Capodanno di fine millennio

parte tredicesima

 

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Parte XIII

 

(Colonna sonora: In a Life Time - Clannad)

 

23 dicembre 2000, un anno dopo.

 

Oscar uscì camminando con calma dalla metropolitana di Place de la Concorde. Era una bella giornata, insolitamente tiepida e soleggiata per essere dicembre.

Mancava ancora un’ora all’appuntamento con André. Decise che lo avrebbe raggiunto a piedi, attraversando i giardini delle Tuilieries.

Si avvolse nella pesante sciarpa e inforcò gli occhiali da sole.

Era stato il suo ultimo giorno di lavoro e le avevano organizzato una festa di addio. Non se lo aspettava e si era commossa, gettando nello sconforto tutti suoi colleghi che non l’avevano mai vista così e che si erano fatti in quattro per consolarla. Poi l’avevano riempita di regali, così tanti che non aveva nemmeno potuto portarli via: sarebbe ripassata l’indomani con la macchina a prenderli.

 

Si fermò di fronte alla fontana circolare, che in estate si riempie di turisti che prendono il sole, di coppie, di nonne con i nipotini, di mamme con i passeggini. C’era ancora qualche sedia: decise di sedersi per un po’.

Voleva rileggere ancora la lettera che André le aveva lasciato sul cuscino quella mattina.

Piegò indietro la testa e lasciò che il sole le accarezzasse il viso.

 

Chissà se mi prolunga un po’ l’abbronzatura.

 

Aveva ancora il colorito dorato dell’ultima vacanza di un mese prima, nel sud della Francia.

 

Aprì lo zainetto ed estrasse un foglio scritto a mano con la calligrafia scorrevole e un po’ irregolare di André. Sorrise, illuminandosi.

 

Ciao dolcissima,

 

mi sono appena svegliato e ti ho guardato: avrei voluto dirti quanto sei bella e quanto ti amo, ma non ho avuto il coraggio, avevi un’aria così serena e tenera che mi dispiaceva proprio svegliarti.

Poi mi è venuta in mente una cosa: lo sai che giorno è oggi? E' un anno esatto da quando mi hai detto Ti amo. Ma lo sai che mi sono quasi sentito male a questo pensiero. Dalla felicità, intendo...

Certo che è stato un anno intenso... un anno che è valso una vita, direbbe qualcuno. E' stato un anno meraviglioso, bellissimo, ma anche difficile, in alcuni momenti, e io sono così orgoglioso di te, di come hai affrontato e superato le cose. Non che ne avessi dubbi, ma ci sono state delle volte in cui mi sembravi così sperduta e io non sapevo cosa fare... Dio... Però, tu forse no e ti capisco, ma io ritornerei indietro e sarei disposto a rivivere tutto due volte per avere la felicità di adesso.

 

Bene. Ora devo scappare, purtroppo, ma ti aspetto oggi pomeriggio.

Ricordati che ti amo e non arrivare in ritardo.

 

André

 

Oscar sollevò la testa e rimase a fissare il riverbero dei raggi sull’acqua della fontana.

 

Un anno che era valso una vita... chi avrebbe potuto dirlo? Loro due, sicuramente; ma anche Alain e Marie, e Victor, e la sua famiglia stessa.

 

Avevano vissuto il mese di gennaio in uno strano stato di euforia e torpore, quasi fuori dal mondo. Scherzavano sempre dicendo che dovevano recuperare il tempo perduto, ma, in fondo alla battuta, si celava una verità trasparente come l’acqua. Avevano un bisogno disperato l’uno dell’altro. Di vedersi, di toccarsi, di parlarsi, di fare l’amore.

Oscar aveva scoperto quanto era doloroso alzarsi alla mattina per andare al lavoro, staccandosi dal tepore del corpo di André e dai suoi baci che cercavano di convincerla ad aspettare ancora un po’, a non andarsene subito, ché tanto poi avrebbero avvisato.

Le prime volte era stata brava ed era riuscita a resistere, abituata com’era ad obbedire al senso del dovere, ed aveva imparato ad alzarsi immediatamente al primo suono della sveglia, lasciando André imbronciato e bellissimo a guardarla mentre si vestiva.

Ma poi era diventata sempre più dura: lui si era fatto rapido e, appena pochi istanti prima che la sveglia suonasse, l’attirava a sé e la baciava sul collo e cominciava ad accarezzarla. Allora lei spegneva la sveglia e lasciava che lui continuasse a baciarla, ad accarezzarla ripetendogli che doveva alzarsi. Lui sorrideva e le diceva, in un sussurro: “Ora ti alzi...”.

Finivano per fare l’amore ogni volta, e ogni volta sembrava ad entrambi bellissimo e diverso.

Poi scivolava fuori dal letto, ancora stralunata e accaldata e correva sotto la doccia, facendo finta di essere arrabbiata.

Avevano ridotto al minimo i contatti con il mondo, trovando mille scuse e giustificazioni.

Oscar aveva scoperto di non essere capace di resistere al proprio desiderio per lui: a volte gli bastava guardarlo per sentirsi avvolgere dal calore, come quella volta, alla fine di un concerto, che lo aveva incontrato nel camerino, a torso nudo e sudato, gli occhi verdi socchiusi e uno strano sorriso sulle labbra.

Avevano fatto l’amore. Lui l’aveva sollevata e inchiodata contro i muro ed era entrato in lei con un impeto che l’aveva travolta ed era venuto dentro di lei, soffocando i gemiti contro la sua spalla.

Si erano rivestiti appena in tempo e quando era entrato Alain li aveva guardati con aria furba e aveva detto “Tutto ok?"

Una volta Victor le aveva detto: “L’amore ti fa bene: sei diventata ancora più splendente”. Era uno dei complimenti più belli che avesse mai ricevuto.

Si erano sposati agli inizi di febbraio, una cerimonia semplice, in comune, con pochi amici e pochissimi parenti. Oscar aveva percepito, chiarissimo, il disappunto di suo padre che avrebbe voluto fare le cose in grande stile, con tanto di vestito bianco e ricevimento post cerimonia. Si era imposta di non curarsene; quello era il SUO giorno e l’avrebbe vissuto come voleva lei. Però era sicura di avere visto gli occhi del padre diventare lucidi quando aveva pronunciato il sì.

Era diventata una moglie, la moglie di André. E come le piaceva dirlo! Lei, che era stata sempre refrattaria e insofferente alle convenzioni, adorava riferirsi ad André nei termini di “mio marito” e a sé stessa come la “signora Grandier”. Si sentiva un po’ infantile ma non poteva farci nulla. Non voleva farci nulla.

Ma questo cambiamento di status era in realtà l’aspetto esteriore di un cambiamento più intimo che stava avvenendo dentro di lei. Aveva scoperto il piacere di prendersi cura di alcune piccole cose che, per lei, significavano tantissimo perché erano la prova tangibile del fatto che ora si appartenevano. E aveva cominciato ad accettare la sua fortissima femminilità, non solo come un fatto esteriore ma anche accettando alcuni aspetti del suo carattere che aveva sempre cercato di reprimere. Così si era scoperta romantica e dolce, estroversa ed allegra, appassionata e un po’ gelosa e, soprattutto, aveva scoperto che voleva piacergli, voleva essere bella per lui. E tutto questo veniva ricambiato da André con una devozione e un amore tale che spesso si era trovata a chiedersi se per caso non stesse sognando.

Una volta, erano seduti al tavolo della cucina, lei intenta a guardare un libro di ricette e André a leggere un giornale, ad un certo punto, si era accorta dei suoi occhi su di sé e lo aveva guardato, sorridendogli. Allora lui le aveva preso una mano e con uno sguardo così carico di amore che le era sembrato di sentirlo addosso, quasi fisicamente, le aveva detto: “Lo sai che tu sei il senso della mia vita, vero?”

Non aveva aggiunto altro e lei si era alzata e gli si era seduta in braccio e lo aveva stretto fortissimo, senza parlare, perché ogni parola sarebbe stata superflua.

 

Febbraio era stato un mese di importante per molti di loro: Victor aveva concluso un contratto discografico da favola per una bravissima cantante jazz afroamericana ed era partito per New York per seguire le registrazioni, seguito dalla giovane fidanzata che aveva lasciato la carriera di modella pur di stare con lui.

Oscar non aveva mai visto Victor così felice e sereno da quando lo conosceva.

Rosalie aveva deciso, finalmente, di prendere la laurea in medicina e Bernard si era buttato a capofitto in una causa di diritti civili che lo aveva appassionato e preso come niente mai in vita sua.

Ma la vera notizia era arrivata da Alain e Marie che, a fine febbraio, avevano radunato tutti gli amici a casa loro e avevano annunciato, con una felicità genuina, che aspettavano un bimbo e che non era stato un incidente di percorso ma una loro scelta.

Oscar aveva colto lo sguardo che, di sfuggita, André le aveva rivolto. Anche se non gliene aveva mai parlato apertamente, lei lo sapeva benissimo: André avrebbe dato qualsiasi cosa per essere al posto di Alain e Marie in quel momento. E lei questo lo capiva, lui, come Alain, cresciuti con una situazione familiare disastrosa se non inesistente, sentivano la necessità di crearsi una loro famiglia. Ma lei non era ancora pronta, non per nulla aveva ripreso la pillola una volta scampato il pericolo della prima volta che lo avevano fatto senza alcuna protezione.

Quella sera, a letto, lo aveva abbracciato da dietro e gli aveva chiesto, ridendo, se per caso, tutto quel parlare di figli, non gli avesse fatto venire voglia di averne uno. Lui si era girato e le aveva sorriso: “Lo vorrò solo quando lo vorrai anche tu.” Lo aveva detto con sincerità ed Oscar si era sentita sollevata.

 

Marzo e aprile erano passati tranquillamente. Oscar aveva rallentato molti i ritmi di lavoro e aveva scoperto che i tempi più rilassati della vita di André le facevano bene. Si sentiva serena e felice, in pace con se stessa e con l’universo. Le piaceva uscire un po’ prima dall’ufficio e passare a prenderlo, poi, insieme facevano la spesa e, a casa, cucinavano parlando di tutto. Spesso finivano per mangiare tardissimo perché André le diceva che la trovava irresistibile quando la vedeva impegnata ai fornelli e che non poteva resistere e allora cominciava a baciarla sul collo, sapendo che la faceva impazzire e lei lasciava perdere quello che stava facendo e lasciava che lui la portasse a letto, o davanti al camino, o dove gli suggeriva l’ispirazione del momento.

Oscar era cambiata, se ne rendeva conto, e lo percepiva anche dal modo in cui gli altri le si rivolgevano, in modo più aperto e affettuoso, con più calore, con meno timore di sentirsi allontanati.

 

Certo che dovevo sembrare proprio una stronza.  Si era detta più volte.

 

Poi, una mattina, poco prima della metà di maggio, si era svegliata sudata, con il cuore che batteva velocissimo e si era trascinata fino al bagno, dove André l’aveva sostenuta appena in tempo prima che si lasciasse andare sul pavimento.

 

“Accidenti, Oscar, ultimamente sei svenevole come una dama del Settecento.” Aveva cercato di sorridere, ma il pallore cadaverico sul viso di lei lo aveva spaventato. L’aveva obbligata ad andare a letto. C’era stata un’epidemia di influenza a cui lei credeva di essere scampata, ma, evidentemente, non era stato così.

Ci aveva messo quasi una settimana a riprendersi, poi finalmente, aveva iniziato a stare meglio e si era fatta accompagnare da André dal dottor Grancourt per farsi dire se era tutto ok e se poteva tornare al lavoro.

Grancourt le aveva fatto una visita scrupolosa, come suo solito, e alla fine le aveva detto:

 

“Oscar, bambina, l’influenza direi che ti è passata, ma io credo che ci sia qualcos’altro.”

Oscar, che un po’ se lo aspettava perché si sentiva ancora stranamente debole, aveva chiesto, con aria rassegnata, che cosa pensava che fosse.

 

“Io sarei abbastanza sicuro nel dirti che sei incinta.”

 

Ci aveva messo un po’ a capire l’esatto significato di quelle parole, poi con un sorriso debole, gli aveva fatto notare che prendeva la pillola. Allora il dottore l’aveva aiutata a ricostruire tutto quello che aveva fatto negli ultimi mesi e Oscar aveva scoperto che gli antibiotici, che aveva preso per un banale ascesso, possono benissimo annullare l’effetto della pillola. Quel cretino del dentista mica glielo aveva detto.

Il dottore le aveva prescritto una serie di analisi e, se avesse voluto, le aveva suggerito di fare un test di quelli che si trovavano in farmacia.

Oscar aveva ringraziato, aveva preso l’impegnativa per gli esami e, completamente stordita, era uscita.

Un bambino. Quasi sicuramente aspettava un bambino. E non sapeva nemmeno se era felice o no di questa cosa.

Aveva sorriso ad André che le aveva chiesto se era tutto a posto. “Certo, André, tutto ok.” E si era avviata alla macchina senza parlare, in uno stato quasi di trance. Poi, però, quando, una volta in macchina, André si era girato verso di lei e le aveva avvolto la sciarpa intorno alle spalle con un gesto tenero e protettivo, si era risvegliata all’improvviso e le era uscito un debole singhiozzo che si era trasformato in un pianto a dirotto.

Non avrebbe dimenticato mai lo sguardo di terrore di lui che la supplicava di dirle cosa aveva, che cosa aveva detto il dottore così come non avrebbe mai dimenticato come quello sguardo si era trasformato in un’espressione di gioia pura e i suoi occhi si erano riempiti di lacrime quando gli aveva detto dei sospetti di Grancourt. L’aveva abbracciata stretta e lei si era sentita sicura, protetta e aveva pensato che tutto sarebbe andato bene.

Ma non era andata così.

Le analisi avevano dato esito positivo: era incinta di quattro settimane. Poi erano cominciate le nausee, fortissime, che le avevano impedito perfino di andare a lavorare e i dolori allo stomaco che la inchiodavano a letto. Oscar aveva iniziato ad avere mille paure, paura di affrontare otto mesi in quelle condizioni, paura di essere troppo vecchia per avere un figlio, paura che potesse nascere malato, paura di perderlo. A nulla erano servite le rassicurazioni del dottore e di Rosalie né l’amore incondizionato e il sostegno di André.

Si sentiva disperata e, alcune notti, dopo avere vomitato a vuoto per l’ennesima volta, era arrivata a sperare di abortire, di perdere quel maledetto bambino che la faceva stare così male. Ma poi si odiava per quei pensieri e si rannicchiava con la testa sulle ginocchia e piangeva, chiedendosi perché per lei non era come per Marie, che diventava ogni giorno più bella e viveva quella gravidanza come la cosa più meravigliosa che le fosse mai successa.

Una notte, mente la teneva stretta e le massaggiava la schiena dolcemente e le parlava piano cercando di tranquillizzarla, André aveva avuto improvvisamente una sorta di rivelazione e aveva capito perfettamente cosa doveva fare.

La mattina successiva si era alzato presto con la scusa di dover andare a vedere una moto da restaurare fuori Parigi. Oscar aveva percepito qualcosa di strano nel suo sguardo, ma era troppo stanca per la notte insonne per cercare di indagare. Era scivolata in un sonno agitato da cui si era svegliata solo nella tarda mattinata al suono del campanello.

Si era trascinata alla porta cercando di ignorare la nausea che la stava assalendo e quando l’aveva aperta era rimasta senza parole perché lì fuori, con lo sguardo preoccupato come non le aveva mai visto, c’era sua madre. Senza quasi rendersene conto, si era ritrovata fra le sue braccia, singhiozzando e con lacrime che le chiudevano la gola, e aveva lasciato che lei la cullasse e la consolasse come quando era piccola e poi le aveva raccontato tutte le sue angosce e le paure, accoccolata sul divano, con la testa sul suo seno e le mani di sua madre che le accarezzavano con amore i capelli. E sua madre le aveva parlato, con il suo tono calmo, e le aveva raccontato di come all’inizio avesse sofferto anche lei e, nonostante questo, aveva avuto quattro figlie, di come certe paure sono normali e comprensibili e del fatto che sarebbero stati tutti lì per lei, ad aiutarla e che non avrebbe mai dovuto nemmeno per un istante pensare di essere sola ad affrontare una cosa del genere.

“Ma... come hai fatto a sapere... chi ti ha detto...” Era stato André; era arrivato da loro quella mattina, gli occhi arrossati, lo sguardo stanco e triste di chi si sente impotente di fronte a qualcosa e aveva chiesto loro aiuto perché si era convinto che quello che la faceva stare così male era di non avere la sua famiglia vicino in questo momento.

Il suo André. Ancora una volta aveva letto nel profondo della sua anima e l’aveva capita.

“E... e papà?”

“Tuo padre è giù, in macchina, voleva sapere se lo volevi vedere, prima di salire.”

Non avevano parlato, lei e suo padre, semplicemente l’aveva chiusa nel suo abbraccio e l’aveva tenuta stretta e Oscar non aveva potuto fare a meno di piangere di nuovo ed erano rimasti così, tutti e tre, abbracciati, a piangere e a ridere e lei si era resa conto di quanto, a modo loro, l’amassero.

Quella sera avevano cenato tutti insieme, per la prima volta, nella piccola mansarda, e sentire suo padre ed André che facevano progetti sulla possibilità di cercare una casa più grande, con un ascensore che funzionasse, l’aveva riempita di gioia. Le sarebbe dispiaciuto lasciare la mansarda, ma avevano ragione, fra qualche mese cinque piani a piedi avrebbero rappresentato un problema. “Mi piacerebbe che fosse un po’ come questa” aveva detto, dando tacitamente la sua approvazione ai quei progetti.

Dallo sguardo che si erano scambiati i due, aveva capito che avrebbero ribaltato Parigi per accontentarla.

 

Quella notte, a letto, dopo più di un mese, lo aveva cercato e gli aveva chiesto di fare l’amore con lei e lui l’aveva guardata e l’aveva baciata, senza parlare, per paura di non riuscire a trattenere le lacrime e quella sera non voleva proprio piangere. Avevano fatto l’amore con una dolcezza senza limiti, e lui l’aveva accarezzata, sfiorata, per cogliere ogni minimo cambiamento del suo corpo e lei si era abbandonata completamente a quelle carezze e si era sciolta, e con lei si erano sciolte le paure e il dolore del mese passato. Alla fine, dopo averla baciata fino quasi a consumarsi le labbra, André era le aveva posato la testa sul ventre e aveva cominciato a parlare al loro bambino. Cose segrete, le aveva detto, e lei aveva riso e lo aveva sentito addormentarsi lentamente. Allora, per la prima volta in quei due mesi, si era messa una mano sulla pancia e si era fermata ad ascoltare.

Benvenuto piccolino.

 

Si era addormentata, serenamente.

 

Nel mese successivo, le nausee avevano iniziato ad attenuarsi, grazie anche ad un beverone a base di erbe che le aveva somministrato sua madre e che aveva funzionato benissimo,  ed era ritornata al lavoro.

Aveva preso a seguire Marie nei negozi di abiti per neonati, di accessori e di abbigliamento per future mamme e aveva scoperto che la cosa la divertiva un sacco, così, alla fine di giugno quella che una volta era stata la camera di André si era trasformata in un deposito di mobili, giochi e vestiti per bambini. Poco importava, a settembre si sarebbero trasferiti nella nuova casa, una mansarda a pochi isolati da quella in cui vivevano e che André, rispolverando la sua laurea in Design, si era divertito a riprogettare negli spazi.

 

Oscar si studiava ogni giorno davanti allo specchio e si stupiva del fatto che non ci fossero ancora segni evidenti sul suo corpo; solo il seno, che era diventato più pieno e molto sensibile. Si era scoperta ad invidiare un po’ il pancione di Marie che cominciava a vedersi in modo evidente e di cui lei e Alain andavano molto fieri. Una bambina, avevano saputo.

Poi, un giorno, più o meno intorno alla metà di luglio, aveva scoperto che la cerniera di un vestitino estivo che le era andato alla perfezione solo una settimana prima non le saliva più. Allora aveva chiamato André e, insieme, avevano seguito la linea della pancia: era cresciuta, quasi all’improvviso. Ora la potevano sentire arrotondarsi leggermente sotto la leggera pressione delle mani.

Si erano abbracciati, ridendo come ragazzini in preda ad una felicità incontrollabile, e quella sera erano usciti a cena per festeggiare.

 

Avevano passato le vacanze in una splendida villa che i genitori di Oscar avevano affittato per tutto il periodo estivo nella bassa Provenza, vicino a St. Marie de la Mère. Un mese bellissimo, tutto per loro, viziati e coccolati, senza preoccupazioni se non quella di decidere cosa mangiare e dove andare.

Camminavano tantissimo, abbracciati, sulle spiagge sabbiose della zona, facendo progetti per il loro futuro e per quello del bimbo. Avevano deciso che Oscar si sarebbe presa un anno di aspettativa, dopo il parto, e che avrebbe continuato a collaborare part-time, da casa, con la sua società che, pur di non perderla, le aveva offerto un contratto di consulenza da capogiro. Voleva essere una mamma a tutti gli effetti.

Diventava ogni giorno più bella e André non si stancava mai di guardarla e di ripeterglielo; l’abbronzatura e i leggeri vestitini a fiori la facevano sembrare una ragazzina.

“Voglio vedere se mi dirai ancora così fra qualche mese, quando non riuscirò a passare dalle porte.” Diceva lei con aria smorfiosa e lui, scherzando, le rispondeva, che  per allora si sarebbe trovato un rimpiazzo.

Alla fine si settembre, un’ecografia aveva rivelato che si trattava di un maschietto e che era sanissimo: era stato un momento molto emozionante e intenso e Oscar avrebbe voluto fotografare il viso di André mentre osservava a bocca aperta e gli occhi sgranati le immagini del loro bimbo sul monitor. Non aveva parlato d’altro per tutta la sera. Alain, che ci era già passato, se la rideva e lo prendeva in giro. Ma André non sembrava nemmeno sentirlo, tutto concentrato com’era nel descrivere quanto meraviglioso fosse quel bambino che stava nella pancia di sua moglie. Poi, Alain, quasi soprappensiero, aveva detto una cosa che aveva strappato André dalle sue riflessioni.

 

“Ci pensi, fra non molto io e te ce ne andremo in giro a spingere i nostri passeggini come due bravi papà. L’avresti detto tu?”

 

André aveva riflettuto un attimo e poi aveva risposto: “Sì, io dentro di me l’ho immaginato tante volte.” Aveva sentito la mano di Oscar stringersi intorno alla sua ed erano rimasti tutti in silenzio, a godersi l’aria tiepida di quella splendida serata di fine settembre.

 

“Ouch!”

 

Oscar sobbalzò leggermente sulla sedia e sorrise portandosi una mano sulla pancia.

 

Quanto scalci!

 

Ma ci era abituata, e le piaceva sentire quelle piccole scosse. Passavano ore intere, lei ed André, con la schiena appoggiata contro il petto di lui e le mani sulla pancia, in attesa del più piccolo movimento, e facevano a gara di chi lo sentiva per primo. In genere era André, ma lei si era convinta che ogni tanto lui barasse.

Mise via la lettera e si alzò con un po’ di fatica; mancavano ormai solo quattro settimane e il pancione le era cresciuto al punto che non riusciva nemmeno a vedersi la punta dei piedi.

Non mancava molto all’appuntamento con André: dovevano prendere gli ultimi regali di Natale e poi voleva andare a trovare Marie e la bambina e farsi raccontare ancora una volta di come fosse stato più facile del previsto partorire e di come non fosse poi tutto questo gran dolore. Sperò, ancora una volta, che fosse così anche per lei.

 

************

 

“Ehilà, bellissima! Sono quasi pronto.”

 

André si era affacciato dalla porta dell’ufficio di Alain, mettendosi il giaccone. Le mandò un bacio.

Oscar sorrise e ricambiò il gesto.

 

“Ciao mamma! Accidenti, mi chiedo con che coraggio vai in giro. Ma non ti vergogni con tutta quella pancia???”

 

Oscar scoppiò a ridere, Alain si divertiva a prenderla in giro, così come aveva fatto per Marie.

 

“Con lo stesso coraggio che hai tu. Come sta la mia nipotina?”

 

“Benissimo, mangia, tanto; dorme, poco e fa tantissima cacca. Il ritratto della salute.”

 

Oscar sapeva che dietro a questo atteggiamento ironico del solito Alain si nascondeva il papà più affettuoso e premuroso del mondo, che era quasi svenuto in sala parto e che, nonostante questo, aveva resistito fino alla fine pur di non lasciare Marie da sola.

 

Sentì le braccia di André avvolgerla e girarla verso di lui. Gli baciò il mento e lasciò che la stringesse a sé.

 

“Mmmmm, quanto mi piaci, così tutta tonda e morbida. Speriamo che le tette ti rimangano così anche dopo il parto...”

 

“André!”

 

Avrebbe voluto dirgli che stava diventando peggio di Alain ma le parole le morirono in gola, soffocate da una fitta lancinante al basso ventre. Un sudore freddo le gelò la schiena e le mani.

 

“Oscar... tutto bene?” André la guardava con aria perplessa.

 

“No... andiamo all’ospedale, subito.” Un’altra fitta la piegò in due, si appoggiò alla scrivania per non cadere.

 

“Ok, ragazzi, ora calma. Vi porto io all’ospedale. Tu non sei nemmeno in grado di capire dove sei adesso.”

 

Alain prese Oscar delicatamente ma in modo fermo per la vita e la guidò all’uscita dell’officina, dove c’era la sua macchina. André non si mosse.

 

“André! Ma sei rincoglionito? Ti muovi o no!”

 

La voce di Alain lo risvegliò un po’. Si trovarono in macchina, lui ed Oscar dietro e Alain davanti, al volante.

Si girò verso di lei e vide il terrore nei suoi occhi.

 

“Non è un po’ presto, André? Mancano solo quattro settimane...”

 

La voce di lei, la richiesta di aiuto che vi sentì, ebbero l’effetto di una doccia fredda. Si sentì un idiota. Sua moglie forse stava per partorire e lui si era lasciato prendere dal panico. Allora fece mente locale e ripercorse tutte le lezioni del corso preparto che avevano frequentato.

 

“...  hanno soprattutto bisogno di voi e di essere tranquillizzate da voi... è molto importante il tono della vostra voce, il contatto fisico...”

 

André si spostò sul fondo del sedile e fece sedere Oscar in mezzo alle sue gambe, facendole appoggiare la schiena sul petto. Iniziò a massaggiarle i reni con una mano e posò l’altra sul ventre.

Cominciò a parlarle con calma.

 

“Sicuramente è un falso allarme, vedrai, forse ti sei affaticata un po’...”

 

“Siamo quasi arrivati, ragazzi, ho avvisato Rosalie, lei arriverà a momenti ma c’è Anne di turno.”

André si chiese quando Alain avesse chiamato.

Appoggiò la bocca sui capelli e l’abbracciò. Sentiva il suo cuore battere velocissimo.

 

All’uscita dell’ospedale trovarono Anne con un sorriso radioso e una sedia a rotelle.

 

“Io non ci vado su quella... cosa!!”

 

“Oh, ci vai eccome, signorina.” E senza troppi preamboli Anne la fece sedere e la spinse all’interno dell’ospedale.

 

Alain si voltò a guardare André, pallido, nonostante l’abbronzatura.

 

“Dici che... ci potrebbe essere qualche problema?”

 

“Sono sicuro di no, vedrai. Vai da lei ora. Vado a chiamare Marie.” Pregò di avere ragione.

 

André sentì l’ansia che lo prendeva ogni volta che entrava in un ospedale. Ma questa volta doveva essere forte; si trattava di sua moglie e di suo figlio: era ora di sconfiggere per sempre i fantasmi.

Sentì una mano posarsi sulla spalla. Era Anne. La guardò sorridere. Era un buon segno. Però lei sorrideva sempre, del resto.

 

“Come sta?”  Sentì la propria voce tremare e cercò di controllarsi.

 

“Oh, non potrebbe stare meglio, direi che secondo me, se la cava prima di sera.”

 

André la guardò, stordito.


“Vuoi dire che... ma è presto, mancano quattro settimane. Ma sei sicura che andrà tutto bene?”

 

Il sorriso di Anne lo illuminò, radioso e rassicurante.

 

“E perché non dovrebbe? Il bimbo ormai è perfettamente formato, sanissimo. Ha solo voglia di uscire. Forse gli piace il Natale... Vuoi vederla?”

 

“Posso?”

 

“Certo, vieni. Le abbiamo dato un leggero sedativo, non preoccuparti se ti sembrerà un po’ imbambolata.”

 

André entrò nella stanza in penombra e rimase a guardala: bellissima, i lunghi capelli sciolti sulle spalle e un sorriso rilassato sul viso. Uno strano aggeggio le circondava la pancia e trasmetteva dei segnali sul monitor.

 

“Ehi... ti ho fatto prendere un bello spavento, eh?”

 

“Shhh.” Le accarezzò con dolcezza i capelli. “Non parlare, riposati.”

 

“Ma non sono stanca. Anne ha detto che ho le doglie, e che mi si sono rotte pure le acque. Solo che non me ne sono accorta perché ero troppo spaventata e troppo vestita.” Sorrise debolmente e socchiuse gli occhi. Poi, una contrazione, improvvisa, le fece emettere un gemito strozzato.

 

“Oddio Oscar... vado a chiamare Anne.” Fece per alzarsi ma la mano di Oscar strinse con forza la sua.

 

“No, aspetta. Non andare, non serve. È probabile che non ne avrò più per i prossimi venti minuti. Anne ha detto che devono passare cinque minuti fra una contrazione e l’altra prima di poter dire che ci siamo. Ora riposo un po’. Resta qui con me, ti prego.”

 

André rimase a guardarla, si chiese se fosse effetto del sedativo o cosa. Per un attimo invidiò la sua calma.

 

Nelle ore successive, la sala di aspetto si era riempita di parenti e amici, tutti che volevano salutarla, darle un in bocca al lupo o sapere come stava.

Le contrazioni erano ormai molto ravvicinate, e l’effetto del sedativo era totalmente passato.

 

“Oddio, Rosalie, non ne posso avere ancora un po’?” Oscar era ansante e sudata, l’ultima contrazione l’aveva fatta urlare.

 

“No, ora ti portiamo in sala parto. André, te la senti? Non è che mi svieni come Alain ?"

 

“N... no, no, certo che no.” Deglutì a fatica.

 

“Provaci e sei morto.” Oscar lo guardò con uno sguardo stravolto. Poi, un’altra contrazione, fortissima, le tolse il respiro. Sentì André sorreggerla e sollevarle la schiena, come avevano imparato al corso e ringraziò Dio che fosse lì con lei.

 

L’ora successiva l’avrebbero ricordata entrambi come l’ora più brutta e più bella della loro vita.

André era sconvolto dalla sofferenza che sentiva in lei ad ogni contrazione e cercava di aiutarla come poteva, detergendole il sudore, massaggiandole la schiena, aiutandola a seguire la respirazione, ricevendo gli insulti senza replicare. “Sono parte integrante di un parto” gli aveva spiegato Alain tempo fa con aria vissuta.

Aveva chiesto se potevano darle qualcosa ma Rosalie gli aveva detto che era inutile, era questione di istanti.

 

Voci concitate. Ormai Oscar percepiva solo questo. Le sembrava di non avere più fiato. Ogni contrazione sembrava squarciarla e credeva che non ce l’avrebbe fatta ad affrontare la successiva. Sentiva la voce di André che le parlava, cercando di tranquillizzarla. Poi, all’improvviso, sentì la voce dell’ostetrica:

 

“Ecco, vedo la testa, uno sforzo ancora. Respiri e spinga con tutte le sue forze.”

 

Sentì André dietro di lei pronto ad aiutarla in quella ultima spinta che le sembrava impossibile. La sua voce concitata.

 

“Respira Oscar, da brava, un ultimo sforzo. Dai, ci siamo quasi.”

 

Raccolse tutte le sue forze e tutta l’energia che le era rimasta si aggrappò alle mani di André e spinse, accompagnando lo sforzo con un grido di dolore che credette provenire da un altro mondo.

All’improvviso, finì tutto e si sentì scivolare in un meraviglioso stato di torpore come se si fosse trattato tutto di un sogno. Chiuse gli occhi, sorridendo. Poi, un pianto di neonato, acuto, fortissimo, e la voce di André, tremante, emozionata, che continuava a ripetere “Oddio, oddio, è nato” e una sensazione dolcissima di un peso lieve che le veniva posato sul ventre.

Aprì gli occhi e incontrò quelli di suo figlio che, per la prima volta, guardava il mondo.

Si sentì invadere da una gioia immensa, che le face quasi male al cuore. Cercò lo sguardo di André e lo vide completamente perso a contemplare quella creaturina ancora sporca di sangue che sembrava completamente a suo agio sulla pancia della sua mamma. Capì che aveva pianto e lo amò con tutta se stessa. Li amava entrambi più della sua vita.

 

“Bene, mammina, ti presento il tuo bellissimo bimbo: è sano, anche se un po’ piccolo. Ora, se mi permetti, te lo prendo un attimo: dobbiamo farlo bello così poi ve lo porto e ve lo godete quanto volete.”

 

Su quelle parole dolcissime di Rosalie, Oscar chiuse gli occhi, sfinita. Sentì la bocca di André posarsi sulla sua fronte e sussurrarle “Ti amo.”

 

*********

La stanza era invasa di fiori. Oscar si chiese che ore fossero. Era buio. Stava aspettando che le portassero il suo bambino.

Si sentiva avvolta da una marea di emozioni, una più bella dell’altra.

André era uscito per rispondere alle domande di tutti che volevano sapere come era andata, come stava lei, come stava il piccolo.

Le avevano fatto piacere quegli attimi di solitudine, le erano serviti a riordinare le idee.

La sua vita era ormai cambiata definitivamente, e tutte le paure che l’avevano sempre seguita nei mesi precedenti, si erano dissolte nel momento stesso in cui aveva posato lo sguardo in quello di suo figlio. Sarebbe stata la migliore delle madri, lo avrebbe amato alla follia e lo avrebbe viziato, tantissimo, come ogni madre, e non avrebbe mai accettato nessuna delle fidanzate che gli avrebbe presentato, e non gli avrebbe mai comprato la moto, e avrebbe pianto quando sarebbe andato in vacanza da solo...

 

“Si può?”

 

Oscar si alzò a seder di scatto. André era sulla porta e teneva in braccio con delicatezza un fagottino avvolto in una copertina azzurra. Sentì il cuore accelerare i battiti e un’emozione intesissima, nuova, quasi fisica, avvolgerla.

 

Eccoci, ci siamo.

 

Tese le braccia e avvicinò a sé suo figlio.

 

“È bellissimo, vero?”

 

“Sì...”

 

Rimasero incantati a guardarlo mentre dormiva: André lo sfiorò delicatamente, la piccola testa, su cui si intravedeva un’ombra di peluria scura, le guance, delicatissime, i pugnetti serrati. All’improvviso, aprì gli occhi, due piccoli smeraldi che li fissavano con aria curiosa, poi, la bocca si distorse in una smorfia che fu subito seguita da uno strillo.

Oscar guardò André.

 

“Oddio? Perché piange?”

 

“Non lo so, forse avrà fame.”

 

Sì, certo, sicuramente era così.

Si aprì la camicia da notte e avvicinò la piccola bocca al seno.

Il pianto cessò all’istante non appena la bocca incontrò il capezzolo. Cominciò a succhiare con tutte le sue energie.

André li guardò incantato.

 

“Mio Dio, Oscar, non ci credo ancora. Abbiamo fatto un bambino. E guarda che meraviglia che ci è venuto.”

 

Oscar non rispose, era completamente rapita dall’immagine di suo figlio. Sentì André sedere di fianco a lei e circondarle le spalle con un braccio, in un gesto protettivo. Appoggiò la testa sulla spalla di lui e si lasciò cullare da quella sensazione dolcissima.

 

“Grazie André.”

 

“Grazie di cosa?” Un tono di sincera sorpresa nella voce.

 

“Di essere qui con me adesso, di esserlo stato in passato, di essere con noi in futuro.”

 

“Non ringraziarmi Oscar, è stata la cosa più facile e bella che potessi fare: il difficile viene adesso. Non voglio deludervi mai.”

 

“E non lo farai, amore mio. Ne sono certa.”

 

Si girò e lasciò che un bacio leggero le sfiorasse le labbra. Si guardarono negli occhi per un istante, e poi i loro sguardi si posarono ancora sul piccolo che aveva finito di poppare e si era addormentato placidamente.

 

“André! Alla fine non abbiamo ancora deciso come chiamarlo!”

 

Un tocco appena accennato alla porta.

 

“Ehm, si può? Stiamo morendo dalla voglia di vedere il nostro nipotino.”

 

La voce di sua madre. Oscar e André si sorrisero.

 

“Certo, entrate pure.”

 

Era ora di presentare il loro piccolo al mondo.

 

 

Fine

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