Capodanno di fine millennio
parte settima
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Parte VII
(Colonna
sonora: Red Hot Chili Peppers, Under the bridge)
…
dieci, undici, dodici...
André
si aggrappò al bordo del lavandino in bagno per non cadere.
Dodici
secondi. Ecco il suo tempo record, durante il quale era riuscito a rimanere ad
occhi chiusi, in piedi, senza attaccarsi a nulla.
Poi,
quel senso di vertigine improvvisa e l’impressione di essere in piedi su uno
spazio molto stretto e molto alto, circondato dal vuoto.
...
cristo santo... è questo quello che si prova a non vedere... non ce la farò
mai...
Un
nodo alla gola. Ancora il panico. Ci si era quasi abituato, in quei giorni.
Erano attacchi bastardi, che lo prendevano all’improvviso e gli facevano
sentire il cuore in gola e un senso di impotenza totale.
...
se non ci fosse lei...
Era
il 10 dicembre. Quel pomeriggio avrebbe saputo quali erano le sue condizioni
reali, avrebbe saputo se avrebbe perso la vista dall’occhio sinistro oppure
no.
Pensò
che quelle ore non sarebbero passate mai.
Erano
le otto e trenta di mattina, ma era sveglio da molto tempo, anzi, probabilmente
non aveva mai dormito quella notte.
Era
rimasto vicino ad Oscar, l’aveva vista addormentarsi alla luce della luna che
illuminava la stanza attraverso la finestra. Da quella notte in cui era stato
così male da voler morire e lei lo aveva portato nel suo letto, infondendogli
coraggio e un mare di tenerezza, non aveva potuto più fare a meno dei suoi
abbracci.
Avevano
dormito insieme tutte le notti e lui si era sentito al sicuro.
Ma
la notte passata era stato diverso; guardandola mentre dormiva, completamente
abbandonata, un braccio appoggiato sul cuscino e l’altro lungo il fianco, con
la mano posata vicino al seno, si era sentito invadere da un desiderio
irrefrenabile. Non che le alte notti non l’avesse desiderata, tutt’altro...
da quel maledetto sabato non aveva fatto altro che pensare a lei, di fare
l’amore con lei, ma la dolcezza di quegli abbracci notturni e di quella
ritrovata intimità che condividevano durante il giorno lo aveva reso così
felice e appagato che il sesso gli era quasi sembrato un accessorio,
complementare e necessario, ma pur sempre secondario.
La
notte passata era stato diverso: aveva avuto voglia di lei, voglia da impazzire.
Le immagini di loro due sul tavolo, avvinghiati, ansimanti, e i loro sospiri, le
grida, il suo sapore... tutto era così vivo e presente.
Avrebbe
voluto svegliarla... ma l’idea lo aveva terrorizzato al contempo.
...
calmati ragazzo mio, vuoi combinare un altro disastro? non è sufficiente quello
che è successo?...
Si
era alzato, sudato e teso e aveva pensato a tutti i discorsi di Alain su
“quanto facesse bene ogni tanto un po’ di sano autoerotismo”... la faceva
facile lui!
... sei un po’ cresciuto per certe cose, non credi?...
E
poi si sentì tremendamente in colpa nei confronti di Oscar per quei pensieri.
Dio...! Era da quando era ragazzino che non gli capitava più di sentirsi così
frustrato...
Si
era alzato piano e si era ficcato sotto la doccia, facendo attenzione a non
bagnare i bendaggi.
...
una bella doccia fredda... vecchio rimedio sempre efficace.
E
poi, l’aveva sentito arrivare all’improvviso, come una scossa elettrica. Il
panico. Oggi avrebbe saputo, ma oggi sembrava così lontano. Erano le quattro
del mattino. Mancavano esattamente dodici ore all’appuntamento con lo
specialista. Quelle dodici ore gli sembrarono un vuoto infinito, incolmabile.
Per
un attimo pensò a Bernard e ai suoi “rimedi naturali” a base di maria...
“Un rimedio eccezionale contro l’insonnia” l’aveva definita. Avrebbe
fatto anche questo pur di svegliarsi quando tutto fosse stato finito.
Vorrei
che fosse adesso. Sarei disposto anche ad accettare una diagnosi negativa, ma
almeno lo so e mi metto in cuore in pace. È l’attesa che non reggo più...
Poi,
lentamente, si era ripreso.
Quattro
ore erano bene o male passate e ora si ritrovava ad osservare la sua immagine
riflessa nello specchio. Era tornato quasi “normale”, a parte la benda
sull’occhio. I capelli sembravano essergli cresciuti alla velocità della
luce, ormai arrivavano alle spalle. Sentiva il bisogno di lavarli, una bella
doccia, un mare di shampoo, mica quell’accidenti di shampoo secco che era
stato costretto ad usare per due settimane per non rischiare di bagnare le
medicazioni.
“Ciao.”
Si
girò di scatto. Oscar lo osservava dalla porta del bagno. Aveva l’aria di
essere lì da un po’.
“Tutto
bene?” lo guardava con aria preoccupata.
“Vorrei
lavarmi i capelli. Con l’acqua. Non so cosa darei.”
Vide
un sorriso furbo spuntarle sulle sue labbra.
“Ok,
allora facciamolo.”
Due
minuti dopo era seduto con la testa reclinata nel lavello con Oscar che gli
sciacquava delicatamente i capelli, evitando con attenzione le bende che
arrivavano sulla fronte.
“Una
meraviglia... sei una brava shampista, avresti un futuro!”
Oscar
sorrise mentre lo aiutava a mettersi seduto.
“Certo!
Ho sempre pensato che, se non mi fossi laureata in ingegneria informatica, avrei
aperto un negozio di parrucchiera per uomo. Ti ricordi che capolavori ti ho
fatto con il rasoio elettrico...”
André rise. Ricordava bene quando tanti anni fa lo
aveva rasato a zero, dietro sua precisa richiesta.
“Tagliami i capelli. Adesso.”
“Come? Stai scherzando vero??”
Non stava scherzando. Oscar lo capì dal tono di voce:
una supplica, quasi. Capì che André stava disperatamente cercando qualcosa che
lo distraesse dall’angoscia di quelle ore. Provò ancora una stretta allo
stomaco e, ancora una volta, si sentì impotente.
Nei
giorni passati, avevano ripreso ad ascoltare musica e avevano perfino parlato
del concerto. André aveva cominciato a rispondere al telefono e aveva accettato
che qualche amico venisse a trovarlo: Alain e Bernard si erano fiondati
immediatamente e perfino Victor era passato a salutarlo. Gli aveva regalato un
cd dei Rage Against the Machine, e, conscio della serietà dell’incidente,
aveva detto ad André che non avrebbe avuto nessun problema a spostare la data
del concerto a quando si fosse rimesso completamente. Ma André aveva rifiutato
con decisione: avevano faticato tanto per arrivare fino a lì e non lo avrebbe
fermato niente al mondo.
Ma
sotto questa aura di serenità e tranquillità, Oscar aveva sentito la
preoccupazione e la paura di André crescere man mano che si avvicinava il
giorno in cui avrebbe dovuto affrontare la visita. Non che lasciasse trapelare qualcosa; dopo la notte in cui le
aveva confessato, piangendo, tutto il suo terrore di non vedere più, André non
aveva fatto più cenno alla cosa, anzi, sembrava investito di un nuovo
ottimismo.
Ma
Oscar si accorgeva che era tutta una facciata; lo aveva visto molte volte,
quando non sapeva di essere osservato, fissare il vuoto, con la bocca serrata e
un leggero tremito sulle labbra. Allora sapeva che stava pensando a quello che
avrebbe potuto essere il suo futuro, a come sarebbe stata la sua vita con un
occhio solo, a quali rischi c’erano di diventare completamente cieco.
Oscar provava una gran pena. Pochi giorni prima, mentre André riposava, le era venuto l’istinto di aprire un vecchio album di fotografie. Ci aveva trovato una foto di tanti anni prima dove André, sulla spiaggia di Biarritz, con la tavola da surf sotto un braccio e il segno della vittoria sull’altra mano, sorrideva al fotografo; felice, gli occhi verdi che scintillavano sull’abbronzatura. Poco più lontano, lei faceva la linguaccia.
Mio
dio... sembra una vita fa, sembra quasi la vita di qualcun altro.
Si era sentita improvvisamente triste; aveva avuto l’impressione di aver buttato via una parte della sua vita inseguendo delle cose completamente inutili. Le era venuta una voglia pazzesca di correre di là, svegliare André e chiedergli di tornare indietro nel tempo con lei.
Ma poi, aveva cercato di razionalizzare e si era detta che non poteva scaricare le sue frustrazioni su André, soprattutto in questo momento, che doveva essere forte ed equilibrata per lui.
Si riprese di colpo
“E perché no? Lo abbiamo già fatto una volta...”
“Sì, però ora vacci piano, eh? Solo una spuntata, magari sotto le orecchie…” Aveva giurato in un no secco di Oscar e questa risposta entusiasta lo aveva spiazzato non poco. Però non poteva tirarsi indietro... che cavolo! Si trattava di capelli. Male che fosse andata, sarebbero ricresciuti.
Dopo mezz’ora passata in assoluta concentrazione, Oscar si fermò a rimirare la sua opera.
“Ecco fatto! Sei bellissimo.”
“Dici?” André era dubbioso.
“Come no! Guardati.”
Lo girò verso lo specchio.
“Porca miseria! Sembro Bernard!”
Era vero: lui e Bernard si assomigliavano parecchio, e, con questo taglio, appena sotto le orecchie e scalato, che gli rendeva i capelli più mossi, avrebbero potuto tranquillamente passare per fratelli.
“Beh, ti manca l’orecchino, e poi lui non ha gi occhi verdi come i tuoi.” Si pentì subito dell’allusione, seppur involontaria. Aveva visto André irrigidirsi leggermente alla menzione degli occhi.
Sei
proprio una gran cretina. Stai facendo di tutto per non farlo pensare
all’occhio e ti lasci scappare una cosa del genere.
Si inginocchiò di fronte a lui. Era ora di fare quattro chiacchiere.
“Ascolta, André. Lo so benissimo a cosa stai pensando. E so anche che stai cercando di farti forza e di non dare a vedere quanto sei spaventato. Ma io sono sicura che andrà tutto bene. Ti ricordi cosa ha detto il dottore l’ultima volta che è venuto? Che era ottimista. Che gli sembrava che stesse migliorando. Vedrai. Andrà tutto bene.” Si stupì lei stessa di quanto quelle parole sembrassero sincere e convincenti.
Forse
perché ho bisogno di crederci io per prima...
“E
se non fosse così?” André la fissò.
“Allora
ci penseremo. Insieme. Affronteremo tutto insieme. Io non ti lascio solo, André.”
André sentì le lacrime salire. Attirò Oscar a sé e affondò il viso nei suoi capelli. Non voleva che lo vedesse piangere di nuovo.
************
“Signor Grandier. Si accomodi.” L’assistente del dottor Martin Bosh, uno dei migliori specialisti in chirurgia oculistica di Parigi, lo invitò ad entrare nello studio.
André sentì le ginocchia cedere e il cuore perdere un battito. Oscar gli strinse dolcemente il braccio.
“Va’, ti aspetto qui.” Gli rivolse un sorriso fiducioso. Dentro, si sentiva morire.
Il dottore rivolse ad André mille domande: gli chiese dell’incidente, delle medicine che aveva preso, del dolore che provava, degli effetti della luce. Sembrava non finire mai. Fu un’ora di interrogatorio da Gestapo.
“Bene, ora vediamo.”
André cercò di deglutire mentre veniva fatto accomodare sulla poltrona per la visita. Sentì le mani del dottore che gli toglievano la benda e fu subito investito dalla luce. Provò una fitta acuta e non riuscì a trattenere una smorfia.
“Reagisce alla luce. Molto bene.”
André riprese a respirare.
La visita continuò per un’altra ora. Un susseguirsi di “guardi in alto”, “provi a roteare la pupilla”, “cosa vede ora”, “quanto le fa male”, “che tipo di dolore sente”. Per non parlare dei vari monocoli, specchietti e apparecchi con cui il dottore lo ispezionava. Sentiva la testa scoppiargli e un bruciore pazzesco all’occhio. Non vedeva nulla, solo luce. Forte e fastidiosa.
All’improvviso il dottore si alzò, si lavò le mani e si sedette sullo sgabello di fronte a lui.
“André, posso dire tranquillamente che il peggio è passato. L’ematoma si è completamente riassorbito e il nervo ottico sembra rispondere molto bene agli stimoli esterni.”
Ci volle un attimo prima che André metabolizzasse il senso della frase. Stava dicendo...
“Quindi non perderò la vista...” sentì che la voce gli tremava ma non gliene importò nulla.
“No. Non ci sono rischi. Ora però bisogna riabilitarlo. Dovremmo fissare una serie di incontri con l’optometrista. Direi tre alla settimana per due settimane, poi due per altre tre settimane, poi vediamo. Lo so che è un grande impegno, ma è l’unica cosa che le garantisce il recupero totale.”
Tre volte, quattro volte; ad André non importava, sarebbe andato anche tutti i giorni della sua vita. Non aveva perso la vista. Questa era l’unica cosa che contava.
“Sarebbe bene che cominciasse a stare senza benda, poche ore al giorno. Ma se la rimetta non appena lo sente affaticato. Eviti le fonti di luce diretta e usi il più possibile occhiali da sole scuri, anche in casa. Le prescrivo delle bende oculari piccole, un collirio che dovrà mettere tutte le volte che decide di stare sbendato e uno per la notte, prima di andare a dormire. Dovrà stare un po’ alla sua sensibilità, ma sono sicuro che saprà regolarsi senza problemi. Venga, le scrivo tutto e fissiamo le sedute.”
Mio
dio, ti prego, dimmi che non sto sognando. È tutto vero. Io... io non ci
credo...
“Dottore... posso vedere...”
“Certo, venga. C’è uno specchio.”
André rimase sorpreso. L’occhio sinistro sembrava perfettamente sano, solo un po’ appannato e fisso. Ma non aveva lividi né escoriazioni. Rosalie glielo aveva detto, ma lui si era rifiutato ugualmente di guardarlo.
L’incubo era finito.
Oscar vide la porta dello studio aprirsi e si alzò di scatto, con il cuore che correva come un treno.
Ma gli bastò vedere il sorriso di André, luminoso, felice, come non se lo ricordava da tempo.
...
due settimane...
La vistosa fasciatura era stata sostituita da una piccola benda oculare. Sorridevano, lui e il dottore, mentre si davano la mano. Oscar si sentì così felice che le venne voglia di piangere. Ma non era il momento di piangere. Era il momento di sorridere.
Sentì le braccia di André che la avvolgevano in un abbraccio rassicurante; le sue labbra che si posavano sui suoi capelli; la sua voce che le sussurrava che era tutto a posto.
Uscirono correndo dallo studio, tenendosi per mano come due ragazzini, ridendo. Si ritrovarono per strada e all’improvviso, come in un sogno, si trovarono avvolti dalle luci scintillanti, dai colori e dai suoni di una Parigi che si preparava al Natale.
Rimasero a bocca aperta. Avevano vissuto per due settimane come reclusi, indifferenti a tutto quello che succedeva fuori, talmente concentrati sulle paure e le preoccupazioni da dimenticarsi perfino che era quasi Natale.
Era come se vedessero tutto per la prima volta. E tutto sembrava meraviglioso.
“Oscar, voglio addobbare l’albero, stasera, però prima voglio andare a comprare delle decorazioni tutte nuove. Ah, visto che ci siamo, andiamo a casa a piedi e facciamo la spesa. Stasera cucino io. Voglio ricambiare tutte le cose buone che mi hai fatto. Uh, poi devo chiamare tutti. Voglio anche sapere da Alain come sta la moto. So che ci ha lavorato...”
Certo,
André, tutto quello che vuoi, sono così felice di vederti così. È il regalo
più bello.
Suonò
il cellulare di André. Lo aveva riacceso per la prima volta dopo due settimane.
“Alain! Certo che sto bene. Benissimo. Tutto a posto! Come? Certo che puoi venire questa sera.” Si girò verso Oscar per avere anche l’ok da parte sua. Ricevette un sorriso di conferma. “Sì, va benissimo, dillo anche a Bernard e a Rosalie, anzi dillo a chi vuoi. Direi che questa sera si festeggia, mi sembra che ce ne sia motivo!... Ok, alle otto. Portate da bere, alla cena ci pensiamo noi... Ok, certo che te la saluto. A dopo. Ciao!” Si rivolse ad Oscar: “Non ti dispiace, vero...”
“No, certo che no!” Lo disse con sincerità, anche se, in realtà, aveva sperato di fare una serata sola con lui.
L’indomani sarebbe ritornata al lavoro e questa prospettiva, per la prima volta nella sua vita, l’angosciava. Aveva bisogno di parlargli, stava aspettando da troppo tempo c’erano tante cose che voleva dirgli...
Vabbè,
non è che cambi molto, oggi, domani..., in fondo è una serata troppo
importante per lui... non voglio essere egoista.
Si fermarono a fare la spesa e presero anche le decorazioni per l’albero. André aveva deciso che lo avrebbero fatto tutti insieme.
Passarono una serata molto piacevole. Era bello avere intorno tutti gli amici, anche se Alain aveva portato Victor... Ma André sembrava non avere il minimo problema con lui e Oscar si rese conto che si stava facendo una marea di quelle che André definva “seghe mentali”. Decise di rilassarsi e di godersi la compagnia e, soprattutto, l’allegria e la vitalità di André.
Non riusciva a non guardarlo, mentre parlava e rideva ora con l’uno ora con l’altro. Si sentiva bene, per lui e per se stessa. Era così felice che non reagiva nemmeno alle battutacce che Alain le faceva e ai doppi sensi di Bernard.
“Che hai Oscar, ti senti male? Perché non ti incazzi nemmeno???” Bernard la guardava preoccupato. Non era da lei lasciarsi sfottere così, senza rispondere.
“Caro, sei diventato così scontato che trovo una perdita di tempo e di energie anche solo provare a risponderti. Tanto fai tutto da solo!”
Bernard si sentì rassicurato e si rimise ad attaccare palline sull’albero di Natale.
André e Alain cantavano a squarciagola sulle note di Under the Bridge dei Red Hot Chili Peppers, evidentemente alticci.
Victor chiacchierava amabilmente con la sua nuova fiamma, una splendida ragazza che avrebbe potuto avere sì e no vent’anni e che lo guardava in completa adorazione. Oscar sorrise… ci era passata anche lei...
Rosalie
e la sua compagna, Anne, ridevano alle battute di Gerard, il tastierista che era
entrato a fare parte della band da poco più di un mese.
Oscar si sentì il cuore scoppiare dall’affetto e dalla gratitudine per quelle persone fantastiche. I loro amici.
Se ne andarono tutti alle tre di notte, lasciando la casa in uno stato di disordine mai visto e l’albero decorato a metà. Avevano bevuto tutti parecchio, tutti tranne Oscar che aveva solo quattro ore di sonno prima della sveglia.
“Oscar... baby, fatti un bicchierino con me... facciamo cin cin.”
Oscar faticò per non scoppiare a ridere: André era evidentemente ubriaco, barcollava e si vedeva che si doveva impegnare per cercare di parlare senza biascicare. Fece due passi nella sua direzione e inciampò in una tavolino di cui non si ricordava l’esistenza. Sentì le braccia di Oscar che lo afferravano al volo e poi tutto cominciò a girare...
“Oddio, Oscar... credo che sto per...”
“Nononono, non qui bello mio, forza, di corsa in bagno, resisti.”
Non riusciva a trattenere un sorriso. Le sembrò di tornare ai tempi dell’università.
Raggiunsero il bagno appena in tempo.
Oscar non si mosse. Trovava tutta la scena molto comica: André, il grande uomo che in tempi passati reggeva l’alcol meglio di chiunque altro, messo a ko da un po’ di vino.
Dopo un tempo che gli parve infinito, André sentì di aver vomitato tutto quello che poteva, e anche di più. La testa girava molto meno, in compenso, si sentiva lo stomaco in fondo ai piedi. Riuscì a voltarsi e vide che Oscar lo stava fissando sulla porta, le braccia conserte e un sorriso a trentadue denti stampato in faccia.
“Che cazzo hai da ridere, me lo spieghi?” riuscì a biascicare.
Oscar dovette trattenersi per non peggiorare la situazione. E poi cominciava a fargli un po’ pena. Si vedeva che era debilitato, non solo perché aveva vomitato l’anima, ma perché nei giorni scorsi aveva perso sei chili. Era logico che, alla prima bevuta seria, non avrebbe retto.
Bagnò un asciugamano e si sedette vicino a lui, tamponandogli la fronte, il collo, la testa.
“Va meglio?”
Ooh!
Una meraviglia...
“C... credo di sì. Però lasciami qui. Non ce la faccio ad andare a letto. Dormo per terra.”
“Come
no! Forza, ragazzino, alzati che ti metto a letto. Mi devo alzare fra meno di
quattro ore e non voglio trovare un cadavere nel bagno.”
Con uno sforzo immane e l’aiuto di Oscar riuscì ad arrivare al letto, sui cui si lasciò cadere come un sacco di patate. Si lasciò spogliare e coprire.
“Finirà che mi abituo troppo a farmi spogliare da te. Devo ricambiare in qualche modo. Se vuoi ti aiuto io, ora.” Lo disse ridendo, già mezzo addormentato, ma Oscar si sentì avvampare.
“Magari quando sei meno bevuto. Potrei avere delle aspettative che non sei in grado di soddisfare così messo.”
Ma
cosa sto dicendo?
André la fissò con uno sguardo perplesso. Era troppo cotto per capire se scherzava o no. Sentiva gli occhi pesanti. Si addormentò quasi di colpo.
Oscar rimase a guardarlo per un po’. Era stata una giornata molto importante. Quella sarebbe stata, probabilmente, la prima notte veramente serena da un parecchio tempo, sbronza a parte...
Gli sfiorò il viso in una carezza piena di tenerezza e notò che era ancora più bello con i capelli più corti e il viso finalmente libero dalle bende.
La sveglia segnava le tre e quaranta. In realtà non aveva mai avuto problemi a dormire poco, ma si rese conto che non poteva rimanere a dormire con André, quella notte. La sua sveglia sarebbe suonata alle sette in punto, e lui avrebbe già avuto un brutto risveglio post sbornia. Non voleva peggiorargli la situazione.
Uscì dalla sua camera a malincuore e si diresse verso la propria.
Ma non riusciva a prendere sonno. Sdraiata sul letto, avvolta solo nell’accappatoio, pensava a come le cose erano cambiate. Era inutile nasconderlo: lei e André non erano più semplicemente amici, c’era molto di più, almeno da parte sua. Già. Ma cos’erano? “Fidanzati”? Il solo pensiero la fece ridere; suo padre avrebbe apprezzato molto il concetto di fidanzamento, lei lo trovava semplicemente ridicolo e anacronistico.
Erano amanti? Beh, di certo non potevano continuare a fare finta che non fosse successo nulla. Ma di certo non riusciva a vedere André come aveva visto Victor tempo prima: una “fantastica macchina da sesso” per dirla come Alain. C’era molto di più...
...
è amore...
Cercò di scacciare il pensiero. Le faceva paura. Soprattutto perché non sapeva quale era la natura dei sentimenti di André verso di lei. Le aveva detto delle cose molto belle, è vero, però potevano essere state dettate dal momento di paura, dalla debolezza, dalla gratitudine.
Sentì che i pensieri stavano cominciando ad assumere sfumature bizzarre, prendere direzioni proprie e sfociare in altri pensieri. In uno stato di dormiveglia, si trovò a rivivere il momento in cui lei ed André avevano fatto l’amore. Questa volta però era diverso dalle altre volte in cui l’aveva sognato, era molto più “fisico”. Sentiva la bocca di André sul collo, Sentiva le sue mani sui suoi seni, sentiva i capezzoli irrigidirsi al tocco di dita che li sfioravano, sentiva il calore crescere dentro di lei, sentiva i suoi sospiri soffocati, sentiva le carezze spingersi sempre più verso il basso, oltre il ventre, sentiva il suo corpo rispondere a quelle carezze con movimenti sempre più convulsi, sentiva la sua voce che lo chiamava fra i sospiri.
Sentì il piacere arrivare violento, come un’onda di piena, travolgere il corpo e la mente. Chiuse gli occhi per continuare a vedere il viso di André sopra il suo. Dovette mordersi un labbro per non gridare.
Rimase
per parecchio tempo immobile, una mano posata vicino al seno e l’altra buttata
indietro, sul cuscino.
Non pensò a nulla, rimase così, semplicemente abbandonata a se stessa e all’immagine di André che sbiadiva nella sua mente, fino a che non scivolò lentamente nel sonno.
Continua
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