Una volta ancora, una vita ancora
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Prefazione
In questo racconto André è morto e
non ritorna.
Lo dico per tutti coloro che non
riescono a concepire Oscar senza André, e viceversa, e per quelli che
decidessero di leggere il racconto sperando fino all’ultimo in una
resurrezione stile Soap Opera. Qui no!
Voglio risparmiarvi fin da ora una
delusione cocente.
Intendiamoci: adoro Oscar e André e
probabilmente questa sarà l’unica volta che mi permetto di sovvertire
l’ordine delle cose. Però dovevo farlo. Soprattutto perché ho un debito
morale verso un personaggio che io amo molto (e forse sono la sola su questa
terra); chi sta leggendo Capodanno probabilmente avrà intuito...
Alessandra e Laura mi hanno seguito in
questa cosa con entusiasmo e tantissima partecipazione: grazie ragazze!
Un avviso: il racconto contiene alcune
scene di violenza e di sesso esplicito.
Ne sconsiglio la lettura agli animi più
impressionabili.
A' la prochaine!
********
Su una tomba
Perché sono qui? Perché non sono
morta? O forse è proprio questa la morte? Questo andare avanti continuo,
nonostante tutto e nonostante tutti, nell’attesa del buio e poi nell’attesa
della luce e poi ancora nell’attesa del buio, e ancora e ancora e ancora...
Perché non ho il coraggio di puntarmi
la pistola al cuore e premere il grilletto? Perché desidero così tanto la
morte e ho il terrore di affrontarla?
E' forse questa la mia punizione per
averti lasciato morire, André? Sono diventata una vigliacca...
Rideresti di me, adesso. Ho smesso i
miei abiti, cammino a testa bassa, strisciando lungo i muri di un luogo che non
conosco, ho il terrore della mia ombra. Non ho più niente, non ho più nessuno.
NON SONO PIU’ NESSUNO.
Guardami, maledizione? Non hai pena di
me?
Che tu possa essere dannato, André!
Perché non mi porti via da qui. Ti
supplico...
Oggi verrò per l’ultima volta. E
perché dovrei tornare, del resto? Che senso ha piangere su una pietra gelida?
Che senso ha portarti fiori freschi che marciscono nel tempo di un respiro?
Tu mi hai lasciato. Sono io che ho
bisogno di pietà, non tu!
Sì, forse questa è la volta buona.
Questa sera berrò. Berrò tanto da
stordirmi, e brinderò a te. E forse mi tornerà il coraggio. La pistola è
sempre lì che mi guarda invitante. Ti prego... non mi abbandonare anche questa
volta, dammi il coraggio di morire.
André mi manchi così tanto. Perché
mi hai lasciato? Ti prego amore mio, ti prego, portami via da tutto questo
dolore.
***
“Eccola, è quella”
“Ne siete sicuro? Perché non c’è
nessuno?”
“Oh, verrà, verrà, vedrete. Viene
tutti i giorni. Sono io che l’ho seguita. Ve lo giuro sul mio onore.” Un
tono beffardo.
L’uomo più alto si voltò verso il
suo compagno. Cercò di nascondere il disgusto di fronte ai suoi lineamenti
distorti da una cicatrice e dal puzzo dei denti marci. Onore... che ne sapeva
lui di onore. Un mercenario, un ladro, un assassino probabilmente.
Accarezzò la testa del cavallo, si
stava innervosendo. Si strinse nel mantello e rabbrividì. Accusò il freddo
pungente di quell’alba desolata soffocata nella nebbia, ma dentro di sé
sapeva che era la vista di quelle tombe, tristi, nude, di quelle lapidi
distrutte e anonime a dargli i brividi.
“Eccola, è quella la tomba. Viene
qui, tutti i giorni, e piange. Non ho mai visto nessuno piangere così...”
La frase gli morì in gola, interrotta
da un grido, lacerante, disperato, da qualche parte nella nebbia. Vide l’altro
spronare il cavallo e partire all’impazzata. Si maledì per non essersi fatto
pagare in anticipo, ora gli toccava seguirlo.
“Dove credete di andare! Impicciatevi
dei fatti vostri... Volete farvi uccidere?”
Urlò quest’ultima frase al silenzio
ovattato e grigio che lo aveva avvolto nuovamente.”
“Maledizione!” Spronò il cavallo e
corse nella direzione in cui era sparito l’altro.
L’uomo era già sceso da cavallo e
con un gesto rapido si era tolto il mantello e aveva sguainato la spada. Aveva
seguito il suono di quel grido come un richiamo disperato: si trovò
improvvisamente di fronte alle rovine di un casolare. Un altro grido, un
singhiozzo soffocato, una supplica interrotta da un colpo violento. Delle voci
concitate, risa e urla di incoraggiamento.
“Dio, no, ti prego, fa' che non
sia...”
Spalancò con un calcio la porta del
casolare e gli si fermò il cuore. In due, due bastardi a tenere ferma una
donna, e un terzo era sopra di lei, i pantaloni calati. La donna sembrava
svenuta, era coperta di sangue, i vestiti stracciati.
I tre lo guardarono per un istante, con
sguardo feroce, poi, quasi all’improvviso, se ne trovò addosso due, mentre il
terzo, rosso in viso, il pene ancora eretto, cercava di infilarsi i pantaloni.
Non poteva vederli bene, avevano il volto coperto da stracci che lasciavano
liberi solo gli occhi, occhi febbricitanti di eccitazione, carichi di odio e di
violenza.
Sapevano battersi. Riuscì a schivare
un paio di fendenti, poi sentì un bruciore intenso al braccio sinistro e il
calore del sangue. Il dolore lo rese rabbioso: dimenticò la tecnica, gli anni
di esperienza e cominciò a colpire con tutta la forza che aveva nel corpo,
brandendo la spada a due mani, gridando. Si accorse appena che uno dei due era
crollato a terra di colpo. Affondò ancora e sentì la resistenza della carne e
un urlo da porco squartato. Guardò il secondo portarsi la mano alla coscia, poi
all’improvviso, si trovò la canna di una pistola di
fronte al viso.
“Bastardo, bastardo
figlio di puttana. Ti ammazzo. Hai ucciso il mio amico. Muori.”
L’uomo chiuse gli occhi,
sapeva che l’altro avrebbe sparato ancora prima che fosse riuscito a muovere
una mano.
Mi dispiace...
Sentì un colpo improvviso,
un frastuono assordante gli trapassò un timpano; poi,
l’uomo di fronte a lui cadde a terra, con gli occhi strabuzzati dallo
stupore e un fiotto si sangue scuro che gli usciva dalla bocca.
Si girò, aveva le gambe
che gli tremavano, nonostante fosse sempre stato un uomo coraggioso; incrociò
lo sguardo dello sfregiato.
“Sono un ladro, un
bandito, ma ho avuto moglie e una figlia... questi bastardi meritavano di morire
per quello che stavano facendo. E poi mi dovete ancora pagare...”
L’altro lo guardò
incredulo, mentre cercava di controllare i battiti impazziti del proprio cuore;
gocce di sudore gli colavano lungo il viso, nonostante il freddo gelido. Aveva
avuto paura, oh se ne aveva avuta, una paura fottuta. Poi, si riprese
all’improvviso.
“L’altro! C’era un altro uomo,
dov’è?” Si guardò intorno. Era lui che voleva, voleva ammazzarlo come un
cane, sentirlo gridare mentre lo apriva da cima a fondo. Non avrebbe mai
dimenticato i suoi occhi eccitati, da predatore, il suo ansimare, l’odio con
cui l’aveva guardato quando era stato costretto ad uscire da lei.
“Non datevi pena, è
scappato appena avete ucciso il primo.”
L’uomo alto strappò una
piccola borsa dalla cintura e la lanciò all’altro.
“Tenete, tenetevi tutto.
E andatevene, subito, vi prego.”
Si dimenticò
immediatamente di lui e si diresse con passo esitante verso la figura che
giaceva riversa al suolo, rannicchiata. Si inginocchiò lentamente, pregando che
non fosse morta, Le posò delicatamente una mano sulla spalla, la sentì
sussultare e ringraziò Dio che fosse ancora viva. Poi, un gemito sommesso
prolungato provenne da quel corpo, trasformandosi in un grido straziante.
“Nooo, lasciatemi, vi
prego basta, non fatemi del male.”
Cominciò a dimenarsi,
muovendo le braccia come a scacciare dei mostri invisibili. L’uomo la guardò
per un attimo, spaventato, poi vide la benda sugli occhi. La prese per le
spalle, delicatamente ma con fermezza, cercando di evitare i colpi.
“Vi prego, fermatevi,
Oscar, è tutto finito, vi prego, sono io, sono Victor Girodel, non voglio farvi
del male, non c’è più nessuno che vi farà del male, ve lo giuro. Calmatevi,
vi prego. Ora vi tolgo la benda.”
La donna si blocco
all’improvviso, mentre sentiva le mani di lui muoversi fra i capelli. Quel
nome, quella voce, milioni di ricordi dal passato, parole e gesti le affiorarono
all’improvviso alla mente mentre i suoi occhi allucinati incrociavano quelli
del conte Victor de Girodel.
“Comandante... io...”
Oscar Francois de Jarjayer
alzò la testa e, per un attimo, Girodel riconobbe in quel volto deturpato dal
sangue e dalle botte la fierezza di un tempo. Poi svanì e gli occhi di lei si
fecero vuoti. Victor si chiese se l’avesse riconosciuto.
“Venite, Madamoiselle de
Jarjayes vi aiuto ad alzarvi. Ora vi porto via da qui.”
La sollevò come un
fuscello. Riuscì a farla montare sul suo cavallo e salì dietro di lei,
avvolgendola nel suo mantello. Per tutto il percorso fino alla sua casa non
disse una parola. Sentiva i fremiti lievi delle spalle di lei contro il suo
petto e la lasciò piangere.
***
Non doveva andare così.
Ti ho cercata come un pazzo
disperato, ho smosso le mie conoscenze di allora, ho supplicato, minacciato,
pagato, corrotto. Avrei dato la mia vita per rivederti ancora una volta, ma non
così, non a questo prezzo.
La donna che da giorni
ormai sta rintanata in quella stanza non è la Oscar che conosco e che amo. Sei
un fantasma, un’ombra senza vita e disperata e io non so cosa fare per
aiutarti.
Appoggiò il bicchiere sul
tavolo. Aveva cominciato a bere, era l’unica cosa che lo aiutava a non
pensare.
Si affacciò
alla finestra e, ancora una volta, la desolazione del paesaggio lo colpì come
un pungo allo stomaco. I pochi alberi rimasti si stagliavano come ossa in quel
grigiore deprimente, non esisteva nemmeno più l’ombra del roseto che era
stato l’orgoglio di sua madre, le fontane erano state distrutte, i viali
ghiaiosi, su cui da bambino tante volte si era sbucciato le ginocchia giocando
con i fratelli più grandi, calpestati dai carri e coperti dagli escrementi dei
cavalli dei rivoluzionari.
Ritornò con la memoria
all’ultima volta che si era rifugiato in quel luogo, a soffocare nelle
lacrime, finalmente da solo e senza le costrizioni del suo rango, il dolore per
il rifiuto di lei.
Dio, quanto aveva pianto, e
non ne aveva provato vergogna. Solo dolore, immenso, e una solitudine che gli
aveva straziato il cuore. Allora quella enorme casa di campagna aveva il potere
di consolarlo: era il suo rifugio, lontano dalla residenza ufficiale, gigantesca
e sfarzosa, di Parigi, il luogo dove poteva essere se stesso, ridere, correre
scalzo dietro ai suoi cani, fare il bagno nudo nel piccolo lago poco distante,
cavalcare fino allo sfinimento e rientrare di notte, con gli abiti strappati dai
rovi. Era una casa piena di luci, allora, piena di colori e di gente che andava
e veniva.
Che cosa le avevano
fatto... Razziata, bruciata, distrutta, spogliata e violata. Ma era rimasta in
piedi per lui, come se avesse saputo che un giorno sarebbe tornato e allora
avrebbe dovuto essere pronta ad accoglierlo nuovamente.
Una folata di vento gelido
fece sbattere una delle persiane con un rumore assordante nel silenzio ovattato
dell’alba. Non aveva dormito nemmeno quella notte. Né le notti precedenti. Le
aveva passate accanto a lei, spiando ogni suo movimento, ogni suo battito di
ciglia, nella speranza che si riprendesse da quella specie di torpore in cui
pareva intrappolata.
Si mosse per chiudere la
finestra e si bloccò di fronte alla propria immagine riflessa in quello che
rimaneva di una specchiera. Non si riconobbe: pallido, dimagrito, con cerchi
scuri intorno agli occhi arrossati che sembravano opachi da tanto era stanco; i
suoi bellissimi capelli ricadevano in lunghe ciocche scomposte sulle spalle e
sulla schiena.
Mio Dio... ma cosa sto
diventando? Non è vivere questo...
Un tocco leggero e il viso
di Constance sbucò dalla porta.
“Signore... sì è
svegliata. Volete portarle voi il vassoio con la colazione?”
Le sorrise stancamente.
Sapeva che sarebbe rimasto intatto, come nei giorni precedenti.
“Sì, grazie Constance,
ci penso io, andate pure.”
“E voi, signore, non
mangiate nulla? Sono giorni che andate avanti così...”Si trattenne dal
piangere.
Victor la guardò con
tenerezza. Era stata la sua nutrice e la sua confidente e non aveva voluto
abbandonarlo nemmeno quando la sua famiglia era andata in rovina; era venuta,
insieme al marito e al figlio, per prendersi cura di lui, che ormai non aveva più
nessuno. Gli avevano ammazzato tutti, e lui era sopravvissuto solo perché era
lontano da Parigi, alla ricerca di lei, quando avevano fatto irruzione nella sua
casa.
“Mangerò, non vi
preoccupate.”
Prese il vassoio e si
incamminò verso la stanza che da tre settimane era diventata il mondo di Oscar.
Entrò senza bussare, tanto
non avrebbe risposto, e rimase piacevolmente avvolto dal calore di
quell’ambiente. Era la stanza che meglio aveva resistito alle devastazioni;
aveva ancora tutti i suoi mobili e qualche quadro alle pareti. I tendaggi non
erano stati tolti e anche il letto era rimasto integro.
Appoggiò il vassoio sul
tavolo e si avvicinò al fuoco per scaldarsi.
Seduta davanti alla
finestra, lo sguardo perso nel vuoto, Oscar rimase immobile.
Victor si sedette di fronte a lei,
contemplando con angoscia il suo bellissimo viso inanimato. I lividi e i tagli
erano quasi spariti; era dimagrita così tanto che poteva vedere la struttura
ossea sotto la pelle diafana del viso. Gli occhi, ancora più grandi in quel
viso scavato, avevano l’inquietante fissità delle bambole di porcellana.
“Mangiate qualcosa,
Madamoiselle Oscar, vi supplico.”
Lo sguardo si posò,
curioso, su di lui, e un lieve sorriso le increspò le labbra.
Non avrebbe mangiato.
Victor si chiese se non fosse impazzita. E se forse non stava impazzendo anche
lui.
“Non accetta la realtà,
si sta rifugiando in un mondo tutto suo in cui quello che ha passato non è mai
successo.” Così aveva detto il
giovane dottore che l’aveva visitata più volte.
“Guarirà?”
“Non lo so, dipende da
lei.”
Le accarezzò una guancia
con il dorso delle dita. Avrebbe voluto piangere.
“Oscar... perché....
Perché non provate a vivere. Una volta ancora.”
***
Ti sento... sei tu André? Perché non
mi rispondi? André, ti prego, sai che ho paura di questo posto. Non ti
nascondere più. Sento delle voci... Chi siete? Cosa volete farmi? Maledetti
bastardi, lasciatemi. Lasciatemi...
Apro gli occhi.
Un incubo. Vedo una luce improvvisa
filtrare da una tenda e un rumore, un tuono, e questo rumore e questa luce
squarciano le mia memoria. Mi ritrovo seduta sul letto, tremo. Tutto è presente
nella mia mente, ora! Lo sto vivendo di nuovo. Cerco di gridare ma la voce
rimane imprigionata nella mia gola. Non esiste un grido così grande per il
dolore che provo in questo momento.
CHE COSA MI AVETE FATTO?
Dov’è la pistola? Dove sei? Non ho
paura di te questa sera! Niente mi fermerà.
Sto correndo sotto la pioggia, non so
dove, verso qualcosa che mi aiuti a fare cessare queste urla, che sono le mia
urla, questa paura che mi fa impazzire, questo strazio che sembra impossibile da
sopportare.
Devo farlo ora, adesso, prima che sia
troppo tardi.
Victor si destò di soprassalto.
Rabbrividì nella camicia leggera; il camino doveva essersi spento da tempo.
La stanza era gelida e umida. Si chiese
per quanto tempo avesse dormito. Si era seduto per riscaldarsi di fronte al
camino di quella che un tempo era stata la sala dei ricevimenti i cui unici
ospiti, ora, erano le sagome di pochi mobili ricoperte da stracci di tela
bianca. Sentì la pioggia aumentare di intensità contro i vetri delle finestre.
Che cosa mi ha svegliato? È stata
forse la tua voce, Oscar, che mi ha chiamato nel sonno? Ora vengo da te,
perdonami se ti ho abbandonato anche se per pochi istanti, ma sono così stanco.
Mi avvicino alla finestra per
chiuderla e un lampo improvviso ti illumina, bianca e spettrale, mentre cavalchi
come una furia sotto la pioggia.
Perché Oscar? Lo sai che non posso
lasciarti andare.
***
“Fermatevi Madamoiselle Oscar!
Fermatevi vi prego.”
La mia voce si perde
nell’esplosione di un tuono.
Il mio cavallo corre veloce, ti ho
quasi raggiunto, sento la pioggia gelata sulla pelle, ma non mi importa, devo
fermarti, prima che sia troppo tardi, prima che tu riesca a raggiungere la riva
del lago. Grido il tuo nome, una, dieci, cento volte, la gola mi fa male;
finalmente ti giri, mi guardi con occhi disperati, mi stai chiedendo di
lasciarti andare, ma io non posso. Un attimo di esitazione, il tuo cavallo si
impenna, ti sono addosso. Mi dispiace Oscar...
Cadiamo per terra, il fango
attutisce la caduta, rotoliamo e riesco ad afferrarti mentre cerchi di scappare;
ti afferro per le spalle, scuotendoti, non mi importa se ti faccio male, voglio
che ti svegli da questo incubo.
“Lasciatemi Girodel, vi prego.
Lasciatemi andare, non vedete cosa mi hanno fatto? Non vedete cosa sono
diventata?”
Victor l’attirò a sé, stringendola
ancora più forte per paura che scappasse.
La sentì tremare violentemente per il
freddo; la camicia da notte, completamente zuppa d’acqua e fango, le si era
appiccicata addosso; avvicinò il viso a quello di lei. Sentì appena gli
scrosci di pioggia che li investivano.
“No, non vi lascio, voi non andrete
da nessuna parte, voi dovete vivere Madamoiselle Oscar, non vi lascerò morire,
non ora che vi ho trovata.”
Stava urlando, un po’ per sovrastare
il rumore della pioggia e dei tuoni, un po’ perché quelle parole erano
rimaste imprigionate per troppo tempo dentro di lui e ora uscivano violente e
non riusciva a fermarle.
Stava tremando anche lui.
“Perché mi state facendo questo,
Girodel? Io non ho più una vita, non ho niente, non ho nessuno. Ho perso
l’unica persona che abbia mai amato e che mi abbia mai amato...” Victor sentì
la disperazione nella sua voce.
La rabbia cominciò a crescere
lentamente dentro di lui e con essa lacrime di frustrazione; la scosse con
violenza.
“NO! Vi sbagliate. Non è il solo ad
avervi amato più della sua vita, credetemi. E poi non è vero che non avete più
nessuno: avete me, io non vi lascerò, mi prenderò cura di voi, se me lo
permetterete.”
La sentì accasciarsi fra le sue
braccia, come se la rabbia, l’odio, il dolore e la paura che l’avevano
sorretta in quel momento fossero defluiti verso il suolo, insieme alla pioggia.
Poi, improvvisamente, la vide sollevare il volto verso di lui e per un attimo,
il dolore di lei fu anche il suo.
“ Ma non avete visto quello che mi
hanno fatto? Sono stata violentata...”
La vide piangere, le
ginocchia a terra, le mani nel fango, l’ombra di ciò che era una volta eppure
sempre lei, nel suo pudore indifeso e nel coraggio spietato, nello stesso tempo,
di chiamare sempre le cose con il loro nome. “Non vedete cosa mi è successo?
Non toccatemi, Girodel, vi prego… cosa state cercando? Non vedete che non sono
più niente, niente? Perché volete aiutarmi? Perché volete curarvi di me?”
[1]
Seduti a terra, nel fango, sotto una
pioggia che sembrava non voler smettere mai, per la prima volta in vita sua,
Victor la strinse fra le braccia e le sfiorò i capelli madidi di acqua con un
bacio appena accennato.
“Perché vi amo, Oscar. Vi amo da
sempre e sono disposto a dare la mia vita se questo può servire a farvi essere
felice anche solo una volta ancora. Affronteremo insieme un giorno per volta.
Ma, vi prego, non vi arrendete ora, non lasciatemi un’altra volta, vi prego
Oscar...”
***
Così, alla fine, ho deciso di
vivere, André. Una volta ancora.
Non so perché. Qualcosa nello sguardo
di quell’uomo, nelle sue parole, nel suo dolore silenzioso che a tratti mi ha
tanto ricordato il tuo, e anche un po’ il mio.
O forse perché la lezione di mio padre
è scesa più in profondità di quello che avevo immaginato e l’abitudine di
obbedire alla ragione più che all’istinto ancora una volta ha prevaricato.
È certo che il mio cavallo andava più
veloce del suo e sono sempre stata una cavallerizza migliore di lui.
E la mia caduta forse non è stata
casuale.
Quello che mi hanno fatto non si può
cancellare, ma io sono più forte di loro e un giorno li troverò e dimostrerò
loro che non mi hanno piegato.
La VENDETTA, André, eccola la chiave
di tutto, che mi terrà in piedi, sobria e vigile fino al momento in cui non li
vedrò strisciare ai miei piedi e chiedere pietà.
Sento la voce di Girodel, è dolce e
stanca; mi ha vegliato tutta la notte, ho sentito la sua mano sulla mia fronte,
la mia mano sulle sue labbra. Ora apro gli occhi, sono pronta a ricominciare.
***
“Madamoiselle Oscar...” Riuscì
appena a pronunciare il suo nome. La gola gli bruciava da impazzire; i vestiti
gli si erano asciugati addosso e sentiva il sangue martellare nella testa per la
febbre.
Si inginocchiò al suo fianco. Era
pallida, le labbra secche e screpolate, ma gli occhi si proiettavano nei suoi e
ricambiavano lo sguardo. Gli parve di vedere un accenno di sorriso, ma scacciò
subito il pensiero per paura che fosse solo un’illusione.
“Come... come vi sentite?”
Invece di rispondere, Oscar sollevò a
fatica una mano e la posò sulla guancia di Victor.
“Avete gli abiti bagnati, conte
Girodel, e scottate. Mi avete giurato che vi sareste preso cura di me, non
potrete farlo se non vi curate prima di voi stesso.”
Victor sentì gli occhi bruciare per le
lacrime che stava tentando di ricacciare. La dolcezza di quella mano sul suo
viso... quante volte se l’era immaginata quella carezza. Sentì le emozioni
travolgerlo e cercò di soffocarle. Parlò piano, cercando di controllarsi.
“Chiamatemi Victor, il mio titolo se
ne è andato per sempre, insieme alla mia famiglia, alla mia ricchezza. Sono
rimasto solo io, e questa casa.”
Si accorse che pronunciare quelle
parole gli faceva ancora male. Chiuse gli occhi e strinse la mano di lei nella
sua. Sentì la mano di Oscar sciogliersi dalla sua e le dita di lei sfiorargli
le guance, e asciugargli le lacrime.
“Non dovete vergognarvi di piangere
Victor. Sono le vostre lacrime a rendervi nobile e non un titolo.”
Piegò la testa nascondendola fra le
braccia e la appoggiò al materasso, di fianco a lei. Pianse in silenzio e si
addormentò così, con la mano di Oscar che gli accarezzava i capelli e quella carezza gli parve la cosa più bella che
avesse mai provato in tutta la vita.
***
Passarono i giorni, e le settimane; il
gelo grigio e deprimente cominciava a cedere il passo ai primi segni della
primavera.
Oscar aveva abbandonato il suo rifugio
e aveva cominciato ad avventurarsi nelle stanze polverose e cadenti di quella
grande casa e ne era rimasta affascinata; nonostante gran parte del mobilio
fosse stata distrutta o bruciata e le cose di valore trafugate, aveva conservato
ancora alcuni mobili tipici delle case di campagna, che le davano un senso di
sicurezza e solidità, così diversi dagli arredi raffinati e freddi dei palazzi
della nobiltà cittadina.
Apprezzava il silenzio di quel posto,
si perdeva nelle stanze enormi e piene di polvere con le pareti ricoperte di
libri, unici superstiti allo sfacelo di quel luogo. Allora afferrava un volume,
si sdraiava su un vecchio divano che ancora stava in piedi e leggeva. Letture
interessanti e all’avanguardia, alcune addirittura scandalose
per la morale del tempo.
Quell’uomo la stupiva
sempre più, era così diverso dal rigido e formale subalterno che la guardava
con deferenza e un pizzico di insolenza quando era Comandante delle Guardie
reali.
Ne apprezzava la compagnia
silenziosa, mai invadente e aveva imparato a leggere nel suo sguardo dolce e un
po’ triste l’apprensione e la paura che lo prendevano ogni volta che si
allontanava a cavallo e il sollievo e la gioia quando la vedeva rientrare.
Ho iniziato a muovermi, come in un
sogno, cercando di reagire al mio dolore. Sono una combattente.
Ho mosso i primi passi fuori dalla mia
stanza e l’ho trovato a sorreggermi, come sempre.
Sono uscita in giardino, e poi mi sono
spinta più lontano, ogni giorno più lontano. Leggo la paura sul suo volto ogni
volta che mi vede salire a cavallo. Lo so che vorrebbe fermarmi. L’ho pregato
di lasciarmi sola e lui ha annuito. Ho visto l’angoscia nei suoi occhi, la
prima volta, e il sollievo quando sono tornata.
Oggi sono venuta da te. E sono andata
in quel casolare, per cercare qualcosa, un traccia, un indizio che mi dica il
nome del maledetto che mi ha violentata: sono rimasta in piedi sulla soglia e
per un momento ho creduto di non farcela. Ho risentito le mie grida, ho
risentito, nettissimo, l’odore del suo fiato, le sue mani su di me, il suo
corpo sul mio... mi sono appoggiata alla parete per non svenire.
E' stato il ricordo dello sguardo di
Girodel a darmi forza, lo sguardo disperato e determinato, il primo sguardo
compassionevole e amico dopo così tanto tempo... Allora mi sono fatta forza, e
sono entrata. Sento che gli incubi non smetteranno, né le urla silenziose che
soffoco ogni notte, né lo schifo che provo ogni volta che vedo il mio corpo
nudo se non porterò a termine la mia vendetta.
Stammi vicino André, dammi la forza di
andare fino in fondo, perché solo così potrò finalmente morire in pace.
Un rumore, un colpo secco, poi un
altro.
Oscar si svegliò di colpo, i capelli
bagnati appiccicati sul volto. Ancora quell’incubo, e ancora quegli occhi,
colore della morte, fissi nei suoi.
Un raggio di sole filtrava dalla
persiana accostata, insolitamente caldo per essere la metà di marzo. Si alzò a
fatica, lasciando cadere il libro che stava leggendo prima di addormentarsi.
Si affacciò alla finestra incuriosita
dall’origine di quel suono ritmico.
Rimase colpita dall’immagine di
Victor che, a torso nudo, i capelli raccolti con un legaccio da cui uscivano
alcune ciocche ribelli, spaccava a colpi di accetta un vecchio carro. Erano
colpi violenti, rabbiosi. Oscar si chiese verso chi erano diretti. Anche lui
aveva i suoi fantasmi contro cui battersi.
Decise di staccarsi dalla finestra,
sentendosi improvvisamente a disagio per quello che stava facendo, ma
l’immagine di lui la colpiva così tanto che non riusciva a distogliersene.
Com’era diverso. Aveva la pelle abbronzata, di chi sta molto all’aria
aperta, sulla quale contrastava il verde chiaro degli occhi; sembrava più
robusto e forte e le mani, aveva notato da tempo, non erano più curate e
delicate come una volta. Erano le mani di un uomo che lavorava.
Oscar fu colpita da questa rivelazione.
Come non aveva fatto a pensarci prima?
Victor le aveva detto che aveva perso tutto: il patrimonio, il palazzo di
Parigi, i terreni; tutto tranne quella vecchia casa di campagna dove si erano
rifugiati e che non aveva più alcun valore, se non quello affettivo. E quei
continui viaggi nei paesi vicini, dall’alba al tramonto, da cui tornava così
stanco da non riuscire nemmeno a cenare, e quegli abiti semplici che gli vedeva
indossare così spesso.
E il fatto che non le facesse mancare
nulla, nonostante tutto.
Oscar provò disprezzo per se stessa.
In quei due mesi si era così ripiegata nel suo dolore, nel suo desiderio di
vendetta, nella sua ricerca della solitudine che non si era resa conto che
quell’uomo si stava massacrando di lavoro per lei, per mantenerla, per
curarla, per nutrirla, senza chiederle nulla, senza dirle nulla.
Lo vide fermarsi e asciugarsi il sudore
dalla fronte con il dorso della mano; poi, all’improvviso, come se si fosse
accorto della sua presenza indiscreta, si girò piano verso di lei, e le
sorrise. Un sorriso dolce e un po’ imbarazzato. Oscar sentì le sue labbra
incresparsi e rispondere a quel sorriso.
Era il primo sorriso da tanto tempo.
Ti ho visto alla finestra oggi, e un
po’ mi sono vergognato. Chissà cosa avrai pensato di me... Non ti sarò
sembrato diverso da quei contadini che incontriamo ogni tanto quando mi permetti
di accompagnarti a cavallo. Poi però ho visto il tuo viso illuminato dal più
bello dei sorrisi, un sorriso appena accennato ma per me il più meraviglioso
perché inaspettato. Allora mi sono ricordato che la Oscar che ho amato ha
combattuto per l’Eguaglianza, per la Libertà, per la Fraternità e che non mi
disprezzerà per quello che sono diventato, anche se i miei abiti sono semplici
e le mie mani rovinate.
Sento i tuoi passi che si muovono
agitati per la casa, come ogni notte, e vorrei tanto venire da te e confortarti
ma poi questa maledetta paura di rompere questo fragile equilibrio... Che cosa
pensi? Che cosa provi? Stai soffrendo ancora? Che domanda stupida... come se si
potesse guarire da un dolore come il tuo, un dolore che immagino solo e che mi
spaventa ogni giorno di più perché temo possa distruggerti.
Sento bussare alla porta, è Constance
con la cena. Devo sforzarmi di mangiare devo essere forte per te, Oscar, per
proteggerti e per salvarti da te stessa.
“Avanti... Madamoiselle Oscar, siete
voi! State bene?”
“Sto bene, Girodel, non vi
preoccupate. Volevo un po’ di compagnia. E volevo parlarvi di alcune cose.”
Victor fece per alzarsi dal letto, una
fitta violenta alla schiena. Cercò di nascondere una smorfia.
“No, vi prego! Non alzatevi per me,
non avevamo detto addio alle convezioni?” ancora un sorriso, leggero.
“Lo farei se anche voi lo faceste,
Madamoiselle; tanto per cominciare perché non provate a chiamarmi Victor.
Preferisco dimenticare il mio cognome, ormai.” Lo disse con amarezza e abbassò
lo sguardo.
Oscar si sedette sul bordo del letto,
colpita dalla tristezza e dalla rassegnazione che aveva colto in quelle parole.
“Ascoltatemi, Victor, ormai sono due
mesi che vivo in questa casa. Mi avete salvato la vita, vi siete preso cura di
me, mi avete nutrito, assistito; vi siete spaccato la schiena ogni giorno per
farmi avere ogni sera una cena degna di questo nome che io, spesso, non mi curo
nemmeno di assaggiare. Non vi ho nemmeno mai ringraziato. Sono stata
un’ingrata...”
“No, Oscar, non dite così.” Le
afferrò una mano, senza pensarci e la sentì irrigidirsi. Tolse la propria
immediatamente. “Siete a casa vostra, qui! Non dovete ringraziarmi di nulla!
Avete passato l’inferno e forse non ne siete ancora uscita. Come non potrei
prendermi cura di voi? Lo so che non posso guarire le ferite della vostra anima,
ma posso darvi una casa e tutta la mia protezione e
tutto il mio... la mia amicizia. Io non vi chiedo nulla. Voi non mi
dovete nulla. Vi ho seguito, stimato e ho cercato di proteggervi in tutti questi
anni in cui sono stato al vostro fianco. Come potete pensare che vi abbandoni
proprio ora?”
Queste parole... Dio André! Sono le
tue stesse parole, come se.... no, non può essere.
Vedo i suoi occhi brillare quando mi
parla, e lo sento questo affetto, questa amicizia, questo... amore che non potrò
mai ricambiare ma che mi scalda il cuore. Perdonami André, se mi consolo con
queste parole, ma sono così sola...
“E voi, Victor, che ne è stato di
voi, della vostra famiglia, della vostra casa? Avete sofferto, tanto, ve lo
leggo negli occhi. Raccontatemi, vi prego.”
“Non sono racconti piacevoli, non
vorrei rattristarvi...”
“E non mi rattristerete. Ma credo che
il vostro dolore, seppur diverso, non sia
minore del mio, e io voglio aiutarvi a sopportarlo, come voi state facendo con
me.”
Hai posato la tua mano sulla mia,
Oscar, e questa volta non ti sei ritratta. Vorrei che il tempo si fermasse
adesso, in questa stanza. Inizio a raccontare, e non mi rendo conto di quanto
sia facile lasciare uscire le parole e con esse un po’ di tristezza se ne va.
Lo so che sei stupita Oscar, lo so che non riconosci più il ricco cavaliere
viziato e artificiale che ti seguiva come un’ombra, sempre attento a non
gualcirsi gli abiti e a non dire cose sconvenienti, così misurato e freddo e...
fasullo. Sì, sono cambiato, sono cambiato dentro e fuori, e mi sento più forte
e ho anche più paura, ma con la paura ho imparato a convivere è con l’amore
che provo per te che diventa sempre più difficile.
“Mi dispiace tanto, Victor. Anche voi
avete passato l’inferno. Mi dispiace così tanto... questa rivoluzione ci sta
portando via tutto, perfino le nostre anime.” Oscar sentiva le lacrime
bruciarle gli occhi e non se ne vergognò.
Chi sei Victor Girodel?
Rimasero in silenzio, senza
parlare per alcuni istanti. Un silenzio pieno di pensieri; potevano quasi
sentirli galoppare furiosamente fuori dalle loro teste, rincorrersi per la
stanza, scontrarsi, incontrarsi.
“Domani vi accompagnerò
in paese, Victor. Ho deciso. Voglio trovarmi un lavoro. Contribuirò a rimettere
in piedi questa casa, comprerò del cibo e poi devo trovare quell’uomo...”
Le parole le erano uscite
senza che lei avesse potuto fermarle.
“Ma siete impazzita?”
Era la prima volta che alzava la voce. “Oscar, voi dovete dimenticarvi di
quell’uomo, è un assassino, un malato... potrebbe uccidervi. E poi, chi vi
dice che sia qui? Chi vi dice che non sia fuggito o morto? Credetemi, la
vendetta non vi restituirà quello che vi è stato tolto...”
Si fermò. Gli occhi di
Oscar si erano fatti duri; in fondo ad essi, celato dall’odio profondo,
intravide ancora il suo dolore, immenso, disperato.
“Non posso, Victor, non
posso dimenticarlo. E' la morte di quell’uomo l’unica ragione del mio
sopravvivere.”
Ti alzi lentamente e ti
incammini verso la porta. Non sono capace di rispondere, di reagire. Mi sono
illuso per un attimo... Che stupido, sono stato, a credere di averti salvato.
Sento la mia voce dire: Allora vi aiuterò, vi aiuterò a trovarlo e vi aiuterò
ad ucciderlo. Ma non chiedetemi di abbandonarvi perché non posso.”
Sento la mia voce tremare,
quasi incapace di controllare le lacrime. E poi ti vedo, girarti piano e guardarmi
e, senza rendermene conto, sento le tue braccia stringermi e la tua testa che si
appoggia proprio sul cuore e ti abbraccio anch’io e ti stringo così forte che
ho quasi paura di farti male. Quante volte l’ho sognato questo momento,
desiderato, immaginato, negli abbracci delle donne che mi sono portato nel letto
e di cui non ricordo nemmeno più un volto. Ma non riesco ad essere felice perché
so che tu non lo sei, perché so che è l’abbraccio di una donna disperata che
cerca conforto e non di una donna che ama. Mio dio Oscar, vorrei urlarlo, vorrei
urlare che ti amo, che ti voglio, e invece continuo ad abbracciarti e ad
accarezzarti i capelli e a consolarti e rassicurarti.
Sento le tue mani risalire
sulla mia schiena, sul mio petto e posarsi sul mio viso, mi guardi negli occhi e
mi chiedi di fare l’amore con te.
“Vi prego, Victor, fate
l’amore con me, vi supplico, fatemi dimenticare, anche solo per un attimo,
tutto questo dolore, quello che è stato. Portatemi via il ricordo di quel
giorno e di tutti i giorni precedenti. Aiutatemi a soffocare questa paura che
non mi lascia un solo istante.”
Mi stai supplicando, ma io
devo resistere, perché se cedo ora perderò il rispetto di me stesso e perderò
anche te, e finirei solo per farti del male. E allora perché rispondo alle tue
carezze? Perché lascio che le tue mani continuino a toccarmi? Perché lascio
che la tua bocca si posi sulla mia e invece di respingerti rispondo al tuo
bacio, un bacio che avrei voluto dolce e pieno di passione e che invece è pieno
di rabbia e disperazione.
Ti voglio Oscar, ti voglio
da morire, il mio corpo ha bisogno di te, la mia anima ha bisogno di te.
Mi trascini verso il letto
e ti seguo come un automa, mi togli la camicia, quasi strappandola.
“Cosa state facendo,
Oscar? Credete che sarete veramente felice, poi?”
Riesco ad afferrarti i
polsi; ti fermi all’improvviso e mi guardi, smarrita, per un lungo istante. Ti
sorreggo appena in tempo mentre scivoli per terra chiedendomi perdono. Ma cosa
avrei da perdonarti? Ti stringo fra le braccia e finalmente ti lasci andare, nel
tuo pianto silenzioso si scioglie la follia di questo momento, e mentre ti tengo
stretta, mi rendo conto che se questo è tutto quello che hai da offrimi, per me
sarà il più bello e prezioso dei doni.
“Vi prego, Victor, non
mandatemi via, non questa notte; ho bisogno che mi teniate stretta, che non mi
lasciate sola.”
Le accarezzò i capelli.
Certo che non l’avrebbe mandata via, certo che l’avrebbe tenuta stretta,
avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei.
Che cosa ho fatto?
Che cosa ti ho fatto,
Victor? Come ho potuto pensare che fare l’amore con te avrebbe cancellato
tutto, come un colpo di spugna. E dopo? Con che coraggio avrei affrontato il tuo
sguardo senza sentirmi un verme per averti usato?
Continui ad offrirmi il tuo aiuto e io ti so ripagare solo con la moneta
del mio egoismo; mi stai offrendo di nuovo il tuo amore e io lo sto massacrando
con la mia insensibilità.
L’ho sentito il tuo
desiderio, bruciante, appassionato e, nonostante questo hai avuto la forza di
fermarmi perché sapevi che non era amore quello che ti stavo offrendo, che dopo
sarei stata peggio...
Sento il tuo respiro
regolare, e il battito del tuo cuore che ora si è fatto tranquillo; forse stai
dormendo. Apro gli occhi e alzo appena la testa, per paura di svegliarti. Come
è bello il tuo viso addormentato; eppure si vede quanto sei stanco, che stai
male anche tu.
Sono rimasta con te, questa
notte, nonostante tutto, e mi stai tenendo vicina. Non mi muovo, sento il calore
del tuo corpo contro il mio e le tue braccia che mi stringono un po’ e mi
aggrappo a questo calore e a questo abbraccio. Faccio scivolare piano le mie
braccia intorno ai tuoi fianchi e mi avvicino ancora. Ti muovi un poco; le tue
gambe si intrecciano con le mie. Sembriamo due amanti abbandonati al sonno.
Come vorrei saperti
ricambiare un po’ di questo amore che mi dai senza condizioni.
***
Partirono all’alba, senza
parlare, stretti nei loro mantelli, ognuno perso nei propri pensieri.
Oscar cominciò la sua
caccia.
Trovò lavoro come aiutante
presso una taverna, un lavoro pesante che le sfiancava il corpo e le occupava la
mente, ma la paga era decente e le persone parlavano volentieri dopo essersi
ingozzate di vino da quattro soldi.
Scoprì quanto era facile
corrompere; spulciò gli annunci mortuari, i fatti di cronaca, e, dopo un mese
di ricerche estenuanti, si ritrovò solo con la notizia certa che due ladri
delinquenti erano stati trovati morti in un casolare abbandonato vicino al
cimitero.
Si alzava ogni mattina,
quando era ancora buio, con la speranza che quel giorno le avrebbe portato
finalmente una buona notizia e rincasava a notte tarda, stanca e delusa, con la
sensazione frustrante che non l’avrebbe trovato mai.
Aveva costretto Victor a
ripeterle all’infinito di quel giorno maledetto, di come l’aveva trovata, di
cosa aveva visto; si era fatta descrivere mille volte l’immagine di
quell’uomo, aveva saputo del mercenario sfregiato che l’aveva trovata in
quel posto fuori dal mondo.
Victor le ripeteva tutto,
sfinito, e la guardava illuminarsi quando trovava un particolare che le sembrava
assumere un nuovo significato e rabbuiarsi quando capiva che non avrebbe portato
a nulla.
Quella ricerca infinita
l’aveva rianimata, però. Victor riconosceva in lei la determinazione di un
tempo, sapeva che non si sarebbe fermata di fronte a nulla.
E c’era qualcosa di
completamente nuovo, qualcosa che l’aveva colpito inizialmente e che ora
faceva parte della loro strana vita insieme: aveva cominciato a cercare la sua
compagnia sempre più spesso.
Inizialmente lo cercava per
parlare di quel giorno e lui, dopo averle risposto pazientemente, riusciva
abilmente a distrarla portandola con la mente agli argomenti a lei cari:
l’arte, la poesia, la musica.
L’aveva obbligato a
seguirla nelle sue peregrinazioni nelle immense stanze abbandonate della casa e
lui, nonostante la marea di ricordi felici e tristi che quelle visite
suscitavano, l’aveva accompagnata e aveva risposto a tutte le sue domande, su
cosa avveniva in questa e quell’altra stanza, su chi avesse dormito in quel
letto su quali balli avessero fatto nel salone principale. E mentre raccontava
vedeva l’interesse di lei crescere, i suoi occhi guardarlo increduli, o
divertiti, o stupiti. Allora lui le prendeva la mano, la trascinava in
un’altra stanza e la faceva volteggiare dicendole che era in debito con lui di
un ballo, e Oscar rideva e arrossiva.
Uscivano a cavallo, non
appena potevano, e si lanciavano in lunghe cavalcate, spronando i propri animali
fino a sfiancarli lungo le colline dolci di quella campagna che sembrava lontana
secoli da Parigi e dalla rivoluzione. Una volta avevano portato i fioretti e
lui, scherzosamente, l’aveva sfidata a duello. Oscar aveva accettato, lo
sguardo orgoglioso e fiero di un tempo. Ma questa volta era stato diverso: aveva
dovuto cedere alla potenza di Victor; i suoi colpi non erano più aggraziati ed
eleganti come un tempo, ma forti e decisi. E quando, a terra, stupita e
ansimante, lo aveva visto avvicinarsi tendendole la mano per aiutarla ad
alzarsi, con il respiro solo un po’ affannato, aveva provato un brivido strano
lungo la spina dorsale.
“Dovete imparare a
difendervi, Madamoiselle Oscar, gli uomini a cui date la caccia non vi faranno
sconti.”
Quella sera, senza parlare,
era andata da lui e si era sdraiata al suo fianco e lui l’aveva tenuta
stretta. Si era sentita al sicuro e, per la prima volta dopo tanti mesi, aveva
dormito un sonno senza incubi.
***
Era l’alba di una mattina
di fine aprile.
Victor si era alzato, come
al solito, per raggiungere il paese e, non trovandola al suo fianco, era sceso a
cercarla. La notte precedente erano rimasti svegli fino a tardi a leggere le
opere di Rousseau e
lui aveva continuato a leggere, con la sua voce profonda, fino a che non
l’aveva sentita addormentarsi. Allora aveva spento la candela e le era
scivolato a fianco, cingendola con le braccia; l’aveva sentita accomodarsi e
rilassarsi in quell’abbraccio e si era sentito travolgere dalla tenerezza di
quel momento.
Avrebbe dato la vita per
lei.
La trovò in piedi in
silenzio in mezzo a quella che una volta era stata la sala della musica. Le
finestre erano spalancate e gli stracci che ricoprivano i mobili erano stati
tolti. Oscar gli parlò senza voltarsi, come se avesse percepito la sua presenza
silenziosa.
“Vi prego, Victor, dite a
Madame Cassies che oggi sono indisposta.”
“Va bene... ma... cosa
succede? Non state bene veramente?”
Oscar si girò di scatto: i
suoi occhi brillavano, azzurri e limpidi nella luce chiara del mattino. Qualcosa
di nuovo, di vivo in quello sguardo. Victor rimase a guardarla.
“Oh no, Victor... ma se
me lo permettete, vorrei provare a fare rivivere questa casa. Mi avete insegnato
ad amarla e voglio fare qualcosa per lei... e per voi.” Abbassò lo sguardo
senza rendersene conto.
“È meraviglioso, Oscar.
Certo che potete! E chiedete a Constance tutto l’aiuto di cui avete
bisogno.”
“Non avrò bisogno
dell’aiuto di nessuno.” I suoi occhi si muovevano velocissimi da un una
parete all’altra, da un mobile all’altro mentre la sua mente pianificava,
elaborava, immaginava...
Victor sentì i battiti del
cuore accelerare violentemente.
Perché oggi? Perché non ieri, o
domani? Diventa tutto più difficile...
“Bene, io vado...”
“Sì, certo, vi auguro
una buona giornata.” Non si girò a guardarlo, aveva già iniziato ad
ammucchiare in un angolo le tende vecchie e consunte.
Victor sorrise nonostante
l’angoscia che lo aveva colto all’improvviso: quella era la Oscar che
conosceva.
Partì al galoppo,
spronando il cavallo come in una corsa contro il tempo. Sentiva l’aria fresca
dell’alba sferzargli il corpo e i capelli; la sua pelle si era abituata al
vento e al sole. Pensò quasi con disprezzo alla cura maniacale che aveva
dedicato alla propria persona ai tempi di Versailles. Come era tutto lontano e
inutile. Ora la sua pelle aveva perso il candore di un tempo e i suoi capelli
non erano più curati, ma si sentiva libero.
Ripensò ad Oscar, al suo
viso, alla scintilla di vitalità determinata che vi aveva letto e si sentì
morire dentro.
Mi dispiace, Oscar, ma non posso.
Sono costretto a mentirti, e spero che un giorno mi perdonerai.
Arrivò alla piccola chiesa
in poco tempo.
L’uomo era già arrivato.
Lo guardò stupito.
“E lei dov’è?”
“C’è un cambiamento di
programma.”
“Non glielo avete
detto.” Un’affermazione più che una domanda.
Victor abbassò gli occhi.
“No, non ho potuto.”
“E cosa intendete fare?
Con tutto quello che mi avete pagato...”
“I soldi ve li siete
guadagnati. Andrò io.”
“Voi? Ma non credo
che...”
“Non vi ho pagato per
pensare, Buyon! Vi ho detto che andrò io. Vi presenterete questa notte da noi,
e direte che avete la notizia che cercavo: che quell’uomo è morto e porterete
un pegno per provarlo...”
“Un pegno?”
“Si, un pegno, ve lo darò
io. Ora datemi le informazioni e andatevene. E non mancate questa notte, perché,
altrimenti, come è vero Dio, vi vengo a cercare e vi ammazzo di persona.”
Afferrò il pezzo di carta
che l’altro gli porgeva e partì al galoppo.
Non so perché l’ho
fatto. Forse perché ho più rispetto di voi di quanto voi ne abbiate di me,
forse perché la vostra disperazione e il vostro odio mi ricordano il mio e mi
costringono a non dimenticare, forse perché vedo nella vostra vendetta quella
che non ho avuto io. Non lo so perché. So solo che dovevo vederla. E ora, che
è qui di fronte ai miei occhi, lo sguardo fiero e coraggioso, con i suoi
vestiti da uomo che la fanno sembrare ancora più bella, ora comprendo, conte
Girodel, comprendo la vostra scelta.
“Sono Louis Buyon...”
“Lo so chi siete, vi ho
cercato a lungo.” Oscar fissò la lunga cicatrice che gli attraversava il
volto. “Siete l’uomo che mi ha trovato. Voi avete visto in faccia l’uomo
che mi ha violentata. Girodel mi ha detto che siete abile nel trovare le
persone...”
Buyon la interruppe.
“Ascoltatemi, signora, vi
prego...”
***
Perché, Victor? Perché l’hai
fatto?
Non potrò mai perdonarti, lo sai
questo, vero? Mi hai tolto l’unica cosa che mi teneva in vita. Come hai
potuto? Mi ha tolto la vendetta. Una vendetta che era solo MIA e che mi avrebbe
forse aiutato a dimenticare... o a morire in pace.
Sto spronando questo maledetto
cavallo nella speranza di arrivare in tempo, nella speranza che tutto non sia già
compiuto. Sento la spada che batte furiosamente contro la mia gamba.
Arrivò al posto che
le aveva indicato l’uomo, un casolare abbandonato, non molto lontano da quello
dove l’avevano trascinata con la forza. È li che si nascondono, le aveva
detto.
Nascose il cavallo
dietro un muro e si avvicinò senza fare rumore seguendo i rumori di spada e le
grida. Avrebbe voluto correre, precipitarsi ma la cautela e la sorpresa, aveva
imparato nel tempo, sono i migliori alleati.
Si sporse
dall’angolo del casolare per capire da dove avrebbe dovuto attaccare. Si sentì
gelare.
Erano in tre contro
uno.
Non uno scontro uno a
uno come si era aspettata, erano in tre, anche questa volta, e lo stavano
attaccando. Vide Victor difendersi con tutta la forza della disperazione, vide
il sangue che usciva da una ferita, e nonostante questo, continuava a battersi,
con rabbia.
Poi,
all’improvviso, sentì uno sparo lo vide cadere sulle ginocchia, la spada
scivolargli dalle mani. Aveva la camicia strappata: una macchia rossa cominciava
ad allargarsi sopra un fianco.
“Così sei venuto a
difendere l’onore della tua cagna?” Risate di animali.
“E chi ti dice che
non le piaceva, eh? Io dico di sì, io dico che ha goduto come una troia.”
“Sparagli, Castes!”
“Sì, hai ragione,
ci siamo divertiti abbastanza. Sai batterti però, damerino. Peccato che non
abbia tempo da perdere con te.”
Uno sparo, poi un
altro.
Li vide cadere a
terra come due sacchi di letame. Vide il terzo uomo fermarsi come paralizzato,
lo sguardo perso nel vuoto, incapace di definire la provenienza dei colpi. Lo
aveva trovato.
Uscì dal suo
nascondiglio. Si sentiva stranamente calma. Cercò di non guardare Victor,
avrebbe pensato a lui dopo.
“O... Oscar, no...
ti prego...”
“Va tutto bene,
Victor, va tutto bene.”
Non distolse gli
occhi da quelli dell’uomo per un solo istante mentre gli si avvicinava,
tendendo la pistola puntata contro la sua testa. Era la prima volta che lo
vedeva. L’avevano sorpresa di spalle mentre piangeva sulla tomba di André,
l’avevano stordita, legata, bendata; l’avevano trascinata in quel casolare
come un animale al macello. L’avevano violentata. Nessuna pietà.
“Chi... chi siete,
cosa volete?”
“Non vi ricordate
di me? Sono la cagna di cui parlavate poco fa.” Vide il terrore negli occhi
dell’uomo e ne fu inebriata.
Eccolo il terrore, bastardo. Hai
paura, vero? Oh... ma non è ancora nulla rispetto a quello che proverai fra
poco.
“Non... non so di
cosa state parlando... andatevene, fra poco i miei uomini saranno qui e vi
uccideranno.”
Oscar sorrise.
Avrebbe voluto prolungare quel gioco all’infinito, ma c’era Victor, lo aveva
sentito gemere e cadere a terra. Era ferito.
Sparò un colpo e un
urlo disumano usci dalla bocca di quell’uomo. Gli aveva sparato all’inguine.
“Deve essere così
che gridano i porci quando vengono squartati.” Parlò quasi fra sé.
Si accorse appena del
rantolare dell’altro. Non sarebbe morto subito. Oscar si guardò intorno. Non
c’era nessuno, nessuno sarebbe venuto ad aiutarlo, nessuno gli avrebbe sparato
per mettere fine alla sua agonia.
Si sentì
improvvisamente stanca, svuotata. Aveva avuto la sua vendetta, ma nessuno
avrebbe potuto restituirle il passato, né André.
Chiuse gli occhi
mentre lacrime brucianti cominciavano a scenderle lungo le guance. Guardò
l’uomo agonizzante. Vide la supplica tacita nei suoi occhi, la richiesta
disperata di farlo morire. Lo finì con un colpo al cuore.
Girò le spalle per
sempre al suo passato, a quella storia maledetta, e si precipitò da
Victor. Era immobile, ma respirava, stava perdendo molto sangue. Oscar strappò
quello che restava della camicia e provò a tamponare la ferita. Lo sollevò
delicatamente, tenendolo fra le braccia. Lo sentì gemere.
“Victor... perché
lo avete fatto.” Non c’era risentimento nelle sue parole, solo una pena
infinita e una dolcezza che colpì anche lei. Lo guardò negli occhi: erano
pieni di tristezza e di dolore rassegnato.
“Mi... mi dispiace,
Oscar... volevo... proteggervi... da questi uomini, da voi stessa... da tutto...
perdonatemi se vi ho mentito...”
“Shhh, non parlate,
Victor, ora vi porto a casa, dobbiamo curare la ferita.” Gli accarezzò
dolcemente il viso, spostandogli le ciocche di capelli che gli ricadevano sugli
occhi.
“Oscar... ho... ho
paura di morire... non voglio morire ora...”
Oscar si sentì
mancare, quelle parole, stava succedendo un’altra volta. No, non poteva
succedere ancora, non a Victor...
“Ma che dite,
Victor, voi non morirete, non vi lascerò morire, non vi permetterò di
lasciarmi.” Sentì le lacrime inondarle in viso e cadere su quello di Victor e
mescolarsi con le lacrime di lui. Si chinò e gli posò un bacio sulle labbra.
***
Non so come ho fatto a portarti via
da quel posto, non so come ho fatto a correre così veloce, so solo che il
dottore dice che è un miracolo che tu sia ancora vivo.
Passo le notti e i giorni al tuo
fianco e soffro quando ti vedo gemere e ringrazio Dio per ogni respiro che fai;
non so più quanto tempo è passato, non so se è giorno o notte. So solo che
non posso lasciarti morire, Victor, non ora, che ho scoperto quanto grande è il
tuo amore per me, non ora, che ho deciso di vivere e di farlo per te. Ti vedo
lottare ogni giorno, ti aggrappi disperatamente alla vita e io sono qui, a
lottare con te.
Parlami, Victor, ti prego, apri gli
occhi. Non ho più nemmeno la forza di piangere.
Mi sono guardata allo specchio, oggi
e ho visto una sconosciuta, una donna segnata dall’odio, capace di uccidere a
sangue freddo. Ho forse perso la pietà? O forse sto solo perdendo la ragione?
Per cosa sto pagando ancora?
Ti guardo, e sembra che tu stia
dormendo, il tuo viso è così sereno, sembra che tu sia perso nel più bello
dei sogni, e spero che sia così, lo spero per te ma prego anche che tu ti possa
risvegliare al più presto.
Oscar si alzò,
ignorando il dolore alla schiena. Aveva vegliato accanto a Victor su una piccola
poltrona scomoda per quasi una settimana, lo aveva curato, gli aveva medicato le
ferite; si era dimenticata di dormire e di mangiare. Si disprezzava per quello
che era diventata: l’immagine di quell’uomo agonizzante la tormentava; si
era lasciata risucchiare in una spirale di odio e di vendetta che l’aveva
trascinata così in basso da farle dimenticare i principi in cui aveva sempre
creduto, per cui si era battuta. E tutto questo male le stava portando via
Victor.
Nella stanza faceva
caldo; si avvicinò alla finestra e aprì le tende: era giorno, una giornata
bellissima, luminosa. Spalancò le finestre sentendo improvvisamente che le
mancava l’aria; un raggio caldo di sole, mitigato da una brezza leggera la
investì piacevolmente.
Avvertì una
sensazione viva e distinta, come una carezza proprio sotto la nuca, fu scossa da
un leggero brivido. Si girò all’improvviso e incontrò gli occhi colore del
mare di Victor, illuminati dal sole e vivi. Si precipitò al suo fianco.
“Victor, mio Dio,
Victor... guardatemi, parlatemi...” Si rese conto che stava gridando, ma non
gliene importava, voleva che la sentisse; non gli avrebbe permesso di
addormentarsi ancora.
Si inginocchiò al
suo fianco e gli afferrò la mano, portandosela alle labbra; ripensò al suo
risveglio, molto tempo prima, quando era stato lui a riscaldarla con quello
stesso gesto. Una marea di emozioni la travolse; avrebbe voluto abbracciarlo,
avrebbe voluto chiedergli il perché di quella follia, avrebbe voluto
comunicargli tutta l’angoscia e la paura di quei giorni trascorsi nel terrore
che i suoi occhi rimanessero chiusi per sempre.
Rimase in silenzio,
guardando il volto di quell’uomo, il suo sorriso debole. Gli accarezzò
delicatamente la fronte, sfiorò le ciglia lunghissime, seguì con un dito il
profilo del naso e passò leggermente il pollice sulle labbra, si chinò su di
lui e posò le labbra sulla sua fronte.
Hai vinto tu, Victor Girodel.
“Credevo che non vi
avrei visto più. Sentivo la vostra voce, ma avevo paura di svegliarmi e
scoprire che stavo solo sognando...” Appena un sussurro.
“Ma come avrei potuto lasciarvi, Victor, dopo tutto quello
che avete fatto per me? Mi avete salvato la vita, mi avete aiutato a non
arrendermi, eravate disposto a morire per me. Come potevate pensare che vi avrei
abbandonato anche per un solo istante.” Parlò senza staccare le labbra dalla
sua fronte, sfiorandola lievemente mentre lasciava che quelle parole uscissero
da lei e prendessero finalmente consistenza.
“Mi dispiace, Oscar, vi ho tolto la vostra vendetta, vi ho
mentito dicendovi che non sapevo nulla mentre continuavo a condurre le mie
indagini per scoprire chi fosse l’uomo che vi aveva fatto tutto quel male. Ma
l’ho fatto per proteggervi e perché... avevo paura di perdervi ancora.
Potrete mai perdonarmi Oscar?”
Chiuse gli occhi, respirando il profumo di lei, sentiva
ancora le sue labbra sulla sua fronte, la sua mano fresca appoggiata sulla sua
guancia. Avrebbe voluto stringerla ma non aveva la forza di sollevare le
braccia. Si sentiva tremendamente debole.
“Vi ho già perdonato, Victor, vi ho perdonato nel momento
stesso in cui vi ho visto battervi per me. Ma ora dovete riposare, devo correre
a chiamare il dottore perché venga a visitarvi. Chiamerò Constance perché
vegli su di voi, ma non temete, tornerò in un lampo.”
“Vi aspetto Oscar, non ho nessuna intenzione di
andarmene.” Sorrise debolmente.
***
Ti
guardo mentre riposi e mi lascio avvolgere da questa dolcezza profonda.
La
tua mano stringe la mia e non la lascia neanche nel sonno.
Credevo
che il mio cuore si fosse inaridito per sempre, e invece, in un angolo nascosto,
lo sento reclamare il suo diritto alla vita. Mi stai entrando nel sangue,
Victor, e non riesco ad impedirlo.
Ti
sento mentre fingo di dormire; stringo la tua mano nella mia e non voglio aprire
gli occhi perché so che finché mi crederai addormentato resterai al mio
fianco. Credevo che il mio amore per te fosse già arrivato al suo culmine, e
invece, scopro ogni giorno un modo diverso e nuovo di amarti. Lo sento quando ti
avvicini a me e mi parli, lo sento
nelle tue mani che si prendono cura delle mie ferite, lo sento nelle tue carezze
che si fanno più dolci, e nelle tue parole che si fanno ogni istante più
confidenti. Mi chiedo cosa provi tu per me. Sono solo il tuo salvatore? Il tuo
amico? Una persona a cui sei legata per gratitudine? Pensi ancora ad André? Lo
ami ancora? Quante domande, Oscar, e vorrei fartele tutte in una volta. Ma poi
mi fermo, perché ho paura delle risposte. E allora resto in silenzio, con gli
occhi chiusi, e ti stringo la mano...
***
“Venite, Victor, appoggiatevi a me.”
“Oscar, per carità... così mi fate sentire un
invalido.”
“Ma voi siete un invalido! Almeno per il momento, e poi,
devo ricordarvi cosa...”
“Sì, sì, avete ragione, cosa ha detto il dottore. Va
bene, avete vinto voi, come al solito del resto.”
Victor lasciò che Oscar gli cingesse la vita e le passò un
braccio intorno alle spalle, appoggiandosi, con la mano libera, al corrimano
della grande scala che lo avrebbe portato al piano di sotto.
Erano passate tre settimane da quando era stato ferito e
quello era il primo giorno che usciva dalla sua camera.
In quelle tre settimane costretto a letto, Oscar non lo aveva
abbandonato un solo istante e, con l’aiuto di Constance, lo aveva curato e
accudito con totale dedizione.
Rimaneva seduta accanto a lui per ore intere a parlare o a
leggere per lui, la sentiva arrivare con il vassoio del pranzo e muoversi per
casa con passo sicuro alla ricerca di un libro o di lenzuola pulite o di un
cuscino più morbido da mettere dietro alla schiena. Constance scherzava e
diceva che, da quando c’era Madimigella Oscar in quella casa, il suo lavoro si
era ridotto della metà e ora poteva perfino permettersi di oziare.
Una volta aveva detto senza mezzi termini che Victor avrebbe
dovuto affrettarsi a chiederle la mano prima che qualcun altro si fosse fatto
avanti. Si era creato un silenzio imbarazzante, e quando la donna era uscita,
completamente ignara del caos che aveva creato, Victor si era scusato con Oscar
per l’insolenza della sua nutrice. “Dovete perdonarla, Oscar, è da quando
sono ragazzino che spera di vedermi accasato.” Oscar aveva risposto in modo
scherzoso: “Devo considerarmi onorata se mi reputa alla vostra altezza,
allora!” “Voi siete all’altezza di chiunque, lo sapete bene.” “E
allora perché non mi avete ancora chiesta in moglie.” Oscar si era pentita
subito di quelle parole dette senza riflettere, e la risposta di Victor
l’aveva colpita con violenza, come un pugno nello stomaco. “L’avevo fatto,
Oscar, se ve ne ricordate, e mi avete respinto; ma sarei disposto a rischiare
ancora se avessi la certezza che la vostra risposta non fosse dettata dalla
gratitudine ma dal cuore.” Oscar non era stata in grado di ribattere ed era
uscita dalla stanza con una scusa, accompagnata da un senso di profonda
malinconia. Non avevano più ripreso il discorso, ma si era fatta ancora più
attenta e premurosa, come a voler compensare la sua incapacità di amare con
quella totale dedizione.
Le parole di Victor le erano rimaste dentro e le avevano
fatto passare il sonno e si era interrogata a lungo su quali fossero i suoi
sentimenti per quell’uomo, ma ogni volta che stava per darsi una risposta
l’immagine di André le compariva davanti agli occhi e il senso di colpa
l’assaliva all’improvviso.
“Ecco, ci siamo quasi. È stato faticoso?”
“Meno che stare inchiodato in quel letto per tre
settimane.”
Victor percepiva qualcosa di strano, nel modo di muoversi e
parlare di Oscar, una sorta di eccitazione; aveva dovuto pregarla ben due volte
di rallentare il passo mentre scendevano le scale: sembrava impaziente per
qualcosa.
“Bene, Oscar, ora mi dite cosa succede, oppure temo che
scoppierete da un momento all’altro.”
Scoppiò a ridere guardando l’espressione stupita di lei:
sembrava quella di una bambina colta con le mani nel sacco.
Finse di essere risentita.
“Sono così prevedibile, dunque?”
Victor si fece serio e la guardò con gli occhi pieni di
tenerezza.
“No, credetemi, siete tutt’altro che prevedibile.”
“E allora chiudete gli occhi e lasciate che vi guidi in
questi ultimi passi.”
Victor obbedì.
“Ecco, ora potete aprirli.”
Se
non mi avessi sorretto tu, Oscar, credo che sarei caduto. Mi guardo intorno e
non riesco a credere a quello che hai fatto a questa casa. C’è luce
dappertutto, e fiori, e i mobili sono stati aggiustati e lucidati, e i pavimenti
puliti e le pareti ridipinte. Mio dio... è come ritornare indietro nel tempo,
è come se avessi portato in vita una parte di me che credevo fosse morta per
sempre. Ti guardo e vedo i tuoi occhi brillare e studiare la mia reazione; ma
non trovo le parole e allora ti prendo fa le braccia e ti stringo, e il mio
grazie si perde nei tuoi capelli. Rimaniamo così, stretti, per un istante che
vorrei non finisse mai.
“Come avete fatto? È... è meraviglioso.”
“Oh, mi ha aiutato Constance, e suo marito e il giovane
Philippe, tutti si sono dati da fare. Ho capito quanto amavate questa casa, e ho
finito per amarla anch’io. Ho voluto portarla in vita per voi... per noi.”
“Ma... dove avete trovato il denaro? Io non lavoro da tanto
tempo, e nemmeno voi...”
“Venite, Victor, sedetevi, è ora che vi dica una cosa.”
Lo condusse verso una poltrona e lo aiutò a sedersi e si
sedette sul pavimento, di fronte a lui.
Vide un misto di stupore e preoccupazione nei suoi occhi.
“È successo qualcosa che devo sapere, Oscar?”
Oscar sorrise e gli prese le mani, ne sfiorò il dorso con i
pollici e sentì Victor aumentare leggermente la pressione.
“Sì, Victor, in verità è successo qualcosa. Mentre
stavate male ho scritto ad una persona, una persona che mi è stata molto cara;
a questa persona avevo affidato tutto quello che avevo, poco prima che André
venisse ucciso, perché sapevo che così sarebbe stato al sicuro. Non era molto,
ma ci avrebbe permesso di vivere tranquillamente se ci fossimo accontentati di
poco...
“Oscar... non dovevate... io potrò riprendere a lavorare...”
“Lasciatemi finire, Victor, vi prego.” Oscar si rese
conto di quanto le fosse difficile parlare di tutto questo ma voleva farlo.
“Ho chiesto a questa persona se poteva farmi avere quanto gli avevo affidato.
Una settimana dopo era qui, e mi ha portato tutto e mi ha anche detto... che mio
padre era morto.”
Oscar si fermò, deglutì per sciogliere il nodo che le si
era formato in gola. Aveva ricacciato le lacrime per tutti i giorni passati, non
voleva piangere proprio ora. Sentiva gli occhi di Victor su di lei. Il suo
silenzio valeva più di ogni inutile discorso.
“... così gli ho chiesto di occuparsi della vendita della
casa di Arras, che ora mi appartiene, e di tutto quello che contiene. Oggi ho
ricevuto una lettera in cui mi dice che ha fatto un ottimo affare e che mi
porterà a breve il ricavato della vendita.”
“Avete... messo in vendita quella casa? So quanto
l’amavate, una volta mi diceste che era tutto il vostro mondo...”
Rimasero in silenzio, per un istante. Le accarezzò il viso e
le asciugò una lacrima.
“Vi manca tanto, André, vero?”
Oscar sollevò gli occhi su di lui, e vi lesse la paura per
la risposta che avrebbe potuto sentire. Sentì qualcosa che cercava di affiorare
dal profondo del suo cuore, qualcosa che lottava furiosamente e disperatamente
per venire a galla; e capì che questo qualcosa non aveva nulla a che vedere con
la gratitudine.
“Mi manca tantissimo, Victor, non potete immaginare quanto.
Ma André è morto, e non tornerà più da me, e io voglio continuare a
vivere.”
***
E
così sei tornata a vivere, e io con te.
È
come se ti stessi conoscendo ora per la prima volta e mi stupisco di quanto poco
sapevo di te, di cosa ti piace, di cosa detesti, di cosa ti spaventa e di cosa
ti fa sorridere. Hai abbattuto le tue barriere e mi hai permesso di entrare nel
tuo mondo. Mi hai dato libero accesso alla tua anima e hai smesso di nascondere
i tuoi sentimenti. Ho visto che donna splendida sei, piena di grazia e di una
femminilità che hai rifiutato per troppo tempo.
Abbiamo
scoperto quanto sia meraviglioso ridere insieme, e parlare, e stare abbracciati
a sentire la pioggia che batte sui vetri, e anche se non abbiamo fatto
l’amore, anche se no ho ancora avuto il coraggio nemmeno di baciarti
nonostante il mio desiderio di te sia così forte da farmi male, ho capito che,
a modo tuo, anche tu mi ami. Lo vedo dal modo in cui mi guardi, dal modo in cui
mi parli e ti prendi cura di me, lo sento dal modo in cui mi cerchi e dal tono
della tua voce quando non rispondo subito al tuo richiamo.
Lo
percepisco, intenso, dalle tue carezze, che sono ogni giorno più profonde e da
come ti ritrai improvvisamente e arrossisci quando ti prego di fermarti perché
ho paura di perdere il controllo, e dal battito veloce del tuo cuore quando ti
prendo fra le mie braccia perché ho bisogno del contatto del tuo corpo per
capire che non è tutto un sogno.
È quasi estate, fa caldo e sei
bellissima e sensuale negli abiti leggeri che Constance ha cucito per te.
Ho visto il tuo sguardo accarezzarmi
di sfuggita, questa mattina, quando mi hai cambiato la medicazione e sei
arrossita quando hai detto che avresti dovuto farlo tu perché il dottore oggi
non sarebbe venuto. E ho trattenuto il respiro quando ho sentito le tue mani
tremare leggermente al contatto con la mia pelle e ho chiuso gli occhi per non
metterti in imbarazzo e per nascondere il mio imbarazzo.
E poi siamo rimasti in silenzio per
un istante ed è stato un istante bellissimo.
Sei qui, Oscar, anche questa notte,
e sei abbandonata in un sonno profondo e tranquillo; uno dei nastri che tengono
chiusa la tua camicia da notte si è sciolto e vedo la tua pelle risplendere
alla luce della luna. Chiudo gli occhi e cerco di dormire e so che ti sognerò,
questa notte, come le notti passate e le notti che verranno.
Oscar si svegliò
all’improvviso e si sedette sul letto; sentiva il cuore batterle come se
volesse uscirle dal petto. Era stato un sogno, o forse una sensazione...
Faceva caldo e la
camicia da notte le si era incollata al corpo.
Si alzò e si diresse
verso la finestra. Uscì sul balcone e sentì addosso l’aria fresca della
notte.
Sentì un brivido e i
capezzoli irrigidirsi. Li sfiorò con le mani e li sentì indurirsi e diventare
sensibili. Un’ondata di calore improvviso le fece contrarre i muscoli delle
gambe.
Aprì appena la
camicia e si guardò il seno, vergognandosi un po’ di quel gesto così intimo.
Non si era mai guardata così. Pensò alla prima volta che si era spogliata di
fronte ad André, allo stupore negli occhi di lui, al desiderio e alla paura.
Era successo tutto troppo in fretta; glielo avevano strappato dalle braccia nel
momento stesso in cui avevano appena scoperto cosa fosse l’amore. Cercò di
scacciare quell’immagine ancora troppo dolorosa.
Lasciò che la mano
le scendesse piano nella scollatura della camicia e le dita indugiassero sul
seno. Rimase colpita dalla morbidezza della sua pelle. Lo sfiorò dolcemente e
ne seguì il profilo. Si soffermò sul capezzolo, che non aveva mai visto così
eretto, massaggiandolo delicatamente. Ancora quella sensazione di calore, più
intensa, diramarsi dal punto che stava sfiorando fino al ventre.
Chiuse gli occhi e
vide, vivissima, davanti a sé l’immagine di Victor che le sfiorava la punta
del seno con la bocca.
Era questo il
desiderio?
Quanto tempo è passato, Victor?
Giorni, settimane, mesi... e sembra tutto così lontano. Ho perfino dimenticato
il mio odio, soffocato nella tenerezza dei tuoi abbracci.
Mi avvicino al letto e ti guardo
mentre dormi, un braccio abbandonato dietro al capo e l’altro posato sul
petto; ti sfioro il viso e ti sento sospirare e un gemito leggero ti sfugge
mentre mormori il mio nome e all’improvviso mi accorgo di desiderarti, come
uomo, come amante, come compagno.
Lascio che l’istinto prevalga
sulla ragione, mi chino su di te e ti sfioro le labbra con un bacio leggero.
“Ti amo.”
Sento queste parole uscire dalle mie
labbra e all’improvviso mi sembra di non poterle più trattenere, e ti riempio
la bocca di piccoli baci fino a che ti sento sussultare per il risveglio
improvviso e vedo i tuoi occhi guardarmi stupiti ed increduli.
“Ti amo, Victor, ti amo.”
Ti sollevi a sedere e rimani di fronte
a me. Hai lo sguardo languido e un po’ sorpreso di chi sia stato svegliato
all’improvviso ma i tuoi sensi sono vigili. Mi afferri il volto fra le mani e
mi chiedi di ripeterlo.
“Ti amo.”
E poi ancora, e ancora, fino a che
non rimaniamo in silenzio, per un istante, uno di fronte all’altro, sconvolti
per la forza di questa verità che è venuta a galla così improvvisa e
prepotente e che ci ha sorpresi entrambi.
E poi, in un battito di ciglia,
prendi il mio volto fra le mani e mi attiri a te; la tua bocca è sulla mia in
un bacio che non è più fraterno e amichevole ma pieno di desiderio, forte come
il desiderio che provo io in questo momento. Sento le tue labbra, la tua lingua,
il tuo respiro che si fonde con il mio. Le tue mani si muovono sul mio corpo e
mi sfiorano le braccia nude, il collo, le spalle. Poi ti fermi e mi guardi e
leggo nel tuo sguardo la paura di essere respinto ancora. Ma questa volta no,
Victor, questa volta non ti fermerò, non mi fermerò.
Prendo la tua mano e la sento tremare
nella mia, non riesco a distogliere lo sguardo dai tuoi occhi mentre la poso sul
mio seno e la guido in una carezza che mi toglie il fiato.
Chiudo gli occhi e lascio che le
sensazioni esplodano sulla mia pelle. Sento le tue mani sciogliere piano i
nastri di questa camicia leggera che è l’unica barriera fra me e te e la fai
scivolare lungo le mie braccia. Rimango nuda di fronte a te e non provo alcuna
vergogna; ti accarezzo il petto e ti vedo chiudere gli occhi trattenere il
respiro. Mi prendi piano per le spalle e mi sdrai sui cuscini, non posso
smettere di guardarti e leggo nei tuoi occhi che saresti disposto ad uccidere
per avermi.
Mi sfiori piano il viso, il collo,
poi la tua mano scende e mi accarezza la pelle del seno. Sento la carne bruciare
al contatto con le tue mani e un brivido fortissimo percorrermi il corpo. Non
riesco a controllarmi, non voglio controllarmi; i miei gemiti si intrecciano ai
tuoi sospiri. Mi stai accarezzando ancora, sempre più giù, fino a sfiorarmi il
ventre, le cosce, la tua mano si posa sul mio sesso e si stacca per un solo
istante.
Non fermarti, Victor, non ti fermare
ti prego. Sento la mia voce che ti sta supplicando e la tua ripetere il mio
nome. Mi muovo al ritmo delle tue carezze e non provo vergogna, né imbarazzo,
ma solo un piacere sconvolgente che mi fa gridare il tuo nome e implorare di non
fermarti.
Vorrei toccarti, vorrei
accarezzarti, vorrei farti provare anch’io il piacere che stai dando a me.
Chiudo gli occhi e lascio che le mie mani inesperte si muovano sul tuo corpo.
Guidami tu, Victor, insegnami a renderti felice, insegnami a conoscere fino in
fondo questo amore che ho provato così tardi e per così poco tempo.
Ti sento gemere, mentre comincio a
toccarti piano e il contatto con la tua carne mi fa perdere nuovamente la testa.
“Mi vuoi, Victor?”
Non servono risposte. È il tuo
corpo che parla, il tuo desiderio che sembra quasi esplodere nelle mie mani.
Trattengo il respiro mentre mi entri
dentro e vedo i tuoi occhi e per un istante, sospeso nel tempo, mi perdo nei
tuoi occhi così pieni di amore. Cominci a muoverti piano, per paura di farmi
male, sento il tuo desiderio trattenuto; afferro il tuo viso fra le mani e
affondo la mia bocca nella tua, cerco la tua lingua. Ho bisogno dei tuoi baci
delle tue carezze, amore. I miei fianchi si muovono
sempre più velocemente e costringo il tuo corpo a seguire il mio ritmo e
i tuoi gemiti si fanno più forti. Ti guardo e sei bellissimo e non posso fare a
meno di pensare che sono io che ti sto facendo sentire così, che ti sto facendo
perdere la ragione, che ti sto facendo gridare, che ti sto facendo godere.
Sì, sento
il piacere che sta arrivando e non posso più aspettare... ecco, sto venendo
Victor, e mentre soffoco le mia grida sulla tua spalla e lascio che mio corpo
sia sconvolto da questi fremiti incontrollati ti sento
muovere sempre più velocemente e
ti fermi all’improvviso e i tuoi occhi sono fissi nei miei mentre vieni dentro
di me e ti sento gemere così forte che per un attimo ho paura che qualcuno
spalanchi la porta e si precipiti nella stanza per vedere cosa sta accadendo.
***
Non è un sogno, vero? Ho sentito
quelle parole mormorate sulla mia bocca e ho avuto paura ad aprire gli occhi
perché se questa volta fosse stato solo un sogno, sarei impazzito. Ma poi ti
sento ancora, sento le tue labbra umide sulle mie, un bacio, un altro un altro
ancora. Dimmi che non sto sognando.
Apro gli occhi e ti vedo, così
bella, e non riesco a parlare da quanto è forte il mio stupore. Poi lo dici
ancora, e dici anche il mio nome e così ora sono sicuro che è a me che stai
dicendo “ti amo”. Prendo il tuo volto fra le mani e lo tengo stretto, per
paura che la tua immagine svanisca, e ti chiedo di ripeterlo ancora e tu mi
sorridi e me lo dici ancora. Dio Oscar... ho vissuto e respirato in attesa di
questo momento e pure ora che sta succedendo è ancora più meraviglioso e dolce
e intimo e vero di tutti i sogni più belli.
Non ricordo come è successo, non so
se sono stato io o tu, so solo che mi ritrovo con la mia bocca sulla tua e ti
sto baciando... mi stai baciando e c’è qualcosa di diverso un questo bacio,
c’è qualcosa di vivo e caldo, lo stesso fuoco che vedo bruciare nei tuoi
occhi. Mi vuoi, Oscar? Dimmi che è così, ti prego Non riesco a fermarmi, le
mie mani sono sul tuo corpo e comincio a toccarti, e non riesco a descriverti
quello che provo ora perché le sensazioni sono così violente che non hanno
parole adatte, solo la tua pelle sulle mie mani, la tua bocca nella mia, la tua
lingua contro la mia. Sento la tua camicia da notte scivolare mentre sciolgo
l’ultimo nastro e rimani nuda davanti a me e io mi fermo per guardarti.
Potrebbe finire tutto il mondo adesso, e io penso che rivivrei tutta la mia vita
solo per questo momento. Sei così bella, che non trovo le parole per dirtelo. E
all’improvviso mi assale questa paura incredibile, paura di farti male, di
ferirti ancora, di farti soffrire ancora. Non riesco a muovermi.
Allora sei tu a guidarmi, a prendere la mia mano e sorridi perché senti
che un po’ sto tremando e la posi sul seno. Non respiro quasi mentre le mie
dita scivolano piano sulla tua pelle e sento un gemito leggero da parte tua; e
poi le tue mani su di me e devo conficcarmi le unghie nel palmo per resistere al
tuo tocco che mi sta bruciando la carne. Ho letto tutto nei tuoi occhi in questo
momento. Ti sdraio sui cuscini e ti apro del tutto la camicia e rimango a
guardarti e anche tu non smetti di guardarmi e il tuo respiro si fa più veloce.
Non so cosa sai del sesso, Oscar,
non so cosa sai del piacere. Io di questi so tutto, ma non so nulla dell’amore
perché l’unica donna che ho amato sei tu e allora per me è come se fosse la
prima volta.
Ti sto accarezzando piano, ogni
centimetro della tua pelle, e la sento scottare. Non mi fermi mentre ti sfioro
il ventre, le gambe, la pelle morbida e delicata delle cosce e poi piano ti vedo
mentre apri un poco le gambe e sollevi il bacino, quasi senza rendertene conto.
La mia mano si posa sul tuo sesso e rimango per un attimo travolto da questa
sensazione, dal calore e dal tuo desiderio che percepisco fortissimo sulle mie
dita bagnate. Mi stacco per un solo
istante, per assaporare il tuo desiderio, quasi fosse il mio, e ti sento gemere
e chiamarmi e supplicarmi di non fermarmi. No Oscar, non voglio fermarmi, non
adesso che ti sento vicina al culmine, non adesso che i tuoi gemiti si sono
fatti più intensi e le mie carezze più forti e veloci. Devo chiudere gli occhi
per non guardarti mentre il piacere ti prende all’improvviso perché ho paura
che non riuscirò più a controllarmi. I movimenti dei tuoi fianchi rallentano
mentre quelli del mio cuore sono così violenti che temo tu li possa sentire. E
poi mi tendi la mano e mi chiedi di sdraiarmi al tuo fianco e cominci ad
accarezzarti e mi chiedi di guidarti in queste carezze. E io che vorrei tanto
fermarti perché ho aspettato troppo tempo questo momento per cedere così,
subito, non riesco nemmeno a parlare mentre le tue mani sciolgono i lacci dei
miei pantaloni e cominci ad accarezzarmi quasi con timore. Oddio, così,...
pianissimo, così piano che mi sento morire. Fermati, Oscar ti prego. Mi fissi
negli occhi ma non smetti di toccarmi e ti sento ansimare leggermente e il tuo
respiro si confonde con il mio. Sento il mio sesso che sta per esplodere. Mi
chiedi se ti voglio. Non posso più resistere. Tolgo la tua mano, quasi con
dolore e ti sdraio sui cuscini. Apri le gambe e allarghi le braccia. “Vieni
amore mio”. E' questo il momento che ho aspettato per tutta la vita. E' questo
l’amore, Oscar, che è anima, cuore, spirito, corpo. Sono le tue braccia che
mi circondano mentre mi muovo piano dentro di te, sono queste lacrime che sento
salire con prepotenza e che con altrettanta prepotenza cerco di ricacciare
indietro perché è un momento troppo bello per piangere. Vorrei che durasse per
sempre ma sento le tue mani posarsi sui miei fianchi e invitarmi ad accelerare i
movimenti per seguire quelli del tuo corpo. E poi vedo i tuoi occhi che mi
guardano. Non posso fermarmi ormai. Le tue grida mi giungono quasi lontane e il
tuo corpo che si inarca sotto il mio rompe gli argini della mia resistenza...
ecco, sto venendo, Oscar, ora. Così, così... fa' che sia per sempre...
Le mie grida si mescolano alle tue e
si perdono nel cuore di questa notte.
“Ti amo, Oscar.”
Victor le sfiorò il collo con un bacio leggero. Non sapeva quanto tempo erano
rimasti così, stravolti, sudati, senza nemmeno la forza di parlare. Lei lo
aveva stretto così forte da fargli quasi male e gli aveva impedito di uscire da
lei.
“Resta, Victor, ti
prego.”
Aveva sentito tutto
il suo amore in quelle parole e aveva affondato la testa nei suoi capelli, sopra
la sua spalla, per nasconderle le lacrime. Le mani di lei continuavano a
percorrergli la schiena, salendo e scendendo, all’infinito.
Si sollevò per
guardarla. Aveva gli occhi luminosi, e un sorriso sereno pieno di fiducia.
Avrebbe voluto farle tante domande... ma non ora, non quella notte che era solo
loro.
Le accarezzò il viso
con la punta delle dita.
“Sei così bella,
amore mio, questa notte mi hai fatto il dono più bello che avessi mai potuto
desiderare, e non solo perché hai fatto l’amore con me, ma perché l’ho
sentito, il tuo amore, l’ho sentito in ogni parola e ogni gesto.”
“Voglio che sia così
per sempre d’ora in poi. Ho sofferto così tanto nella mia vita.”
“Lo sai che farei
qualsiasi cosa per te,Oscar, qualsiasi. Dimmi quello che vuoi e io te lo darò.”
“Sì, non smettere
mai di dirmi che mi ami.”
E' mattina.
Vedo i raggi del sole filtrare
attraverso le tende. Una bellissima mattina. Mi sono alzata e sono rimasta
seduta a guardarti, senza vestiti addosso, incapace di distogliere lo sguardo
dal tuo corpo. Continuo ad andare con la mente a questa notte. Ho ancora sulle
labbra il tuo sapore. Non so più
quante volte abbiamo fatto l’amore, e ogni volta mi è sembrata più bella e
ogni volta se ne andava un po’ del dolore e del tormento di tutto questo tempo
passato. Sarà una strada lunga Victor, lo so, e lo sai anche tu, e so che non
mi abbandonerai. Ma sento di essere pronta
a ricominciare di nuovo; sono pronta ad amare ancora, incondizionatamente e
senza paure e sei tu la persona che amo.
Bussano alla porta. E' Constance con
la colazione. Mi guarda stupita, probabilmente si chiede cosa faccio nella tua
stanza; mi sento avvampare, ma poi il suo sguardo si posa dolce su di me e dice
“Vi lascio la colazione.” Sorride e scompare, silenziosa come sempre. Prendo
il vassoio e lo poso sul mobile vicino al letto. Ti do un piccolo bacio sulla
schiena. E' ora di svegliarti amore mio.
***
Su una tomba.
Guarda André: una rosa bianca.
Anche se agosto non è il mese delle rose, Victor dice che è quasi un miracolo.
L’ho vista questa mattina, piccola
e ancora chiusa, prima nata del roseto che ho voluto a tutti i costi portare in
vita. È il mio dono per te. Non verrò più, per un po’: non fino a che potrò
cavalcare di nuovo.
Aspetto un figlio. Non chiedermi come
lo so: non sono andata da un dottore. Lo sento e basta. Lo sento da alcuni
cambiamenti del mio corpo e perché certe cose una donna le capisce.
Credo che anche Victor lo sappia:
l’ho sentito dal modo diverso con cui fa l’amore con me e da
come questa notte mi ha preso fra le braccia e ha posato la mano sulla mia
pancia e l’ha tenuta fino a che non mi sono addormentata.
Io sono felice, adesso, sono così
felice che ho quasi paura. Ora so che non mi hai mai abbandonato in tutto questo
tempo e che, se sono ancora qui e sto per diventare madre, lo devo a te, al tuo
amore che è stato così forte da darmi la forza di continuare, nonostante tutto
e nonostante tutti. Continua a starmi vicino, io non ti dimenticherò, sarai
sempre una parte di me.
Ora devo andare. Victor mi aspetta:
ha bisogno di me, e io di lui.
Addio, André.
[1] = questa frase è
di Alessandra
[Nota sul titolo: sono stata indecisa fino all’ultimo fra “Una volta ancora” (mio) e “Una vita ancora” (di Laura) alla fine li ho lasciati entrambi perché non sapevo decidermi e ho scoperto che mi piacevano molto insieme.]
Fine
mail to: francesca_v@email.it