Capodanno di fine millennio
parte decima
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Parte
X
(Colonna sonora: King of New York, Quireboys)
Ma
tu pensa se mi devo trovare in casa quella.... TROIA che si mette a pontificare
sulla vita, sull’amore, sull’importanza di fare i figli quando si è
giovani...
Certo
che sei stato un bel pezzo di merda, André, non mi avevi detto che era così
giovane... 23 anni... cristo, ma quanti anni aveva quando sei stato con lei?
Va
bene che in America sono più aperti...
Sapete
che vi dico? Andate tutti a farvi fottere! Tu, la tua amica zoccola e il tuo
amico idiota, io me ne vado a letto, sono troppo stanca anche per dedicarvi un
altro secondo dei miei pensieri.
Oscar
disfaceva il bagaglio con un furia tale che i vestiti volavano per tutta la
stanza.
Ripensava
a quella strana, assurda serata.
Per
un po’, la conversazione era rimasta nei limiti della decenza: André le aveva
chiesto della sua settimana a Londra, l’americano si era dimostrato
interessatissimo al suo lavoro e l’aveva bombardata di domande (in fondo, si
era dimostrato meno idiota di quello che le era sembrato), l’altra aveva
ascoltato e aveva cercato di inserirsi, inutilmente, in discorsi di cui non
capiva assolutamente un accidenti.
Oscar
si sentiva la vincitrice assoluta di quel match... Magra e meschina
soddisfazione, lo sapeva anche lei. E molto infantile. Però non aveva potuto
fare a meno di gioirne interiormente.
Poi
André si era spostato nella sua stanza per parlare al telefono con Bernard e a
lei era venuta la stramaledetta idea di chiederle cosa facesse nella vita...
“La
modella. Non volevo dirlo ad André, deve essere una sorpresa, ma mi hanno
offerto un contratto a Parigi per un servizio importante. Probabilmente mi
fermerò per un po’ di tempo. Potrebbe essere la mia grande occasione. In
fondo ho GIÀ ventitré anni, e voglio raggiungere tutto quello che posso
adesso, che sono ancora giovane. Poi ho intenzione di farmi una famiglia. Non
voglio ritrovarmi a trent’anni, sola, piena di rimpianti per aver dedicato
tutta la mia vita alla carriera. E poi, i figli bisogna farli quando si è
giovani, io voglio averne due, uno a ventisei anni e uno a ventotto, così
crescono insieme.”
Aveva
concluso con un sorriso fintamente ingenuo e smagliante.
La
piccola troia... in meno di un minuto le aveva sbattuto in faccia la sua
bellezza, la sua giovinezza e l’aveva colpita proprio nel punto per lei più
vulnerabile: la convinzione di aver sprecato la parte migliore della sua vita
dietro ideali fittizi, affondandola.
Era
riuscita a mantenere la calma e a rispondere:
“Complimenti,
vedo che hai già pianificato il tutto. E hai anche già scelto chi sarà il
fortunato che ti fornirà la materia prima per portare a termine i tuoi
progetti?”
“Beh,
il tuo amico è un ottimo candidato; ovviamente se lui è d’accordo.”
L’aveva guardata con aria di sfida. Ormai la guerra era stata dichiarata.
“Jean,
piantala con questi discorsi.” Jason l’aveva guardata con aria imbarazzata
ed era stato fulminato da uno sguardo rabbioso.
“Bene!
Bernard ci aspetta con altre persone per un aperitivo in un locale molto carino,
vicino alle Tuilieries. Si va?” André aveva fatto la sua apparizione con
l’aria forzatamente felice di chi finge di
divertirsi un sacco. Il sorriso gli si era spento subito. Era più che
evidente che era successo qualcosa. E lui non voleva saperlo.
Era
stata Oscar a rompere il ghiaccio, simulando disinvoltura.
“Mi
dispiace, io ho altri programmi.”
André
l’aveva guardata sgranando gli occhi, una supplica muta dipinta sul viso. Per
un attimo aveva provato pena per lui.
“Cosa...
dove vai di bello?” Anche lui aveva provato a dissimulare una disinvoltura che
non provava. Ma non aveva certo l’abilità di Oscar.
“A
cena con Victor.”
Le
era uscito così, senza pensarci. Una vera idiozia: e se Victor fosse stato con
loro quella sera? E poi, anche se non quella sera, prima o poi si sarebbero
incrociato lui e André e se fosse saltata fuori la cosa... Che cosa le era
saltato in mente?
Le
sue turbinanti riflessioni erano state bruscamente interrotte dallo sguardo di
delusione misto a rabbia di André.
“Fai
come ti pare. Andiamo.”
Aveva
ricambiato lo sguardo. In fondo, non era stata lei a cominciare.
Erano
ancora sulla porta quando si era precipitata a spalancare le finestre per fare
uscire il terribile odore di fumo e di profumo che “quella” doveva essersi
versata addosso.
Poi,
non appena li aveva considerati ad una distanza di sicurezza si era precipitata
al telefono e aveva chiamato Victor.
Gli
aveva chiesto se aveva da fare e se avrebbe cenato con lei quella sera. Senza
dare spiegazioni.
Victor
era rimasto di stucco: da quando la loro storia era finita che non uscivano più
da soli. Ma aveva pensato di rimandare le domande a dopo e aveva accettato.
Oscar era pure sempre Oscar...
Così,
mezz’ora dopo era passato a prenderla e l’aveva portata in uno splendido
ristorantino italiano in Montmartre. Durante il viaggio avevano parlato del più
e del meno, prevalentemente del viaggio a Londra di Oscar (Victor era stato uno
dei project più in gamba della stessa società prima di buttarsi a tempo pieno
nella musica e le sue domande non erano mai di circostanza) e del concerto.
Poi,
una volta seduti al tavolo, dopo averle versato un bicchiere di Barbaresco,
l’aveva guardate negli occhi e le aveva chiesto:
“Allora?
A cosa devo l’onore di questa cena?”
Oscar
era rimasta sorpresa. Non si aspettava questa domanda; ma alla fine l’aveva
trovata molto pertinente: dopo la fine della loro relazione era sempre stata
cortese ma distaccata, più per pudore che per altro, ora non poteva pretendere
che facesse finta di nulla. Poi, Victor la conosceva bene, questo lo sapeva.
Così,
aveva deciso di raccontargli una parte della storia, omettendo che Jean era
stata la donna di André per molto tempo quando si trovava in America e che,
solo un’ora prima, non erano arrivate ai coltelli per miracolo.
Victor
aveva riso, con il suo modo coinvolgente, e le aveva detto che la capiva
benissimo... Una serata in compagnia di americani spocchiosi... per carità.
Oscar era rimasta contagiata dalla sua allegria e dalla sua aria finto-snob e lo
aveva seguito nello scherzo. La cena era continuata in modo piacevole: Victor
aveva il dono di farle dimenticare le cose brutte o tristi, lo aveva fatto in
passato e lo stava facendo ora. Pensò fra sé che non avrebbe mai più dovuto
permettersi di trattarlo con sufficienza. Proprio non se lo meritava.
Quando
si erano alzati per andarsene, Oscar non aveva potuto fare a meno di notare gli
sguardi di ammirazione che i presenti in sala avevano rivolto loro. Sembravano
proprio una bellissima coppia. Victor poi era notevole, con i lunghi capelli
biondi raccolti in una coda, gli occhi chiari, diretti, e il viso bellissimo,
quasi femminile.
L’aveva
lasciata sotto casa, rifiutando gentilmente l’invito per un caffè. Mentre
stava per scendere dalla macchina, l’aveva fermata, le aveva sollevato il
mento e le aveva chiesto:
“Va
tutto bene?”
“Diciamo
che sto facendo il possibile per fare che sia così.”
“Lo
sai che puoi contare su di me, vero, per qualsiasi cosa. Siamo amici.”
Poi
le aveva dato un bacio leggero sulla fronte e l’aveva lasciata andare.
Si
era sentita bene, sapeva di poter contare su di lui.
Poi,
era entrata nella casa ancora deserta e improvvisamente la rabbia l’aveva
assalita nuovamente. Aveva aspettato quel momento per tutta la settimana e lui
non si era nemmeno degnato di avvisarla che al suo ritorno si sarebbe trovata in
casa nientemeno che la donna che si era portato a letto per quasi un anno.
In
piedi, di fronte alla valigia aperta e ai vestiti sparsi per tutto il letto,
continuava a ripensare alle parole di Jean sulla giovinezza, sulla vita
sprecata, sulla bellezza che sfiorisce.
Guardò
la T-shirt dei Metallica che aveva preso ad André a Londra e, con un moto di
stizza, l’afferrò si diresse verso la sua camera e la gettò sul letto.
Si
fece una doccia rapida e tornò nella sua stanza: aveva lasciato un campo di
battaglia, era meglio che mettesse ordine prima di andare a dormire.
Si
tolse l’accappatoio e guardò la sua figura slanciata riflessa nello specchio.
Non era solita indulgere in queste cose, ma non riuscì a fare a meno di
studiarsi.
Aveva
un bel corpo, quello lo sapeva, tonico; le natiche alte e sode, i fianchi appena
più arrotondati rispetto a qualche anno prima, ma entrava comodamente in una
taglia 42; il seno era solo un po’ più pesante, ma questo non era un male,
tutto considerato, e poteva ancora permettersi di indossare magliette aderenti
senza reggiseno. La pelle era bella, morbida e luminosa. Sul viso solo qualche
piccola ruga di espressione intorno agli occhi. I capelli... beh, quelli erano
il suo orgoglio e non si mettevano in discussione!
Nel
complesso non c’era assolutamente nulla che non andava... anzi, i complimenti
e gli sguardi di ammirazione erano all’ordine del giorno.
Ma
allora perché si era sentita “sconfitta” da quella ragazzina?
Non
è il fisico... E' quello che ha detto e, soprattutto, il fatto che sia tutto
vero. Sto invecchiando, ho trentaquattro anni fra pochi giorni. Quasi tutte le
mie amiche del liceo e dell’università sono sposate e hanno figli... e
sembrano felici. Forse non sono arrivate dove sono arrivata io, però a me cosa
è rimasto?
Forse
sono già troppo vecchia per avere dei figli e ci sono donne che entrano in
menopausa a quarant’anni.
Sto
perdendo anche l’unica persona con cui avrei voluto diventare una donna
“normale”. Non va bene così...
Il
pensiero di André e Jean le fece male. Sentì improvvisamente freddo. Spostò
velocemente i vestiti dal letto e si cacciò sotto le coperte. Tutta la
stanchezza dei giorni passati cominciava a farsi sentire. Doveva dormire;
l’indomani sarebbe dovuta andare al lavoro; poi c’erano tre sere di prove
massacranti per il concerto, aveva ancora alcuni regali di Natale da prendere e
poi c’era il giorno di Natale, non sapeva ancora cosa avrebbero fatto.
Sicuramente la stronza ci si sarebbe messa di mezzo.
André
doveva decidersi. Una volta per tutte.
Ripensò
a come era stata piacevole la serata con Victor; i pensieri scivolarono al
periodo in cui stavano insieme. Come era tutto più semplice. Victor aveva il
dono di non complicare mai le cose...
Ricordò
la prima volta che lo aveva inviato nella sua casa. André se ne era andato
ormai da tre mesi e le aveva scritto sì e no un paio di lettere. Si sentiva
sola, depressa e aveva disperatamente bisogno di parlare con qualcuno. Così lo
aveva chiamato. Si erano incontrati il giorno prima, dopo circa un anno, e le
aveva raccontato del suo nuovo lavoro in ambito musicale. Erano stati ottimi
colleghi e lui l’aveva sempre rispettata e stimata e, quando se ne era andato
perché insoddisfatto del lavoro e della vita che stava facendo, se ne era
sinceramente dispiaciuta. Aveva pensato che due chiacchiere fra vecchi colleghi
e amici le avrebbero fatto bene.
Avevano
passato una bellissima serata, ascoltando musica, parlando di vecchie conoscenze
e del nuovo lavoro di Victor; poi, quando stava per andarsene, lo aveva
trattenuto e gli aveva rivolto uno sguardo disperato. Allora lui si era fermato,
l’aveva presa fra le braccia e l’aveva baciata. Un bacio dolce, delicato,
che le aveva liberato l’anima. Si era abbandonata completamente a lui, a quel
bacio, alle prime timide carezze, alla sua bocca che scivolava lentamente sul
suo corpo. Non lo aveva fermato quando le aveva sfilato la camicia e i jeans e
si era spogliato a sua volta, rivelando un fisico statuario; aveva lasciato che
le sue carezze diventassero sempre più intime e si era trovata a rispondere a
quelle carezze con una passione e un desiderio che non aveva mai provato prima
con nessun altro.
Aveva
fatto l’amore con lui, prima con rabbia, poi lasciandosi pervadere dalla
dolcezza e dalla sensualità dei gesti di quell’uomo, e, per la prima volta,
aveva provato un piacere infinito. Quella sensazione quasi inaspettata
l’aveva così meravigliosamente sconvolta che aveva desiderato non
finisse mai e, quando aveva sentito Victor accelerare i movimenti dei fianchi e
aveva capito che era quasi al culmine, si era abbandonata e aveva lasciato che
il suo corpo e i suoi sensi rispondessero a quei
movimenti senza negarsi nulla. Erano venuti insieme, soffocando le grida
l’uno sulle pelle dell’altra, l’uno nei baci dell’altra.
Aveva
sentito Victor accasciarsi su di lei, ansante e lo aveva tenuto stretto, con il
terrore che l’abbandonasse anche lui. Victor era rimasto. L’aveva tenuta
abbracciata davanti al caminetto acceso e le aveva parlato a bassa voce, mentre
la accarezzava; le aveva detto che non aveva mai provato nulla del genere e
sembrava che lei fosse nata per fare l’amore. Oscar lo aveva ascoltato mentre
ricambiava con dolcezza le sue carezze e, per la prima volta dopo quei mesi
d’inferno, si era sentita serena.
Poi
lui l’aveva presa di nuovo, portandola lentamente al piacere, stuzzicandola,
torturandola con i suoi ritmi lenti e le pause, fino a che lei non lo aveva
supplicato di non fermarsi, e allora lui l’aveva accontentata e, ancora una
volta, avevano raggiunto l’orgasmo insieme.
Aveva
ricominciato a vivere. Victor sapeva farla ridere, sapeva ascoltarla e
tranquillizzarla. Non le chiedeva niente, né lei a lui. Si bastavano così.
Facevano
l’amore ogni volta che potevano; una volta, nel suo ufficio, lui aveva chiuso
la porta a chiave e l’aveva guardata in quel suo modo strano. Allora lei aveva
lasciato perdere tutto quello che stava facendo ed e si era spogliata lentamente
e lui l’aveva presa fra le braccia e l’aveva fatta venire solo
accarezzandola, poi avevano fatto l’amore sulla sua scrivania, con una
passione e una foga tale che a Victor era sanguinato il labbro per la forza con
cui se l’era morso per non gridare.
Era
stato bellissimo.
Col
tempo anche Oscar aveva scoperto mille modi per farlo impazzire, per portarlo
quasi all’estasi e farlo supplicare di non fermarsi. Con lui aveva perso ogni
inibizione e non se ne vergognava affatto. Per Victor il sesso era vita, era
gioia, e lei si era trovata a condividere quella visione con tutta se stessa.
Ma
un rapporto, entrambi lo sapevano, non poteva sopravvivere solo sul sesso, se
non c’era amore e, nel loro caso, c’era amicizia, c’era affetto, c’era
stima, c’era voglia di divertirsi, ma l’amore non c’era mai stato. Non
avevano saputo spiegarsi il perché, ma era una cosa su cui avevano convenuto
entrambi.
Così,
la loro relazione era finita in modo tranquillo, senza drammi, quasi senza che
se ne rendessero conto.
Dio,
com’era diverso e difficile con André, non avevano nemmeno cominciato una
relazione e già tutto era così complicato...
Sulle
note amare di questa considerazione Oscar si lasciò vincere dal sonno.
Quando,
molto più tardi, André rincasò con la ferma intenzione di parlarle, di
spiegarle che se li era trovati davanti alla porta di casa senza preavviso, che
aveva provato a chiamarla ma aveva trovato il cellulare spento, trovò tutto
buio e per un attimo temette che Oscar fosse ancora fuori con Victor; poi vide
la maglietta dei Metallica sul suo letto.
Buon
segno!!!!
Si
avvicinò con passo deciso alla porta della sua stanza e fece per entrare. La
porta era chiusa a chiave.
PESSIMO
segno.
Appoggiò
la fronte alla porta chiedendosi se fosse chiusa per qualche motivo particolare,
Victor...
o
“solo” perché era arrabbiata. Pregò con tutte le sue forze che il motivo
fosse quest’ultimo.
Quando
la mattina si svegliò, alle otto, Oscar era già uscita. Guardando con aria
sconsolata l’albero di Natale che aveva preparato per lei e pensando a tutti i
regali che le aveva comperato e che avrebbe voluto metterci sotto, André si
chiese se non ci fosse una congiura interstellare contro di loro. L’incidente,
il viaggio a Londra e ora ci si metteva anche Jean...
Ma,
in realtà, lo sapeva bene, i principali responsabili erano solo loro, con i
loro caratteri incasinati, la loro totale incapacità di parlarsi senza
litigare, il loro maledetto orgoglio.
Per
la prima volta si trovò a sperare che la sera del concerto arrivasse in fretta
e che passasse altrettanto in fretta; si sarebbe liberato delle prove e
soprattutto di Jean, la cui presenza era già diventata sufficientemente
ingombrante da metterlo a disagio in più di un’occasione non solo con Oscar
ma anche con gli altri amici. Gli aveva fatto delle avances così esplicite che
si era sentito le prese per il culo degli altri per tutta la sera. Per fortuna
Alain non si era visto, così aveva evitato il peggio. Ma sapeva che le
informazioni gli sarebbero arrivate molto in fretta e pure arricchite di
particolari e riletture.
Aveva
saputo dell’intenzione di Jean di fermarsi per qualche mese da Jason che,
probabilmente, si era sentito in colpa per essersela portata dietro, nonostante
André gli avesse fatto capire in più di un’occasione che non era una buona
idea, ed era fermamente deciso a dirle di non pensarci nemmeno.
Dopo
il concerto. Dopo il concerto mettiamo un po’ d’ordine nelle nostre
vite. Ora ho bisogno di dedicare tutte le mie energie a questo benedetto live.
Almeno per rispetto degli altri e di quelli che pagheranno il biglietto.
Sapeva
che Oscar, da vera professionista, avrebbe fatto altrettanto.
********************
Nel
suo ufficio, gli occhi fissi sul monitor del PC, Oscar provava inutilmente a
concentrarsi, con scarsissimi risultati.
La
rabbia della sera precedente, al suo risveglio, si era trasformata in tristezza.
Credeva di avere esagerato: in fondo, André l’aveva avvisata che questi
cavolo di amici sarebbero venuti e lei non aveva obiettato.
L’aveva
invitata ad uscire e lei aveva rifiutato bruscamente, non solo, aveva pure
tirato in ballo il povero Victor, e ora si sentiva colpevole anche nei suoi
confronti.
Appoggiò
la fronte alle mani e sospirò.
“Buongiorno
capo!” La voce allegra e squillante di Marie la fece letteralmente sobbalzare.
Era bellissima, radiosa, e aveva il viso stanco di chi ha dormito pochissimo e
lo ha fatto per ottimi motivi.
Si
sentì felice per lei e per Alain. Almeno qualcuno si comportava in modo più
intelligente del suo...
“Di'
un po’, non sei un po’ troppo allegra per essere mercoledì mattina?” Le
chiese sorridendo, felice, di quella tregua nei suoi pensieri.
“E'
vero, è mercoledì mattina, però... ancora tre giorni e poi le vacanze di
Natale. Non ho preso nemmeno un regalo, dovrò fare tutto questo fine settimana.
Sono la persona più felice del mondo.”
Oscar
la guardò con un misto di divertimento e curiosità e un pizzico d’invidia.
Avrebbe voluto chiederle di più ma non osava. Il suo dannato riserbo...
Ma
Marie aveva già deciso di dirle tutto. Afferrò la sedia girevole e si piazzò
di fronte a lei.
“E'
stata una serata memorabile. Non credevo che sarei riuscita ancora a fidarmi di
un uomo e invece... Pensa che, la prima volta che l’ho visto, avevo pensato
che fosse il tipo “me le scopo tutte io” e invece è veramente un ragazzo
dolcissimo. Non credo abbia avuto una vita facile, l’ho capito da alcune mezze
frasi, ma sono sicura che mi racconterà lui quando se la sentirà. Non riesco
ancora a crederci, abbiamo parlato, solo parlato fino alle quattro del mattino e
quando mi ha lasciato sotto casa non ci ha nemmeno provato. Mi ha dato un bacio
sulla guancia e mi ha chiesto se ci possiamo vedere ancora. Ovviamente ho detto
di sì. Sai una cosa? Sono stanca di avere sempre paura di soffrire. Ho deciso
che mi voglio fidare di lui. Faccio bene?”
L’aveva
guardata con occhi sgranati e fiduciosi e Oscar si era dovuta trattenere per non
abbracciarla. Era veramente felice per lei, se lo meritava, sapeva cosa aveva
passato con il suo precedente ragazzo, glielo aveva detto a Londra, e
l’ammirava molto per il coraggio che aveva avuto nell’uscire da una storia
del genere e non perdere l’ottimismo. In questo momento si sentiva quasi una
sorella maggiore e la cosa le piaceva molto.
“Certo
che fai bene. Conosco Alain da sempre ed è una delle persone migliori della mia
vita, è quasi un fratello. E' onesto, buono, a volte un po’ spaccone ma è più
facciata che altro. Vi auguro di essere felici.”
Era
sincera, lo diceva con il cuore.
Poi
Marie azzardò:
“E
tu? E' stato bello il tuo ritorno?”
A
quella domanda sincera e piena di complicità, di fronte a quello sguardo felice
e innamorato Oscar si sentì abbattuta come non mai e non riuscì ad impedire
che le lacrime le salissero agli occhi. Evitò di parlare, timorosa che la voce
si spezzasse. Si sentiva stupida, non voleva rovinare il momento così bello
della sua amica con paranoie che probabilmente non sarebbe nemmeno riuscita a
spiegare.
Parlò
Marie per lei:
“Oscar,
io so quanto tieni al riserbo sulla tua vita e alla discrezione. Ed è uno dei
motivi per cui ti ho sempre ammirata e rispettata. Però vorrei esserti amica,
se me lo concedi. Tu hai fatto tanto per me, non puoi nemmeno immaginare quanto;
io mi sento impotente e vorrei fare qualcosa per farti sorridere. Se vorrai,
quando vorrai, io sarò sempre disposta ad ascoltarti. A volte basta parlare per
stare meglio e, ti giuro Oscar, non potrei mai in alcun modo tradire la tua
fiducia. Mai.”
La
foga accorata di quel discorso la commosse e le lacrime cominciarono a scendere
copiose. Allora, le raccontò tutto: di lei e André, di quello che era
successo, del male che si erano fatti reciprocamente, di come se ne stessero
facendo ancora.
Marie
ascoltava, un’espressione di tristezza sul viso; non avrebbe mai immaginato:
la “sua” Oscar, il suo capo così forte e determinato, era una donna che
soffriva così tanto.
La
lasciò sfogare, ascoltandola, e, con un gesto dolcissimo, le tolse i capelli
dal viso rigato di lacrime. Quando poi Oscar finì di raccontare, Marie la guardò
e le disse la cosa più logica del mondo:
“Ma
voi vi amate! Tutto il resto non conta.”
“Io
non sono più così sicura che André mi ami.”
“Ti
sbagli Oscar, non sai come ti sbagli.”
Oscar
la fissò con aria interrogativa.
“Ho
visto come ti guardava!” Aveva risposto Marie, come se fosse la questione più
ovvia del mondo. “Parlagli, Oscar, fai tu la prima mossa se lui non si muove.
Non avere paura.”
“Ci
proverò, Marie, ma dopo il concerto, ho il terrore che si instauri qualche
altra reazione a catena e non possiamo permettercelo. E poi ho bisogno che
quella se ne vada fuori dalle palle, mi indispone il solo fatto che respiri
l’aria di Parigi.”
Scoppiarono
a ridere e si abbracciarono, e, in quell’abbraccio, Oscar trovò tutto il
calore e l’affetto dell’amicizia e la sicurezza che, da quel momento in
avanti, avrebbe sempre avuto una persona su cui contare.
******************
sabato
22 dicembre
Il
grande giorno. La tensione era palpabile. Perfino Victor la sera prima aveva
perso la pazienza con Bernard che aveva sbagliato per due volte di fila i cori
su due pezzi che avrebbe dovuto conoscere a memoria.
“Ti
fai troppe canne, ragazzo mio.” Aveva concluso per smorzare la tensione. Erano
scoppiati tutti a ridere.
Oscar
e André si erano visti poco o nulla in quei giorni; totalmente assorbiti dal
lavoro di giorno, si trovavano alla sera direttamente in sala prove, dove
avevano continuato a trattarsi con fredda cortesia. Alain li guardava e scuoteva
la testa.
La
prima sera che era tornata in sala prove, aveva portato a tutti le T-shirt che
aveva preso a Londra e tutti se le erano infilate subito e l’avevano
ringraziata calorosamente, felici come dei bambini.
André
non aveva ancora aperto la sua, e le aveva mormorato un grazie di circostanza.
Oscar si era offesa a morte.
Le
tre sere di prove comunque erano andate alla grande, anche se mercoledì Alain
aveva dato forfait a causa di un dolore alla schiena; aveva preso il suo posto Gérard,
divertendosi come un matto.
Jean
non si era vista; era venuto solo Jason che aveva riempito Oscar di complimenti
e lei si era guardata bene dal chiedergli dove fosse la sua amica.
La
tensione fra Oscar e André, seppur tenuta sotto controllo, era stata evidente a
tutti, soprattutto dopo la serata in cui erano usciti tutti insieme con quegli americani,
tutti tranne Oscar, che nessuno aveva saputo dov’era, e Alain, che ormai era
su un altro pianeta con quella nuova ragazza molto carina e simpatica che
lavorava con Oscar.
Alla
fine delle prove, lei se ne andava a casa, troppo stanca anche solo per pensare
di andare da qualche parte, Alain si dileguava dando giustificazioni alquanto
poco credibili, e André se ne andava in birreria con Jason, Bernard e Gérard.
Oscar si chiedeva se fosse una mossa per incontrare Jean senza farla incontrare
con lei.
Ma
quel giorno era sabato, e tutti e due si erano concessi qualche ora di sonno in
più.
Erano
le dieci passate.
André fece capolino dalla sua stanza, gli occhi ancora socchiusi. Oscar
sorseggiava una tazza di caffè. Alzò lo sguardo su di lui sentendo che la
fissava.
“Vuoi del caffè?”
Sii gentile, Oscar, oggi proprio non ci vuole l’ennesima discussione.
“Mmmmh” un mugugno più che una risposta “Sì, grazie, anche se
farei meglio a spararmelo direttamente in vena.”
Si fissarono per qualche secondo, tentando di rimanere seri. Poi,
all’improvviso, scoppiarono entrambi in una fragorosa risata.
“Siamo due idioti, vero?”
“No, Oscar, siamo molto peggio. Non credo esista un termine per
descrivere quello che siamo.”
Ancora risate. Liberatorie.
Sei bellissima Oscar quando ridi, non smettere mai.
Si sedette sul divano di fianco a lei e le cinse le spalle con un braccio.
Aveva passato dei giorni d’inferno. Il gelo con cui lei lo aveva
trattato lo aveva tenuto lontano come una barriera elettrificata. Era stato
Alain, il pomeriggio precedente, a fargli notare l’assurdità del loro
comportamento. Alain divenuto improvvisamente saggio.
“Non vorrei più andare via da qui” disse, sentendo la testa di lei
scivolare lentamente per trovare una posizione più comoda nell’incavo della
spalla.
“E allora resta.”
André sentì un brivido lungo la schiena. Il modo in cui l’aveva detto.
Ebbe la certezza che, se si fosse fermato un minuto in più, sarebbero finiti a
fare l’amore.
Dio, quanto lo avrebbe voluto. Ma c’erano altre cose prima, c’erano
loro, i loro sentimenti, le loro paure: andavano affrontati e capiti; avevano
bisogno di tempo solo per loro e pochi istanti rubati di passione senza
controllo non avrebbero risolto le cose, anzi...
“Victor mi appende per le palle. Mi aspetta alle undici al locale per
parlare con il fonico. Fra meno di mezz’ora passa Alain a prendermi.” In
quel momento odiò Victor, odiò il fonico, odiò il concerto.
Oscar si alzò all’improvviso, prendendolo per una mano e tirandolo in
piedi.
“Uh, sia mai! Muoviti pigrone. Mi servi tutto intero.” E gli aveva
piantato gli occhi dritti in faccia, lasciando poche possibilità di mistificare
il senso di quella frase.
André aveva ricambiato lo sguardo, con il cuore che andava a mille, e
aveva rischiato il tutto per tutto.
“Questa sera. Dopo il concerto, Tu ed io. SOLI. Il primo che si
avvicina, il primo che telefona, il primo che osa anche solo PENSARE di fare una
di queste cose lo distruggo personalmente con le mie mani.”
“E io ti aiuto.”
Le aveva puntato il dito contro, aveva chiuso un occhio e si era diretto a
ritroso verso la doccia. Non voleva perdersi nemmeno un minuto di lei.
Seduta sul divano, il cuore in subbuglio e le idee ancora confuse per
quello che era successo in quei pochi istanti, Oscar alzò la testa non appena
sentì la voce calda di André giungerle attraverso la porta dal bagno.
“So
close, no matter how far
couldn’t
be much more from the heart
forever
trusting who we are,
and
NOTHING ELSE MATTERS”
Capì che la stava dedicando a lei.
Quando, pochi minuti dopo, le si parò davanti, i capelli umidi pettinati
all’indietro, in piena tenuta da show, con i pantaloni della mimetica infilati
negli anfibi e la maglietta nera dei Metallica che gli aveva regalato, non riuscì
a trattenere un sorriso compiaciuto e un fischio di ammirazione.
**********
Alain lo aspettava appoggiato al cofano della sua auto; braccia e gambe
incrociate, gli occhiali da sole calati sul naso e un sorriso a trentadue denti.
“Come va?” lo apostrofò André.
“Non potrebbe andare meglio!”
“Uh, lo vedo. Credo lo veda anche quella signora là, all’altro lato
della strada. E questa?”
disse indicando la bandana rossa che portava annodata intorno al collo.
“Un regalo di Marie. Bella vero?”
André non rispose. Si allacciò la cintura e si girò verso l’amico.
“Com’è?”
Alain sorrise. Sapeva perfettamente cosa voleva dire André con quella
domanda. Era una loro specie di codice. Era come dire “Raccontami come vanno
le cose. Io ti ascolto, sono tuo amico, di me ti puoi fidare.”
Aveva già deciso che gli avrebbe raccontato come realmente stavano le
cose, si fidava di André più di qualsiasi altra persona al mondo e aveva
bisogno di condividere con qualcuno quella felicità senza limiti che stava
provando.
Aveva bigiato le prove tre sere prima con una scusa, per la prima volta in
vita sua, perché aveva inviato a cena Marie e lei aveva accettato.
La notte in cui erano usciti dopo che era andato a prenderla
all’aeroporto, dopo aver passato ore e ore a parlare con lei, si era
improvvisamente reso conto di quanto, in quegli ultimi anni, fosse stato solo.
Non che gli amici o le donne gli fossero mancate... ma era il “parlare”, il
condividere certe emozioni, l’intimità che si prova in certi momenti
speciali, il sentirsi se stessi al cento per cento, senza doversi per forza
nascondere dietro l’atteggiamento da duro e un po’ spaccone che ormai tutti
quanti si aspettavano da lui.
In quelle ore passate insieme, aveva provato tutto questo e sentiva che
non ce l’avrebbe fatta a rinunciarci di nuovo: doveva andare fino in fondo,
rischiare. E così l’aveva invitata subito il giorno dopo, senza pensarci,
senza aspettare e, cosa ancora più sorprendente, lei aveva accettato.
Se la cavava piuttosto bene in cucina, ma aveva deciso di non strafare:
non voleva fare colpo a tutti i costi, voleva semplicemente preparare le cose
che a lui piacevano e, ormai sapeva, piacevano anche a Marie.
Marie era arrivata alle otto in punto, imbacuccata come un eschimese e
infreddolita; Alain le aveva toccato la punta del naso arrossato, mentre
l’aiutava a liberarsi da cappotto, cappello e sciarpa, e le aveva chiesto se
per caso aveva preso una deviazione per il Polo prima di arrivare.
Era scoppiata a ridere, una risata aperta, piena di vitalità, e lui aveva
immediatamente ritrovato l’intimità della sera prima.
Avevano preso un aperitivo in cucina mentre Alain curava con attenzione le
pentole sul fuoco. Marie era rimasta colpita dall’abilità e dalla padronanza
con cui si muoveva fra i fornelli ed era rimasta affascinata dalle sue mani,
grandi, forti, sicure e, allo stesso tempo delicate.
Non avevano smesso di parlare per un istante: passando dal viaggio a
Londra al concerto di sabato, dalle moto di Alain ai gatti di Marie, dalle loro
vacanze passate ai loro amori felici e meno felici.
Marie gli aveva raccontato della storia appena finita che le aveva
lasciato tanto amaro in bocca, tralasciando i particolari più tristi, quelli
che le facevano ancora male e Alain le aveva parlato delle sua storia con Nicole
che era finita, sostanzialmente, perché lui pensava che non aveva nessuna
voglia di imbarcarsi in una relazione seria e quando si era reso conto che non
era poi così vero era troppo tardi perché lei se ne era andata lontano.
Si erano seduti a tavola e le aveva servito un antipasto misto, con
prosciutto crudo italiano, formaggio di capra su crostini e paté.
Ma all’improvviso Marie era diventata taciturna e aveva iniziato a
torturare il cibo con la forchetta, sforzandosi di mangiare.
Per Alain era stata una sorpresa: non capiva cosa poteva essere successo
e, con il pensiero, aveva fatto rapidamente mente locale su quello che si erano
detti, alla ricerca di una frase sbagliata, di qualcosa che aveva provocato quel
cambio di umore. Nulla.
Aveva guardato Marie con aria preoccupata, aveva il viso arrossato e le
mani che le tremavano leggermente.
“Va tutto bene? Non hai fame?”
Marie aveva alzato lo sguardo su di lui, uno sguardo che per lui si era
valso più di mille parole, e, senza che nessuno dei due ricordasse esattamente
come, si erano ritrovati l’uno nelle braccia dell’altra, in un bacio pieno
di passione e desiderio.
“Non so cosa mi stia succedendo, ma sono così felice” era riuscita a
mormorare mentre la bocca di Alain non smetteva di baciarla.
Allora lui si era fermato, le aveva preso il volto fra le mani e le aveva
parlato con voce emozionata:
“Nemmeno io so cosa mi stia succedendo. Credimi, è qualcosa di nuovo.
Mi sento quasi come un ragazzino. Senti il mio cuore.”
Le aveva posato una mano sul petto e lei aveva sentito i battiti,
velocissimi. Poi, guardandolo negli occhi, aveva iniziato ad aprirgli la camicia
e aveva appoggiato le sue labbra sul suo petto, baciandolo, delicatamente.
Alain aveva sentito la testa girare e le aveva mormorato di fermarsi perché
non poteva garantire che sarebbe riuscito a farlo lui.
Ma Marie non si era fermata e gli aveva tolto la camicia, lasciandolo a
torso nudo, e aveva fatto scivolare lentamente le dita sul contorno dei muscoli
delle braccia, del petto, soffermandosi a seguire il contorno dei bellissimi
tatuaggi tribali che gli decoravano i bicipiti.
“Fai l’amore con me, Alain.”
“Fai l’amore con me, Marie.”
Allora l’aveva spogliata, lentamente, senza smettere di baciarla, e
quando era rimasta completamente nuda di fronte a lui, si era inginocchiato di
fronte a lei e l’aveva guardata e ne era stato travolto.
Era bellissima, il corpo morbido, con le curve dolci e arrotondate dei
fianchi, il seno pieno, i capelli lunghissimi che le ricadevano sulle braccia e
gli sfioravano il viso, gli occhi colore del cielo e uno sguardo che bruciava.
L’aveva sollevata e l’aveva portata in camera, sedendosi sul letto,
cominciando ad accarezzarla, sfiorando con le mani ogni parte del suo corpo,
parlandole a voce bassissima.
Poi, all’improvviso, lei lo aveva fermato e lo aveva costretto a
sdraiarsi e aveva iniziato a baciarlo e lui si era sentito morire perché la
desiderava così tanto che pensava che non avrebbe resistito un secondo di più.
Allora l’aveva supplicata di fermarsi, di aspettare un istante. Ma lei si era
avvicinata al suo viso e gli aveva sussurrato: “Non pensare a nulla, Alain,
lasciati andare. Abbiamo tutta la notte per noi, abbiamo tutto il tempo che
vogliamo.”
Allora aveva capito che lei non si sarebbe fermata e aveva chiuso gli
occhi e aveva lasciato che i suoi sospiri diventassero gemiti sempre più forti
e quando aveva sentito la sua bocca chiudersi su di lui e le sua mani
accarezzarlo con una lentezza quasi esasperante, aveva capito che stava per
esplodere, le aveva appoggiato le mani sui capelli e aveva lasciato che il suo
corpo rispondesse a quei baci e a quelle carezze.
Aveva provato un piacere così intenso che non era riuscito a trattenersi
dal gridare.
Lui, quello che aveva sempre diretto i giochi, quello che era famoso per
la capacità di autocontrollo, ora giaceva esausto sul letto, incapace perfino
di parlare.
Poi, quando era tornato padrone del proprio respiro, era riuscito ad
attirare Marie su di sé e le aveva chiesto: “Ma tu chi sei?”
“Sono la donna destinata a farti felice.” Aveva risposto lei, ridendo.
Ma per Alain era stata la cosa più bella e vera che avesse mai sentito.
Allora aveva iniziato a raccontare.
Come se all’improvviso gli argini che si era costruito pazientemente nel
corso degli anni, per riuscire a sopravvivere al dolore e alla solitudine,
fossero stati abbattuti in un solo colpo.
Le aveva raccontato di sua sorella Diane, di quanto fosse bella e fragile,
di quanto l’aveva adorata, di come l’aveva vista distruggersi, incapace di
fare qualcosa per salvarla, di quando l’avevano chiamato nel cuore della notte
dall’ospedale perché sua sorella era in coma per un'overdose, del dolore
assurdo che aveva provato quando gli avevano detto che non c’era stato nulla
da fare, che era morta, di come si era sentito improvvisamente perduto, dello
stato pietoso in cui si era ridotto nei mesi successivi, durante i quali si era
allontanato da tutto e da tutti, abbandonando gli amici, l’università, la sua
famiglia già distrutta, di come André fosse piombato un giorno improvvisamente
a casa sua dopo mesi che non si parlavano e di come gli aveva salvato la vita
perché quel giorno lui aveva deciso di imbottirsi di Roipnol e vino, di come
gli erano stati vicini lui ed Oscar che non lo avevano più mollato nemmeno per
un secondo e lo avevano aiutato piano piano ad uscire da quel tunnel, di come si
era buttato nel nuoto e nella musica per stordirsi di stanchezza e di frastuono,
di come era diventato cinico e diffidente verso il mondo, di come lei, quella
sera, gli avesse improvvisamente fatto riscoprire cosa volesse dire essere
felice.
Marie lo aveva guardato, con gli occhi pieni di dolore; poi, senza
parlare, lo aveva chiuso in un abbraccio forte, sicuro e protettivo.
Per la prima volta da un tempo lontanissimo, si era sentito finalmente al
sicuro.
Erano rimasti così per molto tempo, senza parlare perché le parole erano
inutili. Bastava il calore di quell’abbraccio e di quelle carezze a dire
tutto.
Poi lui l’aveva presa e aveva fatto l’amore con lei, come non credeva
di essere capace, con dolcezze e violenza, e si era sciolto in lei, e l’aveva
baciata fino a quasi consumarsi le labbra.
Avevano fatto l’amore per tutta la notte, senza limiti, senza inibizioni
e lei lo aveva fatto impazzire di nuovo e lui l’aveva fatta gridare di piacere
tutte le volte.
Si erano addormentati solo verso mattina, sfiniti. E da quel momento non
erano più stati capaci di rinunciare l’uno all’altra.
“Cavolo... sei un uomo fortunato.”
Mentre pronunciava quelle parole, André si rese conto, per la prima volta
da quando si conoscevano, di provare un’invidia profonda per l’amico, per la
semplicità meravigliosa di quella storia.
Pensò a sé e ad Oscar e si sentì per
un momento triste.
“Anche tu lo sei, credimi.”
André gli rivolse un sorriso dubbioso. Dentro di sé non ne era assolutamente convinto.
Continua
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