Davanti alla porta del destino

parte sesta

 

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Non è sogno. Non è realtà. E’una vertigine spalancata davanti ad una porta.

Non so se sia destino. Ma no, non lo è. Il destino questa volta l’ho afferrato per le braccia e l’ho scagliato via, lasciando che evaporasse nell’aria, fuori, dalla terra umida verso il cielo. 

Assume la forma di quell’albero rugoso, innestato nella terra trafitta da radici nere, mentre la cornice fatata del bosco è attraversata da un lieve vento che risuona, solitario, senza voce.

E’un canto silenzioso della terra che sale dalle viscere, circondandoci, sussurrando l’incanto di essere qui . E’ una voce, è la vita.

Scacciato, il destino, per fare posto a me. Finalmente. Questo vortice denso di buio soffice intorno a noi, non  le tenebre viscide delle mie notti.

 

Non lo sapevo che lo scontro tra cuore, sangue ,anima si sarebbe composto, un giorno.

Non a casa mia, non in caserma, non in una locanda, non a Versailles, non in Normandia, non ad Arras.

Basta un  luogo estraneo, la casa dell’ex guardiano della mia tenuta, per capire che non si deve essere forti a tutti i costi, o saggi o giusti.Qualche volta si può cercare una risposta nel vento che vena i miei ricordi, rinnovando la voglia di essere Oscar. Soltanto .

Imparando ad accogliere una voce. Semplicemente stando in silenzio. E’ bastato cercarci sotto le radici di un albero.

 

Una voce che bisbiglia all’anima di scoprire se stessa, in una casupola malsana, inzuppata di umidità, vuota dei ricordi che si ammassano nei luoghi familiari, riempita dei nostri dolori trafitti da una gioia così intensa che spacca il cuore. Spifferi di vento che solleticano il buio, sottofondo al respiro delle anime che sussurrano il mistero dell’amore.

Con intorno il rumore del silenzio.

Macchie di luce adornano il silenzio nero avvolto intorno ai nostri gemiti. Sento le nostre voci chiedersi  di togliere i vestiti, e dita e mani rispondere. Sagome che accendono il buio sfocato di luce del giorno. Per sapere se si può imparare insieme il dolore di essere vivi, oltre ad aver condiviso l’indifferenza di viverla, la vita.

Scivolare davanti alle fiamme del camino dove, improvvisato, timido, un fuoco ricavato da uno sgabello di legno fa capolino tra pareti nere di fuliggine sciogliendo il silenzio intorno a noi. Una stanza dimenticata dal mondo, senza tempo.

 

Una porta che scricchiola oscillando tra passato e futuro. La porta del destino.

Una porta aperta insieme, timorosi e desiderosi di trovarci dietro qualcosa che gli anni non hanno seppellito sotto uniformi, medaglie, minuetti  e scazzottate e sbronze.

Sento l’umidità dei nostri mantelli che mi sfiora la pelle, e poi il legno grezzo del pavimento che mi graffia la schiena. E’bastata la paura di perdere qualcuno col terrore di avere parole chiuse dentro, il ricordo di una trottola, un orso di pezza sotto un albero, per risvegliarci.

Affondare gli occhi nei tuoi, per distruggere i demoni.

                                                                        ***

 

Troppo umidi quei mantelli stesi sul letto. Lui la trascina con dolce violenza sul pavimento, prendendola per i polsi con mani forti, sdraiandola sotto una tempesta di carezze e baci perché sa che lei  vuole tenerezza, innanzitutto. I vestiti ammucchiati davanti al fuoco. Lei si scioglie al calore di quei baci, di quelle carezze, ansimando, ma il fiato manca ad entrambi. Non servono preludi, non serve aspettare, è urgente conoscersi accarezzandosi… la rivelazione di essere soli in un luogo estraneo li eccita da morire. Lei trema di paura, ma lui la rassicura ed è dolce e forte fino a quando lei si rilassa nuovamente immergendosi nelle sue carezze sempre più audaci… si sente potente, lei, perché lui è sempre più eccitato… è questo il vero potere pensa lei. Ascoltare il battito del cuore di lui sempre più accelerato ed il suo desiderio terribilmente fisico, adesso. Lei lo ferma, ha paura. Teme tutto e niente.

Come ha sempre fatto.

Lei l’ha sfidata, la vita, perché non aveva niente da vivere.

Perché il vuoto l’ha riempito col silenzio, con le frasi che sono restate nell’alone d’ombra del cuore. Ora per la prima volta sente che il cuore è vivo, nel petto. Lo sente che c’è, per la prima volta, appoggiata al petto di lui.

Lui continua ad accarezzarla con mani furiose perché ora la dolcezza non basta più, con labbra roventi, mentre la lingua saetta come una lama di fuoco sulla pelle di lei. Lo ferma afferrandogli la testa e tirandogliela indietro per guardarlo negli occhi.

 

“Basta, André, non posso… non possiamo… non ci riesco".

 

“Shhh… zitta… lascia fare a me”.

Continua a sfiorarle il collo con la lingua, calda del suo desiderio. Del suo amore infinito. I polsi di lei stretti nelle sue dita, ai lati delle spalle candide che presto ricopre di baci .

 

“Io... non sono mai stata  con un ragazzo… ti prego…”.Protesta debolmente cercando di sottrarsi ai suoi assalti.

 

“Ma io non sono un ragazzo… non te ne sei accorta...”.

 

La voce di lui ansima ma è decisa. Oscar cerca di dibattersi cercando di sollevarsi a sedere sul pavimento, ma lui è troppo forte e continua a baciarla ovunque :labbra sulle mani, tra i capelli di miele che riflettono il barlume della misera fiamma che arde a pochi passi, sugli occhi… lei cede ed ardendo capisce che la sua volontà ferrea, a cui ha immolato se stessa, si sgretola sotto la pressione del suo corpo. Non ci sono confini, non ci sono demoni, né timori.

 

 

Una stanza dal pavimento di legno… come dissolversi  nella notte, senza confini.

 

Giacere allacciati, senza sapere dove finisce il proprio corpo e dove incomincia  quello dell’altro.

La mente che fluttua tra strati di sensazioni, di sentimenti… essere ebbri, storditi, saturi di gioia e paura. Dettagli confusi della pelle sorprendentemente serica sotto le braccia di André, la fitta di pudore di Oscar quando lo sente nudo contro di sé per la prima volta, il tempo silenzioso mentre lui le succhia i capezzoli e lei lo guarda, consapevole di non aver conosciuto mai la tenerezza prima di allora… poi il momento in cui la tenerezza si muta in desiderio folle di averlo dentro di sé. L’esplosione della vita, della passione pura in cui le due metà del segreto condiviso vent’anni prima si uniscono. Mescolando il passato ed il presente… due adolescenti che fanno a pugni perché sanno che per loro è come fare l’amore e non vogliono saperlo, per suggellare un patto di reciproca fedeltà… due giovani che duellano con la spada sfidandosi con occhi ardenti di desiderio, affrontando l’amore tra prati verdi di erba che dileguano nel viola traslucido dei tramonti, illuminati dall’oro rosso dei marmi dei palazzi. Due corpi che scoprono la gioia.

Le labbra di André adesso si muovono profane tra le gambe di lei.

La vita respira intorno a loro, alitando dalle pareti nere di una capanna, e la musica della pioggia che ricorda che è tutto vero, che non è un sogno. Lei, intrecciando le dita a quelle di lui, lo trae a sé con una mano spingendolo contemporaneamente con l’altra contro il petto fino a quando la schiena tocca il pavimento.

 

“Non vorrai che il freddo sulla schiena lo avverta solo io…?”.

 

La lingua di lei adesso scivola sul suo petto assaporando con la lingua l’odore di lui, percorrendo il suo corpo capisce che anche lei lo vuole sentire tra le labbra, lo vuole sfiorare là dove la vita lo ha reso uomo per lei. Solo per lei. Lui si accorge delle sue intenzioni e, sollevandosi sugli avambracci, la guarda negli occhi.

 

“Oscar… non ti chiederò di fare niente che tu non voglia…”.

 

“Cominci a parlare troppo soldato… obbedisci…”. La lingua di lei scorre su di lui, sa di fiamma sconosciuta… lo imprigiona tra le labbra, e questa volta lui non si solleva sugli avambracci ma piega la testa all’indietro perché è un piacere  insopportabile quello che lo attraversa. Ma non vuole essere egoista, vuole godere insieme a lei. Delicatamente si solleva per sedersi sul pavimento, le prende la testa tra le mani, accarezzandole le guance di seta… le dita ruvide di André le danno i brividi.

 

Lui si alza in piedi tendendole le braccia.

 

"Alzati, Oscar".

 

Un ordine perentorio, una promessa dispersa  nella penombra che trasmette scintille di desiderio nel corpo. Obbedisce.

 

Deciso l’aiuta a sollevarsi  e spostandosi la fa inginocchiare davanti alle fiamme del camino perché fa freddo e non vuole che lei soffra. L’aria è fredda, ma stranamente bollente se respirano l’uno accanto all’altra.

Stille di fuoco sulla  pelle. Ora entrambi sono inginocchiati  accanto al fuoco, l’uno di fronte all’altra. Lei gli si avvicina lasciando scivolare il seno contro il petto di lui, il ventre contro il bacino di lui, accarezzandolo col corpo senza sfiorarlo con le mani. Lo stuzzica maliziosa, passandogli la lingua sulle labbra.

 

André preme con ogni centimetro del suo corpo contro di lei, contro la sua nudità candida…Oscar avverte il suo desiderio guizzare vivo contro il suo ventre e capisce che è pronta ad accogliere la vita dentro di sé. Si porta leggermente sopra di lui e lo sente entrare inesorabile dentro di sé. Sì, finalmente è pronta.

 

Quella Oscar che venti anni prima era sparita dentro l’uniforme è lì. E’ tornata.

 

Lui è lento, perché sente che deve controllarsi … ma troppo eccitato per andare  piano. La prende attimo per attimo con un’assolutezza che scaccia il passato, gli errori. Sono senza segreti sia l’uno che l’altra, mentre si muovono sempre più in fretta e lei ignora il lampo improvviso di dolore che si irradia tra le gambe.

 

Sono felici, la realtà sfida il passato ed il futuro, in un attimo si scopre che la vita può essere qualcosa di più di una serie di rimpianti.

 

Gustare il midollo della vita per non scoprire troppo tardi che non si è vissuti. (*)

 

                                                                             ***

 

Oscar nel sonno si muove sospirando, girando la testa dall’altra parte del fuoco morente, stesa su una vecchia trapunta scovata nell’armadio, protetta dai mantelli ormai asciutti posati su di loro a mo’di coperta. Cattura su di sé ogni riflesso di luce che, arrogante, cerca di fendere la penombra sospesa tra le braci rossastre ed i guizzi piovosi proiettati nella camera. La guarda, vuole che l’immagine di lei che dorme scorra nel cuore, perché l’amore che li ha uniti pochi minuti prima diventi reale, perché qualcosa di quell’intimità che li ha avvolti fluendo nell’anima gli resti dentro per sempre.

 

Non lo sa che lei finge di dormire per sentirsi guardata da lui. Lo sa che André la osserva in silenzio ed è bellissimo sapere che lui le è accanto, per riscaldarla e proteggerla. Lui è troppo felice per capire che lei non dorme. Il silenzio della stanza è interrotto dal cinguettio di uccelli sui rami che si protendono sul tetto, si sentono solo ora che la pioggia non tamburella più sulle tegole sopra di loro.

L’incanto della vita che si affaccia ai vetri, un nastro di velluto che avvolge il cuore, coprendone  il vuoto.

André non lo sa cosa farà lei, una volta sveglia. Il tempo scorre intorno a loro, sembrano passati anni dal momento in cui hanno oltrepassato quella soglia, aprendo una porta di legno cigolante di speranza, di paura.

Decide che non può aspettare di baciarla e delicatamente le sfiora le labbra.

 

“Scusami, ti ho svegliato“. La guarda con tale dolcezza che le pare di morire, lì,dentro i suoi occhi.

 

“Hmmm… tanto non dormivo… ci sei cascato…”. Gli sorride ed a lui sembra che nel cuore si spalanchi una voragine.

 

“Adoro prenderti in giro soldato…”. Lo prende tra le sua braccia e se lo porta sul seno. Questa volta a lui pare di morire.

 

“Vorrei restare qui per sempre... in questa stanza…”.

 

“Su questo pavimento così duro, André? Forse dovremmo provare qualcosa di morbido…”.

 

André solleva il viso per guardarla.

 

“Oscar, vorrei sapere che…”

 

“Shhhh… dai, godiamoci questo momento…”. I baci di lei annientano la ragione ed André sfiora con le labbra i capezzoli minuti e teneri che lei sembra offrirgli, coperti in parte dal velo dei capelli,ormai lunghissimi. Con le dita segue la linea del seno… Oscar sospira di piacere quando lui si stende sul suo corpo, i muscoli delle gambe tesi, le mani che le stringono la vita sottile, avide.

Oscar solleva il bacino, inarcandosi, e lui affonda, poderoso, in lei che gli circonda i fianchi con le gambe, per racchiuderlo, perché sia tutt’uno con la sua anima. Perché non la lasci sola .

Si muove piano, finché lei non lo implora, fin quando non ode il grido di gioia di lei. Solo allora lui si abbandona, con forza trattenuta, accrescendo la febbre che lo invade, impietosa, quando finalmente si libera esplodendo, senza freni. 

 

Il tempo passa, il sole compie la sua traiettoria nel cielo e comincia a ritirarsi, ma loro non se ne accorgono. Solo quando una luce tremula solca la semioscurità e li investe, Oscar si rende conto che deve essere tardissimo, scattando in piedi.

 

Si avvicina alla finestra per guardare il paesaggio attraverso i vetri consunti, ascoltando  la terra esalare umidità di pioggia e fissando il cielo grigio, coi grappoli di nubi che si inseguono spinti dal vento, incisi dai solchi sanguigni del tramonto. Le ore sono volate. Per una volta lei non si è preoccupata che a casa l’attendesse la sua famiglia, un padre ferito in un letto, delle sorelle che sono perfette estranee, un ballo dove verrà sbattuta come merce rara ad una fiera, per essere venduta ad un estraneo. Sente che non le importa di nulla. Di nulla che non rientri in quella stanza, che non sia accarezzato dallo sguardo verde di lui.

 

E’ l’amore, pensa.

 

E’quest’amore terribile che brucia come un  taglio, che distrugge le falsità del mondo in cui mi sono cullata per anni .

 

Si guarda intorno. Non ci sono demoni nascosti negli  angoli questa volta.

Non ha scuse per non affrontarla, la vita.

Niente dietro cui rifugiarsi, a cui dare la colpa della propria incapacità di affrontare se stessa.

Non ha scampo, lo capisce mentre con la coda dell’occhio osserva André, intanto rivestitosi, che la fissa in silenzio, nascosto nella penombra incantata delle pareti.

Lui la guarda nella sua nudità candida che si staglia contro la cornice luminosa della finestra.

Luce contro luce.

Ricorda che l’ha sentita dentro di sé, quella nudità, che l’ha sfiorata con le mani, che è stata sua.

Però il suo silenzio sottrae al cuore parte della gioia annidatasi lì, tra cuore ed anima.

Lo scricchiolio del pavimento la avvisa che lui è dietro di lei. Trema, ma ecco che le mani di André le adagiano delicatamente sulle spalle il mantello grigio-verde che fa parte dell’equipaggiamento dei soldati della guardia. Ma tutti i soldati lo indossano anche fuori, quando non sono in servizio.

L’avvolge nel mantello con dolcezza portandola contro il suo petto, facendola appoggiare sul cuore, affinché  ne percepisca ogni battito. Quell’odore di caserma che sprigiona dal mantello la fa trasalire.

Ma il battito del cuore di André la calma.

 

Senti, Oscar.

 

Oscar guarda lontano. Domande e risposte che si inseguono, come in un cerchio, intorno ad un punto fisso. Questa volta i timori li lascia fuggire oltre i vetri, per lasciare posto a loro due, soltanto.

Risposte dileguate nei rami neri che si protendono in alto. Una soluzione a quella vita che è riuscita ad afferrare per le redini. Mille domande rivolte al cielo, al bosco, agli alberi secolari che diradano le radici nella terra bagnata, custodi del suo passato di bambina accanto ad André e testimoni del suo futuro. Di donna. Di uomo. Ma con lui accanto.

Il presente appartiene a loro due.

 

Oscar appoggia la testa inclinandola sulla spalla di lui. Ma resta silenziosa. L’amore è troppo forte, violento da schiantarle il cuore, e non può rischiare che una confessione lì, in quel momento, bruci il loro futuro. Occorre ragionare bene, pensare con calma. Lui  l’accarezza perché ha capito, come sempre.

La stringe forte sulle braccia con le mani forti, da farle male. Lei si volta e comincia a piangere contro il suo petto, incuneando le dita sottili nelle braccia del suo compagno. Vorrebbe dirgli tante cose e riesce solo a piangere stringendosi a lui. 

Quel calore che l’ha invasa nel corpo vorrebbe che scendesse nell’anima, per riscaldarla, perché il gelo non torni più.

Piange scivolando in ginocchio contro di lui fin quando le braccia non serrano le gambe di André.

Dopo che si è sfogata lui la solleva con dolcezza prendendole le mani, facendola sedere accanto a sé sul letto, dal lato della finestra.

 

“André… io… ”.

 

"Dimmi, Oscar, ti ascolto. Quello che io voglio dirti lo sai. Ti amo."

 

“André… ascolta… ”.

 

“Sono qui... Parla ”. Le stringe con più forza le mani, sbiancandone le nocche coi polpastrelli che premono con forza. Ha bisogno di sentirle dentro di sé.

 

“André, io non vorrei che ti facessi un’idea sbagliata di me, io non lo so se posso ricambiare i tuoi sentimenti… Credo che sia troppo presto per dirti se ti amo.”

 

“Non lo sai? Cos’erano stasera, le prove generali ?“

 

“Vedi… anche se io ti amassi, non avremmo futuro. Lo sai. Lo sai bene.”

 

“Sì… lo so Oscar, e non mi interessano le tue ragioni.”

 

Oscar si divincola dalla stretta alzandosi e raggiungendo la finestra. Sente che non riesce a guardarlo in viso. Ma lui reagisce, scattando in piedi  la afferra per le spalle e la porta ancora contro il suo petto. Sa che non deve lasciarla sola. Che i pensieri sono terribili quando non c’è nessuno con cui dividerli. Lui questo lo sa bene.

 

“Non crederò a nulla di ciò che dirai. Mi spiace per te.”

 

“André, io non lo so… non lo so…”

 

“Cosa non sai? Non sai se mi ami, o se non sai come dirmelo che mi ami?”. La volta verso di sé con le dita posate sulle spalle. E’ così sottile , pensa, guardandola  con amore tale che lei non può fare a meno di stringersi a lui. Sente che il cuore sta per esplodere.

Inizia a piangere di nuovo. Ha paura di quella vita attesa a lungo.

Non esistono che loro due, al mondo. In quella stanza scaturita dai loro sogni, in cui lo spazio è come l’acqua del torrente là fuori che scorre libera. Oscar sente che la sua volontà le scorre addosso. Alza gli occhi su di lui, consapevole di non essere sola, per guardare la vita annidata negli occhi di André. Non era preparata ad incontrarla, non l’aveva attesa. Ma sa che nei suoi occhi c’è la soluzione ai suoi demoni, ai fantasmi che si é costruita, avvolgendosi intorno all’anima rovi che hanno rischiato di soffocarla.

Lo sguardo di André scalda il buio, e la fiamma liquida nei suoi occhi rende il tutto irreale. Cedono di nuovo al desiderio, irresistibile. Oscar lo spinge dolcemente col proprio corpo sul bordo del letto e gli si adagia in grembo, schiudendo piano le gambe. André inizia a toccarla, sotto il mantello.

“Hai freddo.” Una constatazione. Il tocco delle dita, calde, la fa impazzire di nuovo. Non capisce che le stia accadendo.

 

Quella Oscar di vent'anni prima fa capolino, ancora. Non se ne andrà.

 

Le dita di lui cominciano a sondarla, accarezzandole il seno morbido.

Questa volta vuole giocare con lei, provare la deliziosa sensazione di trattenersi sull’orlo della vertigine del desiderio. Lei geme quando lui la schiude con le dita.

Lo vuole.

“Ho dimenticato quanto tu sia impaziente…”. Le sussurra con voce calda nelle labbra.

Lei si irrigidisce e lui continua spietato ad avanzare dentro di lei con le dita, tra le gambe snelle che adesso odorano di lui, agili e delicate e forti, come il suo amore per lei. Quelle dita che premono dentro di lei e si muovono con dolcezza, mentre lei gli offre alla bocca i capezzoli, ormai boccioli dischiusi tra le sue labbra.

 

Quelle mani che l’hanno afferrata con rabbia, una sera. Le stesse labbra che le divoravano predaci corpo e anima ora sono scie di fuoco sul corpo. Lei non vuole aspettare mentre con le dita scivola  ad accarezzarlo, aprendogli con dolcezza i pantaloni e facendolo entrare in lei con una mossa repentina, che lui non si aspetta. E’così forte il piacere che non si muovono più, temono che il più semplice movimento possa turbare la loro gioia.

 

                                                                             ***

 

Lei lo guarda addormentarsi su quel materasso polveroso. Lo copre con il suo mantello di soldato. E’ tardi.

Si ricopre il corpo coi vestiti. Non si riconosce più, la stoffa le sembra troppo rigida  mentre copre teneramente le curve che la bocca e le mani di lui le hanno insegnato a non temere.

Lo guarda ancora dormire. Ha un tuffo al cuore. Silenziosamente apre la porta avanzando nel sentiero scuro di terra, il bosco che le mormora silenzioso l’ebbrezza di essere viva. Chissà dove sarà il suo piccolo tesoro di bambina. Ma sa che un tesoro lo ha trovato.

E non sa come custodirlo.

 

                                                                             ***

Una grande pace regna in biblioteca. Sento solo il ticchettio del pendolo scandire i rumori consueti della casa. Nanny che impartisce ordini alle cameriere, il medico che si affaccenda intorno a mio padre, raccomandandosi che segua le sue prescrizioni. Le cameriere che confabulano.

Quella lì, Mireille, mi ha guardato con occhi di serpe. Temo che sospetti qualcosa.

Intreccio le mie dita, serrandole e disserrandole. La fiamma nel camino mi infonde addosso il ricordo vivo di noi due, davanti ad un altro fuoco. Inginocchiata accanto a te, il mio corpo contro in tuo, le mie mani sulle tue spalle, non ho avvertito il caldo, il freddo, nessuna paura nel mio cuore.

Riempio ancora la tazza di tè. Ormai è gelato, penso, inghiottendone un sorso.

 

Tutto mi pare assurdo: essere Oscar, vivere in questa casa. Mi sento vuota. Mi manca l’emozione di averla vissuta là fuori, la vita, avverto una curiosa e fredda assenza di ogni sentimento. La fiamma piroetta nel camino, ma ho freddo.

Penso. Non voglio pensare. Voglio gustare il piacere di liberare la mente.

Presto la mia sensibilità si ridesterà a poco a poco e saprò cosa fare. Tutto ciò che è accaduto oggi si riunirà, come le tessere di un mosaico si comporrà il disegno. In questo momento non sono nulla, non ho spirito, né cuore, né anima.

So solo di essere stata un corpo fra le tua braccia, André. Ti ho lasciato addormentato perché se ti avessi tenuto stretto a me non ce l’avrei fatta a tornare a casa. Perché è questa la mia casa.

 

Dal salone mi giunge la voce attutita di Clotilde.

 

 

                                                                             ***

Devo essermi assopita perché ora mia sorella è seduta sulla poltrona accanto alla mia, sfogliando un testo di cui ho letto qualche pagina. Non l’ho sentita entrare.

“Come sta nostro padre, Clotilde? “. Butto lì la frase per distogliere i nostri pensieri.

“Oh, lui sta piuttosto bene Oscar, non preoccuparti. Piuttosto è il tuo colorito a lasciarmi perplessa. Non ti senti bene?“ Solleva dal libro che ha in mano il suo sguardo violetto, coronato da ciglia nere. E’sempre stata la più bella, la più vivace. L’ho amata e l’ho odiata. Perché volevo essere lei .

Perché lei è la quinta sorella ed io la sesta. Perché i due anni che la rendono maggiore di me l’hanno salvata, o forse hanno salvato me. E’sempre stata molto ammirata e anche mio padre la adora nonostante non sia un maschio.

Si è sposata a quindici anni come le altre, ma sembra felice. E’ radiosa.

“Come stanno Charles ed Henry ?”.

“Benissimo, grazie al cielo. Hanno superato la febbre ed ora sono convalescenti . C’è una notizia che vorrei darti, cara sorella. “

“Dimmi .”

“Oh, che entusiasmo! Mi aspettavo più curiosità. Sono incinta.” Diretta, come sempre.

Come io avrei voluto essere e non sono stata mai. Ho creduto di riuscire ad essere molte cose.     

 

“Perdonami Clotilde, so di essere intrattabile. Auguri, di cuore.”

“Oscar, non devi dire questo… non occorre…”

“E che cosa occorre che io dica? Non sono una dama e non so congratularmi, come sarebbe opportuno, di matrimoni e gravidanze. Se vuoi però possiamo parlare della mia raccolta di pugnali rari“.

 

Mi alzo bruscamente in piedi togliendole di mano il libro che sta rigirando nervosamente tra le mani. L’ho offesa.

“Oscar, non capisco che cosa ti stia accadendo. Davvero“.

“Sì, cara sorella, ti ho offeso. Crederai che sono gelosa di te, della tua famiglia, della tua vita“.

Ma quante volte io sono stata offesa?

Il dolore troppo a lungo racchiuso nell’anima sta per esplodere. Mi sorprendo a piangere davanti al camino, mentre Clotilde in un attimo mi raggiunge abbracciandomi e stringendomi forte a sé. Le lacrime scendono e non riesco a fermarle, attraverso il velo umido che si posa sugli occhi intravedo la luna insolitamente trasparente fare capolino nella camera, intridendola di luce fredda.

 

André, sei ancora fuori. Farà freddo nella casa del guardiano, penso. Penso che verrò a cercarti.

Mi divincolo cercando di allontanarmi ma Clotilde non abbandona la presa.

“Non lasciarlo andare.” Mi sussurra.

La fredda, manierosa, Clotilde.

 

                                                                                ***

Devo essermi addormentato dopo le cinque. Ora è notte. Mi sono risvegliato disteso di traverso sul letto, con le braccia tese di lato. Una posa inusuale, scomoda, inadatta al riposo. Ancora intontito dal sonno breve ma pesante ho immediatamente percepito accanto a me il letto vuoto, non senza reprimere una fitta di disagio.

Un letto estraneo mi ha riportato alla realtà dopo che accanto a te ho scoperto la dolcezza di naufragare nell’incoscienza di me stesso. Dentro di te.

Mi hai lasciato solo, dopo di noi.

Cazzo, Oscar!

Mi hai trattato peggio di quanto abbia mai fatto in vita tua.

 

Ho udito distintamente la voce del bosco, accostandomi alla finestra. La medesima finestra dove poco fa ti stagliavi, lucente nella tua nudità, contro il cielo ombreggiato da nubi rosse. Il lungo dardo di luce lunare proiettato nella stanza fa apparire falsa la brace morente del camino, conferendo alla stanza un aspetto reale. Steso sul letto, con il camino di pietra alla spalle, mi era apparsa come una scena allestita su un palco teatrale, deserto dagli attori.

Il sipario è calato sulla scena principale. Ma l’ultimo atto non sarà rappresentato qui.

E non sarai tu la protagonista.

 

                                                                    ***

Voci. Giungono dalla biblioteca.

Ho bisogno di una tregua prima di affrontarti. Magari dopo un bel bagno.

Accelero il passo verso la mia camera.

“André? Sei tu? Ti cerca tua nonna.” Mireille ha una voce strana, sembra divorarmi con gli occhi.

“Grazie. Puoi dirle che la raggiungo appena possibile?”.

Non mi risponde mentre si avvia verso le cucine.

   

                                                                    ***

Non ho voglia di incontrarti, non ho voglia di compagnia stasera. Mio padre sta meglio, ma nonostante quello che gli è accaduto non riesco a stargli accanto come vorrei.

 

Sello César per volare a Parigi, più in fretta che posso. Sbronzarmi per ore sperimentando se un bicchiere di vino possa annullare il tuo sapore.

Non ce la faccio, non sono mai stata coraggiosa. Lo so che ti deludo, André. Ma è che… sai, è tutto troppo vivo, troppo vivo… e io non sono abituata alla realtà, ad affrontarla, sono così abituata a fuggire da me stessa…

Sognare ti rende forte. E’ la realtà che ti distrugge.

Isso il piede nella staffa per sollevarmi  in groppa a César quando due braccia forti mi afferrano scaraventandomi contro la parete a sinistra dell’ingresso della stalla e, tra un apparire incerto di luce lunare riflesso sulla paglia, vedo una mano serrarsi sulla maniglia della porta sbattendola con violenza.

 

“Chi siete? Lasciatemi!”. Grido con rabbia, avvertendo sulle braccia la stretta di dita terribili.

“Cosa c’è, comandante, non lo riconosci più il soldato che ha reso così piacevoli  le tue ore pomeridiane? O devo pensare che sei avvezza a simili passatempi tanto da non distinguere un uomo al buio?”. Il tuo fiato sul collo. Ma sa di rabbia.

“André, stavo proprio venendo a.... ”. Non termino la frase che mi afferra le braccia portandole dietro la mia schiena, trattenendole nel suo polso.

Mi ero dimenticata di quanto fossi forte. Cerco di divincolarmi, inutilmente.

“Lasciami, mi fai male! Lasciami!”. Cerco di colpirlo con le ginocchia per allontanarlo, stretta tra le sue gambe e la parete, minacciosi entrambi.

“Ah, il comandante stava venendo a cercarmi… Regola numero uno: i bugiardi devono avere buona memoria. Non te lo ricordi che ero qui vicino e non occorreva che sellassi il cavallo per raggiungermi?”. Mi stritola i polsi.

“Io… non devo comportarmi come una dama…” Ormai biascico parole inutili contro la tua bocca spietata. Il dolore ai polsi è insopportabile ma non te ne accorgi, strisciamo lungo la parete fino a quando riesci a schiacciarmi in un angolo.

“Regola numero due: nessuno ti ha chiesto di comportarti in qualche modo. Non ce n’è bisogno. Hai appreso da sola come si comportano le cortigiane.”

“Come osi? Lasciami, lasciami!!!”. Sento la rabbia che monta dentro, scalpito e fremo, ma non ti arrendi mentre mi spingi con violenza sulla balla di fieno più vicina, inchiodandomici col peso del tuo corpo.

“Regola numero tre: quando si ignora il galateo occorre rinfrescare la memoria, comandante“.

Non riesco a seguire i tuoi movimenti mentre ti alzi, nel buio ti muovi con sicurezza maggiore della mia, riesco solo a captare l’ombra perlacea che i contorni degli oggetti proiettano sui miei occhi.

Avverto un rumore strano. André, mi fai paura. E glielo dico subito.

“André, ti prego, mi turba questo tuo comportamento. Ti va di accompagnarmi a Parigi?”

Inutilmente. Silenzio.

Ad un tratto avverto un ruvido contatto attorno al polso destro, con l’altra mano cerco di  graffiarti il viso ma schivi il colpo e, rapido, riunisci i miei polsi nella corda  legandola ad un rozzo paletto di legno, invisibile. La intravedo. E’ la fune per legare i cavalli.

“Che vuoi fare? Ti prego. Ti prego.”

“Non temere “. Ti  stendi dolcemente sul mio corpo badando bene di  bloccare le mie gambe sotto le tue.

Sono immobilizzata. Ancora, come in quella notte.

“Ascoltami. Ascolta, Oscar. Non temere, sono piuttosto stanco e, dopotutto, abbiamo avuto la nostra parte di divertimento, per oggi“. Ho l’impressione di vedere luccicare un sorriso sulle tue labbra. Ma siamo tenebra. Accentui la pressione del tuo corpo sul mio, che scalpita come un puledro. Avverto anche qualcos’altro.

Il desiderio che punge l’aria.

“Non ti disturberò più. Però intendo subito chiarire una cosa.

Non mi freghi. Hai intenzione di riflettere? Fallo pure.

Ma attenta. Non giocare con me. Non te lo permetto.” Restiamo in silenzio.

Protendi le labbra verso le mie, in un tremito.

Oggi mi sembra che tutto sia normale, forse è questo il sapore della felicità.

Mescoliamo la nostra rabbia, vera e finta, ai respiri, io legata ad una corda per cavalli, e tu su di me. Stesi su una balla di fieno. Mi viene da ridere. Ma non voglio. Trattengo l’impulso di farlo mordendoti le labbra, leggermente. Ci baciamo a lungo in questa stalla che è il prolungamento della notte, qua fuori, fino a quando non gemiamo.

“Non credevo ti piacessero queste situazioni, comandante “. Sorridi, ma gli occhi sono accesi e sento il tuo desiderio vibrare sul mio ventre attraverso i vestiti.

“Credi? E se invece si trattasse solo di mancanza di alternative!?“

“Hmmm… no, non credo. Ma possiamo sempre provare.”

Questo tuo umorismo intriso di passione è una cosa che mi spiazza.

Con dita calde, tremanti, i capelli spettinati, apri la mia giacca facendola scivolare dalle spalle, spingendola fino ai gomiti, accarezzandomi dal collo ai fianchi.

Mi adatto al tuo gioco, avvertendo un calore diffuso tra le gambe e la paglia che s’insinua ovunque, nella luce fioca di luna liquida distinguo le tue labbra che si posano sui capezzoli che emergono dalla stoffa della camicia. Gemo insieme a te.

Ma il gioco dura poco. Ti stacchi. Un ghigno insolente dipinto sulle labbra. Sai, assomigli ad Alain.

“Perdonate, madame. Non intendevo importunarvi nuovamente con le mie attenzioni  poco ortodosse. Adesso vi libero“. Ti inginocchi liberando le mani dalla corda avvolta intorno al paletto di legno.

Mi siedo con la schiena contro il muro, sollevando gli occhi su di te, in piedi, profilo azzurrino nel buio fitto. Mi tendi la mano che rifiuto prontamente.

“Ce la faccio anche da sola. Non temere.” Le mie dita frettolose corrono a riunire bottoni e asole. Sento che sto arrossendo, ora che mi accorgo della nostra follia.

Tiri fuori parti di me che ignoro.

Mi alzo in piedi, con un certo imbarazzo dissimulato, sistemando la camicia nei pantaloni, chiudendo la giacca.

“André, credi che questi espedienti servano a qualcosa?“. Mormoro con voce tenue, dirigendomi con passo calmo verso César.

Sento le tua mani scivolare attorno alla mia vita, intrecciarsi sul ventre ed accarezzarlo, mentre il tuo volto scende sulla mia guancia.

 

“Regola numero quattro: cerca di non bere troppo.“ Ti stacchi da me aiutandomi ad issarmi sul cavallo.

 

Mi interrogo anche adesso sul significato di queste parole. Ora che, sola, cavalco verso Parigi.

Voglio respirare a pieni polmoni la gioia di averla afferrata per le redini, questa mia vita.

Di sfidarla. Ancora.

pubblicazione sul sito Little Corner del marzo 2004

 

 

Continua

mail to: modcarusio@libero.it

 

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(*) E’ il verso di una poesia di Walt  Whitman attorno al cui significato si snoda la vicenda narrata ne “L’attimo fuggente”.