Capodanno di fine millennio
parte undicesima
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Parte XI
(Colonna
sonora: Frozen, Madonna)
“Si può avere un po’ più di chitarra nella spia?”
“Bernard, sei accordato in la?”
“Alain, prova i piatti. André, aspetta un secondo, per favore.”
“Che luci volete? Sui tre microfoni solo o anche su tastiere e
batteria?”
“Victor! Per favore di' al mixerista di mettermi più chitarra in spia,
non sento un cazzo così. Solo la batteria.”
Nascosta dal buio del piccolo corridoio antistante l’ingresso, Oscar
osservava, sorridendo, le solite scene di panico e confusione che precedevano i
concerti. Adorava quei momenti, erano quelli in cui si cominciava veramente a
respirare l’aria dello show: tutti erano isterici e l’adrenalina saliva a
mille.
Alain roteava le bacchette all’impazzata e lanciava sorrisi e occhiolini
in direzione di qualcuno che Oscar non riusciva a vedere ma che immaginava
essere Marie. Si era già tolto tutti i vestiti, ad eccezione di un paio di
pantaloncini della Champions e le scarpe da basket e aveva i capelli raccolti in
una coda. Lui diceva che soffriva il caldo, ma tutti sapevano bene che gli
piaceva mettere in mostra il fisico da nuotatore e i tatuaggi di cui andava
estremamente fiero. Oscar sorrise. Era felice per lui, era felice per Marie...
ed era felice anche per se stessa. Quell’inizio di giornata, le parole di André,
la promessa della serata... si sentiva nuovamente fiduciosa che le cose
sarebbero andate nel modo migliore, fra loro due.
Aveva passato la mattinata a sognare ad occhi aperti: si era immaginata la
serata che li aspettava in mille modi diversi, si era immaginata quello che le
avrebbe detto lui e si era preparata un sacco di risposte possibili, tutte
bellissime e tutte volte a fargli capire che lo amava, tantissimo. Il finale
della serata se lo era immaginato però sempre uguale... Poi, aveva deciso che
quella sera sarebbe dovuta essere più che bellissima: doveva essere
semplicemente meravigliosa. Così si era decisa ad andare dal parrucchiere e
dall’estetista e si era fatta pettinare, massaggiare, pizzicare, rivoltare
come un salame. Però il risultato le era piaciuto, e anche molto. Sperò che
piacesse anche a lui.
André stava provando in quel momento i suoni della chitarra: si era messo
una bandana nera intorno alla fronte, per impedire che i capelli e il sudore gli
cadessero negli occhi e aveva messo la piccola benda a protezione dell’occhio
convalescente; per quella sera l’avrebbe tolta, con la benedizione del
dottore. Oscar lo guardò ancora e non poté fare a meno di pensare che quello
era il “suo” André e che era bellissimo, e sexy, e dolce.
Sorrise fra sé e fece il suo ingresso nella sala.
“Eccola, la nostra star!”
Bernard le mandò un bacio; André alzò lo sguardo dalla chitarra e le
sorrise, scaldandole il cuore. Sentì un braccio che le circondava le spalle. Si
girò e sorrise a Victor.
“Sei bellissima” le sussurrò in un orecchio “quella non ti vede
nemmeno.”
Fece cenno con la testa al bar dove Jean sedeva, le lunghe gambe
accavallate ben in vista, sorseggiando con aria distratta un cocktail senza
distogliere per un solo istante gli occhi da André.
“Ci puoi scommettere!” Oscar fece l’occhiolino a Victor e si
incamminò nel camerino per togliersi il cappotto. Sapeva della presenza di Jean;
André l’aveva chiamata informandola della cosa e pregandola di
non prendersela: non l’aveva certo invitata lui a venire alle prove e, per
quello che lo riguardava, non vedeva l’ora che se ne andasse. Oscar si chiese
se lei lo avesse informato o meno della sua intenzione di fermarsi a Parigi. Ma,
in fondo, non era poi così importante.
Vide Marie che le correva incontro per salutarla e le fece cenno di
seguirla nel camerino.
“Allora? Tutto bene?”
“Allora dovrei essere io a chiedertelo, Oscar! Ma cosa è successo? Sei
a dir poco raggiante e poi pettinata così sei bellissima. Di' un po’... forse
che un certo qualcuno si è dato finalmente una mossa?”
Oscar sorrise e alzò le sopracciglia con fare misterioso.
“Forse...”
“Ehi, capo, non fare la misteriosa con me... tanto ve lo si legge in
faccia che qualcosa è cambiato fra voi due!”
Oscar scoppiò a ridere: era inutile mentire a Marie, e poi le faceva
piacere condividere quel momento con lei.
“Ok, diciamo che questa sera ci sarà un “incontro al vertice” fra
me e lui, da soli. Anzi, un favore: se vedete per caso che quella si avvicina più
di due metri ad André, SPARATELE A VISTA!”
“Oh, contaci... sarà un vero piacere.”
Qualcuno bussò alla porta.
“Oscar? Posso?” Victor si affacciò alla porta “Se sei pronta
faremmo il sound check anche con le voci e poi possiamo mangiare qualcosa.”
“Arrivo subito, Victor, grazie.”
Victor uscì, non senza lanciarle un ultimo sguardo.
“Gran bell’uomo” osservò Marie con aria seria “e credo che sia
ancora partito per te.”
“Siamo solo buoni amici.”
Uscirono dal camerino e Oscar salì sul palco, salutata dagli applausi dei
presenti in sala.
Provarono alcuni pezzi e, dopo circa un’ora di prove, di volumi alzati e
poi fatti abbassare e poi alzati di nuovo, tutto sembrava pronto per la serata.
Erano le sette di sera, il concerto non sarebbe iniziato prima delle dieci
e trenta e, per l’occasione, il locale aveva preparato un piccolo cocktail
party in onore della band e dei collaboratori e amici.
Erano tutti molto carichi ed allegri, l’atmosfera era perfetta.
Alain e André, seduti ad un tavolo con Marie, Oscar e Gerard, prendevano
in giro quest’ultimo per la sua fissazione
per l’attrice Nicole Kidman “unica donna con cui si sarebbe mai
sposato”. Poco più in là, Jean teneva banco circondata da un codazzo di
maschietti con gli ormoni in fermento, fra cui spiccava Bernard che, per quella
sera, aveva un’aria stranamente lucida. Victor parlava, ridendo, con Rosalie
che era arrivata pochi istanti prima.
Poi, i gruppetti si ricongiunsero per un brindisi di in bocca al lupo
generale, una sorta di rito scaramantico che veniva ripetuto ogni volta.
Leggermente distaccate dal gruppo, Oscar e Marie osservavano la scena con
aria perplessa: con un’abilità da entraineuse
di lunga carriera, Jean era riuscita a porsi al centro del gruppo e
raccontava a tutti di quando aveva incontrato, ad un party a Los Angeles dove
era stata invitata, il batterista e il cantante dei Red Hot Chili Peppers,
lasciando intendere che c’era stata qualcosa di più di una semplice
conoscenza.
Alain, che considerava Chad Smith uno dei suoi principali ispiratori,
pendeva letteralmente dalle sue labbra, e perfino Victor, che fino a quel
momento l’aveva snobbata, ascoltava con un certo interesse. Gli unici due che
sembravano non particolarmente colpiti dal racconto erano André e Jason,
probabilmente perché lo avevano già sentito miliardi di volte.
“Piccola puttana bastarda di un’americana del cazzo.”
Oscar si girò di scatto verso Marie: era la prima volta, in tanti anni
che la conosceva, che la sentiva parlare in quel modo.
“Sì, indubbiamente ci sa fare...”
“Certo, sta praticamente facendo la cronistoria illustrata delle sue
scopate, ci credo che li ha tutti ai suoi piedi...”
“Comunque, non ti preoccupare, Marie, è a uno in particolare che punta,
temo.”
“Oh, io non mi preoccupo di certo! E nemmeno tu dovresti. È solo che mi
dà tremendamente
fastidio il modo con cui si è messa al centro dell’attenzione, come se fosse
lei la star.”
Oscar rise: “Perché, chi dovrebbe essere la star?”
“Marie ha ragione.”
Oscar e Marie si girarono di colpo; Rosalie era comparsa all’improvviso
dietro di loro e guardava con aria di assoluto disgusto la scena. Oscar sapeva
benissimo quanto detestasse quel tipo di atteggiamento.
“Bisogna intervenire per ristabilire le giuste gerarchie. Di' un po’,
specie di rock star dei poveri, hai intenzione di salire sul palco così
messa?”
Oscar si guardò: non c’era nulla che non andava nel suo abbigliamento,
un paio di jeans a vita bassa, stivali con un po’ di tacco, un maglione nero
che si sarebbe tolta prima di salire sul palco sotto il quale indossava una
maglietta bianca senza maniche. Poi colse lo sguardo di intesa fra le due amiche
e cominciò a preoccuparsi.
“Perché, cosa c’è che non va? Devo stare comoda, poi lassù fa un
caldo del cavolo.”
Marie e Rosalie, con aria estremamente rassicurante e sorridente, cominciarono a spingerla verso il camerino.
“Vieni cara, lascia che ci prendiamo cura noi di te.”
Rosalie prese il cellulare dalla tasca e fece un numero.
“Anne, tesoro, sono io. Sei ancora a casa, vero? Splendido, senti...”
Oscar non sentì il resto della comunicazione: Rosalie era uscita dal
camerino e si era chiusa la porta alle spalle. Guardò Marie che le sorrideva
con aria sorniona.
“Marie, mi spieghi che cazzo succede?”
“Niente che non ti piacerà, fidati: vogliamo solo che tu sia la
protagonista assoluta della serata, basteranno solo un paio di aggiustamenti. Ti
fidi di noi?”
“Non lo so. Dovrei?” Le sue difese stavano cedendo più in fretta di
quello che avrebbe pensato, in fondo l’idea la stuzzicava. Era una donna, no?
Poteva anche permettersi un po’ di vanità.
Meno di mezz’ora dopo, Anne faceva il suo ingresso nel camerino portando
una scatola e un grosso pacco.
Era veramente un donna bellissima: elegante e sofisticata. Quasi capì
come mai Rosalie si fosse innamorata di lei.
Marie le aveva truccato gli occhi e la bocca. “Nulla di volgare,
fidati.” Non le avevano ancora permesso di guardarsi allo specchio.
Poi, con orgoglio, Anne aprì i suoi pacchi: un paio di pantaloni di raso
nero, leggermente scampanati sul fondo, con la vita così bassa che si chiese se
per caso ne mancava un pezzo, un paio di stivali altissimi, per fortuna con il
tacco piatto, una specie di frac di seta nera bordato di piume di finto struzzo
e, il pezzo forte della collezione, un corpetto di pizzo bianco, “stile
cortigiana di Versailles” come lo aveva definito Anne con aria seria, molto
trasparente, con tanto di stecche e reggiseno a balconcino, sorretto da spalline
quasi invisibili.
“Ovviamente, la giacca te la togli a metà concerto e lasci tutti a
bocca aperta. I maschietti faranno le corse in bagno, vedrai.”
“Ma... Cristo santo, Anne, mi manca la stella sulla faccia e poi sembro
il cantante dei Kiss...”
“E perché, ci sputeresti sopra a Paul Stanley, tu? Lo sai che se lo
farebbero sia gli uomini che le donne?”
Oscar guardò Marie per niente convinta da quella prospettiva. Ma ormai
era inutile tirarsi indietro.
Un quarto d’ora dopo era pronta per guardarsi nello specchio.
“Ci sei?” Marie, Rosalie ed Anne la guardavano come mamme orgogliose.
Oscar chiuse gli occhi e sospirò.
“Sì.”
Quando li aprì si trovò di fronte a qualcuno che quasi non conosceva. Ma
era lei. Ed era veramente spettacolare.
Il trucco le metteva in evidenza gli occhi e le labbra, i capelli, tirati
all’indietro da un cerchietto dentellato, le incorniciavano il viso come una
criniera selvaggia, il vestito le stava divinamente e gli stivali l’avevano
resa più alta di quasi dieci centimetri.
Le tre donne, che spiavano ogni sua mossa, si guardarono soddisfatte
quando videro il viso di Oscar illuminarsi in un sorriso pieno di soddisfazione.
“Mio Dio, ragazze. Non riesco a crederci? Sono veramente io? È un
miracolo.”
“Ti piace?”
“Sì, da morire, non so come ringraziarvi.”
“E di che? Guarda che la materia prima è tutta roba tua. Noi abbiamo
solo fornito gli accessori.”
Scoppiarono a ridere. Oscar si guardò di nuovo: sembrava che le tette le
stessero per esplodere da un momento all’altro e i pantaloni a vita bassa
lasciavano vedere, oltre l’ombelico, la sottile striscia di pizzo degli slip.
“Vedrai, il “bambino” stasera ti
salta addosso!” Rosalie si prese una gomitata da Anne.
“Oscar, ci siamo quasi, sei pronta?” La voce di Victor.
“Arrivo subito, aspettatemi vicino al palco, non voglio casino intorno
quando esco.” Era già entrata nella parte.
Sul fondo del corridoio che portava al palco, si era creato un piccolo
capannello di persone: André, Alain, Bernard, Gerard, Victor, Jason, Jean e
alcuni altri amici. Tutti aspettavano Oscar che, stranamente, si stava facendo
attendere.
Poi, la porta del camerino si aprì. Come in una processione, uscirono
prima Anne e Rosalie, poi Marie, tutte con passo lento e tutte e tre con uno
strano sorriso stampato in faccia, poi, finalmente, Oscar fece la sua comparsa.
E per alcuni secondi nessuno parlò, e qualcuno nemmeno respirò. Oscar sorrise
a tutti e cercò lo sguardo di André: la fissava a bocca aperta, una mano
sospesa a mezz’aria e gli occhi spalancati.
In quel momento c’era solo lei, avrebbe dato qualsiasi cosa per fare sì
che tutto il resto sparisse. Dio, com’era bella. Si era messa così, per lui?
Sperò con tutte le sue forze che fosse così.
Dopo, Oscar. Facciamo finire questo dannato concerto. Poi nemmeno la morte
mi terrà lontano da te.
Oscar sentiva gli sguardi su di sé mentre attraversava il gruppetto e si
dirigeva verso l’entrata al palco.
Sorpassò Jean che non era riuscita a nascondere lo stupore di fronte a
questa nuova, sensualissima Oscar e le lanciò un mezzo sorriso, guardandola
dall’alto al basso.
Si fermò di fianco a Victor, all’ingresso del palco.
“Di' un po’? Hai deciso di farci fuori tutti?” le mormorò.
Gli sorrise con aria maliziosa. Poi si girò e fece cenno agli altri di
seguirla. Erano ancora tutti senza parole.
Oscar sorrise fra sé: le gerarchie erano state ristabilite.
Per quanti concerti avessero fatto, nessuno di loro era preparato allo
spettacolo che li attendeva: la sala del locale, che era il più grande in cui
avessero mai suonato, era letteralmente gremita di persone, tant’è che
qualcuno si era seduto sui bordi delle finestre e qualcuno perfino sul bancone.
In prima fila, accalcati sotto il palco, gli “irriducibili”, il gruppo
di fan che li seguiva ad ogni concerto e sapeva a memoria tutte le canzoni che
facevano, li chiamava a gran voce.
“Porcaputtana, ragazzi.” André non riusciva a credere che tutta
quella gente fosse lì per loro.
Poi, il grido di battaglia di Alain, che segnava l’inizio di ogni
concerto, li ripiombò nella realtà. Si precipitarono tutti al loro posto, e,
sulle note iniziali di Sweat Dreams degli Eurythmics, un’esplosione di
fuochi d’artificio illuminò il palco.
Sicura di sé, con le braccia alzate a salutare il pubblico, Oscar fece il
suo ingresso in mezzo alle grida e agli applausi di più di mille persone e
iniziò a cantare.
Alla fine della prima canzone, sotto il palco si era creata una ressa di
fan urlanti e scalmanati che cantavano con lei e tendevano le mani verso il
palco. Oscar capì cosa dovevano provare le vere rock star.
“Buonasera Parigi! Siete caldi? Siete pronti? E allora seguitemi.”
Oscar fece il verso a Madonna nel delirio generale del pubblico. “Il prossimo
pezzo è di un gruppo che ha suonato a Parigi non molto tempo fa. Sono sicura
che molti di voi c’erano. Io c’ero. La canzone è Zombie e loro sono
i Cramberries.”
Partì la chitarra distorta di Bernard, Oscar girò il microfono verso il
pubblico e un coro di voci attaccò all’unisono la prima strofa. Oscar fece
segno con il pollice alzato, poi afferrò il microfono con entrambe le mani e
proseguì la canzone, accompagnata dal pubblico.
Seguirono Secretly degli Skunk Anansie e The One I Love, dei
REM. Ormai Oscar riusciva a malapena a sentire la propria voce tanto erano forti
le grida del pubblico che cantava con lei.
Si sentiva divinamente bene, si sentiva bella e desiderata e i suoi occhi
si erano incontrati un paio di volte con quelli di André che l’aveva guardata
con la stessa espressione con cui un bambino guarda una torta alla panna e
cioccolato dopo una settimana di digiuno. Poi, quando si era avvicinata a lui
che le faceva da seconda voce in The One I Love, e le loro bocche si
erano trovate vicinissime sullo stesso microfono, aveva provato un desiderio
pazzesco di baciarlo. Lui non aveva smesso di guardarla negli occhi un solo
istante.
Faceva un caldo mortale, Bernard si era tolto la maglietta che aveva
gettato al pubblico, seguito da André, improvvisando uno streap-tease che aveva
divertito ed eccitato non poco le ragazze presenti in sala che, tutte in coro,
li avevano incitati a proseguire.
Oscar moriva dalla voglia di togliersi quella giacca che ormai le si era
incollata sulla pelle sudata, ma non era ancora il momento: le sue consigliere
le avevano detto non prima di metà concerto...
“Ok, la prossima canzone è dedicata a tutti i maschietti presenti in
sala: si chiama You’re So Vain ed è della grande Carly Simon.”
Cantò il pezzo seguita dal pubblico, soprattutto da quello femminile
imitando in modo ironico il modo di muoversi di Carly Simon.
André non poteva smettere di guardarla: era fantastica, padrona del
palco, non solo cantava divinamente ma si muoveva pure in un modo così sensuale
che toglieva il fiato. Per un attimo fu sfiorato dall’idea che la maggior
parte dei maschi presenti nel pubblico avrebbe fatto carte false per portarsela
a letto quella sera. Pensò che non avrebbe dovuto perderla d’occhio nemmeno
un secondo alla fine del concerto.
Poi sentì Oscar fare l’introduzione al prossimo pezzo, era Stay (Faraway,
so close) degli U2, pezzo che avrebbero cantato insieme.
Si ritrovarono ancora vicinissimi, il braccio di Oscar che gli cingeva la
vita, le guance e le bocche che quasi si sfioravano. Si dimenticarono per un
attimo del mondo che li circondava, così persi l’una nell’altro, che non
notarono né gli sguardi ammiccanti di Bernard verso Alain, né la miriade di
accendini che si era levata in alto ad illuminare quel momento magico.
Finirono la canzone in un frastuono di applausi e grida, guardandosi
ancora negli occhi, entrambi con il fiato corto e il cuore che pompava a mille
per l’emozione.
Oscar cantò Here Comes the Rain Again, degli Eurythmics, poi,
sulle note iniziali di Frozen, con una naturalezza che colpì lei per
prima, si girò dando le spalle al pubblico e lasciò scivolare la giacca a
terra. Iniziò a cantare tenendo gli occhi chiusi e non vide gli sguardi
attoniti dei suoi musicisti e non si accorse che Alain aveva perso un battuta.
Si girò verso il pubblico sull’inizio del ritornello e si inginocchiò.
Sentì le grida del pubblico farsi ancora più forti ed ebbe la nettissima
sensazione di averli in suo potere. La trovò inebriante.
Alla fine del pezzo rimase in ginocchio, la testa buttata all’indietro e
le braccia aperte, sentiva il seno compresso nel corpetto che si abbassava e si
alzava al ritmo accelerato del suo respiro. Per un attimo si chiese quanto
lasciasse vedere quel pezzetto di stoffa madida di sudore ma poi si rese conto
che non le interessava.
Quella
sera si sentiva trasformata in una creatura diversa, sexy e senza ombra di
pudore.
Era il momento di Proud Mary, il pezzo dei Creedence. Lei e André
l’avrebbero rifatto come Ike e Tina.
Afferrò il microfono con una mano, mettendosi leggermente di fianco,
scosse i capelli che le ricaddero come una cascata sul viso e sulle spalle e,
seguendo il ritmo della musica, parlò:
“Sapete, ogni tanto penso che a voi piacerebbe sentirci fare una cosa
DOLCE... TRANQUILLA...
Ma c’è un fatto: noi non facciamo mai niente di DOLCE... TRANQUILLO...
Quello che facciamo è sempre FORTE... VIOLENTO...
Ora prenderemo l’inizio di questa canzone... e lo faremo TRANQUILLO...
Ma poi la faremo finire in modo VIOLENTO...
È così che eseguiremo il brano dei Creedence Clearwater Proud Mary.”
[1]
Oscar iniziò a cantare, in modo lento, accompagnata dalla voce di André;
la eseguirono in modo perfetto, lenta, sommessa, all’inizio, scatenata nella
parte finale. Era l’apertura all’ultima parte del concerto, prima dei bis,
in cui avrebbero fatto due nuove cover. Se fossero piaciute al pubblico quella
sera, era loro intenzione prepararne altre per il futuro.
Non appena la chitarra di Bernard accennò le prime note di Fear of The
Dark, degli Iron Maiden, fu di nuovo un lampeggiare di accendini e mille
voci si unirono nel coro iniziale di quella storica canzone.
Il modo in cui riuscì ad interpretarla Oscar fu assolutamente unico: sia
nella voce che nei movimenti.
Il pezzo successivo, Zombie Eaters, dei Faith No More chiuse il
concerto fra le urla del pubblico che sembrò impazzire.
Scesero dal palco sommersi dalle grida e dai richiami.
Avrebbero atteso qualche minuto, aspettando che il pubblico li
richiamasse, e poi sarebbero usciti nuovamente per i bis conclusivi.
Si ritrovarono tutti per pochi attimi nel backstage, sudati, col fiato
corto e gli occhi che brillavano per l’eccitazione. Si scambiarono abbracci e
pacche sulle spalle. Tutti volevano baciare la fantastica protagonista della
serata.
“Se non avessi “Proprietà privata” stampato addosso stasera ti
farei di tutto.” Oscar sorrise a Bernard: era il suo modo di fare complimenti;
probabilmente in un’altra occasione si sarebbe arrabbiata a morte per la
mancanza di tatto, ma quella sera lo trovò un apprezzamento fantastico.
“Grazie, bello, sarà per la prossima volta.”
All’improvviso si sentì trascinare per il braccio da qualcuno e, senza
nemmeno rendersene conto, si trovò al buio, nascosta dalla grande porta
antipanico. Poi la bocca di André sulla sua, e un bacio carico di desiderio che
le tolse il respiro. Rispose al bacio
con tutta la passione di cui era capace. Poi lui si staccò con forza, e la
guardò, con la bocca socchiusa, ansimando leggermente. Oscar sentiva il suo
petto che si alzava e abbassava contro il suo seno.
“Dio, Oscar... è da questa mattina che volevo farlo. Non ce l’avrei
fatta ad aspettare un secondo di più. Sei meravigliosa. Lo sai che ti amo,
vero?” Erano ancora attaccati, incuranti del caldo infernale. Oscar non riuscì
a rispondere: la porta si aprì e Alain comparve sulla soglia.
“Forza piccioncini, continuate dopo, finiamo il concerto e poi siete
liberi.”
André afferrò per mano Oscar, ancora stordita per quello che era
successo, e uscì verso il palco.
Con uno sguardo carico d’odio, Jean li fissò. La ignorarono entrambi ma
Oscar non poté fare a meno di provare un profondo senso di disagio di fronte a
quella silenziosa promessa di vendetta.
La sala sembrava sul punto di esplodere, la temperatura doveva superare i
quaranta gradi e il fumo aveva creato una specie di nebbia sospesa che dava a
quella scena di corpi accaldati ed eccitati un aspetto irreale.
“Bene... bene. A nome di tutti i Revolution vorrei ringraziarvi per
essere stati con noi questa sera. Siete fantastici, lo dico davvero, ci avete
scaldato... beh, forse è meglio dire “surriscaldato” il cuore.”
Una voce dalla sala: “Sei bellissimaaaaaa.”
Oscar rise e fece un piccolo inchino: “Grazie, anche tu... chiunque tu
sia. Il nostro concerto sta per finire”
Quella che faremo adesso è la mia canzone preferita, e la dedico a tutte
le persone che si amano, a quelle che lo sanno, a quelle non lo sanno ancora o
che non vogliono ammetterlo, per orgoglio, per pigrizia... o forse solo per
paura di restare feriti. Non abbiate paura di dire a qualcuno che lo amate,
potreste passare il resto della vostra vita a rimpiangerlo. Il
prossimo pezzo è With or Without You.”
Mentre le prime note si diffondevano nella sala, Oscar si girò
leggermente verso André e capì che il messaggio era stato ricevuto forte e
chiaro.
Si appoggiò su un ginocchio e si rivolse ancora al pubblico: “Voglio
che la cantiate tutti con me.” Poi, girò il microfono verso il pubblico e
lasciò che le voci di tutte quelle persone si unissero alla sua.
Fu un momento da brivido per tutti e dovettero aspettare alcuni minuti
prima che gli applausi si placassero e Oscar riuscisse ad annunciare quello che
sarebbe stato l’ultimo pezzo; ringraziò ancora tutti e presentò la band.
Poi, illuminata solo dalle fiammelle degli accendini, cantò Steel Rain
di Chris Cornell in un modo così meraviglioso che perfino Bernard, che in
genere nulla riusciva a smuovere, sentì la pelle d’oca salirgli per tutta la
schiena.
Lasciarono la sala seguiti dagli applausi e dalle grida del pubblico che
li voleva ancora sul palco.
Nel backstage, un Victor al settimo cielo li aspettava con una bottiglia
di champagne per mano.
“Ragazzi... siete stati GRANDI!!! Dov’è la regina? Oscar, amore,
vieni qui, fatti baciare.” Victor stampò un bacio sulla bocca di Oscar poi si
avvicinò ad Alain e, scherzosamente, provò a fare lo stesso.
“Provaci e sei morto.” Scoppiarono tutti a ridere. Cominciarono i
brindisi, gli abbracci e i ringraziamenti reciproci. La piccola sala dove si
svolgeva il party improvvisato cominciava a riempirsi di persone, amici,
conoscenti, fan che volevano congratularsi con loro.
André si sentì trascinare fuori dalla sala da un gruppo di ragazzi che
volevano assolutamente offrigli da bere, riuscì a incrociare lo sguardo di
Oscar e le fece segno “ci vediamo dopo” con le mani, Oscar rispose
strizzando l’occhio: era anche lei circondata da persone che le rivolgevano
complimenti e domande.
Non potevano scappare subito.
In un angolo, Alain e Marie si baciavano come se non si vedessero da un
anno. Qualcuno gridò loro: “Ehi, ragazzi, fame arretrata, eh?” Alain, senza
staccarsi da lei, alzò il dito medio per tutta
risposta.
Bernard, a torso nudo, i muscoli luccicanti per il sudore ben in evidenza,
era impegnato a spiegare l’importanza del chitarrista solista ad un gruppo di
ragazzine che se lo mangiavano con gli occhi.
Victor, perfettamente calato nel suo ruolo di manager, parlava con un tipo
che aveva tutta l’aria di essere un giornalista.
Oscar era riuscita a rinchiudersi per un attimo nel camerino ad asciugarsi
e rimettersi a posto ed era in compagnia di Rosalie ed Anne che non smettevano
più di congratularsi con lei e con se
stesse per il fantastico risultato della loro opera.
“Cara... ora sarà meglio che tu esca e ti dia in pasto alla folla. In
fondo sono lì per te.”
Oscar sospirò. Sapeva che non poteva dileguarsi così, anche se era
quello che desiderava in assoluto.
“Va bene, visto che ci tocca... andiamo a goderci la gloria.”
Con un gesto da diva, buttò i capelli dietro le spalle e, ridendo di
gusto, uscì nella sala gremita di gente.
Passarono tutti l’ora successiva a stringere mani, a parlare e a fare
foto con persone conosciute e non, ad accettare e rifiutare cocktail che
venivano loro offerti.
Il locale era ancora gremito, in fondo, erano “solo” le due di notte,
e, per molti dei presenti, la serata era appena cominciata.
“Hai visto André?”
“Cosa?” Alain avvicinò l’orecchio alla bocca di Oscar; la musica
era assordante e Oscar dovette urlare per farsi sentire.
“André... lo sto cercando. Sai dov’è?”
“Dieci minuti fa ha detto che andava a recuperare le sue cose.
Probabilmente è nel camerino. Ve ne andate?”
“Sì, credo di sì...”
“Beh, buon divertimento! Mi raccomando, mandate una cartolina fra
qualche giorno, altrimenti ci preoccupiamo.” Alain fece l’occhiolino.
Oscar gli diede una pacca sulla spalla e andò via senza dire una parola.
La porta del camerino era socchiusa; fece per entrare poi, si bloccò.
Rimase inchiodata a guardare la scena, incapace di muoversi o di reagire.
Sdraiata sul tavolo, gemendo come una cagna in calore, Jean si stava
facendo scopare... da André.
Si appoggiò alla parete: non riusciva a crederci, non poteva essere vero.
Sentì che le veniva da vomitare. Raggiunse il bagno appena in tempo.
Dio mio... cosa sta succedendo... non è vero, dimmi che non è vero. Non
puoi farmi questo. FOTTUTO BASTARDO. CHE TU POSSA MORIRE.
************
Appoggiata al parapetto del Pont Neuf, Oscar cercava di controllare il
respiro. Stava gelando, aveva un nodo in gola che le faceva male e non ricordava
nemmeno come era arrivata fino a lì.
Cercò di respirare lentamente.
Perché le aveva fatto questo? Di cosa si era voluto vendicare?
Forse ha bevuto... come quella volta...
Il ricordo della prima e unica volta in cui avevano fatto l’amore le
strinse ulteriormente il nodo alla gola. Credette di soffocare.
Sentì i brividi del freddo che la scuotevano, la testa le girava, poi,
improvviso, un crampo al basso ventre.
Scoppiò in una risata isterica... le stavano arrivando le mestruazioni.
Povera idiota... e tu che ti sognavi la serata della tua vita...
Le fantasie della mattina le sembrarono così lontane, così assurde...
Alzò gli occhi al cielo e, all’improvviso, i fiocchi di neve
diventarono confusi attraverso le lacrime che cominciavano a salirle agli occhi.
Si appoggiò al parapetto e cominciò a piangere, disperata.
Rimase così per un tempo che non riuscì a definire.
Poi si fece forza e si incamminò verso casa.
Era tutto finito, per sempre.
André aveva dimostrato quello che, in fondo, era logico e immaginabile:
non era diverso dagli altri uomini, era bastato che quella troia gliel’avesse
sbattuta in faccia e la sua maschera da innamorato romantico era crollata
miseramente.
Pensò a Victor, lui non era mai stato così: non l’aveva amata ma era
stato onesto fino in fondo.
Avrebbe lasciato il campo libero. Era inutile parlare, spiegarsi. Cosa
c’era da spiegare poi? Era sufficiente quello che aveva visto. Non avrebbe
accettato stupide giustificazioni. Non voleva sentirsi insultata ulteriormente.
Sentì un altro crampo, più forte. Ma non gliene importò.
Avrebbe preso le sue cose quella sera stessa e sarebbe andata dai suoi, e
non sarebbe più tornata.
Per un attimo sentì lo stomaco chiudersi alla sola idea del fuoco di fila
di domande che le avrebbero fatto tutti, da sua madre alla nonna di André, ma
non sarebbe stato peggio dell’umiliazione e del dolore che le avrebbe
provocato il vederlo un’altra volta.
L’aveva distrutta e, questa volta, capì che non ne sarebbe più uscita.
Perché, André? È così che doveva finire? Perché mi stai facendo del
male? Perché?
Entrò nella casa buia, respirando a fatica, e si appoggiò stancamente
alla porta, chiudendo gli occhi. Pensò che se fosse morta in quel momento non
gliene sarebbe importato nulla.
“Cosa CAZZO credi di fare, eh?”
Oscar sobbalzò. Al buio seduto sul pavimento, con le spalle appoggiate
alla parete, il giaccone di pelle ancora addosso e il viso terreo, André la
fissava con uno sguardo che la spaventò.
Cercò di mantenere la calma. Lo fissò a sua volta. Una furia cieca le
stava montando dentro. Possibile che fosse così ipocrita?
Gli si avventò contro cercando di colpirlo con tutta la forza che le era
rimasta. André l’afferrò per i polsi, bloccandola.
“BASTARDO FIGLIO DI PUTTANA, COME OSI PARLARMI IN QUESTO MODO? TU, CHE
NON SEI NEMMENO CAPACE DI TENERE L’UCCELLO NEI PANTALONI E NON ASPETTI
OCCASIONE PER SBATTERLO DENTRO ALLA PRIMA CHE TI APRE LE GAMBE.”
André lasciò la presa improvvisamente e arretrò, come colpito da un
pugno. La voce gli uscì in un sussurro soffocato:
“Ma di cosa stai parlando? Sei impazzita?”
La guardò, era pallida, i capelli fradici; aveva la fronte coperta di
sudore e gli occhi spiritati, febbricitanti.
Non riusciva a credere che fosse la stessa persona che poco prima aveva
illuminato la serata con la sua voce e la sua bellezza.
“No, non sono impazzita, André, e tu lo sai benissimo.” Stava
tremando come una foglia. “Vi ho visto, anzi probabilmente vi hanno visto
tutti. Tu e Jean, te la stavi scopando sul tavolo del camerino. TI ODIO ANDRÉ,
CHE TU SIA MALEDETTO.” Urlò l’ultima frase con tutto il fiato che aveva in
gola.
Totalmente annichilito, André la guardava, con gli occhi pieni di dolore.
“Oscar... come puoi pensare...”
“NON CI PROVARE NEMMENO, BASTARDO. Non cercare di giustificarti, ti ho
visto con i miei occhi, avevi ancora addosso la maglietta che ti ho regalato.”
Piangeva, ormai, le lacrime scendevano senza che riuscisse a fermarle.
Alzò gli occhi su di lui e vide qualcosa di indefinito nel suo sguardo.
Si stava aprendo la giacca e sollevando il maglione.
André parlò lentamente, con voce sommessa, pacata:
“La tua maglietta... è questo che hai visto... ma io non indosso la tua
maglietta, l’ha presa Bernard, mi ha chiesto se gliela prestavo. Io ho la sua.
Come puoi vedere. Quello che hai visto non ero io, era Bernard. È lui che si è
scopato Jean, stasera. Lo sanno tutti. Avanti, perché non telefoni ad Alain, o
a Rosalie. Avanti, Oscar, cosa aspetti!”
Aveva gli occhi pieni di lacrime. Oscar lo fissava, sentiva il sangue che
le pulsava nelle tempie, per un attimo pensò che si trattasse di un sogno. Vide
André passarsi la mano sugli occhi.
“André io... ho creduto...”
“Già. Tu hai visto qualcosa e hai fatto subito due più due. Non ti è
venuto in mente di guardare meglio, o che forse si trattasse di qualcun altro;
probabilmente le parole che ti ho detto stasera, questa mattina, nei giorni
passati, ti sono scivolate addosso. Probabilmente per te non valgo più di un
qualsiasi altro maschio arrapato. Il fatto è che non ti fidi di me, ora lo so.
Abbiamo sbagliato entrambi a pensare che sarebbe potuto funzionare fra di noi,
vero?” Gli tremò la voce. Si
sentiva disperato.
Oscar lo guardava a bocca aperta; avrebbe voluto dire tante cose ma le
parole restavano chiuse in fondo alla gola.
“Mi dispiace. André. Non potevo immaginare... Vorrei che si potesse
tornare indietro...”
“Già, ma non si può. Ora chiamo Alain, gli chiedo se mi ospita questa
notte. Domani mi cercherò un’altra sistemazione. È la soluzione più logica
per tutti.”
Nel tono piatto con cui aveva parlato, Oscar sentì tutto il dolore e la
disperazione di André. Lo aveva ferito di nuovo. Lo guardò mentre si
avvicinava, quasi barcollando, alla porta e, all’improvviso, si rese conto,
che se lo avesse lasciato uscire da quella casa, lo avrebbe perso per sempre.
“ASPETTA ANDRÉ.”
Lo vide bloccarsi.
“Non te ne andare, ti prego.” Si avvicinò, lo abbracciò facendogli
passare le braccia intorno alla vita e appoggiò il viso sulla sua schiena.
“Io ti amo, André. Non mi lasciare, ti prego. La mia vita non avrebbe
alcun senso senza di te. Sono stata una stupida, idiota e insicura. Ma non è di
te che non mi fido. È solo di me stessa. E sai perché? Perché non sono mai
stata capace di affrontare i miei sentimenti. Perché ho sempre avuto paura.
Sono una vigliacca, non sono forte come sembro, credimi. Ho sempre pensato che
se avessi continuato a comportarmi così avrei avuto tutto sotto controllo. E
invece, guarda, guardami: sono una fallita. La mia vita è un disastro. Tu sei
l’unica cosa vera e bella che mi sia mai capitata. Ti prego. Non mi
lasciare...”
Scivolò sulle ginocchia, il viso nascosto fra le mani, tremava, scossa
dai singhiozzi che non riusciva più a controllare.
Lo aveva detto. Finalmente aveva avuto il coraggio di dire quello che
provava veramente. Era la prima volta in tutta la sua vita in cui apriva il suo
cuore senza riserve.
All’improvviso, sentì André inginocchiarsi a terra di fronte a lei..
Le braccia di lui l’avvolsero in un abbraccio dolcissimo e la testa si
appoggiò contro la sua.
“Mio dio Oscar... sapessi quanto ho aspettato queste parole. Per tutta
la vita. Grazie amore mio. Grazie. No, non me ne vado. Se tu mi vuoi resterò
con te per sempre.”
Oscar alzò il viso e prese quello di André fra le mani, guardandolo: il
suo bellissimo amore. Guardò i meravigliosi occhi verdi resi ancora più
luminosi dalle lacrime che aveva versato per lei e sentì di amarlo da
impazzire.
“Oh André... mi dispiace tanto. Mi dispiace di averti fatto soffrire,
mi dispiace di aver messo in dubbio il tuo amore. Sono stata una stupida anche
solo a pensare...”
André l’attirò a sé, baciandole la fronte, i capelli, e le parlò
dolcemente, con le labbra che le sfioravano la guancia.
“Shhhh, basta Oscar, avevi ragione, non potevi saperlo. Anch’io ho
sbagliato ad aggredirti così. Ma ero spaventato a morte…
nessuno sapeva dove fossi finita. Credevo di impazzire... L’unica cosa
che mi interessa è sapere che mi ami, il resto non conta più. Dimmelo ancora,
ti prego.”
“Ti amo, André, ti amo, Ti amo amore mio.”
“Dio... Anch’io ti amo da impazzire Oscar. Cristo santo, ma tu scotti,
hai la febbre; devi toglierti i vestiti, sono tutti bagnati.”
Fece per alzarsi. Oscar lo bloccò.
“Dopo, amore, prima baciami.”
André le prese il volto fra le mani. Com’era bella; e quegli occhi... e
il modo in cui lo guardava in quel momento... ed ora era sua, sua per sempre.
Poi, lentamente, quasi con la paura di spaventarla, appoggiò le labbra sulle
sue in un bacio dolcissimo, delicato, pieno di tenerezza. Sentì la mano di
Oscar infilarsi nei suoi capelli e la sua bocca aprirsi. Allora dimenticò
tutto: il tormento dei giorni passati, la paura di quella sera, il dolore,
l’angoscia, chiuse gli occhi e si abbandonò completamente a lei.
Oscar si staccò e lo guardò con occhi seri, profondi.
“Certo che ti voglio con me. Per sempre.” Poi, all’improvviso, si sentì come se le mancasse la terra
sotto i piedi e tutto intorno a lei diventò buio.
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[1] Questa è l’introduzione che Tina Turner fa al brano Proud Mary e, questa versione in particolare, è tratta dal film “Tina”.
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