Capodanno di fine millennio
parte quarta
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Parte
IV
(Colonna
Sonora: U2, The Unforgettable Fire)
“Senza
che mi tiri un insulto... ma posso dire che sei splendida così messa?”
André si preparò a parare il colpo.
“Dici?” Oscar non sembrò scomporsi e continuò a seguire con gli occhi chiusi il ritmo lento della musica.
“Come no! Fammi indovinare... Marie Antoinette?”
“Già...
Natale di due anni fa... era ancora incartato... poveretta”.
Si
voltò verso di lui e sorrise. Aveva le guance piacevolmente arrossate, forse
per la vicinanza al fuoco, o forse per il vino. Era strana, diversa... quel
vestito, l’atteggiamento estremamente rilassato, nemmeno una traccia dell’aria
infastidita e delle risposte secche che in genere elargiva a chi si permetteva
di farle complimenti sul suo aspetto.
Forse
ha semplicemente deciso di non farsi menate, per una sera, e dì lasciare fuori
dalla porta problemi e autodifese, forse vuole lasciarsi andare, forse ha solo
deciso di essere se stessa… e forse è anche ora che la smetta di analizzarla!
Decise
che avrebbe raggiunto Oscar in questa sua strana e languida dimensione, si
avvicinò alla bottiglia di Sauternes, se ne versò un bicchiere, poi si accomodò
sul divano di fianco a lei, chiuse gli occhi ed iniziò a sorseggiarlo.
Sentì Oscar che si alzava; la osservò avvicinarsi allo stereo e scorrere i titoli dei cd, non riusciva a smettere di guardarla.
Perché
poi non dovrei guardarla, non mi sembra che la cosa le dia fastidio. Dio,
come vorrei…
“È bellissima Parigi sotto la pioggia, non trovi?” La domanda lo scosse bruscamente dalle sue riflessioni.
“Mmmh, dipende... diciamo che mi piace soprattutto quando sono in giro in moto, senza tuta impermeabile… sì, in questi casi proprio l’adoro!”
“André! Sii serio!” ma lo diceva sorridendo.
La guardò ancora: si era avvicinata alla finestra e vi aveva appoggiato la fronte, forse per rinfrescarsi dal troppo calore datole dal fuoco e dal vino. In sottofondo, The Unforgettable Fire, il cd degli U2 che lei aveva scelto e che entrambi adoravano, iniziava a diffondere le sue note nella stanza.
Rimasero pochi minuti senza parlare, ognuno perso nei propri pensieri. Un altro tuono, violento, squarciò il silenzio e li riportò di colpo alla realtà.
Oscar si staccò dalla finestra e si avvicinò al tavolo; versò dell’altro vino nel suo bicchiere e riempì nuovamente quello di André.
“Finiremo per ubriacarci, come ai vecchi tempi” disse ridendo.
“Dio mio, no! Non ho più l’età per fare certe cose. Il mio fegato ne ha già passate tante.”
“Già, non siamo più dei ragazzini” . André percepì una sfumatura di amarezza sotto il tono allegro con cui Oscar aveva risposto.
Bravo
André, perché, visto che ci sei, non le dici che è sulla soglia della terza
età e fra un po’ dovrà fare i conti con la menopausa.
“Altro
che se lo siamo! Tu poi... dimostri a malapena 25 anni.”
“Sì, come no... 15. Smettila di sfottermi”. Oscar rideva di gusto; l’ombra era del tutto sparita.
“Guarda che sono serissimo! Ci sono donne che ricorrono alla chirurgia estetica a 20 anni per imbottire di silicone quello che tu hai grazie a madre natura e che sembra pure stare su da solo senza bisogno di impalcature esterne...”
Oddio,
ma cosa sto dicendo…
“Stai
parlando del mio seno, André?!”. Oscar sembrava divertita e per nulla
imbarazzata da quella discussione.
Grazie
Sauternes…
“Ehm....
sì, insomma... diciamo che ti sta molto bene. Insomma, accidenti Oscar, non
posso non notarlo con quel vestito. Volevo solo dire che hai un seno
meraviglioso, si vede che è tutto naturale e che farebbe invidia a molte
ventenni.... ehm... siliconate e non.
“Stai arrossendo” lo disse con aria maliziosa, mentre con le mani si tendeva il tessuto del vestito, come per verificare quanto André le aveva appena detto. Sembrava sorpresa.
Oddio,
e adesso cosa fa…
“Sarà
la sindrome premestruale...”
“La
che cosa?????” André era totalmente spaesato.
“La
sindrome da premestruo... circa una settimana prima che le donne abbiano il
ciclo, i loro ormoni impazziscono e... puff ecco che cominciano a succedere cose
strane”
Ho
capito, mi stai pigliando in giro… ok, starò al gioco.
“Ah,
e che tipo di cose?” chiese con aria seria e interessata mentre si alzava per
rabboccare ancora i bicchieri.
“Dipende.
Possono essere semplici sbalzi dell’umore o vere e proprie crisi di nervi o di
depressione. Qualcuna beve come una spugna. Per non parlare degli effetti fisici…”
“Quelle?”
chiese André indicando il seno di Oscar “Beh, non sono poi così male...”
“Non
sono poi così male??? Ma hai la più vaga idea di cosa voglia dire andare in
giro con due tette gonfie come palloni, non riuscire a dormire a pancia in giù
e saltare dal male ogni volta che provi ad infilarti un reggiseno?”
Nella
sua arringa appassionata, Oscar si era appoggiata le mani aperte ai lati dei
seni e premeva leggermente, come per essere ancora più convincente.
André
realizzò che non si stava divertendo affatto: voleva Oscar, la voleva
disperatamente, e quell’immagine di lei, con le mani sul seno e il tessuto
sottile, teso come una seconda pelle, che non lasciava nulla all’immaginazione
lo stavano eccitando da impazzire.
Dio
Oscar, perché mi fai questo, stai abusando moralmente di me e io non sono
nemmeno capace di difendermi… non voglio
difendermi…
“Oscar,
ti prego...” mormorò André, voltando la testa e tirandosi con noncuranza il
cuscino in grembo per evitare che lei si accorgesse di quanto quei discorsi l’avessero
preso.
“Cosa
c’è... questi discorsi ti imbarazzano?” lo chiese senza cattiveria, ma con
una nota di leggera ironia negli occhi. Accompagnò la frase con una deliziosa
inclinazione della testa, guardandolo di sottecchi.
“No
Oscar, non è imbarazzo... è che... insomma” decise di metterla sul ridere
“mi sa che se vai avanti così finirò per saltarti addosso e tu mi picchierai
a sangue e io finirò prima in ospedale e poi in prigione e non è una gran
bella prospettiva.”
Ma
Oscar non rideva. Lo guardava dritto negli occhi, uno sguardo strano,
trasfigurato. Non poteva essere solo il vino.
Si
sedette sul bordo del tavolo, con le lunghe gambe leggermente divaricate, i
piedi nudi che appoggiavano appena a terra e le mani appoggiate ai bordi.
“....
e non puoi immaginare cosa voglia dire avere i capezzoli così sensibili da non
riuscire nemmeno a sfiorarli...”
André
la fissò: aveva gli occhi ardenti, con un’espressione indefinibile, sembra
quasi lo stessero supplicando di avvicinarsi. Completamente stordito da quella
situazione che non era più in grado di controllare, vide se stesso alzarsi
lentamente dalla poltrona e avvicinarsi ad Oscar, senza smettere per un solo
attimo di guardarla.
Ora
mi fermerà, lei, è tutto un gioco, ora si metterà a ridere…
“No,
Oscar, non so cosa voglia dire, spiegamelo tu.”
Dio,
falla smettere prima che sia troppo tardi.
André
era ormai a pochi centimetri da lei, sentiva il suo respiro leggermente
accelerato, l’odore del suo corpo, unico, intenso. La sua eccitazione era
ormai più che intuibile.
Le
si avvicinò ancora, sfiorandole appena la gamba con il dorso della mano.
È
il vino, ora le passa… io…
Sentì
la mano di Oscar prendere delicatamente la sua, e senza smettere di guardarlo
negli occhi, fece passare le sue dita sulla stoffa del vestito, sfiorando in
modo impercettibile i capezzoli che sembravano ribellarsi alla pressione della
stoffa.
André
sentì che le gambe stavano per cedergli e una scossa elettrica lo percorse per
tutto il corpo convergendo con violenza verso il basso ventre.
“Fermami
ora Oscar, perché da questo momento io non sono più in grado di farlo...”
Ma
Oscar non lo ascoltava più, mentre, con gli occhi chiusi, lo attirava verso di
sé.
“André”
la sentì mormorare, con una voce, un’intonazione che non riconobbe e che lo
fecero sentire totalmente in suo potere.
André
chiuse gli occhi e per la prima volta, sentì il sapore delle labbra di Oscar
sulle sue.
Si
sentì trascinare indietro nel tempo a quel primo bacio dato con rabbia e
disperazione a sedici anni, quando già il suo amore per Oscar sembrava
disperatamente a senso unico. Aveva baciato quella ragazza conosciuta ad un
concerto tenendo gli occhi serrati e cercando di immaginare con tutta la
fantasia di cui era capace, che fosse la bocca di Oscar. L’effetto della
marijuana che lei gli aveva offerto lo aveva aiutato un poco.
Ma
poi aveva aperto gli occhi e la realtà lo aveva assalito in modo brutale: lei
non era Oscar… anzi Oscar li stava guardando,
con stupore e qualcos’altro che non era riuscito a definire.
Era
stato male, aveva vomitato l’anima dando la colpa al fumo, ma dentro di sé
sapeva benissimo che i motivi erano altri. Anzi, era solo uno.
Da
quel giorno non aveva più toccato una canna e Oscar non gli aveva mai fatto
domande sull’accaduto.
Ma
ora stava baciando lei; erano le sue labbra, calde e addolcite dal sapore
fruttato del Sauternes; ne seguì il contorno con la punta della lingua, mentre
le sue mani continuavano a sfiorare, ora con il dorso ora con la punta delle
dita quel seno meraviglioso che aveva provato ad immaginarsi un mare di volte.
Non voleva farle male, non voleva che lo allontanasse.
Ancora
un lampo, seguito da un tuono. Nessuno dei due lo sentì. Solo il battito
violento dei loro cuori e i loro sospiri che si perdevano nei loro baci.
Si
baciarono a lungo, prima lentamente, quasi con timore, sfiorandosi le labbra,
poi Oscar sentì le labbra di André, morbide e calde, aprirsi leggermente ma in
modo deciso; si lasciò guidare da quel gesto naturale e sentì le loro lingue
incontrarsi in un bacio che le tolse il respiro. Non voleva pensare, non voleva
ragionare, voleva solo che quel momento durasse per sempre.
Infilò
le dita nei capelli ancora umidi di André e lo attirò ancora più vicino.
Sentì la sua eccitazione premere con violenza contro di lei,
sentì le sue mani che, sfiorandola, le
abbassavano le spalline dell’abito lungo le spalle e poi lungo le braccia;
sentì le sue dita percorrerle la schiena nuda, spostarsi lungo i fianchi e
risalire lentamente fino all’attaccatura del seno e quando, con una
delicatezza infinita cominciò ad accarezzarlo, Oscar sentì un’ondata di
calore intensa e non riuscì a trattenere il gemito che fino a quel momento
aveva cercato di soffocare.
Dolorosamente,
ma con determinazione, André si staccò da lei e da quel bacio che gli aveva
fatto quasi perdere il controllo. Voleva guardarla.
Aveva
la pelle bianca, magnifica, luminosa, su cui spiccava il rosso cupo dei
capezzoli. Le forme del suo corpo erano morbide e per un istante André si
chiese come facesse a nasconderle così bene
sotto gli abiti sobri di foggia maschile. Le spostò una ciocca dal viso
arrossato e le seguì con il pollice il contorno della bocca, che era socchiusa
e umida. La vide abbassare gli occhi.
“André,
io.....” sembrava una bambina. André si sentì quasi morire.
“Shhh.”
Le pose delicatamente un dito sulle labbra e sentì un piccolo bacio sfiorargli
la punta del polpastrello. Poi le mani di Oscar si infilarono sotto la
t-shirt per cercare il contatto con la sua pelle. Se la sfilò con un gesto
deciso, e rimase a torso nudo, di fronte a lei e
la prese fra le braccia, riprendendo quel
bacio meraviglioso che aveva appena interrotto, il suo corpo che aderiva a
quello di Oscar, la loro pelle che si toccava.
Con
lentezza, cominciò a baciarle il collo, mentre con le mani le sfiorava
impercettibilmente l’interno delle cosce, risalendo piano verso il bacino.
Sentì il respiro di Oscar farsi affannoso e le sue mani scendere verso i suoi
fianchi, per attirarlo a lei, dentro di lei.
La
sua eccitazione stava crescendo in modo ormai doloroso. Ma era troppo presto,
doveva controllarsi, voleva prima dare ad Oscar tutto il piacere di cui fosse
stato capace.
“Oscar...”
la sua voce era roca, faceva a fatica a controllare il respiro, il cuore
sembrava impazzito.
Impercettibilmente,
con la punta delle dita, sfiorò le mutandine di seta, e cominciò ad
accarezzarla delicatamente attraverso la leggerissima barriera della stoffa.
Oscar
si sentì venire meno, ondate di calore sempre più intense convergevano verso
quel punto. Si rese conto che il bacino aveva iniziato a muoversi seguendo il
ritmo di quelle carezze. Non aveva mai provato nulla di simile, nemmeno con
Victor; lì era sempre stata lei a condurre il gioco, ora era totalmente
abbandonata, arresa.
Lo
voleva, subito, disperatamente, voleva fare l’amore con lui fino a starne
male.
“A...
André, ti prego, fai l’amore con me...”
Oscar
stava perdendo il controllo, André se ne rendeva conto: sentiva le sue mani che
si aggrappavano spasmodicamente alla sua schiena, i suoi gemiti, dapprima
soffocati, farsi più forti e supplicanti, percepiva i suoi fianchi muovesi al
ritmo delle sue carezze, sempre più intense e profonde e il bacino spingersi
verso l’alto, ogni volta che staccava la mano, alla ricerca del suo tocco. Lo
sentiva da come chiamava il suo nome e dai baci appassionati che non smetteva di
dargli. Non l’avrebbe dimenticato mai, quella voce così carica di passione ed
eccitazione che ripeteva il suo nome, supplicandolo.
“Non
ancora, Oscar.”
Si
staccò ancora una volta da quel bacio meraviglioso, la spinse delicatamente
indietro, facendola sdraiare sul tavolo, e cominciò a percorrere quel corpo
morbido con le labbra, baciandola, assaggiandola, assaporando ogni centimetro di
pelle. La sentì sussultare e gemere ancora più intensamente quando, con la
punta della lingua, cominciò a stuzzicarle i capezzoli, duri e protesi verso di
lui, succhiandoli lentamente, e per un momento, credette che non ce l’avrebbe
fatta, che sarebbe venuto così, come un ragazzino del liceo alla sua prima
uscita con la donna dei suoi
sogni.
Con
una forza di volontà che nemmeno lui credeva di avere, riuscì
a trattenersi ancora.
Scese
ancora, baciandole e accarezzandole con la lingua il ventre, poi, con
delicatezza, le sfilò gli slip e rimase per un attimo rapito dalla visione
meravigliosa, erotica e tenera nel contempo, di
Oscar completamente nuda e arresa di fronte a lui. Poi, quasi per porre fine ad
una tortura infinita, si inginocchiò di fronte a lei, le divaricò
delicatamente le gambe facendole posare sulle sue spalle e appoggiò le labbra sul
suo sesso in un bacio prima lieve, quasi
un soffio, poi sempre più profondo.
Si
accorse appena delle mani di lei che si posavano sulla sua testa tanto forte era
la passione che lo stravolgeva in quel momento.
I
gemiti di Oscar, ormai incontrollati, si
fecero sempre più forti e il suo corpo iniziò a
contrarsi ad ogni affondo della lingua di André.
Poi, quasi all’improvviso, si sentì invadere da un piacere infinito,
unico che, per un attimo, le chiuse ogni via di contatto con il mondo esterno;
un grido roco, prolungato, le uscì dal profondo dell’anima, inarcò la
schiena spingendo ancora di più la testa di André contro di sé e, ancora una
volta, chiamò il suo nome.
Rimasero
per un attimo immobili, ansanti. Oscar, ancora incapace di reagire di fronte all’intensità
del piacere che aveva appena provato accarezzava con dolcezza i capelli di
André che aveva appoggiato la testa sul suo ventre; André aveva cercato la sua
mano, intrecciando quasi spasmodicamente le dita con quelle di lei, e si era
abbandonato, stremato, sul suo corpo.
Poi
Oscar lo chiamo.
“Vieni
André”.
Si
alzò e la vide tendere le braccia verso di lui. Allora, senza più cercare di
dominarsi, si chinò su di lei, le prese le mani portandogliele dietro alla
testa, e scivolò lentamente dentro di lei, con una sensazione di dolcezza e
desiderio così intensi che gli fecero salire le lacrime agli occhi.
Cominciarono
a muoversi, prima con lentezza, poi con un ritmo sempre crescente, senza
parlare, solo i loro nomi pronunciati a fior di labbra, i loro sospiri, i loro
baci. Oscar
aprì gli occhi e restò incantata dell’immagine del viso di André,
stravolto, bellissimo, gli occhi verdi socchiusi piantati
nei suoi, la bocca umida, socchiusa, da cui sfuggivano gemiti di piacere
sempre più forti. Sollevò
le gambe e le chiuse intorno ai suoi fianchi, come per impedirgli di fuggire, di
allontanarsi anche per un solo attimo. |
Sentì
che voleva vivere questo momento unico come se fosse l’ultimo istante della
sua vita. Si abbandonò completamente, chiuse
gli occhi e lasciò che il piacere la invadesse nuovamente, questa volta in modo
diverso, non solo fisico. Lo amava. Stava facendo l’amore con lui per la prima
volta. Pianse mentre stava per raggiungere l’orgasmo.
André
si accorse che Oscar era al culmine e la guardò mentre inarcava la schiena e
buttava indietro la testa, con gambe che si stringevano attorno ai suoi fianchi
e le unghie che si conficcavano nella schiena,
per tenerlo il più a lungo dentro di sé.
Era
completamente sua, abbandonata a lui; ne assaporò ancora una volta il corpo
scosso dagli spasmi del piacere e capì che in quel momento avrebbe potuto
pugnalarla al cuore e lei non gli avrebbe opposto resistenza.
Sentì
calore dirompente muoversi dai lombi verso il bacino e giù ancora verso l’inguine;
si rese conto che stava per venire anche lui.
Poi,
come un lampo, un’immagine in lontananza gli
danzò confusa davanti agli occhi: l’immagine di Victor che, sopra Oscar,
vedeva quello che vedeva lui in quel momento.
E provò una rabbia così forte da farlo quasi star male. Voleva
fermarsi. DOVEVA fermarsi. Ma ormai si era spinto troppo lontano. Il suo corpo e
i suoi sensi decidevano per lui. Non riuscì a fermarsi e, mentre i suoi
movimenti si facevano più accelerati e convulsi sentì, quasi come una
liberazione, che stava per esplodere. Riuscì ad uscire da lei appena un
instante prima che l’orgasmo lo cogliesse improvviso, violento, strappandogli
un grido che era insieme di rabbia e di piacere.
Nessuno
dei due capì con esattezza quanto tempo passò prima che i pensieri
ritornassero a fluire coerenti e i battiti dei cuori riprendessero un ritmo
normale. André,
sdraiato su di lei, la testa appoggiata sopra la sua spalla, cercava di dare un
senso a tutto quello che era
successo, ai suoi sentimenti di odio e amore, rabbia e desiderio,
passione e repulsione. Perché
non dici niente? Ti prego, Oscar, parlami, dimmi qualcosa. Dimmi cosa hai
provato. Dimmi che non è stato come con Victor, dimmi che non è stato solo
sesso. Ti
prego, dimmi che mi ami… Rimasero
immobili per un tempo che ad André parve infinito e ad Oscar troppo breve,
ognuno perso in un tumulto di
pensieri e sensazioni, cercando di riprendere fiato, cercando di trovare le
parole giuste da dirsi. |
Il
suono del citofono, secco, improvviso, li fece sobbalzare come una scossa
elettrica.
André
si alzò di scatto, senza una parola, senza nemmeno guardarla negli occhi,
lasciandola confusa e turbata.
Cosa
ti prende, André, perché sei diventato di ghiaccio? Che cosa ti ho fatto ora?
André
si infilò rapidamente i pantaloncini della tuta e la maglietta e le parlò,
ancora con lo sguardo rivolto altrove.
“Sarà
meglio che ti rivesti, penso io al tipo del catering.”
“Certo
André” rispose con freddezza. Dentro, si
sentiva morire. Prese in fretta il vestito, ormai completamente stropicciato, e
gli slip e scivolò in bagno. Si appoggio alla parete completamente stordita.
Sentì
in lontananza André rispondere al citofono e dire alla persona che stava all’altro
capo che sarebbe sceso lui a ritirare la cena perché l’ascensore non
funzionava e c’erano cinque piani da fare a
piedi.
Lo
senti mentre apriva la porta e correva giù per le scale.
Oscar
aprì la doccia e si infilò sotto, senza nemmeno accorgersi che era ancora
gelata.
Lacrime
di rabbia, delusione e paura cominciarono a scenderle copiose.
Ma
dove ho sbagliato? Credevo che era fosse
quello che desiderava anche lui. Pensavo che provasse ancora dei
sentimenti per me. Che illusa che sei Oscar! André è cambiato e tu ti ostini a
non accettarlo.
Ti
sta bene! Quello che è successo questa sera te lo sei meritata: impara a
comportarti da troia e poi pagane le conseguenze almeno senza lamentarti.
Ricordati
chi sei Oscar, tu non hai bisogno di nessuno, tanto meno di qualcuno che ti ha
già abbandonato una volta.
Uscì
dalla doccia e si avvolse nell’accappatoio. Aveva i brividi. Non voleva andare
di là, non sapeva cosa dire; ma, allo stesso tempo, voleva vederlo, voleva
studiare il suo viso, magari si era sbagliata, magari era solo imbarazzato, come
lei, per quello che era successo.
Si
fece coraggio, si rivestì ed andò nel soggiorno.
André
stava in piedi e osservava con aria assorta i pacchetti contenenti
la loro costosa cena, posati sul tavolo, lo stesso tavolo che poco prima era
servito a ben altri scopi.
Rimase
per un attimo a studiarlo: aveva ancora l’aria arruffata e un po’ sconvolta,
probabilmente il tizio delle
consegne si era accorto che non arrivava da una situazione proprio tranquilla.
Oscar
sorrise fra sé per quel pensiero.
Al
di là di questo, però, sembrava teso, aveva la mascella serrata e si sfregava
nervosamente le mani sulla cosce.
Decise
che avrebbe fatto lei il primo passo. Non gli avrebbe certo rivelato quello di
cui si era finalmente resa conto (o che forse, semplicemente, aveva deciso di
accettare), il suo amore per lui; quello no... non era sicuramente il momento,
però si sarebbe sforzata di sembrare felice e a suo agio.
“André! Hai fame? Io sì da impazzire”
disse sfoderando il più splendido dei suoi sorrisi.
André
non parve particolarmente incantato.
“A
dire il vero no, non molta.”
Cominciamo
bene. Andiamo André, guardami, sorridimi…
Ma
André continuava a fissare ostinatamente i pacchetti sul tavolo.
Non voleva che lo vedesse, non voleva che si rendesse conto di quanto si sentiva
vulnerabile e spaventato. Lei era la solita Oscar, disinvolta e distaccata. Lui
non era così: aveva un disperato bisogno di sentirsi rassicurato, avrebbe
voluto che lei lo prendesse fra le braccia e gli dicesse che da quel momento
sarebbe stato tutto diverso. Ma lei non avrebbe parlato... e lui avrebbe
continuato a morire lentamente.
Mi
sono illuso che quello che c’è stato avrebbe cambiato le cose. Che idiota…
“Vuoi
un bicchiere di vino? Magari ti aiuta a farti venire l’appetito?” gli chiese
gentilmente.
“Non
credi che per questa sera abbiamo bevuto abbastanza?”
La
risposta gelò Oscar; sentì che gli occhi le si riempivano di lacrime. Le
ricacciò indietro: non avrebbe pianto! Nessuno l’aveva mai vista piangere.
Lei era più forte di lui, non aveva bisogno di nessuno e glielo avrebbe
dimostrato.
Così,
ancora una volta, invece di aprire il suo
cuore, Oscar preferì intraprendere la strada
che le era più facile, perché in fondo era quella che conosceva meglio.
“Di’
un po’, André, che ti prende? La prestazione non è stata di tuo gradimento?”
André
sollevò lo sguardo e la fissò per la prima volta, stordito dalla domanda e,
soprattutto, dal tono di gelida ironia con cui era stata posta.
“Tutt’altro,
Oscar, una fantastica, sana scopata. Da vera esperta.”
Uno
schiaffo le avrebbe fatto meno male.
“Mi
stai dando della puttana, André?” i suoi occhi lampeggiavano e le parole le
uscirono cariche di rabbia.
“N…
no assolutamente, voleva essere un complimento…” André si rese conto che
aveva esagerato. Che cosa gli stava accadendo?
“Ah,
un complimento... beh, nemmeno tu sei tanto male... ma considerato tutte le
donne che ti sei scopato in giro per il mondo
mi aspettavo qualcosa di più... cos’è? Non
ero io all’altezza o eri tu che non ti sentivi adeguato alla situazione.”
Ormai
le parole uscivano da sole, Oscar se ne rendeva conto ma non gliene importava;
voleva ferirlo, voleva farlo sentire di merda esattamente come stava lei in quel
momento.
“Oh!
E chi sarebbe adeguato alla situazione, sentiamo? Victor? Il grande amatore? Era
a lui che stavi pensando? Oppure a uno dei ragazzini
che ti scopi alla fine dei concerti? Sentiamo, Oscar, chi sono i miei rivali?”
Ti
prego, Oscar, dimmi che c’ero solo io. Che volevi me come non hai mai voluto
nessun altro…
Oscar
non riusciva a credere che quella discussione stesse avvenendo veramente.
“Victor???
E cosa c’entra Victor? Oddio! Ma certo... che idiota ingenua sono stata!!! Mi
sono fidata di te raccontandoti, con sincerità, quello che veramente è stato
fra me e Victor e tu hai pensato bene che quello che valeva per lui, valeva per
tutti. Non hai perso tempo a trarre le conclusioni.”
Oscar
aveva gli occhi che le bruciavano per le lacrime che cercava di trattenere. Le
stava facendo male, un male infinito. Si stavano
facendo un male infinito.
“Oscar!
Non essere ridicola, ma se hai fatto tutto tu! Non mi passava per l’anticamera
del cervello di fare nulla del genere.”
“Tu
mi disprezzi, vero André? Non mi consideri molto diversa dalle puttanelle che
ti sei fatto in America.”
André
si sentì morire. Ma cosa gli stava prendendo? Perché la trattava così? Era la
sua Oscar...
“Oscar...
io ti amavo... Non ti ho mai considerato una puttana…”
Ma
Oscar non lo ascoltava più, non si accorse dei suoi
occhi pieni di lacrime, del tono rotto, disperato con cui aveva pronunciato
quelle parole; la rabbia di tutta una vita stava esplodendo in quel
preciso momento e l’unico destinatario di quell’odio, ora, era lui.
“Certo!
Come no! Mi hai amato così tanto che hai pensato bene di andartene via per un
anno a consolare le pene d’amore con le prime che ti passavano sotto mano…”
“E
cosa avrei dovuto fare? Aspettare qualche segno da parte tua? Aspettare che sua
altezza madamigella Oscar Francoise de Jarjayes si degnasse di farmi almeno
capire se aveva colto il senso di quanto le avevo detto?? Me ne sono andato.
Certo. Perché non avevo scelta. Perché non potevo continuare ad aspettare che
ti decidessi una buona volta ad affrontare i tuoi sentimenti. Avrei accettato
anche un rifiuto. Almeno sarebbe stata una risposta. Ma tu, invece, niente. Hai
preferito fare finta di nulla, come se quel discorso non fosse mai stato fatto.”
“Stavo
male André, e tu questo lo sai benissimo...”
Non
la lasciò nemmeno terminare.
“Stavi
male? Oh certo! Savi malissimo! è
vero! Il bel danese. Marie Antoinette mi ha raccontato tutto, sai. Era
preoccupata, addolorata per te. Mi ha chiesto di starti vicino. E io l’ho
fatto.
Ma
dimmi la verità, Oscar? Quanto era veramente profondo il tuo dolore? Amavi
veramente così tanto questo idiota nordico, dopo solo una settimana che lo
conoscevi? Oppure, forse eri solo molto arrabbiata perché, per una volta,
qualcuno ti aveva preferito un’altra?
Sii
onesta. Il tuo dolore non era che l’ennesima scusa per non affrontare le
realtà delle cose. Era diventato il tuo “paravento”. Ti era molto più
comodo così. Tutta la tua vita è così: fai tanto la dura, ma poi sei più
debole di quanto riesci ad immaginare. Vivi nascosta dietro una facciata, Oscar,
è meglio che te ne renda conto se non vuoi
perdere anche le poche persone che ancora ti sopportano.”
L’aveva
distrutta. André se ne rese conto guardandola. Avrebbe voluto correre da lei,
prenderla fra le braccia e dirle che l’amava, che gli era costato dire quelle
cose ma che aveva dovuto farlo, perché almeno uno dei due doveva essere onesto.
Avrebbe voluto fare l’amore con lei all’infinito, e tenerla stretta,
rassicurandola che ci sarebbe stato lui, d’ora in poi, ad aiutarla ad
affrontare le sue paure.
Ma lei aveva distrutto lui molto tempo prima. E il dolore era ritornato,
inaspettato, più violento che mai, e lui, per la prima volta nella sua vita,
non era stato capace di reagire in modo razionale.
“Esci
da questa casa, André. Vattene immediatamente.”
Lo
guardava con occhi carichi di odio e disperazione.
“Sì
Oscar, me ne vado, ho bisogno d’aria. Non voglio starti vicino un minuto di
più. Ma questa casa è anche mia, e non sarò io questa volta a scappare.”
Non
aspettò la sua risposta. Entrò nella sua camera e ne uscì pochi minuti dopo
con un paio di jeans e un maglione. Infilò il giaccone di pelle, prese il casco
e le chiavi della moto , senza rivolgerle nemmeno uno sguardo, uscì di casa.
Fece le scale di corsa, lo sguardo offuscato dalle lacrime, il respiro
stretto in una morsa dolorosa. Sperò fino all’ultimo gradino di sentire la
porta aprirsi e la sua voce richiamarlo.
Ma anche questa volta, lo aveva lasciato andare via.
Uscì in strada sotto la pioggia battente e, per la prima volta in vita
sua, chiese a quel dio in cui non credeva più, di farlo morire.
Un
silenzio innaturale avvolse la casa. Oscar rimase così, immobile, provando
perfino dolore a respirare, per alcuni minuti. Poi, un tuono la scosse con
violenza, facendola trasalire.
Come
in trance, spense la luce, e si avvicinò alla finestra. Fuori diluviava. Un
lampo illuminò per un attimo il cielo. Oscar vide la sua immagine riflessa nel
vetro. Una donna di trentaquattro anni; il volto terreo, i capelli scarmigliati,
l’abito spiegazzato. nemmeno l’ombra della manager dal sangue freddo,
elegante e determinata, né della cantante che teneva in pugno una folla di fans
adoranti.
Era
solo una donna, sola, disperata, incapace di affrontare le proprie paure.
Appoggiò
la schiena al vetro per non guardare più quell’immagine patetica. Le lacrime
cominciarono a bruciarle gli occhi; questa volta non le fermò. Le accolse quasi
con sollievo. Scivolò a terra, appoggiò la testa sulle ginocchia rannicchiate
e cominciò a piangere disperatamente tutto il dolore che aveva dentro.
Passò
un’ora, o forse solo pochi minuti. Nel dormiveglia Oscar
non riusciva ad avere la percezione del tempo. Aveva freddo. Stava gelando. Ma
non aveva la forza di alzarsi. Doveva aver dormito per un po’, perché le
sembrava di avere fatto un sogno. André veniva da lei e l’abbracciava,
tenendola stretta; poi, di colpo, si trovava
da sola nel letto della casa dei suoi ad Arras; il letto era immenso e voleva
scendere ma non ci riusciva; voleva raggiungere il telefono per chiamare André
ma non aveva la forza di farlo.
Il
telefono!
Oscar,
con uno sforzo immane, aprì di scatto gli occhi. Il telefono stava suonando,
non sapeva da quanto tempo. Si alzò con fatica e riuscì ad arrivare
barcollando al telefono.
“Pronto”
il cuore impazzito.
“Cerco Oscar Francoise de Jarjayes.”
“Sono
io, chi parla?” le tremavano le gambe e le mani.
“è
l’ospedale di Parigi. Le passo il pronto soccorso, resti in linea.”
Oscar sentì che non riusciva a respirare.
Continua
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