Capodanno di fine millennio
parte quinta
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Parte V
(Colonna sonora: Temple of the Dog: Say Hallo to
the Heaven)
“Oscar,
bambina, sono il dottor Grancourt”
Il
dottor Etienne Grancourt, amico di famiglia da sempre, l’aveva vista nascere e
ancora adesso la chiamava bambina.
Per
una frazione di secondo, Oscar provò un assurdo senso di sollievo nel pensiero
che forse non si trattava di André, forse era “solo” qualcuno della sua
famiglia.
“Dottore,
cosa è successo” le sembrò che la sua voce appartenesse a qualcun altro.
“Oscar,
ascolta, prima di tutto, non è successo nulla di grave; nessuno è morto e
nessuno rischia di morire…”
“Dottore,
la prego, mi dica…”
“Si
tratta di André, Oscar...”
André.
Sentì un ronzio nelle orecchie, per un istante vide tutto buio...
Oddio, no, ti
prego, André no… non il mio André…
“Non
è nulla di grave. Ha avuto un incidente, in moto. Non ha perso conoscenza...”
“Dov’è,
voglio venire subito. Mi dica dov’è.”
Etienne
Grancourt conosceva Oscar da sempre, l’aveva vista crescere, lottare per
essere quello che suo padre e sua madre avevano voluto che lei fosse e soffrire
per quello che lei avrebbe voluto essere. L’aveva curata quando era ammalata e
l’aveva consolata quando tutti erano troppo impegnati per occuparsi di lei.
Era più che una paziente: era la figlia che non aveva mai avuto.
Sapeva
che non l’avrebbe fermata. Si trattava di André, e lei sarebbe andata da lui
a costo di uccidere qualcuno.
“Al
pronto soccorso. Chiedi di me, appena arrivi. Eh... Oscar... ti prego, prendi un
taxi o fatti accompagnare da qualcuno. Non sei in grado di guidare.”
Oscar
posò la cornetta senza nemmeno rispondere.
Alain! Chiamo
Alain. Sicuramente è sveglio, mi faccio venire a prendere da lui. Grancourt ha
detto che va tutto bene. Ora andiamo lì e portiamo André a casa.
Prese
il cellulare e si accorse che le mani le tremavano così tanto che non riusciva
nemmeno a premere i tasti. Le venne in mente un documentario che aveva visto
tempo fa, dove delle persone cadevano in trance sotto effetto di droghe
allucinogene e cominciavano a tremare come se fossero attraversati
dall’elettricità.
È strano
come certe cose ti vengano in mente all’improvviso.
Si
rese conto che stava per svenire. Il tremito incontrollato, la testa che le
girava vorticosamente, aveva la nausea. Si fissò le mani: sembravano muoversi
da sole. Cominciò a ridere istericamente.
Sentì
il cellulare suonare; lo fissò: non ce l’avrebbe fatta a rispondere. Le sue
mani continuavano a muoversi per conto loro...
Poi,
un lampo di lucidità, afferrò il telefono e riuscì a rispondere.
“Pronto”
le uscì un suono strozzato.
“Oscar!
Sono Alain, stai bene?”
La
voce dell’amico ebbe l’effetto di una doccia fredda. Finalmente, Oscar tornò
in sé.
“Alain....
ti prego, vieni subito… André ha avuto un incidente e io...”
“Lo
so, Oscar, stai calma, sto arrivando. Mi ha chiamato il dottor Grancourt. Mi ha
detto che dovevo occuparmi di te. Ora ascoltami: fra cinque minuti sono lì.
Vestiti, copriti bene, e scendi. Stai tranquilla. Non è successo nulla di
grave.”
La
voce di Alain era calma e sicura. Oscar sentì il sangue tornare a defluire e il
tremito attenuarsi.
“Ok,
ora scendo.”
Alain
era spaventato a morte. Non solo per André, che comunque sapeva essere vivo, e
fortunatamente fuori pericolo, ma soprattutto per Oscar. Quella che aveva
risposto al telefono era una persona che non riconosceva.
Tieni duro,
piccola, ora ti porto da lui.
Oscar
riuscì a vestirsi. All’improvviso, le sembrò tutto assurdo: la discussione,
gli insulti, André che se ne andava.
Erano
cose così piccole, lontane, senza importanza: discussioni inutili, cose dette
solo per ferirsi. L’unica cosa che contava era lui...
… perché,
se ti è successo qualcosa, è solo colpa mia, André… non mi lasciare, ti
prego.
Si
trovò per strada senza nemmeno rendersene conto. Alain arrivò in quel momento.
Mio dio,
Oscar, ma cos’è successo?
La
fece salire in macchina e vide che tremava. Alzò il riscaldamento al massimo ma
si rese subito conto che non avrebbe cambiato le cose. Quella non era Oscar: era
una ragazzina terrorizzata, e lui doveva fare qualcosa. Allora mise il cd dei
Temple of the Dog, che lei gli aveva regalato, cercò di farla parlare.
“Oscar,
il dottor Grancourt mi ha detto che André sta bene, però non ho capito bene
cosa è successo. Tu lo sai?” il suo miglior tono disinvolto. Si complimentò
con se stesso per la capacità di dissimulazione.
“Abbiamo
litigato, è uscito in moto con la pioggia. È stata colpa mia.”
Il
tono distante di Oscar gli gelò il sangue. Non lo diede a vedere.
“Davvero?
Sai che novità, tu e André litigate sempre! Che vi siete detti di così
grave?”
Cercava
di sdrammatizzare. Del resto era la cosa che sapeva fare meglio.
Parlò
con tono neutro:
“Io
e André abbiamo fatto l’amore stasera. Per la prima volta. Poi ci siamo detti
delle cose terribili.”
Perché
era questo che era successo. Era questa la realtà oggettiva di quanto era
accaduto quella sera. Oggettiva e assurda, pensò Oscar mentre lo diceva, senza
alcuna pietà per se stessa e per il suo cuore. [1]
Alain
dovette tirare fuori tutta la sua abilità di provetto pilota per non andare
fuori strada.
“Cazzo”.
Non
ci fu risposta. Lei guardava fuori dal finestrino. [2]
“Ehm,
scusa Oscar, e me lo dici così…”
Vide
un sorriso affiorare sulla sua bocca, suo malgrado.
Brava
piccola, torna in te.
“Alain,
ho sbagliato tutto. Il mio maledetto orgoglio. Non sono stata capace di
parlargli, di dirgli quanto sia stata felice con lui questa sera. L’ho
trattato come uno qualsiasi. L’ho fatto soffrire ancora.”
Sentì
improvvisamente tutta l’angoscia, la paura e il dolore per quello che era
successo, affiorare con prepotenza. Accolse quelle parole con sollievo, e le
lacrime cominciarono finalmente a scorrere copiose.
Erano
arrivati al parcheggio dell’ospedale. Alain si girò e prese delicatamente il
volto di Oscar fra le mani.
Dovette
farsi violenza per non stringerla fra le braccia.
“Senti,
Oscar, ora entriamo in quell’ospedale e tu ti prenderai cura di André. Devi
essere forte per lui, ma devi anche essere onesta. Devi dirgli quello che hai
detto a me stasera, ma, soprattutto, devi fargli capire che ci sei; che sei lì
per lui e che ci sarai sempre. Ok?”
Un sorriso dolcissimo
e fiducioso le illuminò il volto.
“Grazie Alain,
grazie di cuore, ti voglio bene.” Lo abbracciò per la prima volta da quando
si conoscevano.
“Anch’io, baby,
anch’io.”
**********************
Gli effetti
dell’anestesia stavano passando rapidamente.
Voci in lontananza.
Voci concitate. Erano la sua; e quella di Oscar. Si sentiva avvolto da una
tristezza infinita, ma non ne capiva l’origine. Voleva dormire; ma voleva
ancora sentire la sua voce. Perché stavano
gridando? Perché Oscar piangeva?
Cominciavano a
riaffiorare delle immagini, e dei pensieri. Si ricordava che era molto
arrabbiato, si ricordava che stava correndo sulla moto. E la pioggia, molta
pioggia.
Ma dov’era Oscar?
Perché non riusciva a parlare?
Perché non riusciva ad aprire gli
occhi? Vedeva tutto buio.
Si ricordò la luce
improvvisa degli abbaglianti di una macchina che arrivava contro mano, e poi un
rumore pazzesco.
Ma dov’era adesso?
Poi, come un fulmine,
tutto tornò alla mente per un attimo: lui e Oscar che facevano l’amore sul
tavolo del salotto, la sua paura, la rabbia di Oscar, la corsa in moto, lo
schianto.
Ripiombò di nuovo
nel buio.
Seduta accanto a lui,
Oscar gli teneva stretta la mano, senza riuscire a fermare le lacrime.
“Non è stato leso
nessun organo vitale, Oscar, e anche la tac ha dato esito negativo. Ma
l’occhio sinistro, purtroppo, è stato ferito molto gravemente dalla rottura
del casco. Siamo intervenuti sulla cornea immediatamente. Bisognerà aspettare
almeno due settimane prima di sapere se è compromesso o no.”
Così le aveva detto
in tono pacato Grancourt.
E
ora era lì vicino a lui, lo guardava con occhi pieni di amore e dolore mentre
lo vedeva risvegliarsi con fatica
dall’anestesia.
Era
pallido, con una vistosa fasciatura sull’occhio sinistro e segni violacei
sotto l’altro occhio, dovuti all’impatto violento. Alcuni punti di sutura
erano stati messi sotto lo zigomo destro. Il labbro superiore appariva
tumefatto.
“Erano
in quattro, tutti minorenni e ubriachi, quelli che viaggiavano sull’auto che
l’ha investito. Hanno invaso la corsia. Li abbiamo presi subito.” Le aveva
detto l’agente della stradale.
Magra
consolazione.
Erano
le tre di notte. Solo alcune ore prima avevano fatto l’amore e tutto sembrava
meraviglioso; ora André era in un letto d’ospedale. E la colpa era solo sua,
del suo egoismo, del suo fottutissimo orgoglio.
Sentì
la mano di André muoversi nella sua e lo vide mentre cercava di parlare.
“Shhh,
non sforzarti, sono qui con te, va tutto bene. Hai avuto un incidente ma nulla
di grave. Sei solo un po’ intontito. Ora sei in ospedale; c’era il dottor
Grancourt di guardia. Si sta prendendo lui cura di te. Ora cerca di riposare.”
Ma
la stretta di André si fece convulsa. Vide che cercava di parlarle, doveva
costargli uno sforzo disumano.
Si
avvicinò alla sua bocca.
“O…
Oscar… ti... prego… po… portami via... da qui…”
“Certo
amore mio, ti porto via di qui.”
Ma
André era nuovamente piombato in uno stato di torpore.
Ora
sapeva cosa doveva fare. Riprese vigore. Era la Oscar di sempre.
André
odiava gli ospedali, ne era terrorizzato fin da bambino, fino da quando vi era
stato costretto a passare interi pomeriggi al capezzale di sua madre che stava
morendo di cancro; troppo piccolo per affrontare un dolore così grande ma
cresciuto abbastanza per comprendere che, da quel luogo, sua mamma non sarebbe
più uscita.
E
lei lo avrebbe portato fuori di lì l’indomani stesso, a costo di rapirlo.
Affrontò
Grancourt come era solita affrontare i più duri dei suoi collaboratori: con
un’aria che non ammetteva repliche.
“Dottore:
c’è qualche SERIO motivo per cui André deve rimanere qui una volta passato
l’effetto dell’anestesia?”
“Beh,
Oscar, a parte che qui avrebbe un’assistenza medica qualificata 24 ore su 24,
nessuno, Perché?”
Grancourt
rise fra sé; sapeva benissimo dove voleva andare a parare.
“Ma
se André firma per uscire, domani stesso, e gli viene garantita la stessa
assistenza a casa, quali sono i problemi?”
“Tecnicamente
nessuno.” Il dottore si rese conto che una discussione sarebbe stato solo
tempo perso; era stanco, veniva da 24 ore di pronto soccorso, non era preparato
ad un dibattimento con la signorina de Jarjayes.
“Senti,
Oscar, se André vuole uscire, non posso impedirlo perché non ci sono i termini
legali e medici per farlo. Però sappi che ha bisogno di assistenza, di
disinfettare la ferita e cambiare la medicazione una volta al giorno e di
iniezioni di antibiotici ogni otto ore per una settimana. Tu puoi garantirgli
tutto questo?”
L’intensità
con cui Oscar rispose gli fece capire quale sarebbe stata la sua risposta..
“Dottore,
io gli posso garantire la mia vita, se è necessario.”
“Va
bene, hai vinto tu, dimetterò André, ma non prima di lunedì mattina, a costo
di legarlo al letto: il decorso post-operatorio
va monitorato per almeno 24 ore. Vieni con me, ti spiego esattamente come fare e
ti do il numero di un’eccezionale infermiera che fa visite a domicilio. Io
verrò una volta al giorno. Ma solo perché siete voi due. André è un uomo
fortunato ad averti, Oscar.”
Il
dolore che vide negli occhi di Oscar lo colpì.
“Si
sbaglia, dottore, è solo colpa mia se si ritrova qui.”
Uscì
dalla stanza senza dare spiegazioni e si diresse verso la camera di André.
In quelle poche ore
aveva capito che la sua vita non avrebbe avuto alcun senso senza di lui, e,
ciononostante, non era stata capace di dirglielo.
Ora le cose dovevano
cambiare.
André aveva avuto
ragione su tutto: si era sempre nascosta dietro qualcosa pur di non affrontare i
suoi sentimenti; dietro alla sua famiglia che le aveva imposto delle scelte;
dietro al suo lavoro che l’aveva resa dura verso il mondo; dietro il suo
altero, regale e incompreso dolore per l’abbandono di un idiota straniero di
cui si ricordava appena il volto per non dover rispondere all’amore che André
le aveva offerto così sinceramente e totalmente, e, infine, dietro la maschera
di cinica amante senza sentimenti con Victor per sfuggire al dolore, alla
solitudine e al vuoto in cui la partenza di André l’avevano lasciata.
Era ora di cambiare.
*******************
Passò la notte e
buona parte delle mattina vicino al suo letto, spiando ogni minimo movimento,
ogni reazione, accarezzandogli dolcemente la mano, con la paura che si
svegliasse completamente.
Il dottore gli aveva
somministrato un antidolorifico per le numerose botte che aveva preso e per
aiutarlo a dormire una volta passato del tutto l’effetto dell’anestesia.
Oscar sperava che il sedativo facesse effetto il più a lungo possibile: non
voleva che André sentisse i rumori e l’odore tipico dell’ospedale,
sapeva che lo avrebbe fatto stare peggio, e non voleva che soffrisse; le ferite
dovevano fargli molto male, lo vedeva sobbalzare leggermente ogni volta che
muoveva la testa o che gli accostava il panno bagnato alle labbra.
Alla fine, quando era
ormai l’alba, lo vide più rilassato e disteso, l’infermiera era appena
passata e aveva detto che la febbre era quasi sparita; capì che si era
finalmente addormentato. Allora, distrutta, si accasciò sulla poltroncina e si
addormentò.
Fece dei sogni
brutti, agitati, nei quali cercava disperatamente di raggiungere André ma non
riusciva a muoversi e nessuno la voleva aiutare.
Si svegliò di
soprassalto quando sentì in lontananza qualcuno che chiamava il suo nome e le
scuoteva leggermente la spalla.
“Oscar... Oscar
svegliati tesoro...”
Quella voce... era...
Aprì gli occhi di scatto: il dottor Grancourt
era davanti a lei e c’era anche Alain e...
“Rosalie!”
non riuscì ad impedirsi di gridare per la sorpresa.
“Oscar,
tesoro, mi dispiace tanto” Rosalie la prese fra le braccia e le accarezzandole
i capelli, pensando, non con un certo divertimento, che in tempi passati era lei
che si faceva consolarla da Oscar.
Rosalie
La Morielle era una amica di vecchia data di Oscar e
André. Era stata a lungo l’infelice e sconsolata fidanzata di Bernard, il
loro chitarrista, sempre sull’orlo delle lacrime e di una crisi di nervi; poi,
quando finalmente aveva ammesso al mondo, e soprattutto a se stessa, che gli
uomini non le interessavano e che una compagna bionda, con gli occhi azzurri e
la determinazione di un generale era quello che veramente desiderava, aveva
imparato ad essere felice.
Certo, la cotta enorme che aveva avuto per Oscar ci aveva messo un po’
a passare, ma almeno aveva capito che anche lei avrebbe potuto essere felice,
avrebbe solo dovuto trovare la donna giusta.
E l’aveva trovata, al corso parauniversitario che frequentava per
diventare infermiera professionista.
Ora erano una delle coppie più solide e felici di tutto il gruppo e
Rosalie era diventata un’infermiera straordinaria.
“Vieni, Oscar, ti
accompagno a casa: hai bisogno di farti una doccia, riposarti e mangiare
qualcosa. Così ridotta non servi a nulla ad André. Ti riporto qua nel
pomeriggio. Dobbiamo preparare la casa per André e dovrò insegnarti un po’
di cose. Non sarà facile assisterlo, all’inizio, ma so che lo farai alla
grande.”
Parlò con un tono
basso, dolce ma deciso, di chi è abituata a trattare con la gente e con la
sofferenza.
Oscar si alzò senza
protestare, si avvicinò al letto, posò un bacio leggero sulla guancia di André
e lo salutò.
“Torno prestissimo,
non ti preoccupare, c’è Alain qui con te. Domani sei fuori di qui. Te lo
giuro.”
“Ok, ci conto”
riuscì a mormorare André.
Uscirono tutti dalla
camera, Oscar non riuscì a non
girarsi un’ultima volta per guardarlo. Sembrava così indifeso che le
si strinse il cuore e dovette farsi forza per non tornare indietro e stringerlo
fra le braccia.
Rosalie ha ragione, devo riposarmi
almeno un po’ e devo prepararmi per aiutarlo nel migliore dei modi.
“Poi mi spieghi
come ci sei riuscita” sussurrò Alain a Rosalie, riferendosi alla facilità
con cui la ragazza aveva convinto Oscar ad andare a casa.
“Puro culo, avevo
già la siringa con una dose di anestetico per cavalli pronta, se avesse provato
a discutere.”
Risero sommessamente.
Oscar non capì una parola. Era sfinita.
****************
Era rimasto solo
nella stanza. Alain aveva accompagnato le ragazze alla macchina e il dottore era
stato chiamato da un’infermiera.
Aveva paura. Sentiva
il cuore battergli all’impazzata.
Le immagini di sua
madre che moriva in un letto d’ospedale, sempre più piccola, sempre più
trasparente, divorata dal cancro, era in quel momento ben presente nella sua
mente.
Si ricordava
benissimo la sua paura, quando vedeva i dottori e gli infermieri che correvano
pronunciando ordini, dicendo parole che lui nemmeno capiva. Era solo un bambino
di sei anni, lasciato in un angolo di quella stanza sempre buia, senza che
nessuno gli parlasse, senza che gli spiegassero perché la sua mamma stava così
male.
Poi, un giorno, era
venuta la nonna, lo aveva stretto forte forte, e aveva pianto mentre continuava
a chiamarlo “il mio cucciolo”. Gli aveva detto di salutare la mamma, che per
un po’ si sarebbe occupata lei di lui, che non doveva avere più paura di
niente. André aveva pianto disperatamente; nel suo cuore di bambino, aveva
capito che non l’avrebbe mai più rivista.
Poi, era arrivato in
quella grande casa, dove una signora stramba, che era stata tanto amica della
sua mamma, lo aveva accolto come un figlio e dove c’era quella bambina curiosa
dai capelli biondi e dal nome di un maschio.
Sua madre
era morta poco dopo, ma l’affetto della nonna, di Oscar e della famiglia de
Jarjayes lo avevano aiutato a superare il brutto momento.
Cercò di controllare
il panico che si stava lentamente impossessando di lui. Gli faceva male la testa
da morire, sapeva che il suo occhio sinistro era in gravi condizioni e
l’occhio destro era troppo pesto e gonfio per permettergli di vedere.
Il ricordo del
litigio furioso, assurdo, della sera precedente continuava a torturargli la
mente, gli faceva male al cuore. Si sentiva un bastardo, aveva detto delle cose
tremende.
Aveva detto delle
cose tremende ad Oscar, l’aveva accusata di essere egoista, di pensare solo a
se stessa, e lei gli era stata vicina tutta la notte, lo aveva rassicurato,
cullato, aveva lottato per portarlo fuori di lì, gli aveva promesso che si
sarebbe presa cura di lui.
Oscar…
Perché era successo
tutto questo? Era quello che doveva pagare per
tutto il male che le aveva fatto?
Si rese conto che non
poteva più trattenersi. Si sentiva solo, terrorizzato, voleva che Oscar fosse lì
con lui, voleva sua madre.
Scoppiò a piangere
come un bambino, un pianto straziato, pieno di dolore e di paura. Sì portò le
mani alla faccia, indifferente al dolore dell’occhio e dei lividi, e pianse
per un tempo che gli parve infinito, scosso da singhiozzi.
“André! André, bello, ehi... non fare
così!”
Alain lo aveva
trovato così, sconvolto, singhiozzante e aveva provato una gran pena per il suo
più caro amico. Era un po’ imbarazzato, non era un bravo consolatore, lui,
almeno non di uomini...
Decise di seguire
l’istinto.
“Oddio, scusami
Alain, non ti avevo sentito entrare” i singhiozzi si stavano placando. Un
po’ di dolore se ne era andato con le lacrime, e ora c’era Alain lì con
lui. Girò il viso per non farsi vedere.
“Scusa di che? Con
tutte le volte che ti ho visto vomitare, vederti piangere è il men dei mali.
Ora dimmi cosa c’è.”
La battuta strappò
un sorriso ad André, Alain ne fu felice.
“Dio, Alain, è
successo di tutto... non ci crederesti”
“Vabbè, ti dico
cosa so già: so che tu e Madamoiselle siete
rinsaviti per un attimo e poi, siete tornati ad essere i due vecchi coglioni che
conosco da sempre.”
André non ebbe
bisogno di farsi spiegare la perifrasi
conosceva fin troppo bene l’umorismo e le allusioni di Alain e aveva
capito esattamente a cosa si stava riferendo.
“Te lo ha detto
lei?”
“Me lo ha
accennato”
“E’ molto
arrabbiata, vero?”
“Naa, è solo molto
spaventata, e triste e piena di sensi di colpa. Esattamente come te. Ma quand’è
che tu e quella benedetta donna vi parlerete chiaro?” La voce di Alain aveva
un tono di supplica.
Allora André cominciò,
per la prima volta nella sua vita, a raccontare. Raccontò di quello che era
successo tre anni fa, del suo amore rifiutato, della sua fuga, delle barriere
che si era costruito per arginare i sentimenti, di come era successo tutto così
all’improvviso la sera prima, di come si erano amati appassionatamente, del
terrore che lo aveva assalito al pensiero che per lei era stato solo sesso,
della gelosia, della paura che Oscar lo allontanasse ancora, della rabbia cieca
che aveva provato di fronte alla sua freddezza e ironia.
“Probabilmente si
stava solo difendendo, André, come hai fatto tu. Invece di parlare, vi siete
messi ad interpretare l’uno i sentimenti dell’altra e ne avete tratto delle
conclusioni, ovviamente sbagliate.”
“Non lo so Alain,
vorrei parlarle, ma ho una paura fottuta.”
Alain si accorse che
André cominciava ad essere molto stanco, l’occhio doveva fargli un male cane;
aveva parlato per più di un’ora e ora aveva bisogno di riposare.
André sentì il peso
del corpo di Alain sul bordo del letto: si era spostato dalla poltrona per
sederglisi accanto.
“Senti, vecchio
mio” lo disse con un tono intimo, dolce “ora mi ascolti: hai bisogno di
riposo, devi riprenderti. Devi farlo soprattutto per te: ti aspettano un mare di
cose meravigliose nella vita e ti servono ancora tutti e due gli occhi, e
piantala con la cazzata che te lo sei meritato... Lo devi fare per Oscar: lei ti
vuole bene, ha solo bisogno di tempo per dirlo, sai com’è fatta, non forzarle
la mano. E poi lo devi fare per noi, bello mio!
Ti ricordo che fra ventinove giorni da oggi si suona a Le
Cygale,
ed è mia ferma intenzione trascinarti su quel palco, con o senza occhio!”
André sorrise; per
la prima volta da molte ore, si sentiva sollevato, a dispetto di tutto. Le
parole di Alain su Oscar e l’atteggiamento stesso di Oscar gli avevano dato
uno spiraglio di speranza. E ci si sarebbe aggrappato con le unghie e con i
denti.
Chiuse gli occhi che
si erano fatti pesanti e scivolò lentamente in un sonno profondo.
André, perdonami se non ti ho detto
quanto Oscar ti ami… ma non posso essere io a farlo. Vedrai, molto presto
riuscirete a superare le vostre paure e le cose scivoleranno fuori da
sole. Riposa, amico mio. E non farmi più scherzi del genere…
Note:
[1] questa frase è
di Alessandra; è nata come un suggerimento da parte sua, ma l’ho trovata
perfetta e l’ho inserita così com’era
[2] anche questa
frase è di Alessandra
Continua
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