Capodanno di fine millennio

parte sesta

 

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Parte VI

 

(Colonna sonora: Soundgarden - Fell On, Black Days)

 

Riportarono a casa André il lunedì successivo.

I cinque piani a piedi, nonostante l’aiuto di Alain e Oscar, lo avevano sfiancato e ora giaceva sul divano, in silenzio  con gli occhi chiusi.

 

Oscar lo guardò, preoccupata. Si chiese se era stata davvero una buona idea quella di portarlo via dall’ospedale.

 

Si sedette di fianco a lui e, con delicatezza, gli spostò i capelli dalla fronte.

 

“Vieni, devi andare a letto, il dottore ha detto….”

 

“Lo so cosa ha detto il dottore, ma non ce la faccio più a stare sdraiato in un letto. Ti prego, solo qualche minuto.”

 

Una fitta fortissima gli trapassò l’occhio ferito. Portò d’istinto la mano sul viso e soffocò con fatica un gemito di dolore. Non voleva che Oscar lo vedesse così, non voleva spaventarla.

 

“André!”

 

“Non ti preoccupare, Oscar, non è nulla” mentì. Anche parlare gli costava fatica. Cercò di metterla a fuoco con l’occhi destro, ma doveva essere ancora molto gonfio perché riusciva solo a intravedere la sua sagoma sfuocata.

 

Sentì la mano di lei che gli sfiorava dolcemente la guancia.

“Non devi sforzarti di parlare, e nemmeno di aprire l’occhio. Devi avere solo un po’ di pazienza, adesso sembra una melanzana, ma vedrai che fra pochi giorni sarà del tutto sgonfio. Ora, da bravo, vieni che ti accompagno a letto. Fra un po’ arriverà Rosalie a farti l’iniezione e se ti vede alzato poi ci ammazza tutti quanti.”

 

Gli aveva parlato con molta dolcezza ma anche con determinazione; André capì che non avrebbe avuto nessuna possibilità di vittoria. Lasciò che si prendesse cura di lui.

 

“Va bene, Oscar, hai vinto tu.”

 

Non vide la strizzata d’occhio divertita che Alain aveva lanciato ad Oscar.

 

Si lasciò accompagnare nella sua camera da Oscar; Alain si era offerto di preparare del tè. Capirono entrambi che stava gentilmente trovando una scusa per lasciarli un po’ da soli.

 

Dovette aiutarlo a spogliarsi; ogni movimento gli faceva patire le pene dell’inferno: i postumi della caduta e dell’impatto violento del suolo ormai si facevano sentire tutti, ma riuscì a controllarsi e a non lamentarsi.

 

“Ti sto facendo male, André?”

“No, sei bravissima.” Cercò di avere un tono convincente.

 

Gli sfilò il maglione e la T-Shirt cercando di evitare ogni contatto con il viso; poi fece per sbottonargli i jeans.

 

“Lascia, faccio io…”

“Oh, André ti prego…” lo disse come se l’imbarazzo di André fosse una cosa ridicola. In realtà, quel gesto così intimo la riportò per un attimo a due sere prima. Si sentì avvampare e fu egoisticamente contenta che lui non potesse vederla in quel momento.

 

“Ecco fatto, ora infilati sotto le coperte. Sei stravolto, si vede, anche se cerchi di fare il duro.”

 

Lo coprì e si sedette sul bordo del letto.

 

“Dimmi la verità, senti molto male?” Prese la sua mano fra le sue. André sentì che quella stretta gli infondeva coraggio.

 

“Un po’. Non tantissimo. Si riesce a sopportare.”

 

Oscar lo guardava dubbiosa, voleva credergli ma la mascella contratta, l’evidente difficoltà nel parlare e il modo con cui ogni tanto serrava i pugni le dissero che stava mentendo.

 

“Sei un pessimo bugiardo, André.” Lo disse sorridendo.

 

Restarono in silenzio per qualche istante, un mare di pensieri, di emozioni, di cose non dette che venivano a galla prepotentemente tutte insieme e che, pure, non erano ancora pronte ad uscire.

 

Ci sono tante cose che vorrei dirti, André, ma non posso farlo ora…

 

Sarebbe stato da pazza egoista, ora lui stava male, era spaventato, non era certo il momento per le confessioni sentimentali. Avrebbe aspettato che stesse meglio, poi gli avrebbe parlato, gli avrebbe rivelato quello di cui si era resa conto. Gli avrebbe detto semplicemente

 

Io ti amo, André.

 

Ma voleva prima che lui stesse bene, ora, probabilmente l’avrebbe solo sconvolto.

Ricacciò indietro la sensazione che, ancora una volta, stava cercando qualcosa dietro cui nascondersi.

 

“Toc toc, si può?” Rosalie si affacciò alla porta della camera, Oscar si rese conto che non aveva nemmeno sentito il citofono. Per quanto tempo era rimasta in quella stanza?

 

“Come sta il nostro cuccioletto? Sta’ zitto, André, non c’è bisogno che rispondi, la tua faccia parla da sola… Ora facciamo una punturina così ti fai una bella dormita. Forza, girati e tira fuori quelle belle chiappe sode. Oscar, resti a goderti lo spettacolo? E tu, Alain?”

 

"Come no, non me lo perderei per nessuna cosa al mondo” rispose Alain con una grossa risata. Oscar non parlò, la dirompente, nuova, vitalità di Rosalie riusciva ancora a stordirla.

 

Rosalie aiutò André a girarsi e, senza troppi complimenti, gli abbassò i boxer, poi, improvvisamente, si rivolse ad Oscar: “Fai tu, cara, visto che dovrai fargliele tre volte al giorno, tanto vale toglierci il pensiero. Ti ricordi ancora come si fa, vero?”

 

“Certo...” Ma non ne era così sicura. Rosalie le aveva insegnato a fare iniezioni ai cavalli di suo padre; poi aveva avuto come pazienti due cani e il suo adorato gatto; una volta perfino sua sorella in piena crisi da cervicale, ma era stato più di due anni fa.

Nonostante la testa gli facesse male e l’occhio sinistro gli bruciasse da impazzire, André non riuscì a non cogliere il lato umoristico della situazione.

 

“Ragazze, vi prego, è già abbastanza umiliante…” Non aveva finito la frase che sentì una leggera puntura sulla natica.

 

“Brava, Oscar, vedi che animali e uomini non cambia molto!”

 

Oscar sorrise; il solo contatto con la pelle di André le aveva dato un brivido. Scacciò quel pensiero quanto mai inopportuno.

Aiutò André a rimettersi sdraiato e lo ricoprì con il piumone; poi gli infilò un altro cuscino dietro la schiena e, con un gesto naturale, gli passò delicatamente le dita fra i capelli, allontanandoli dal viso.

A Rosalie non sfuggì la profonda intimità racchiusa in quel gesto. Sorrise fra sé.

 

Era ora, ragazza mia, cominciavo a pensare che fossi un caso disperato.

 

Uscirono dalla stanza di André e spensero la luce.

“Queste iniezioni, oltre ad essere un antibiotico molto forte, lo faranno dormire parecchio. Si sentirà molto debole: è importante che segua la dieta che vi ha dato Grancourt e prenda con regolarità le vitamine e gli integratori.”

 

“Rosalie, in tutta sincerità, tu hai visto la ferita: credi che…” Alain non riuscì a terminare la domanda e si diede dello stupido per essersi lasciato sfuggire i suoi dubbi davanti ad Oscar.

 

“Non lo so, Alain. In realtà la ferita in sé non è niente di che, è il rischio di una lesione permanente al nervo ottico... ma è stato fatto un ottimo lavoro e, soprattutto, sono intervenuti subito. Inoltre André ha una fibra molto resistente. Non mi pronuncerei su qualcun altro, ma trattandosi di lui, mi sento di essere ottimista.”

 

Oscar pregò dentro di sé che Rosalie avesse ragione.

 

“Ora devo lasciarvi. Dai un bacio al bel tenebroso da parte mia” Lo disse facendole l’occhiolino, e lo sguardo che le lanciò, fece capire ad Oscar che Rosalie aveva perfettamente intuito come stavano le cose.

 

“Andrei anch’io, Oscar, devo tornare in officina. Mi mancherà il mio socio.”

 

“Sì, certo. Non so come ringraziarvi. Non so cosa faremmo senza di voi.”

 

“Non dirlo nemmeno per scherzo: gli amici servono anche a questo. Piuttosto, chiama per ogni cosa, a qualsiasi ora del giorno e della notte. Ciao piccola.” Alain, le diede un leggero bacio sulla guancia.

 

“Certo, grazie ancora, ragazzi.”

 

Si chiuse la porta alla spalle. La stanza era silenziosa quasi in modo innaturale. Si rese conto che era la mancanza della musica a darle questo effetto di vuoto. Era la prima volta che André era in casa e non ascoltava musica.

Spense la luce e appoggiò la schiena alla porta.

Guardò la pioggia che continuava a cadere fuori dalla finestra.

Tutta la stanchezza, la tensione, la paura di quei due giorni le piombarono addosso di colpo.

Aveva voglia di piangere ma si rendeva conto che non ci riusciva.

Solo un nodo che le serrava la gola.

Per un attimo pensò che era solo un brutto sogno e che fra un po’ si sarebbe risvegliata. Ma poi la realtà dei fatti si parò di fronte a lei, in tutta la sua durezza: André era di là, ferito, con il rischio di perdere un occhio. E lei si sentiva impotente.

 

Si avvicinò piano alla sua camera, aprì la porta ed entrò senza fare rumore. Avvicinò la sedia della scrivania al letto e posò delicatamente la mano sulla sua. Restò a guardarlo. Il suo bellissimo viso era quasi irriconoscibile sotto i lividi violacei e la benda che gli copriva quasi metà della faccia. Sapeva che non si era ancora guardato allo specchio, e sapeva anche che non sarebbe stato un momento facile, quando l’avrebbe fatto.

Ma lei sarebbe stata lì. Ci sarebbe stata sempre, da quel momento in poi; forse non era tanto brava con le parole, ma gli avrebbe dimostrato con i fatti tutto il suo amore, prendendosi cura di lui.

Aveva perfino chiesto due settimane di ferie, per stargli vicino, lasciando il suo ufficio nello sconforto più totale: lei, che in sei anni non aveva fatto mai un’assenza. Ma non se ne era curata; la sua giovane assistente che la seguiva come un’ombra sarebbe stata perfettamente in grado di sostituirla, e poi, aveva sempre il suo portatile per le emergenze.

E se volevano licenziarla, al diavolo, che lo facessero.

 

Sarebbero state due settimane difficili, ne era consapevole: André sarebbe dovuto dipendere da lei in molte cose, e lei sapeva bene quanto questo gli sarebbe costato e che avrebbe fatto di tutto per fare da solo. Era troppo orgoglioso e indipendente per chiedere aiuto. Ma lei era più determinata che mai.

Prima o poi, avrebbero anche dovuto dire qualcosa alle famiglie. Per il momento avevano deciso di non dire nulla: Oscar, terrorizzata all’idea che sua madre si fiondasse immediatamente da loro, con i suoi incensi,  i suoi beveroni alle erbe e le sue teorie sul karma; André, dal canto suo, non se la sentiva di vedere nessuno, e non avrebbe sopportato nemmeno le cure amorevoli di sua nonna che, oltretutto, si trovava in quel momento ad Arras, con la famiglia di Oscar.

 

Se ci sarai tu, Oscar, non avrò bisogno di nessun altro.

 

Oscar cominciò a sentire gli occhi pesanti; André dormiva tranquillo, ma non voleva lasciarlo solo. Si alzò senza far rumore e, sempre cercando di non svegliarlo, si stese sul letto di fianco a lui. Lo guardò ancora mentre dormiva e sentì il sonno vincerla piacevolmente. Si addormentò con la sua immagine nella mente.

 

******************

 

I giorni seguenti passarono lentamente.

 

André dormiva molto, aiutato dalle medicine. L’occhio destro migliorava rapidamente e cominciava a vedere abbastanza distintamente, ma doveva dipendere da Oscar per molte cose.

Era debole e aveva bisogno che lei lo aiutasse ad alzarsi ogni volta che doveva andare in bagno o che voleva stare un po’ sul divano. Detestava questa dipendenza, ma non poteva farne a meno. Oscar, del resto, si stava curando di lui con una dedizione completa che gli riempiva il cuore: aveva perfino imparato a cucinare quelle assurde zuppette che il dottore gli aveva imposto e che riusciva a deglutire con molta fatica. Si rendeva conto di essere spesso nervoso e scontroso, ma lei non perdeva mai la pazienza, lo assecondava nelle cose in cui poteva farlo e diceva di no, gentile ma determinata, alle cose che sapeva di non potergli concedere.

Faceva fatica a parlare, una frase intera gli faceva dolere la testa e, di riflesso, l’occhio. Lasciava che fosse lei a parlare, la ascoltava mentre con la sua voce calda e tranquilla gli raccontava delle persone che avevano telefonato per lui, di Alain che chiamava ogni sera per sapere come stava e per raccontarle di come andavano le cose, del suo ufficio, che la tempestava di mail per le cose più stupide, delle notizie dal mondo, di come il suo occhio destro si stesse sgonfiando.

Lui l’ascoltava e spesso si lasciava cullare dalla sua voce e si addormentava. A volte l’aveva sognata.

Non avevano fatto cenno a quello che era successo, ma André comprendeva Oscar, e lui per primo non se la sentiva di affrontare questo argomento, non solo per il dolore fisico e la fatica che una discussione del genere gli sarebbero costati, ma soprattutto per il disprezzo che provava per sé stesso al ricordo, vivissimo, delle parole che le aveva urlato addosso. Lei era lì, solo per lui, e lui l’aveva trattata come una puttana.

Non era ancora pronto ad affrontare il discorso, perché, quando l’avrebbe fatto, sarebbe stata la volta definitiva e lui avrebbe dovuto essere forte e in salute per accettarne tutte e le conseguenze, nel bene e nel male.

 

Le giornate venivano scandite dalle visite di Rosalie che veniva a cambiare la medicazione e a controllare le condizioni dell’occhio: era una cosa molto dolorosa, che lei cercava di fare con tutta le delicatezza e l’abilità di cui era capace e che André sopportava con uno stoicismo quasi commovente. Ma era stato felice quando Oscar si era rifiutata di uscire e gli aveva dato la mano che lui aveva stretto spasmodicamente per non gridare, facendole quasi male.

 

“Dio, come siete carini” aveva cercato di sdrammatizzare Rosalie: “Tu André sembri una donna in pieno travaglio e tu Oscar il marito premuroso che si fa stritolare la mano”.

 

Ma nessuno aveva riso. André era stremato, cominciava a credere che l’occhio sinistro non sarebbe mai guarito e la cosa lo terrorizzava.

 

Erano passati cinque giorni dall’incidente. Quella notte Oscar si svegliò di soprassalto.

 

Cosa cavolo è stato?

 

Poi realizzò: era un grido, soffocato, e veniva dalla camera di André. Si precipitò da lui con il cuore in gola e lo trovò seduto sul letto, il respiro affannoso, fradicio di sudore.

 

“André, André parlami? Cosa è successo, stai male?”

 

André non rispondeva si teneva le mani sugli occhi, tremando come una foglia.

Si era svegliato all’improvviso, aveva aperto l’occhio e si era sentito inghiottire in un buio ancora più profondo. Non ci vedeva. Aveva girato la testa, disperato, da ogni parte, per cercare uno spiraglio. Niente.

Era riuscito a trovare a tentoni l’interruttore dell’abatjour e lo aveva acceso con le mani che tremavano in modo incontrollato.

Buio dappertutto. Era cieco.

Aveva sentito il panico impossessarsi di lui, il cuore che sembrava scoppiare, il respiro così affannoso da sembrare un rantolo. Un grido strozzato gli era uscito dalla gola.

 

Oscar si impose di stare calma. Si sedette di fronte a lui e posò delicatamente le proprie mani sui suoi polsi, togliendogli adagio le mani dagli occhi.

 

“André, non fare così. Togli le mani, è pericoloso. Ti prego, dimmi cos’è successo.”

Vide il suo sguardo che, fisso nel vuoto, poi, lentamente, cercava di metterla a fuoco.

 

“Non… non ci vedo Oscar, sto diventando cieco… Non ci vedo più…”

 

Era pallido, la voce tremante: era terrorizzato.

 

“Ascoltami, André, cerca di calmarti ora. Te lo ha detto il dottore:  se avessi sforzato troppo l’occhio destro in questi giorni, ti avrebbe potuto dare qualche problema del genere, soprattutto appena sveglio, dopo che lo hai tenuto chiuso a lungo. Ma ti ricordi anche cosa ha detto: è una cosa momentanea. Ora guardami, con calma, dimmi cosa vedi.”

 

Oscar pregò con tutte le sue forze che fosse realmente così. Vide il suo sforzo mentre cercava di metterla a fuoco.

 

“S… sì, comincio a vederti… ora ti vedo. Mi sono svegliato, era tutto buio, ho acceso la luce ma non vedevo niente. Stavo sognando che ero cieco. Mi ha preso il panico.”

 

Oscar si rese conto che cercava di comportarsi con razionalità, ma era spaventato a morte.

Gli prese le mani e le avvicinò alla bocca: erano ghiacciate. Si rese conto che aveva i capelli madidi di sudore, e anche le lenzuola erano fradice. Prese un asciugamano dal cassetto e iniziò ad asciugarlo dolcemente, parlandogli, cercando di rassicurarlo. André la lasciava fare, annichilito per dire qualsiasi cosa. Ad Oscar sembrò incredibilmente  senza difese.

Si alzò e lo spinse a fare altrettanto.

 

“Vieni con me.”

 

“Dove andiamo?” Chiese lui debolmente.

 

“Ti porto nel mio letto, non puoi dormire qua. Hai le lenzuola fradice, ti prenderai un accidenti, soprattutto se ti ostini a dormire senza pigiama in pieno inverno.”

 

Oscar sapeva dell’avversione di André ai pigiami, gli piaceva sentire le lenzuola sulla pelle, e l’unica cosa che tollerava erano i boxer dei Simpson che lei gli aveva regalato anni fa, una collezione completa con tutta la famiglia. A volte gli davano fastidio perfino quelli, le aveva rivelato una sera di confessioni ad alta gradazione alcolica, tanto tempo prima.

 

André la seguì senza protestare e si lasciò mettere a letto.

Si sdraiò e fu subito accolto dal calore che il suo corpo aveva lasciato e dal suo profumo.

 

“Ehi, ragazzino, non metterti in testa strane idee. Ti tengo d’occhio.” Lo disse riedendo. “Ti preparo una tisana, ti aiuterà a prendere sonno, aspettami qui.”

 

Tornò dopo cinque minuti e la scena che vide la riempì di angoscia.

André si era alzato, si era seduto sul bordo del letto, di fronte alla finestra, era piegato in avanti, le dita infilate spasmodicamente nei capelli, come per sorreggere la testa.

 

Stava piangendo.

 

Oscar non lo aveva mai visto piangere, nemmeno quando erano bambini, nemmeno quando era morta sua madre. Aveva nascosto il suo dolore perché voleva essere forte di fronte a lei.

Capì che non poteva nemmeno lontanamente immaginare che cosa stava passando in questo momento: la paura, il dolore, il buio. Le sue barriere avevano ceduto.

 

Posò la tazza con la tisana e si sedette sul letto, alle sue spalle; fece passare le braccia intorno alla sua vita, stringendolo delicatamente, e appoggiò la guancia sulla sua schiena.

 

“André, vorrei poter fare qualcosa per alleviare un po’ del tuo dolore; me lo prenderei tutto io se fosse possibile.”

Sentì che si irrigidiva, cercava di trattenere i singhiozzi.

 

“Non devi essere forte a tutti i costi. Piangi, André. Io ti terrò stretto. Non avere paura. Mi prendo io cura di te. Le lacrime a volte fanno bene, aiutano a sopportare meglio le cose.”

 

Quelle parole gli toccarono il cuore nel profondo; sentì che non poteva più nascondersi: aveva disperatamente bisogno di lei. Scivolò lentamente fra le su braccia, lasciandosi avvolgere completamente dal suo calore e pianse tutta la paura che lo stava attanagliando.

 

Rimasero così per molto tempo, Oscar non smetteva di accarezzarlo. Lui le raccontò tutti gli incubi e le paure che l’avevano perseguitato, prima di tutte, quella di perdere l’occhio. Lei cercava di tranquillizzarlo ma si rendeva conto che, prima di tutto, André aveva bisogno di buttare fuori quello che aveva dentro.

Era molto forte, sapeva che avrebbe superato qualsiasi cosa. Prima, però, aveva bisogno di capire contro che cosa avrebbe dovuto combattere.

 

Le disse anche che si sentiva una merda per quello che le aveva detto quella sera, che non pensava una sola parola di tutte le stronzate che gli erano uscite e che aveva addirittura pensato che quell’incidente se lo fosse meritato.

 

“Non devi scusarti di nulla, André. È stata una serata meravigliosa per certi aspetti, e sbagliata per altri. Ci siamo detti delle cose terribili, è vero, ma su molte avevi ragione. Ho passato la vita facendo finta di essere molto più cinica e disinvolta di quanto io non sia in realtà perché mi faceva comodo. Avevo sempre un alibi per non affrontare i miei sentimenti. Essere duri aiuta a tenere distanti le persone, ad evitare le domande e a non farsi coinvolgere. Ma questo, in fondo, è solo un modo diverso di essere vigliacchi. Dammi un po’ di tempo, André, ho solo bisogno di capire come affrontare tutto quello che ci è successo, e che dovrà ancora succedere, senza commettere errori, senza farti più del male.”

 

Si stupì lei stessa della facilità con cui le erano uscite le parole. Aveva la sensazione quasi fisica che dei lacci che l’avevano tenuta troppo stretta si stessero finalmente allentando.

 

“Grazie Oscar.” Riuscì a mormorare André, il viso nascosto fra i suoi capelli. Non sentiva nemmeno più male. Quelle parole gli erano entrate nel profondo dell’anima e gli avevano improvvisamente riempito il cuore di mille speranze. Avrebbe aspettato, un mese, un anno, una vita.

 

Un giorno mi dirai quello che provi veramente; non mi interessa quanto dovrò aspettare. Lo so che lo farai.

 

 

Continua

mail to: francesca_v@email.it

 

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