guardava la ragazza bionda addormentata sulla poltrona. L’ombra scura si
avvicinò alla ragazza. Una mano le accarezzava il volto, le toccava le labbra,
le spostava una ciocca di capelli dal viso. Oscar scomparve dentro il mantello
scuro.
Continua...
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